Ai fini della configurabilità dello stato di soggezione è necessaria una significativa compressione della capacità di autodeterminazione della persona offesa, anche indipendentemente da una privazione totale della libertà personale.
La Corte di Assise d'Appello rideterminava la pena inflitta a O.D., O.K. e K.U., rispettivamente imputati del delitto di riduzione in schiavitù e favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione di due ragazze nigeriane. In particolare, la rilevanza criminale della condotta della prima imputata veniva riconnessa alla realizzazione di alcuni riti voodoo a cui erano state sottoposte le vittime. Secondo quanto appurato da alcuni rilievi psicologici, le due ragazze, a causa dei rituali, si ritrovavano in uno stato di soggezione nei confronti di O.D., la quale ne aveva approfittato per spingerle alla prostituzione e procurarsi così le risorse economiche per ripagare un debito. Gli imputati ricorrono in Cassazione, denunciando, tra i vari motivi, la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla conclusione che le vittime versassero in uno stato di schiavitù mentale a causa del rito julu. Gli accusati ritengono che tale stato di soggezione possa essere smentito dal fatto che una delle vittime si sia sottratta “all'impegno” rivolgendosi ai Carabinieri, mentre l'altra si sia allontanata andando a vivere con il compagno. Le doglianze sono inammissibili. La riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù, di cui all'articolo 600 c.p., è un reato a fattispecie plurima, che può essere integrato sia dalla condotta di chi esercita su una persona poteri corrispondenti a quelli spettanti al proprietario, «sia da quella di riduzione o mantenimento di una persona in stato di soggezione continuativa […]» Cass. numero 10426/2015, numero 24269/2010, numero 4012/2005 . Secondo la Suprema Corte, la fattispecie in esame attiene alla realizzazione della seconda ipotesi, ossia la riduzione o il mantenimento di una persona in stato di soggezione continuativa, costringendola a prestazioni lavorative o sessuali mediante minaccia e approfittamento dello stato di necessità. Ai fini della configurabilità dello stato di soggezione, però, è necessaria una significativa compressione della capacità di autodeterminazione della persona offesa, indipendentemente anche da una privazione totale della libertà personale Cass. numero 15662/2020 . Pertanto, è irrilevante la circostanza che la persona offesa riesca a mantenere limitati spazi di autodeterminazione, dovendosi rapportare lo stato di soggezione continuativa «all'intensità del vulnus arrecato» Cass. numero 25408/2014 . Nel caso di specie, grazie agli accertamenti di tipo antropologico e psicologico, è stato possibile verificare l'efficacia vincolante del rituale, utilizzato come meccanismo per indurre le vittime in uno stato di schiavitù mentale, e di conseguenza la condizione di estrema vulnerabilità delle ragazze. Il coraggio dimostrato nel sottrarsi alla condizione di soggezione, quindi, non esclude in alcun modo che la prima vittima, fino al compimento dell'atto di ribellione, non fosse totalmente soggiogata «dagli effetti dell'illecita attività posta in essere con il decisivo concorso dell'imputata, e, quanto all'altra, che il mutamento di domicilio non costituì l'espressione di una franca e stabile affrancazione dal vessatorio dominio di O.D.». Per questi motivi, il Collegio dichiara inammissibili i ricorsi.
Presidente Bricchetti – Relatore Cappuccio Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 27 maggio 2020 la Corte di assise di appello di Milano, in parziale riforma di quella emessa il 18 giugno 2019 dal Giudice per le indagini preliminari della stessa città nei confronti di O.D. , K.O. e U.K. , ha rideterminato le pene inflitte ai primi due, rispettivamente, in sette anni e quattro mesi di reclusione ed un anno e sei mesi di reclusione, e ha confermato, nel resto, la decisione di primo grado, con la quale U.K. era stata condannata alla pena, condizionalmente sospesa, di un atto ed otto mesi di reclusione. 2. O.D. risponde, nell'ambito del presente procedimento, del delitto di riduzione in schiavitù di due ragazze, sue connazionali in quanto provenienti dalla Nigeria, che, nel 2016, entrarono illegalmente in Italia ove, su impulso di tale M.I. , si misero in contatto con lei e furono da subito avviate alla prostituzione. La rilevanza criminale della condotta dell'imputata si riconnette alla sottoposizione delle vittime, in territorio nigeriano, a riti voodoo, per effetto dei quali le stesse - secondo quanto appurato anche mediante approfondimenti di natura antropologica e psicologica - si vennero a trovare in una condizione di stringente ed ineludibile soggezione nei suoi confronti, della quale ella approfittò per imporre loro il meretricio allo scopo di procurarsi le risorse finanziarie occorrenti per ripagare il debito contratto all'atto di intraprendere il viaggio alla volta dell'Europa. La prova dei fatti è rimessa alle dichiarazioni delle persone offese, che i giudici di merito hanno ritenuto altamente attendibili e corroborate da riscontri investigativi, di assoluta eloquenza, acquisiti anche attraverso attività di intercettazione telefonica ed ambientale. I due residui imputati, rispettivamente marito e figlia della D. , sono stati, invece, condannati per il solo favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione delle due giovani, avendo costoro prestato ausilio alla congiunta, risoltosi, per l'uno, nel prelevarle presso i centri di accoglienza ove le ragazze, raggiunto il suolo italiano, erano state ricoverate, nel portarle in … , ospitandole nella propria abitazione familiare, e nell'accompagnarle sui luoghi del meretricio, e, per l'altra, nel riscuotere, all'occorrenza, i versamenti delle ragazze, nel controllare il regolare svolgimento dell'attività e nel prestare loro assistenza di varia natura fornitura di profilattici, accompagnamento sul posto di lavoro, ecc. . 3. Gli imputati propongono, con unico atto sottoscritto dall'avv. Fabrizio Cardinali, ricorsi per cassazione affidati, nel complesso, a tre motivi, tutti afferenti a violazione di legge e vizio di motivazione. Con il primo, la D. lamenta che i giudici di merito abbiano ritenuto che le vittime versassero in uno stato di schiavitù mentale conseguente alla sottoposizione al rito juju termine utilizzato, nella fattispecie, quale sinonimo di voodoo , conclusione smentita, nella realtà, dall'essersi entrambe sottratte all'impegno assunto rivolgendosi, l'una, ai Carabinieri, ed allontanandosi, l'altra, per andare a vivere con il proprio compagno. Con il secondo motivo, la D. osserva che l'impegno assunto con il juju concerneva l'impegno a restituire una somma di denaro, cioè ad effettuare una prestazione specifica, restando ad esso estranee le modalità attraverso le quali la vittima si sarebbe procurata tale importo, fungibili e non necessariamente legate all'attività di prostituzione segnala, pertanto, l'illegittimità della contestazione della circostanza aggravante prevista dall'articolo 602-ter c.p., comma 1, lett. b . Con il terzo ed ultimo motivo, il marito e la figlia della D. obiettano che la loro responsabilità è stata ritenuta sulla base di una motivazione manifestamente illogica e contraddittoria e trascurando, specificamente, che l'uomo ha posto in essere condotte penalmente neutre e che la ragazza è raggiunta da accuse intrinsecamente inattendibili e, per di più, contraddette da ulteriori risultanze istruttorie. Considerato in diritto 1. I ricorsi sono inammissibili per la manifesta infondatezza dei motivi. 2. L'oggetto del primo motivo di ricorso, afferente alla qualificazione dei fatti ai sensi dell'articolo 600 c.p., consiglia una sintetica ricognizione dei tratti essenziali della fattispecie incriminatrice di Riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù . Il comma 1 della disposizione punisce con la reclusione da otto a venti anni Chiunque esercita su una persona poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà ovvero chiunque riduce o mantiene una persona in uno stato di soggezione continuativa, costringendola a prestazioni lavorative o sessuali ovvero all'accattonaggio o comunque al compimento di attività illecite che ne comportino lo sfruttamento ovvero a sottoporsi al prelievo di organi . La fattispecie criminosa può quindi essere integrata, alternativamente, dall'esercizio su di una persona di poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà, ovvero dalla riduzione o dal mantenimento di una persona in stato di soggezione continuativa, costringendola a prestazioni lavorative o sessuali ovvero all'accattonaggio o comunque al compimento di attività illecite che ne comportino lo sfruttamento. Si tratta, quindi, di un reato a fattispecie plurima, integrato sia dalla condotta di chi esercita su una persona poteri corrispondenti a quelli spettanti al proprietario, che, implicando la reificazione della vittima, ne comporta ex se lo sfruttamento, sia da quella di riduzione o mantenimento di una persona in stato di soggezione continuativa, in relazione alla quale, invece, è richiesta la prova dell'ulteriore elemento costituito dalla imposizione di prestazioni integranti lo sfruttamento della vittima in questo senso, nella giurisprudenza di legittimità, cfr., tra le altre, Sez. 5, numero 10426 del 9/01/2015, 0., Rv. 262632 Sez. 3, numero 24269 del 27/05/2010, K., Rv. 247704 Sez. 5, numero 4012 del 15/12/2005, dep. 2006, Lazri, Rv. 233600 . L'articolo 600 c.p., comma 2, precisa, poi, che la riduzione o il mantenimento nello stato di soggezione ha luogo quando la condotta è attuata mediante violenza, minaccia, inganno, abuso di autorità o approfittamento di una situazione di vulnerabilità, di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità, o mediante la promessa o la dazione di somme di denaro o di altri vantaggi a chi ha autorità sulla persona. La prospettazione accusatoria accolta, nella fattispecie che qui viene in rilievo, dalla Corte territoriale attiene alla realizzazione della seconda ipotesi alternativa della fattispecie plurima, ossia alla riduzione o mantenimento di una persona in stato di soggezione continuativa, costringendola a prestazioni lavorative o sessuali ovvero all'accattonaggio o comunque al compimento di attività illecite che ne comportino lo sfruttamento, esercitata fra i vari strumenti tipici costituenti modalità della condotta, elencati nel comma 2 dell'articolo 600 c.p., mediante minaccia e approfittamento dello stato di necessità, intesa come situazione di debolezza e mancanza materiale o morale atta a condizionare la volontà della vittima. Ne deriva che, perché sussista la costrizione a prestazioni - in presenza dello stato di necessità, che è un presupposto della condotta approfittatrice dell'agente e deve essere inteso come situazione di debolezza o mancanza materiale o morale atta a condizionare la volontà della persona - è sufficiente l'approfittarnento di tale situazione da parte dell'autore mentre la costrizione alla prestazione deve essere esercitata con violenza o minaccia, inganno o abuso di autorità nei confronti di colui che non si trovi in una situazione di inferiorità fisica o psichica o di necessità Sez. 5, numero 4012 del 15/12/2005, dep. 2006, Lazri, Rv. 233600 . Secondo la giurisprudenza di legittimità, ai fini della configurabilità dello stato di soggezione, rilevante per l'integrazione del reato di riduzione in schiavitù, è necessaria una significativa compromissione della capacità di autodeterminazione della persona offesa, anche indipendentemente da una totale privazione della libertà personale Sez. 5, numero 15662 del 17/2/2020, U., numero 279156 Sez. 5, numero 49594 del 14/10/2014, Enache, Rv. 261345 Sez. 5, numero 44385 del 24/9/2013, Rv. 257564 . Resta, per contro, irrilevante la circostanza che, al cospetto delle condizioni sopra indicate, la persona offesa mantenga limitati spazi di autodeterminazione, dovendosi rapportare lo stato di soggezione continuativa, richiesto dall'articolo 600 c.p., all'intensità del vulnus arrecato all'altrui libertà di autodeterminazione, nel senso che esso non può essere escluso qualora si verifichi una qualche limitata autonomia della vittima, tale da non intaccare il contenuto essenziale della posizione di supremazia del soggetto attivo del reato Sez. 5, numero 25408 del 5/11/2013, dep. 2014, Mazzotti, Rv. 260230 . Consegue alle superiori considerazioni, tra l'altro, che risponde del delitto di riduzione o mantenimento in schiavitù colui che sfrutta la prostituzione della persona offesa eccedendo il normale rapporto di meretricio Sez. 5, numero 12574 del 29/1/2013, K. Rv. 255378 , dovendosi valorizzare, quali elementi sintomatici del prescritto quid pluris la mancanza di libertà di movimento della persona assoggettata la sua impossibilità di comunicare con terzi la sottrazione del passaporto la privazione dei mezzi di sussistenza. Infine, la situazione di necessità della vittima deve essere intesa come situazione di debolezza idonea a condizionarne la volontà personale, analoga a quella considerata dall'articolo 644 c.p., comma 5, numero 3 o allo stato di bisogno rilevante ai fini della rescissione del contratto articolo 1418 c.c. e sostanzialmente coincidente con il concetto normativo di posizione di vulnerabilità , indicata nella decisione quadro dell'Unione Europea del 19 luglio 2002 sulla lotta alla tratta degli esseri umani, attuata dalla L. 11 agosto 2003, numero 228 Sez. 3, numero 2841 del 26/10/2006, dep. 2007, Djordjevic, Rv. 236022 , nozione distinta da quella che integra la scriminante dello stato di necessità, prevista all'articolo 54 c.p. Sez. 3, numero 21630 del 6/5/2010, E. e altro, Rv. 247641 . 3. Nel caso in esame, i giudici di merito - le cui decisioni possono essere, a questi fini, sinergicamente considerate, versandosi in ipotesi di c.d. doppia conforme ed avendo la Corte di appello operato ampi riferimenti alla sentenza di primo grado, le cui motivazioni ha mostrato di condividere e far proprie in questo senso cfr., tra le altre, Sez. 2, numero 37295 del 12/6/2019, E., Rv. 277218 Sez. 3, numero 44418 del 16/7/2013, Argentieri, Rv. 257595 Sez. 3, numero 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, Valerio, Rv. 252615 - hanno tratto argomento, in primo luogo, dalla sottoposizione delle vittime, prima della partenza dal Paese di origine, a riti juju. A fronte dell'obiezione difensiva, secondo cui l'intervento dello sciamano avrebbe prodotto un mero vincolo di natura contrattuale, che obbligava il soggetto al rispetto dell'obbligo di restituire una determinata somma di denaro ed al divieto di rivolgersi alle forze dell'ordine e di intrattenere rapporti sessuali con il marito della madame, la Corte di appello ha ribadito che il rito ha, invece, generato un vero e proprio rapporto di dominio fisico e psichico tra la D. e le ragazze che, sotto il suo impulso, hanno intrapreso la prostituzione. Premesso che già l'incontro con lo sciamano era stato da loro accettato sulla falsa rappresentazione della finalità sanitaria e curativa con esso perseguita, il giudice di appello ha, in particolare, rilevato come la narrazione di H.I.D. Mi hanno dato da bere dell'alcool con dentro del sangue. Mi hanno tagliato un pò di capelli. Mi hanno fatto dei taglietti sotto le clavicole, mani e piedi e dietro la schiena con le lamette debba essere interpretata alla luce di quanto esposto dal consulente tecnico del pubblico ministero, Dott. R. M., e dal perito, Dott. B.A. . La prima ha, invero, riferito Il prelievo di materiale organico delle ragazze con il quale viene fatto un feticcio durante il rituale conferisce alla madame una posizione di dominio che viene percepita come minacciosa dalle ragazze in due modi nella sfera fisica e in quella spirituale. La pratica di rimuovere parti del corpo e, nel caso di H. , applicare dei tagli sulle spalle, braccia e schiena crea una paura emotiva nelle ragazze, le quali percepiscono la minaccia di dolore fisico come reale. Inoltre, il fatto che la madame ed il native doctor possiedano parti del corpo delle ragazze gli conferisce il potere di controllo e ricatto spirituale tramite meccanismi metonimici , ovvero in forza del principio secondo cui avere il controllo su una parte della persona conferisce controllo sulla persona stessa . La medesima chiave di lettura ispira l'apporto della Dott. B. , la quale ha spiegato che il rituale unge da meccanismo coercitivo, da dispositivo di controllo a distanza che viene imposto a donne in posizione di forte vulnerabilità per cui, nonostante l'apparente libertà di movimento, lo strumento induce uno stato di schiavitù mentale . Gli espletati accertamenti di tipo antropologico hanno consentito, poi, di verificare, secondo quanto dettagliatamente riportato dal giudice di primo grado, che l'efficacia vincolante del rituale è accresciuta dalla peculiare situazione sociale della Nigeria, in cui al distacco da un sistema istituzionale e politico percepito dalla popolazione come parassitario e corrotto fa pendant l'assunzione di centralità delle organizzazioni religiose tradizionali, che attribuiscono primaria importanza a riti tribali del tipo di quello somministrato alle odierne persone offese, comprendente un giuramento dal quale è scaturito un vincolo al quale le giovani hanno ritenuto di essere strette, a pena di incorrere in eventi letali o, comunque, gravissimi, sino al formale annullamento da parte di autorità, l'O. di B. C., gerarchicamente sovraordinato allo sciamano il Native doctor al cui cospetto elle erano state condotte. Resta così confermato, nella ricostruzione avallata dai giudici di merito, che le vittime si sono venute a trovare in una condizione di estrema vulnerabilità, in cui l'incombente minaccia delle ritorsioni conseguenti alla sottrazione all'impegno assunto si è accompagnata ad una tangibile precarietà esistenziale, connessa all'assenza di risorse economiche, oltre che di documenti e riferimenti affettivi e familiari, ed all'estraneità all'ambiente nel quale si sono venute a trovare una volta sbarcate in Italia. Del tutto plausibile è che, in questo contesto, le giovani nigeriane abbiano patito una condizione di continuativa ed ineludibile soggezione nei confronti della D. , la quale ha profittato dalla loro spiccata vulnerabilità coartandole a dedicarsi alla prostituzione. Tanto, in ragione della significativa compromissione della loro capacità di autodeterminazione, sebbene non tradottasi in totale privazione della libertà personale e coesistente con il mantenimento di circoscritti ambiti di libertà che, a dispetto di quanto obiettato dalla ricorrente, non escludono la configurabilità del reato. Ineccepibile si palesa, sotto questo profilo, la notazione della Corte di appello, secondo cui l'impostazione accusatoria non è contraddetta dal fatto che E. abbia ricevuto, successivamente all'allontanamento di H. , il permesso di trasferirsi a Torino, elargito con la promessa che ella avrebbe continuato a versare le somme necessarie ad estinguere il debito contratto. Lo spostamento della ragazza nel capoluogo piemontese, osservano, ancora, i giudici di merito, è intervenuto in un momento in cui la D. era ormai sicura di avere il controllo su di lei, come dimostrato dalle condotte poste in essere sino al novembre del 2016, da sole idonee, comunque, ad integrare gli elementi costitutivi del reato in contestazione. In ordine a tale, invero decisivo, aspetto, la Corte di appello ricorda che le persone offese, come riferito dalle stesse v. in particolare il verbale di denuncia di H.I.D. del 18 settembre 2017 , sono state costrette a svolgere l'attività di meretricio quotidianamente, dalle ore 10 00 alle 17 00 e dalle ore 21 00 alle 5 00 del giorno seguente e che dalle concordi dichiarazioni delle stesse emerge che la libertà di cui erano dotate era strettamente circoscritta agli spostamenti legati allo svolgimento dell'attività di prostituzione , atteso, vieppiù, che una volta rientrate a casa, queste ultime, erano soggette a invadenti ispezioni, operate da parte della madame, finanche nelle parti intime, per verificare se vi nascondessero parte del denaro incassato . Tanto autorizza la conclusione che gli spazi di autonomia lasciati alle ragazze fossero connaturati alle attività loro imposte sul territorio, non dovendosi, peraltro, dimenticare come la D. , al fine di costringere le vittime a sottostare ai suoi diktat, non esitava a percuoterle, anche servendosi, all'uopo, di oggetti contundenti. Resta, in tal modo, accertata la manifesta infondatezza del primo motivo di ricorso, con cui si è posto l'accento su emergenze fattuali - quali l'allontanamento di H. , che si è rivolta alle forze dell'ordine, ed il trasferimento in Torino di E. - in ordine alle quali i giudici di merito hanno offerto una spiegazione non manifestamente illogica nè contraddittoria, avuto ulteriormente riguardo, quanto all'una, al fatto che il coraggio dimostrato nel sottrarsi alla condizione di soggezione alla D. non esclude in alcun modo che ella, sino al compimento del provvidenziale atto di ribellione, è stata totalmente soggiogata dagli effetti dell'illecita attività posta in essere con il decisivo concorso dell'imputata, e, quanto all'altra, che il mutamento di domicilio non costituì l'espressione di una franca e stabile affrancazione dal vessatorio dominio di O.D. . 4. Le precedenti considerazioni conducono a sancire, del pari, la manifesta inammissibilità del secondo motivo di ricorso, con il quale la D. si duole dell'applicazione, da parte dei giudici di merito, della circostanza aggravante prevista dall'articolo 602-ter c.p., comma 1, lett. b , che sancisce l'aumento della pena, da un terzo alla metà, nell'ipotesi, tra le altre, in cui i reati di riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù siano diretti allo sfruttamento della prostituzione . L'obiezione difensiva - secondo cui l'obbligazione assunta dalle vittime aveva ad oggetto, in termini generali, la corresponsione di una somma di denaro, restando indifferenti, per l'imputata, le modalità attraverso le quali le giovani si sarebbero procurata la provvista occorrente per l'adempimento - ha, invero, trovato conveniente risposta nella sentenza impugnata, ove è stato chiarito cfr., in particolare, le pagg. 17-18 che il compendio istruttorio è nitido nell'ascrivere alla D. un contegno precipuamente inteso a costringere le vittime all'esercizio del meretricio quale ineluttabile, necessitata conseguenza della terribile condizione di privazione e svantaggio in cui le donne sono precipitate. Il convincimento di essere destinatarie del sortilegio scaturito dal juju, ha, infatti, concorso con la totale carenza delle risorse morali, materiali e logistiche imprescindibili per intraprendere, in libertà, una nuova fase della loro esistenza sul suolo Europeo e con le stringenti pressioni della D. - la quale, oltre a sovrintendere, con l'apporto di marito e figlia, alla conduzione dell'attività di prostituzione ed a fornire, a tale scopo, ogni ausilio, non mancava di operare asfissianti controlli sulle persone offese - nel cagionare la forzata dedizione al meretricio che, per E. , non è venuta meno dopo il trasferimento a Torino, essendosi ella affrancata solo nel momento in cui l'O. di B. C. ha, finalmente, annullato il vincolo scaturito dal juju e rimesso il connesso debito. La ricostruzione, in fatto, degli accadimenti di interesse processuale supporta, allora, ad onta di quanto affermato dalla ricorrente, l'assunto che vuole l'illecita restrizione degli spazi di autodeterminazione funzionale alla percezione di ingenti profitti dall'attività di prostituzione. 5. Manifestamente infondato è, altresì, il terzo ed ultimo motivo di ricorso, che attiene alla legittimità della motivazione addotta dalla Corte di appello per disattendere i motivi di impugnazione relativi alla responsabilità concorsuale di O. e U.K. nello sfruttamento della prostituzione. I giudici di merito hanno, in proposito, ritenuto che l'uomo abbia consapevolmente fornito un contributo eziologicamente rilevante portando le vittima dai centri di accoglienza nei quali erano ospitate all'abitazione di … , nonché ivi cooperando all'organizzazione del meretricio, tra l'altro accompagnandole, all'occorrenza, sul luogo di esercizio dell'attività, mentre la U. si è incaricata, nella contingente assenza della madre, di compiti di istruzione, vigilanza e riscossione dei compensi corrisposte alle ragazze dai clienti. A fronte di un iter argomentativo lineare, coerente e fedele alle emergenze istruttorie, i ricorrenti introducono doglianze di tangibile aspecificità. L'uno, in particolare, lamenta di non avere mai condotto le ragazze sul luogo di lavoro , circostanza che, è bene ribadire, è invece affermata a pag. 20 della motivazione della sentenza impugnata, in quanto riferita da H.D. nelle sommarie informazioni rese il 4 dicembre 2017, e non smentita aliunde. L'altra segnala che, quando la D. era ubriaca, le persone offese, per loro stessa ammissione, si sottraevano alla costrizione a prostituirsi, ciò che sarebbe logicamente incompatibile con l'assunzione, da parte sua, di un ruolo vicario di quello della genitrice asserzione, questa, che, non essendo supportata dal prescritto corredo documentale - id est, dal verbale contenente tali dichiarazioni - pecca di mancanza di autosufficienza in questo senso, cfr., tra le altre, Sez. 2, numero 20677 del 11/4/2017, Schioppo, Rv. 270071 Sez. 4, numero 46979 del 10/11/2015, Bregamotti, Rv. 265053 Sez. 1, numero 23308 del 18/11/2014, dep. 2015, Savasta, Rv. 263601 e che, comunque, non giova alla causa della ricorrente, alla quale sono addebitati distinti comportamenti, perfettamente compatibili con gli episodi che le vittime avrebbero ricordato. 6. Sulla base delle considerazioni che precedono i ricorsi devono essere, pertanto, dichiarati inammissibili. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, numero 186, della Corte costituzionale, rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 Euro. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.