La Corte di Cassazione sul reato di estorsione e atti persecutori, con la pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici.
Con sentenza numero 6892/2022, la Corte di Cassazione ha esaminato il ricorso proposto da F.V. avverso la sentenza della Corte d'Appello di Torino, che nel 2020, lo aveva condannato alla pena detentiva di tre anni e cinque mesi e alla interdizione temporanea dai pubblici uffici, per i reati di estorsione e atti persecutori. L'imputato, proponeva ricorso per Cassazione, sulla base di tre motivi di doglianza. Con il primo motivo, F.V., lamentava l'inosservanza e l'erronea applicazione della legge penale, in ordine alla configurabilità del delitto di estorsione, mancando, secondo il ricorrente il requisito dell'ingiustizia del profitto. Con il secondo motivo, l'imputato contestava invece sempre l'erronea applicazione della legge penale sulla sussistenza del reato di atti persecutori. Con il terzo e ultimo motivo di doglianza, il ricorrente denunciava infine, la assenza di motivazione in ordine alla mancata concessione dell'attenuante ex articolo 62, comma 1, numero 4, c.p. Il ricorso è inammissibile. Specifica il Collegio, che relativamente ai primi due motivi di doglianza, analizzati congiuntamente, non rientra nella potestà del giudice di legittimità quello di effettuare una rilettura degli elementi storico-fattuali, posti a fondamento del motivo di apprezzamento della decisione di merito impugnata. Inoltre, per quanto concerne la configurabilità del reato di estorsione, ricorda la Corte di Cassazione che esso è confermato «anche dalla violenza o dalla minaccia utilizzata dall'agente per ottenere l'adempimento di un'obbligazione naturale, per la quale non è data azione davanti al giudice» Cass. numero 41453/2003 . Anche il terzo motivo è infondato. Pertanto, la Corte di Cassazione, dichiara il ricorso inammissibile.
Presidente Messini D'Agostini – Relatore Pellegrino Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 16/07/2020, la Corte di appello di Torino confermava la pronuncia resa in primo grado dal Tribunale di Alessandria in data 02/10/2018 che aveva condannato F.V. alla pena di anni tre, mesi cinque di reclusione ed Euro 1.100,00 di multa oltre all'interdizione temporanea dai pubblici uffici per i reati, unificati dal vincolo della continuazione, di estorsione capo A e di atti persecutori capo B . 2. Avverso la sunnominata sentenza, nell'interesse di F.V., viene proposto ricorso per cassazione, per lamentare quanto segue. Primo motivo inosservanza o erronea applicazione della legge penale nonché manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta configurabilità del delitto di estorsione. Con riferimento a detto reato, manca la coartazione della presunta persona offesa nonché il requisito dell'ingiustizia del profitto e l'esistenza di un accordo tra le parti rileva anche ai fini dell'esclusione dell'elemento soggettivo. Censurabile è poi l'omessa derubricazione nel fatto nelle diverse figure di cui all'articolo 393 c.p. o all'articolo 610 c.p Secondo motivo erronea applicazione della legge penale in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di atti persecutori. Le condotte del F. sono riconducibili a due episodi circoscritti, nè risulta un diretto nesso di causa tra la condotta dell'agente e lo stato d'ansia e paura della vittima. Quest'ultima ha ammesso di aver sempre assecondato le richieste del F. e di aver continuato a sentirlo e frequentarlo nonostante l'intenzione di chiudere la relazione. L'assenza di effettivi elementi esterni ed ulteriori che avvalorino oltre ogni ragionevole dubbio le affermazioni accusatorie della R., il particolare contesto di tensione e litigiosità in cui si inseriscono i fatti, il peculiare quadro psico-emotivo sia del F. che della R., unitamente alla sussistenza di elementi che confermano le dichiarazioni del ricorrente, permettono di escludere che sia stata raggiunta la prova piena, cerca ed assoluta, tale da giustificare un giudizio di responsabilità. Terzo motivo errore applicazione della legge penale, contraddittorietà e mancanza di motivazione in ordine alla mancata concessione dell'attenuante ex articolo 62 c.p., comma 1, numero 4 relativamente al reato di cui al capo A . In particolare, si segnala l'esiguità dell'importo, la cui dazione è stata tra l'altro previamente concordata dalla R. con i carabinieri, e per cui il F. rilasciava ampia quietanza, al fine di poter tracciare la contabilità di somme che in futuro stesso era mosso dalla volontà di restituire, come dallo stesso dichiarato nel corso del processo tra l'altro, tale somma fronte di un accordo intervenuto tra il F. e la R. che, tra l'altro, ha ritenuto di non costituirsi parte civile. La difesa, con comunicazione via pec in data 17/01/2022, ha chiesto il differimento orario dell'udienza. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. Ritiene il Collegio come la richiesta difensiva di differimento orario dell'odierna udienza non possa trovare accoglimento, in presenza di rito cartolare che obbligatoriamente si svolge in assenza delle parti. Va, inoltre, premesso che ricorre nella fattispecie un'ipotesi di c.d. doppia conforme in punto affermazione della penale responsabilità, con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, essendo stati rispettati i parametri del richiamo della pronuncia di appello a quella di primo grado e dell'adozione - da parte di entrambe le sentenze - dei medesimi criteri nella valutazione delle prove cfr., Sez. 3, numero 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595 Sez. 2, numero 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218 . 2. Aspecifici e comunque manifestamente infondati sono i primi due motivi di ricorso, trattabili congiuntamente. Evidenzia il Collegio come non rientri nei poteri del giudice di legittimità quello di effettuare una rilettura degli elementi storico-fattuali posti a fondamento del motivato apprezzamento al riguardo svolto nell'impugnata decisione di merito, essendo il relativo sindacato circoscritto alla verifica dell'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari aspetti o segmenti del percorso motivazionale ivi tracciato verifica il cui esito non può che dirsi positivamente raggiunto nel caso in esame. Ciò considerato, le doglianze difensive esposte nei primi due motivi di ricorso non sono idonee ad infirmare la ragionevolezza del complessivo risultato probatorio tratto dalla ricostruzione della vicenda operata nell'ultima decisione di merito, per la semplice ragione che esse tendono a nuovamente prospettare un'alternativa, e come tale non consentita nella presente sede, rivisitazione del fatto oggetto del correlativo tema d'accusa, ovvero ad invalidarne elementi di dettaglio o di contorno, lasciando inalterata la consistenza delle ragioni giustificative a sostegno della pronuncia di responsabilità. 2.1. La Corte territoriale, con argomentazioni del tutto congrue e prive di vizi logico-giuridici, ha evidenziato, con riferimento al reato di cui al capo A , che la richiesta risarcitoria di una somma di denaro nella specie, Euro 1.500 sulla base della prospettazione di un asserito pregiudizio che non sia tutelabile giuridicamente tale è pacificamente la pretesa risarcitoria per essere stati impegnati in una relazione sentimentale poi naufragata non può essere qualificata quale esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Inoltre, sussiste l'ingiustizia del profitto, e quindi il delitto di estorsione, anche se la violenza o la minaccia viene usata dall'agente per ottenere l'adempimento di un'obbligazione naturale, per la quale non è data azione davanti al giudice Sez. 2, numero 41453 del 23/09/2003, EI Khattabi, Rv. 227674 . Riguardando la richiesta illecita una dazione patrimoniale, il fatto non può in ogni caso farsi rientrare nella previsione normativa di cui all'articolo 610 c.p 2.2. Medesime conclusioni di colpevolezza sono state tratte in relazione al reato di cui al capo B , essendosi riconosciuto che l'apparente accettazione, da parte della persona offesa, di corrispondere tale somma, verosimilmente riconducibile ad uno stato di timore e soggezione, non può trasformare tale richiesta, giuridicamente infondata, in un diritto suscettibile di essere azionato dinanzi al giudice, costituendo, al contrario, la riprova di un atteggiamento aggressivo prepotente da parte del prevenuto, estrinsecatosi in atti riconducibili al reato di cui all'articolo 612-bis c.p., dal momento che il F. risulta aver posto in essere tutte le azioni tipiche dello stalker pedinamenti, controlli sul luogo di lavoro, reiterate ed insistenti chiamate telefoniche, tanto da determinare nella donna una situazione di ansia e paura . La pretesa del ricorrente di ricondurre la sua richiesta economica ad un accordo liberamente intercorso tra le parti non è condivisibile, non solo in ragione del carattere davvero stravagante della richiesta, ma anche e soprattutto, per le concrete modalità aggressive minacciose con cui la stessa è stata sostenuta. Invero, è stata la stessa persona offesa a riferire che, dopo aver accettato di pagare la somma che le era stata richiesta, l'uomo aveva iniziato a minacciarla dicendole che ove l'indomani non avesse ottemperato all'accordo, l'avrebbe uccisa, avrebbe altresì ucciso la madre, il marito e la figlia, l'avrebbe buttata giù dal balcone, le avrebbe spaccato la faccia, chiamandola per una cinquantina di volte nell'arco di un'ora, tanto che la stessa sera, la donna, in stato di grave turbamento e paura, si era vista costretta a rivolgersi carabinieri per uscire da quella situazione. Le testimonianze assunte e la lettura delle trascrizioni delle telefonate registrate confermavano in pieno l'assunto accusatorio. Con queste argomentate conclusioni, il ricorrente omette di confrontarsi, preferendo la strada , conducente all'inammissibilità, della sostanziale reiterazione dei motivi di appello. 3. Manifestamente infondato è il terzo motivo. L'ammontare comunque significativo della somma pretesa ha condivisibilmente indotto i giudici di merito ad escludere l'applicabilità della circostanza attenuante di cui all'articolo 62 c.p., numero 4. 4. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità o gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. numero 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità o gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. numero 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.