Riprende vigore la richiesta presentata da una donna all’INPS. Messa in discussione la valutazione compiuta in Tribunale e centrata sulla colpevole indisponibilità della persona a seguire un regime alimentare dietetico.
Plausibile il riconoscimento dell' assegno di invalidità alla persona affetta da una obesità – aggravata anche da alcune patologie – tale da depotenziarne la capacità di lavoro. A essere preso in esame è lo stato di salute di una donna, che, alla luce della propria obesità, ha presentato all'INPS richiesta per l'assegno di invalidità. Il consulente tecnico incarico dal Tribunale traccia un quadro abbastanza chiaro da un lato, dichiara di avere riscontrato «esiti di nefrectomia, steatopatite, diabete mellito, limitazioni articolari» e «un indice di massa corporea» pari a 40,86 – più che sufficiente, quindi, per parlare di obesità, secondo i parametri fissati dall'Organizzazione mondiale della sanità –, e dall'altro sostiene di avere accertato «la riduzione del 74 per cento della capacità lavorativa». Questi elementi non vengono però ritenuti sufficienti in Tribunale. I giudici sottolineano difatti che «l' obesità grave della donna dipende dalla sua indisponibilità a seguire un regime alimentare dietetico» e aggiungono poi che «non è possibile che rientri nel cosiddetto carico sociale una condizione personale che dipende in misura significativa da un'inerzia e da una negligenza del singolo che ha il dovere di fare tutto il possibile per salvaguardare la sua salute e per evitare che questa diventi un ingiustificato costo per la collettività». Niente assegno di invalidità per la donna, quindi, secondo il Tribunale. Di parere opposto sono invece i Giudici della Cassazione, i quali accolgono l'obiezione proposta dalla donna e centrata sulla constatazione che la normativa – la l. numero 118/1971 – «non richiede tra i requisiti delle patologie rilevanti l'involontarietà della patologia o l'impossibilità di sottoposizione a cure». I magistrati di terzo grado ribadiscono, richiamando alcuni precedenti risalenti agli anni '80, che «ai fini del riconoscimento della pensione d'invalidità, l'obesità, in quanto malattia permanente, ancorché non definitiva, se in grado rilevante e specialmente se concorra con altre malattie ed alterazioni funzionali, deve essere considerata, nell'ambito di una valutazione complessiva e globale, per stabilire se vi sia riduzione della capacità di lavoro» e ancora «l'obesità connessa ad un improprio regime dietetico assume la connotazione dell'infermità invalidante, ai fini del riconoscimento della pensione, allorché il suo miglioramento richieda l'adozione di una terapia medica ed alimentare». Peraltro, «in tema di pensione di invalidità non può essere esclusa la permanenza di un'infermità invalidante, consistente in un'obesità di natura costituzionale, per l'apodittica previsione della sua riduzione mediante cure mediche, dietetiche ed esercizio fisico, giacché la possibilità di cure non fa venir meno il carattere della permanenza dell'infermità, tanto più quando», osservano i Giudici, «non sia prevedibile il carattere transitorio della malattia con guarigione o miglioramento rilevante a breve scadenza». E in questa stessa ottica «con riguardo alla pensione d'invalidità, il requisito della permanenza della riduzione della capacità di guadagno sussiste tutte le volte che la condizione di invalidità sia riferibile ad una infermità di durata incerta e indeterminata e comunque non breve», come l'obesità, «non bastando a farlo escludere la mera ipotizzabilità di un miglioramento o di una guarigione della infermità stessa». Queste valutazioni hanno ancora più valore quando, come nella vicenda in esame, «l'obesità venga in considerazione unitamente ad altre patologie», facendo così emergere «un quadro clinico complessivo rilevante ai fini della condizione sanitaria di invalidità». Tirando le somme, e ridando speranza alla donna nella battaglia con l'INPS, i Giudici sanciscono che «ai fini del riconoscimento del diritto alla pensione di invalidità , l'obesità, in quanto malattia permanente, ancorché non irreversibile, se di grado rilevante e concomitante con altre malattie ed alterazioni funzionali, deve essere valutata in un contesto complessivo e globale di tutte le manifestazioni patologiche, per stabilirne l'incidenza sulla capacità di lavoro e di guadagno». Di questa linea di pensiero dovranno tenere conto i giudici del Tribunale, chiamati a prendere nuovamente in esame la richiesta della donna.
Presidente Leone - Relatore Buffa Fatto e diritto Con sentenza del 5.12.19, il Tribunale di Gorizia ha rigettato l'opposizione dell'assistita in epigrafe ad accertamento tecnico preventivo ATP delle condizioni sanitarie per l'assegno di invalidità ed ha compensato le spese. In particolare, il CTU officiato dal tribunale - riscontrati esiti di nefrectomia, steato-epatite, diabete mellito I-II, limitazioni articolari, BMI 40,86 - ha accertato la riduzione del 74% della capacità lavorativa dell'assistita, in ragione delle diverse patologie sofferte. Il tribunale, tuttavia, ha disatteso le conclusioni del CTU, rilevando che l'obesità grave della assistita dipende dall'indisponibilità dell'interessata a seguire un regime alimentare dietetico, e, nell'affermare che non è possibile che rientri nel c.d. carico sociale una condizione personale che dipende in misura significativa da un'inerzia e da una negligenza del singolo che ha il dovere di fare tutto il possibile per salvaguardare la sua salute e per evitare che questa diventi un ingiustificato costo per la collettività , ha rigettato quindi l'opposizione. Avverso tale sentenza ricorre l'assistita per tre motivi, cui resiste con controricorso l'INPS. Con il primo motivo si lamenta violazione di legge, ed in particolare della L. numero 118 del 1971, articolo 13, che non richiede tra i requisiti delle patologie rilevanti l'involontarietà della patologia o l'impossibilità di sottoposizione a cure. Il motivo è manifestamente fondato. Questa Corte ha già affermato, ai fini del riconoscimento della pensione d'invalidità, che l'obesità, in quanto malattia permanente, ancorché non definitiva, se in grado rilevante e specialmente se concorra con altre malattie ed alterazioni funzionali, deve essere considerata, nell'ambito di una valutazione complessiva e globale, per stabilire se vi sia riduzione della capacità di lavoro Sez. L, Sentenza numero 4357 del 27/06/1988, Rv. 459343 - 01 conf 5125/81, mass numero 415910 l'obesità connessa ad un improprio regime dietetico assume la connotazione dell'infermità invalidante, ai fini del riconoscimento della pensione, allorché il suo emendamento richieda l'adozione di una terapia medica ed alimentare Sez. L, Sentenza numero 7372 del 10/12/1986 Rv. 449422 - 01 . Quanto alla permanenza dell'invalidità in genere, si è altresì affermato Sez. L, Sentenza numero 1682 del 10/04/1978, Rv. 391086 - 01 che, in tema di pensione di invalidità non può essere esclusa la permanenza di un'infermità invalidante, consistente in un'obesità di natura ginoide-costituzionale, per l'apodittica previsione della sua riduzione mediante cure mediche, dietetiche ed esercizio fisico, giacché la possibilità di cure non fa venir meno il carattere della permanenza dell'infermità, tanto più quando non sia prevedibile il carattere transitorio della malattia con guarigione o miglioramento rilevante a breve scadenza. Nel medesimo senso si è precisato Sez. L, Sentenza numero 6392 del 26/11/1988, Rv. 460720 - 01 che, con riguardo alla pensione d'invalidità, il requisito della permanenza della riduzione della capacità di guadagno, di cui al R.D.L. 14 aprile 1939, numero 636, articolo 10, sussiste tutte le volte che la condizione di invalidità sia riferibile ad una infermità di durata incerta e indeterminata e comunque non breve nella specie diabete, ipertensione e obesità , non bastando a farlo escludere la mera ipotizzabilità di un miglioramento o di una guarigione della infermità stessa. Quanto detto assume maggiormente rilievo ove l'obesità venga in considerazione unitamente ad altre patologie, come nel caso di specie, ove viene in rilievo un quadro clinico complessivo rilevante ai fini della condizione sanitaria di invalidità in tema, si vedano Cass. Sez. L, Sentenza numero 1198 del 12/02/1985, Rv. 439316 - 01, e Sez. L, Sentenza numero 5125 del 16/09/1981, Rv. 415910 - 01, secondo le quali, ai fini del riconoscimento del diritto alla pensione di invalidità, la obesità, in quanto malattia permanente, ancorché non irreversibile, se di grado rilevante e concomitante con altre malattie ed alterazioni funzionali, deve essere valutata in un contesto complessivo e globale di tutte le manifestazioni patologiche, per stabilirne l'incidenza sulla capacità di lavoro e di guadagno . La sentenza impugnata - che non si è attenuta ai costanti ed univoci precedenti di legittimità, e che qui occorre reiterare - deve essere cassata. Il secondo motivo con il quale si lamenta vizio di motivazione della sentenza con richiamo erroneo alla CTU ed il terzo motivo con il quale si lamenta che la decisione si è basata su questione a sorpresa non sottoposta al contraddittorio delle parti restano assorbiti. P.Q.M. accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altro giudice del medesimo tribunale per un nuovo esame ed anche per le spese del giudizio di legittimità.