Confisca per sproporzione e reati “spia”

«La presunzione relativa circa l’origine criminosa dei beni di cui si sia titolari o si abbia la disponibilità in valore sproporzionato rispetto al reddito dichiarato, o alle attività economiche svolte, non può essere superata giustificando l’utilizzo di denaro provento di evasione fiscale, anche in relazione agli acquisti precedenti all’entrata in vigore della l. numero 161/2017».

Il Tribunale di Torino confermava la pronuncia del GIP che aveva disposto il sequestro preventivo di alcuni esercizi commerciali e autovetture nella disponibilità di due fratelli, imputati per i reati di dichiarazione infedele e autoriciclaggio. I due accusati ricorrono in Cassazione deducendo, tra i vari motivi, la violazione, da parte della pronuncia e del decreto di sequestro, dei principi che regolano la confisca per sproporzioneex articolo 240-bis c.p. e la non considerazione che il delitto di autoriciclaggio è stato indicato nel citato articolo quale reato “spia” solo con d.lgs. numero 202/2016, non trovando così applicazione retroattiva il vincolo ablatorio. Il ricorso va rigettato. Le valutazioni svolte dal Tribunale risultano ineccepibili. Le stesse SSUU hanno avuto modo di statuire che la confisca costituisce «una misura di sicurezza atipica che, sulla base di predeterminati presupposti, aggredisce entità patrimoniali evocando una presunzione relativa d'ingiustificata locupletazione, rispetto alla quale la tutela del bene-patrimonio si affievolisce nel bilanciamento di valori che privilegiano esigenze di soddisfacimento di istanze diffuse, tese all'espropriazione di beni sottratti in maniera illecita alla collettività, cui vanno restituiti, salvo giustificazione, una volta eliminata con la condanna l'apparenza della disponibilità legittima» Cass. numero 29022/2004 . Ne consegue che il principio di irretroattività opera solo con riguardo alle confische aventi natura sanzionatoria, estranea alla confisca allargata. E che «nei processi o nei procedimenti cautelari reali precedenti alla introduzione della nuova disposizione ad opera della l. numero 161/2017 il condannato o indagato ben avrebbe potuto giustificare la disponibilità dei beni ragione dei redditi occultati al Fisco. Per contro, entrata in vigore la nuova disposizione, il “divieto probatorio” rileva per l'acquisizione di tutti i beni per i quali è contestata la sproporzione, indipendentemente dal tempo della loro acquisizione prima o dopo la modifica dell'articolo 12-sexies, d.l. numero 306/1992, ora articolo 240-bis c.p. per le misure di sicurezza applicati dopo il 18 novembre 2017, infatti, la legge ha previsto il suindicato limite per il superamento della presunzione relativa da parte del destinatario della richiesta di confisca o sequestro». Il Collegio ritiene, quindi, che «la presunzione relativa circa l'origine criminosa dei beni di cui si sia titolari o si abbia la disponibilità in valore sproporzionato rispetto al reddito dichiarato, o alle attività economiche svolte, non possa essere superata giustificando l'utilizzo di denaro provento di evasione fiscale, anche in relazione agli acquisti precedenti all'entrata in vigore della l. numero 161/2017». Nel caso di specie, la valutazione di manifesta sproporzione operata dai giudici della cautela non può essere inficiata dal richiamo dei ricorrenti al denaro sottratto alle imposte. Quindi, la S.C. rigetta il ricorso e condanna gli imputati al pagamento delle spese processuali.

Presidente Rago – Relatore D'Agostini Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza emessa in data 18 marzo 2021 il Tribunale di Torino, decidendo sulle richieste di riesame presentate nell'interesse dei fratelli C.E. e C.O., confermava l'ordinanza con la quale il G.i.p. del Tribunale di Torino aveva disposto il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca allargata ex articolo 240-bis c.p., di esercizi commerciali e autovetture nella disponibilità dei due fratelli, imputati dei reati di dichiarazione infedele D.Lgs. 10 marzo 2000, numero 74, articolo 4 e autoriciclaggio articolo 648-ter.1 c.p. . Nel provvedimento confermato dal Tribunale, il G.i.p. aveva richiamato gli esiti dell'attività d'indagine sulla commissione del reato tributario da parte di C.E. e C.O., in ordine al quale era stato in precedenza emesso un decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca del relativo profitto derivante dalla evasione fiscale, e aveva poi ritenuto che questo ultimo fosse stato almeno in parte reimpiegato per l'acquisto di una serie di attività economiche in presenza di un autoriciclaggio, uno dei reati spia previsti dall'articolo 240-bis c.p., vi era la possibilità di sequestrare/confiscare i beni di cui l'imputato avesse disponibilità in maniera sproporzionata rispetto alle proprie entrate . 2. Hanno proposto ricorso C.E. e C.O., a mezzo del comune difensore di fiducia, chiedendo l'annullamento dell'ordinanza per violazione di legge sotto diversi profili. 2.1. Nella parte in cui, in violazione dell'articolo 407 c.p.p., l'ordinanza ha ritenuto utilizzabile l'attività d'indagine compiuta dalla polizia giudiziaria, riepilogata nell'annotazione del 9 settembre 2020, richiamata nella richiesta del P.M. e nel decreto del G.i.p., nonostante le indagini preliminari fossero state concluse molti mesi prima, come da avviso ex articolo 415-bis c.p.p. in data 10 gennaio 2020. 2.2. Nella parte in cui l'ordinanza ha ritenuto sussistente il fumus commissi delicti per il reato di autoriciclaggio, disattendendo le osservazioni svolte dal consulente della difesa. 2.3. Nella parte in cui l'ordinanza e anche il decreto di sequestro, in violazione dei principi che regolano la confisca per sproporzione ex articolo 240-bis c.p., non hanno considerato che il delitto di autoriciclaggio, inserito nel codice penale con la L. 15 dicembre 2014, numero 186, è stato indicato nell'articolo 240-bis c.p. quale reato spia solo con il D.Lgs. 29 ottobre 2016, numero 202, non potendo trovare applicazione retroattiva il vincolo ablatorio che solo a partire dal dicembre 2017, a seguito della integrazione all'articolo 240-bis c.p., disposta con la L. numero 161 del 2017, è preclusa la riconducibilità della sproporzione alla evasione fiscale, cosicché proprio l'evasione fiscale, anche alla luce della base imponibile lecita e positiva, nel caso di specie giustifica gli investimenti commerciali contestati che sono stati violati i principi di proporzione e ragionevolezza temporale del vincolo ablatorio. 2.4. Nella parte in cui l'ordinanza e il decreto di sequestro nulla dicono sul periculum in mora, non valutando le considerazioni svolte dal consulente della difesa e l'assenza di qualunque forma di operazione atta alla sottrazione in caso di ipotetica, eventuale e futura confisca ex articolo 240-bis c.p 2.5. Nella parte in cui è stato confermato il sequestro di due autovetture, senza considerare la carenza di giurisdizione in ordine alla Porsche Macan , di proprietà della società lituana Uab Transmisija, nonché la natura di bene personale e la regolare vendita in relazione alla Range Rover di proprietà della convivente di C.O Considerato in diritto 1. I ricorsi vanno rigettati perché proposti con motivi infondati e in parte generici o non consentiti. 2. Il primo motivo, relativo alla violazione dell'articolo 407 c.p.p., non è fondato. In diritto è consolidato il principio, richiamato sia dal Tribunale che dalla difesa, secondo il quale sono inutilizzabili le informative di polizia giudiziaria depositate dopo la scadenza del termine di durata delle indagini che non siano meramente ricognitive di atti già redatti, bensì contengano la rielaborazione di atti tempestivamente inseriti nel fascicolo del pubblico ministero sulla base di altro materiale acquisito successivamente, in modo da assumere autonoma attitudine probatoria per tutte v. Sez. 6, numero 9386 del 14/12/2017, dep. 2018, Caridi, Rv. 272728 . A fronte della eccezione difensiva, secondo la quale l'annotazione di P.G. del 9 settembre 2020 avrebbe utilizzato nuovi atti sul tema della contestata sproporzione fra redditi percepiti e beni acquistati, l'ordinanza impugnata ha ampiamente motivato punto 4.1, pag. 18 , osservando che le uniche attività con carattere innovativo indicate dal difensore accesso a banche dati in uso alla Guardia di Finanza e deposito delle relative schermate non costituiscono atti di indagine ex articolo 326 c.p.p La valutazione del Tribunale risulta incensurabile il motivo sul punto in parte è generico e in parte lamenta di fatto un vizio della motivazione, quando invece il sindacato della Cassazione in tema di ordinanze del riesame relative a provvedimenti reali è circoscritto alla possibilità di rilevare ed apprezzare la sola violazione di legge, così come dispone testualmente l'articolo 325 c.p.p., comma 1 una violazione che la giurisprudenza ormai costante di questa Corte, uniformandosi al principio enunciato da Sez. U, numero 5876, del 28/01/2004, Bevilacqua, Rv. 226710, riconosce unicamente quando sia constatabile la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlata alla inosservanza di precise norme processuali così Sez. U, numero 18954 del 31/03/2016, Capasso, Rv. 266789, in motivazione in senso conforme, ex plurimis, v. Sez. 2, numero 35693 del 30/06/2021, Rosi, non mass. Sez. 6, numero 10446 del 10/01/2018, Aufiero, Rv. 272336, in motivazione Sez. 2, numero 18951 del 17/03/2017, Napoli, Rv. 269656 . 3. Le doglianze proposte con il secondo e il quarto motivo, trattate unitariamente nel ricorso, non sono consentite in questa sede. In ordine al fumus del reato tributario, correttamente l'ordinanza impugnata ha richiamato la preclusione del giudicato cautelare pag. 20 , non superabile alla luce di successive valutazioni svolte dal consulente della difesa, che non costituiscono fatti nuovi idonei a rimettere in discussione la sussistenza del fumus del delitto di dichiarazione infedele reato presupposto dell'autoriciclaggio , già vagliata sino alla sede di legittimità nel procedimento riguardante il sequestro preventivo finalizzato alla confisca del relativo profitto. Ancor più radicalmente, invero, occorre rilevare che la questione inerente alla sussistenza del fumus commissi delicti è divenuta improponibile nel presente giudizio cautelare in ragione del sopravvenuto rinvio a giudizio dei ricorrenti, da parte del G.u.p. del Tribunale di Torino, per i reati di dichiarazione infedele e autoriciclaggio, come indicato dalla difesa pag. 9 secondo il diritto vivente, infatti, in materia di misure cautelari reali, la proponibilità della questione relativa alla sussistenza del fumus del reato è preclusa se nel frattempo sia stato emesso il decreto che dispone il giudizio del soggetto interessato, in quanto il provvedimento, cristallizzando le imputazioni, presuppone una valutazione giudiziale sulla idoneità e sufficienza degli elementi acquisiti per sostenere l'accusa in giudizio, e non può quindi essere privato della sua rilevanza per ragioni connesse al sistema impugnatorio delle misure reali cfr., ad es., Sez. 3, numero 35715 del 17/09/2020, Riccardi, Rv. 280694 Sez. 5, numero 50521 del 20/09/2018, Ponteggi, Rv. 275227 Sez. 2, numero 52255 del 28/10/2016, Olisterno, Rv. 268733 Sez. 5, numero 26588 del 9/04/2014, Miserocchi, Rv. 260569 da ultimo v. Sez. 3, numero 40789 del 07/09/2021, Viglialoro, non mass. . In ragione di tale consolidato principio, risulta improponibile anche l'articolato motivo pagg. 13-18 con il quale i ricorrenti sostengono l'assenza del fumus anche per il delitto di autoriciclaggio, in quanto gli acquisti sarebbero stati effettuati con redditi leciti base imponibile netta e non già con il profitto del reato tributario, consistente solo nella imposta evasa. Lo stesso esito, stante la ricordata preclusione, sortisce la doglianza relativa alla contestazione dell'autoriciclaggio come reato asseritamente consumato prima della commissione del reato presupposto, doglianza la cui infondatezza è stata comunque correttamente affermata nell'ordinanza impugnata pag. 21 cinque acquisti su sette sono pacificamente successivi alla consumazione del primo reato di dichiarazione infedele peraltro, il delitto di autoriciclaggio è stato contestato quale reato unico e non continuato . Nella rubrica del quarto motivo di ricorso, inoltre, si richiama anche il tema del pericu/um, in relazione alle osservazioni svolte dal consulente della difesa, ma nella esposizione delle ragioni a sostegno del motivo tale aspetto viene del tutto obliterato, essendosi invece ampiamente esposte le conclusioni del consulente alla luce delle quali sarebbe insussistente il fumus dei reati. Sotto questo profilo, dunque, la doglianza è del tutto generica. 4. Neppure il terzo motivo di ricorso è fondato. Il Tribunale ha incidentalmente rilevato che la questione proposta dalla difesa circa la rilevanza dell'autoriciclaggio quale reato spia a partire solo dal 24 novembre 2016 riguarderebbe solo alcune condotte in contestazione , poiché quattro acquisti su sette furono effettuati negli anni 2017 e 2018, successivamente alla entrata in vigore del D.Lgs. 29 ottobre 2016, numero 202, che tale delitto ha introdotto nel catalogo dei reati di cui al D.L. 8 giugno 1992, numero 306, articolo 12-sexies, convertito dalla L. 7 agosto 1992, numero 356 ora articolo 240-bis c.p. . Tuttavia l'ordinanza ha anche correttamente disatteso la deduzione difensiva secondo la quale, in forza del principio di irretroattività e di una lettura costituzionalmente orientata dell'articolo 240-bis c.p., il vincolo ablatorio andrebbe escluso con riferimento ai reati di riciclaggio commessi prima dell'inserimento del delitto ex articolo 648-ter.1 c.p. quale reato spia . Le valutazioni in diritto svolte dal Tribunale risultano ineccepibili e hanno preso le mosse dal disposto dell'articolo 200 c.p., comma 1, richiamato, per le misure di sicurezza patrimoniali, dall'articolo 236 c.p., comma 2 , secondo il quale I e misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione , sul presupposto che la confisca allargata o per sproporzione sia una misura di sicurezza. Tale presupposto trova fondamento nella costante giurisprudenza di questa Corte. Già in risalenti pronunce le Sezioni Unite statuirono che la confisca di cui si tratta costituisce una misura di sicurezza atipica che, sulla base di predeterminati presupposti, aggredisce entità patrimoniali evocando una presunzione relativa d'ingiustificata locupletazione, rispetto alla quale la tutela del bene-patrimonio si affievolisce nel bilanciamento di valori che privilegiano esigenze di soddisfacimento di istanze diffuse, tese all'espropriazione di beni sottratti in maniera illecita alla collettività, cui vanno restituiti, salvo giustificazione, una volta eliminata con la condanna l'apparenza della disponibilità legittima Sez. U, numero 29022 del 30/5/2001, Derouach, Rv. 229221, in motivazione pertanto, ci si trova dinanzi ad una misura di sicurezza atipica con funzione anche dissuasiva, parallela all'affine misura di prevenzione antimafia introdotta dalla L. 31 maggio 1965, numero 575 così Sez. U, numero 920 del 17/12/2003, dep. 2004, Montella, Rv. 226491 , finalizzata a impedire l'accumulo di ricchezze di matrice delittuosa, con la quale si è inteso collegare la provenienza dei beni o delle utilità non già al singolo episodio per il quale è intervenuta la condanna bensì all'accertata consumazione di uno dei reati spia , unitamente alla disponibilità, in capo al soggetto, di denaro, beni o altre utilità, che non trovino giustificazione in relazione al reddito percepito. Da ultimo le Sezioni Unite, risolvendo una questione controversa riguardante la confisca ora prevista dall'articolo 240-bis c.p. definita atipica , allargata o estesa , per distinguerla dalle altre ipotesi di confisca obbligatoria , ne ha ribadito la natura di misura di sicurezza patrimoniale, replicante alcuni caratteri della misura di prevenzione antimafia, disciplinata dalla L. numero 575 del 1965, e la stessa finalità preventiva perseguita Sez. U, numero 27421 del 25/02/2021, Crostella, Rv. 281561, in motivazione , traendo giustificazione dalla presunzione relativa di accumulo di ricchezza illecita da parte del soggetto condannato penalmente. Proprio per la ricordata natura della confisca allargata, è da tempo consolidato il principio secondo il quale anche tale confisca, come le altre misure di sicurezza, è applicabile nei confronti di chi sia stato condannato per reati commessi prima dell'entrata in vigore della norma che la disciplina, in quanto l'istituto non è soggetto al principio di irretroattività della norma penale di cui all'articolo 25 Cost. e articolo 2 c.p., quanto piuttosto alla disposizione dell'articolo 200 c.p., applicabile alla confisca per il richiamo operato dall'articolo 236 c.p., secondo la quale le misure di sicurezza sono regolate dalla legge vigente al momento della loro applicazione perché postulano la valutazione in termini di attualità della pericolosità sociale, da ricostruire in base alla legislazione in quel momento vigente, pur se entrata in vigore in epoca successiva al sorgere della pericolosità, o all'acquisizione dei cespiti patrimoniali oggetto di ablazione così Sez. 1, numero 44534 del 24/10/2012, Ascone, Rv. 254698 in senso esattamente conforme cfr., ad es., Sez. 6, numero 10887 del 11/10/2012, Alfiero, Rv. 254786 Sez. 6, numero 25096 del 06/03/2009, Nobis, 244355 Sez. 1, numero 11269 del 18/02/2009, Pelle, Rv. 243493 Sez. 1, numero 8404 del 15/01/2009, Bellocco, Rv. 242862 Sez. 3, numero 38429 del 09/07/2008, Sforza, Rv. 241273 . Ribadito che il principio di irretroattività opera solo con riguardo alle confische aventi natura sanzionatoria, estranea alla confisca allargata, più di recente si è affermato che essa può essere ordinata anche in relazione a cespiti acquisiti in epoca anteriore all'entrata in vigore delle disposizioni che l'hanno istituita Sez. 2, numero 56374 del 12/10/2018, Di Spirito, Rv. 276299 . Da ultimo, poi, in una ipotesi di confisca ex articolo 240-bis c.p. disposta a seguito di una condanna per il reato previsto dal D.P.R. 9 ottobre 1990, numero 309, articolo 85-bis, si è ribadito che detta tipologia di confisca può attingere anche coloro i quali abbiano riportato condanna per reati commessi prima dell'entrata in vigore della norma che la disciplina Sez. 1, numero 43483 del 04/06/2021, Perri, non mass. . La difesa, a sostegno della inapplicabilità dell'articolo 240-bis c.p. per reati spia commessi anteriormente al loro inserimento nel catalogo previsto da detta norma, ha richiamato la disciplina riguardante alcuni delitti tributari che, in certi casi, sono divenuti reati spia , a seguito dell'introduzione del D.Lgs. 10 marzo 2000, numero 74, articolo 12-ter ad opera del D.L. 26 ottobre 2019, convertito con modificazioni dalla L. 19 dicembre 2019, numero 157. Secondo quanto disposto dall'articolo 39, comma 1-bis, di quest'ultimo decreto, le nuove disposizioni si applicano esclusivamente alle condotte poste in essere successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione 25 dicembre 2019 . La previsione, invero, smentisce e non corrobora la tesi difensiva proprio in ragione della ricordata natura di misura di sicurezza della confisca allargata, come riconosciuta anche dal diritto vivente, il legislatore ha ritenuto necessario, per rendere efficace una scelta di politica criminale inerente a detta tipologia di delitti, prevedere espressamente la rilevanza della commissione dei suddetti reati spia solo a partire dalla entrata in vigore della legge, in deroga alla disciplina generale in tema di misure di sicurezza patrimoniali. 5. Il Tribunale non ha specificamente esaminato una ulteriore questione di diritto, in questa sede riproposta sempre con il terzo motivo di ricorso, inerente alla dedotta rilevanza dell'inserimento nell'articolo 240-bis di un periodo In ogni caso il condannato non può giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell'evasione fiscale, salvo che l'obbligazione tributaria sia stata estinta mediante adempimento nelle forme di legge , ad opera della L. 17 ottobre 2017, numero 161, che - nella prospettazione difensiva - consentirebbe agli imputati, per i beni acquisiti prima della data di entrata in vigore della legge 19 novembre 2017 , di giustificare gli acquisti con i profitti dei reati di evasione in precedenza commessi, contestati dall'accusa. L'importanza del tema è di tutta evidenza, considerato che dei sette acquisti indicati nel capo d'imputazione sub 2, relativo al reato di riciclaggio, solo l'ultimo, per l'importo di 100 milioni di Euro, avvenne successivamente a tale data astrattamente, quindi, il presupposto della sproporzione potrebbe essere riesaminato qualora si potesse tenere conto del denaro provento o reimpiego dell'evasione fiscale . Anche questa tesi difensiva, tuttavia, non è fondata e l'omessa risposta sul punto non vizia l'ordinanza impugnata, trattandosi di una questione di puro diritto con una risalente pronuncia le Sezioni Unite avevano già affermato che la soluzione da dare alle questioni di diritto, processuali o sostanziali che siano, non attiene però al contesto della giustificazione, ma al contesto della decisione, sicché quello che importa per la validità della sentenza è soltanto la correttezza di questa Sez. U, numero 155 del 29/09/2011, Rossi, Rv. 251495 . Il principio è stato da ultimo ribadito dalle stesse Sezioni unite Sez. U, numero 24591 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027-05 . Invero, ritiene il Collegio che le argomentazioni in precedenza esposte in ordine alla natura della confisca allargata quale misura di sicurezza atipica siano del tutto pertinenti per risolvere il tema di cui si tratta se la impossibilità per il condannato - ovvero, come nel caso di specie, per l'imputato destinatario di un provvedimento di sequestro finalizzato alla confisca - di giustificare la legittima provenienza dei beni, sul presupposto che il denaro utilizzato sia provento o reimpiego dell'evasione fiscale, valga o meno anche per le acquisizioni anteriori al 19 novembre 2017, giorno di entrata in vigore della L. 17 ottobre 2017, numero 161, che all'articolo 31 ha introdotto il ricordato periodo, riformulando il D.L. numero 306 del 1992, articolo 12 sexies, comma 1, poi trasfuso nell'articolo 240-bis c.p., comma 1 inserito dal D.Lgs. numero 21 del 2018 in attuazione del principio della riserva di codice . I ricorrenti hanno invocato sul punto il principio affermato in una recente decisione emessa dalla Corte di cassazione, alla quale si sono uniformate altre recentissime pronunce di legittimità, non massimate Sez. 5, numero 46782 del 04/10/2021, Russo Sez. 1, numero 37287 del 03/06/2021, Pioggia Sez. 6, numero 23243 del 09/03/2021, Passarelli , che in sostanza non hanno apportato ulteriori argomentazioni a sostegno della sentenza richiamata dalla difesa Sez. 1, numero 1778 del 11/10/2019, dep. 2020, Ruggieri, Rv. 278171 . Questa ultima pronuncia ha ribadito la natura giuridica della confisca estesa, in quanto tale, che è quella di misura di sicurezza atipica , essendo pacifico, dunque, che essa può essere applicata - oggi - in rapporto a compendi patrimoniali acquisiti in epoca anteriore alla disposizione che nel 1994 ha introdotto l'istituto, sempre che ricorra la condizione di base ossia la realizzazione di uno dei reati-sorgente . Tuttavia, con riferimento alla modifica apportata dalla L. numero 161 del 2017, occorrerebbe considerare, in riferimento alla generale previsione dell'articolo 11 preleggi la legge non dispone che per l'avvenire essa non ha effetto retroattivo , la natura del divieto probatorio e la specifica modalità ricostruttiva dello squilibrio patrimoniale da realizzarsi nella procedura di confisca . La questione non riguarderebbe l'applicazione dell'istituto, quanto la dimensione probatoria di uno degli aspetti che realizzano la condizione ablativa, rappresentato dalla sproporzione di valori tra redditi e investimenti. Se sino al novembre del 2017, come si è detto, la presunzione di accumulazione illecita poteva essere ‘superatà attraverso la dimostrazione dell'avvenuto esercizio di una attività economica lecita accompagnato dalla mancata sottoposizione dei guadagni alla imposizione fiscale, è evidente che il legislatore ha introdotto solo nel 2017 - un divieto probatorio che non può dirsi ricollegato alla dimensione penalistica dell'istituto non essendo stata elevata l'evasione fiscale a presupposto della ablazione ma alla sua dimensione civilistica di ripartizione degli oneri dimostrativi tra parti contrapposte . Ne deriva - conclude la sentenza - per dovere di interpretazione secondo ragionevolezza e principio generale di tutela dell'affidamento, che al divieto probatorio in parola debba attribuirsi natura procedimentale, il che comporta che il medesimo non può trovare applicazione - anche nei procedimenti in corso - in relazione alle ricostruzioni patrimoniali relative ad anni antecedenti a quello 2017 in cui è stato introdotto, in conformità agli assetti raggiunti in sede civile su temi analoghi si veda, quanto alla inapplicabilità retroattiva di presunzioni favorevoli alla amministrazione fiscale quanto deciso, tra le altre, da Sez. VI Civ. ord. numero 2662 del 2018 . Il Collegio non condivide le riportate argomentazioni, a partire da quella che fa riferimento all'articolo 11 preleggi, poiché sulle misure di sicurezza vi è la specifica norma del codice penale più volte citata articolo 200 . La sentenza, poi, ha definito la nuova disposizione un divieto probatorio con natura procedimentale , evocando però una inedita dimensione ‘civilisticà dell'istituto che non risulta presente nella consolidata elaborazione giurisprudenziale di cui si è dato conto, secondo la quale, nell'ottica del contrasto alla proliferazione del crimine, il legislatore consente una semplificazione probatoria, che si realizza mediante lo svincolo dell'oggetto dell'ablazione dal reato e l'onere, gravante sul condannato titolare o detentore dei beni da confiscare, di giustificarne la provenienza mediante specifica allegazione di elementi in grado di superare la presunzione e di elidere l'efficacia dimostrativa dei dati probatori offerti dall'accusa così Sez. U, numero 27421 del 2021, cit. . La modifica apportata dalla L. numero 161 del 2017 ha operato proprio limitando la possibilità per il destinatario della confisca estesa di superare la presunzione circa l'origine criminosa dei cespiti, di cui si sia titolari in valore sproporzionato rispetto a redditi e attività il condannato non può giustificare la loro provenienza lecita facendo riferimento ai proventi dell'evasione fiscale. Anche ritenendo la nuova disposizione una norma di natura processuale come affermato nella sentenza Ruggieri - deve comunque trovare applicazione il principio tempus regit actum, che va coordinato con la disposizione del codice sostanziale, secondo il quale I e misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione articolo 200 c.p., comma 1 , non risultando convincente l'operazione, realizzata nella stessa pronuncia, di sottrazione dall'area dell'applicazione dell'istituto della dimensione probatoria di uno degli aspetti che realizzano la condizione ablativa . Ne consegue che nei processi o nei procedimenti cautelari reali precedenti alla introduzione della nuova disposizione ad opera della L. numero 161 del 2017 il condannato o indagato ben avrebbe potuto giustificare la disponibilità dei beni in ragione dei redditi occultati al Fisco. Per contro, entrata in vigore la nuova disposizione, il divieto probatorio rileva per l'acquisizione di tutti i beni per i quali è contestata la sproporzione, indipendentemente dal tempo della loro acquisizione primo o dopo la modifica del D.L. numero 306 del 1992, articolo 12-sexies, ora articolo 240-bis c.p. per le misure di sicurezza applicate dopo il 18 novembre 2017, infatti, la legge ha previsto il suindicato limite per il superamento della presunzione relativa da parte del destinatario della richiesta di confisca o sequestro. Non risulta condivisibile neppure il richiamo ai principi di ragionevolezza e tutela di affidamento da parte della sentenza Ruggieri, le cui conclusioni non sembrano lineari da una parte, infatti, la decisione, alla luce della natura della confisca allargata, aderisce espressamente alla sentenza, in precedenza richiamata, secondo la quale essa può essere disposta anche in relazione a cespiti acquisiti in epoca anteriore all'entrata in vigore delle disposizioni che l'hanno istituita Sez. 2, numero 56374 del 2018, cit. dall'altra, però, per i beni acquisiti prima della suddetta modifica normativa, consente la dimostrazione della provenienza da evasione fiscale del denaro utilizzato per i loro acquisto. Ritiene il Collegio, in conclusione sul punto, che la presunzione relativa circa l'origine criminosa dei beni di cui si sia titolari o si abbia la disponibilità in valore sproporzionato rispetto al reddito dichiarato, o alle attività economiche svolte, non possa essere superata giustificando l'utilizzo di denaro provento di evasione fiscale, anche in relazione agli acquisti precedenti alla entrata in vigore della L. numero 161 del 2017. Ne consegue che, nel caso di specie, la valutazione di manifesta sproporzione operata dai giudici della cautela non può essere inficiata dal richiamo dei ricorrenti al denaro sottratto alle imposte. E' generica, non consentita e comunque manifestamente infondata la doglianza, espressa anch'essa con il terzo motivo di ricorso, riguardante il profilo della ragionevolezza temporale , locuzione con la quale s'intende significare che il momento di acquisto del bene non deve essere talmente lontano dall'epoca di realizzazione del reato-spia da determinare l'irragionevolezza della presunzione di derivazione da una attività illecita, sia pure diversa e complementare rispetto a quella giudicata così, da ultimo, Sez. U, numero 27421 del 2021, cit. . Sul punto l'ordinanza impugnata reca una specifica e logica motivazione pag. 23 , evidenziando la stretta correlazione temporale fra la commissione del reato o dei reati di riciclaggio e gli acquisti dei beni sottoposti a sequestro preventivo. 6. L'ultimo motivo è inammissibile, avendo la stessa difesa riconosciuto che le due autovetture sono di proprietà di terzi soggetti una della convivente di C.O. e l'altra di una società lituana . Sul punto va ribadito che l'indagato non titolare del bene oggetto di sequestro preventivo è legittimato a presentare richiesta di riesame del titolo cautelare purché vanti un interesse concreto e attuale alla proposizione del gravame che, dovendo corrispondere al risultato tipizzato dall'ordinamento per lo specifico schema procedimentale, va individuato in quello alla restituzione della cosa come effetto del dissequestro Sez. 3, numero 16352 del 11/01/2021, Di Luca, Rv. 281098 Sez. 5, numero 3515 del 09/10/2020, Astolfi, Rv. 280005 Sez. 3, numero 3602 del 16/01/2019, Solinas, Rv. 276545 Sez. 1, numero 6779 del 08/01/2019, Firriolo, Rv. 274992 Sez. 3, numero 9947 del 20/01/2016, Piances, Rv. 266713 , diritto che nel caso di specie non è stato neppure prospettato. L'applicabilità di detto principio è stata di recente affermata proprio in un caso di confisca allargata ex articolo 240-bis c.p. l'imputato, nei cui confronti si proceda per uno dei titoli di reato contenuti nell'elencazione della norma, non ha interesse a proporre impugnazione in ordine alla confisca di beni intestati a terzi poiché, in tal caso, non potendo vantare alcun diritto alla restituzione del bene non può ottenere un effetto favorevole dalla decisione. E ciò anche nell'ipotesi in cui si tratti di beni confiscati nel presupposto della disponibilità indiretta poiché è solo il terzo che ha interesse personale e diretto a provare la legittima acquisizione dei beni ovvero l'assenza di fittizia intestazione degli stessi così Sez. 2, numero 4160 del 19/12/2019, dep. 2020, Bevilacqua, Rv. 278592 . 7. Al rigetto delle impugnazioni segue, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.