«Lo svolgimento di incarichi extraistituzionali retribuiti da parte di dipendenti della P.A. è condizionato alla previa autorizzazione da parte dell’amministrazione di appartenenza, secondo quanto previsto dal d.lgs. numero 165/2001, articolo 53, comma 9, con la conseguenza che la violazione di siffatta prescrizione non può essere sanata da un’autorizzazione successiva […]».
La Suprema Corte ha esaminato il ricorso numero 1623/2022 proposto dall'Agenzia delle Entrate di Lecce nei confronti di un consorzio universitario in relazione ad un incarico extraistituzionale di un professore, senza la preventiva autorizzazione dell'Amministrazione di appartenenza. Nel 2013 l'Università in questione aveva fatto opposizione contro la sentenza di ingiunzione al pagamento di una cospicua somma di denaro, contestando all'istituto di avere conferito ad un loro professore universitario un incarico al di fuori delle sue mansioni, omettendo la comunicazione alla P.A. ed i compensi da esso ricevuti. L'opponente aveva chiesto però la dichiarazione di illegittimità dell'ordinanza-ingiunzione, avendo il professore chiesto e ottenuto l'autorizzazione nel maggio del 2011, per lo svolgimento dell'incarico conferitogli nel 2008. Con il ricorso principale, l'ente di riscossione denuncia la pronuncia del Tribunale di primo grado, secondo cui l'autorizzazione postuma escludeva l'illiceità della condotta del professore. Il Collegio ritiene fondato il motivo principale del ricorso, pronunciando in tal senso un principio di diritto a supporto «lo svolgimento di incarichi extraistituzionali retribuiti da parte di dipendenti della P.A. è condizionato alla previa autorizzazione da parte dell'amministrazione di appartenenza, secondo quanto previsto dal d.lgs. numero 165/2001, articolo 53, comma 9, con la conseguenza che la violazione di siffatta prescrizione non può essere sanata da un'autorizzazione successiva ora per allora , stante la specificità del rapporto di pubblico impiego, la necessità di verificare ex ante la compatibilità tra l'incarico esterno e le funzioni istituzionali, e tenuto conto altresì della circostanza che il potere sanzionatorio è attribuito all'Agenzia delle Entrate e non all'amministrazione di provenienza del dipendente». Pertanto, la Suprema Corte decide di accogliere il ricorso principale.
Presidente Di Virgilio – Relatore Carrato Ritenuto in fatto Con ricorso del 2013 l'U.V. XXXXXXX proponeva opposizione avverso l'ordinanza ingiunzione numero prot. 826/2013, con la quale 4 la XXXXXXX di Lecce le aveva ingiunto il pagamento della somma di Euro 12.666,68, per la violazione di cui al D.Lgs. numero 165 del 2001, articolo 53, commi 9, 11 e 15, come accertata con verbale di contestazione della Guardia di Finanza - Compagnia di Lecce elevato in data 29 gennaio 2013, per aver conferito ad un avvocato professore universitario N.F. un incarico retribuito senza la preventiva autorizzazione dell'Amministrazione di appartenenza, ovvero dell'Università del XXXXXXX - facoltà di Giurisprudenza, e per aver omesso di comunicare nei termini di legge i compensi allo stesso erogati. L'opponente chiedeva dichiararsi l'illegittimità dell'ordinanza-ingiunzione per avere il prof. Natale chiesto e poi ottenuto l'autorizzazione il 6 maggio 2011 per lo svolgimento dell'incarico legale conferitogli in precedenza in data 7 aprile 2008 invocava l'esimente di cui alla L. numero 689 del 1981, articolo 3, per errore incolpevole sul fatto, non risultando la qualità di dipendente pubblico dell'avvocato, professore universitario, non avendo quest'ultimo mai comunicato tale sua qualità. Si costituiva in giudizio la P.A. ingiungente deducendo l'infondatezza del ricorso ed invocandone il rigetto. Con sentenza numero 5/2014 depositata il 7 gennaio 2014 il Giudice di pace di Lecce accoglieva il ricorso e, per l'effetto, annullava l'ordinanza-ingiunzione adottata dall'A.G 2. Decidendo sull'appello proposto dalla suddetta A.G. e nella costituzione dell'appellato che formulava, a sua volta, appello incidentale , il Tribunale di Lecce, con sentenza numero 1375/2017, depositata in data 30 marzo 2017, rigettava il gravame principale e dichiarava inammissibile quello incidentale, compensando le spese giudiziali. Così pronunciando, quindi, il Tribunale salentino confermava l'impugnata sentenza, condividendone la statuizione fondata sul presupposto che dovesse considerarsi legittima l'autorizzazione rilasciata con efficacia ora per allora e, perciò, riteneva insussistente la violazione prevista dal D.Lgs. numero 165 del 2001, citato articolo 53, commi 9 e 11. 3. Avverso detta sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione l'A.G. di Lecce sulla base di un unico motivo. L'intimato Consorzio universitario si è costituito con controricorso contenente anche cinque motivi di ricorso incidentale condizionato. Entrambe le difese delle parti hanno depositato memoria difensiva ai sensi dell'articolo 380 bis.1. c.p.c Considerato in diritto 1. - Con il motivo di ricorso principale, l'Agenzia ricorrente ha denunciato - ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3 - la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. numero 165 del 2001, articolo 53, commi 7 e 9, in combinato disposto con gli articolo 97 e 98 Cost., per avere il Tribunale - confermando la pronuncia di primo grado - ritenuto che l'autorizzazione postuma escludeva l'illiceità della condotta del professore universitario incaricato e della controricorrente. In particolare, la ricorrente ha contestato l'affermazione della sentenza di appello, secondo cui nel panorama normativo generale caratterizzato dall'evoluzione legislativa in atto e tenendo conto dei principi cui essa è ispirata sia difficile negare tanto più che la ratio dell'autorizzazione in esame è quella dell'accertamento della compatibilità in concreto dell'esercizio del diritto, preesistente, del privato con l'interesse pubblico che tale verifica non possa essere compiuta, anzi più a ragion veduta, anche ex post, con effetti analoghi, in ordine alla liceità del relativo svolgimento dell'attività da parte del dipendente, all'autorizzazione da questi acquisita ex ante. 2. Con i cinque motivi di ricorso incidentale condizionato la controricorrente ha rispettivamente denunciato - l'estinzione dell'obbligazione ai sensi della L. numero 689 del 1981, articolo 14, per asserita erronea individuazione del reale trasgressore deducendo la violazione dello stesso articolo 14, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3 - l'estinzione dell'obbligazione pecuniaria per tardività della contestazione della violazione rispetto al termine fissato dalla citata L. numero 689 del 1981, stesso articolo 14, di cui risulta prospettata la violazione, insieme a quella dell'articolo 97 Cost., con 7 riferimento all'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3 - la prescrizione del credito riconducibile all'irrogata sanzione amministrativa, lamentandosi la violazione - avuto riguardo all'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3 - della medesima L. numero 689 del 1981, articolo 28 - la scusabilità della violazione amministrativa contestata per buona fede ovvero per insussistenza in capo al trasgressore della colpa, sempre in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3 - l'errata quantificazione della sanzione irrogata, ancora in ordine all'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3. Con riferimento alla proposizione di tali motivi ed a supporto degli stessi il controricorrente ha spiegato la doglianza in via incidentale relativa alla denuncia della violazione dell'articolo 436 c.p.c., per aver il Tribunale leccese, con l'impugnata sentenza, rilevato che l'atto di appello contenente la riproposizione dei motivi prima richiamati attinenti alla prospettazione di vizi del procedimento di contestazione e alla supposta estinzione della pretesa sanzionatoria non era stato notificato entro il termine di dieci giorni prima dell'udienza di discussione e, poiché doveva intendersi che tali motivi fossero stati avanzati nelle forme di un'impugnazione incidentale, quest'ultima doveva ritenersi inammissibile, nel mentre - rileva la difesa dell'Università del XXXXXXX - si sarebbe dovuto applicare nella fattispecie il disposto dell'articolo 346 c.p.c., risultando, invero, sufficiente, che le relative doglianze venissero riproposte in appello, come era, in effetti, avvenuto, da cui la necessità che il giudice di secondo grado avrebbe dovuto provvedere sulle stesse. 3. - Rileva il collegio che il motivo del ricorso principale è fondato. Il profilo centrale dello stesso concerne la questione relativa alla possibilità di escludere l'illecito amministrativo de quo in ragione di un'autorizzazione rilasciata in un momento successivo al conferimento dell'incarico. Sul piano normativo, questo collegio osserva che il D.Lgs. numero 165 del 2001, articolo 53, disciplina le incompatibilità, il cumulo di impieghi e gli incarichi dei dipendenti pubblici, ivi compresi, per quanto qui interessa, anche quelli dei professori universitari a tempo pieno , regolati anche della L. numero 240 del 2010, articolo 6, comma 10, secondo periodo, il quale conferma che i professori e i ricercatori a tempo pieno possono altresì svolgere, previa autorizzazione del rettore, funzioni didattiche e di ricerca, nonché compiti istituzionali e gestionali senza vincolo di subordinazione presso enti pubblici e privati senza scopo di lucro, purché non si determinino situazioni di conflitto di interesse con l'università di appartenenza, a condizione comunque che l'attività non rappresenti detrimento delle attività didattiche, scientifiche e gestionali loro affidate dall'università di appartenenza peraltro, non rilevando, nella specie, il richiamo al regolamento di Ateneo in questione, che nulla disporrebbe in merito, e che, comunque, quale fonte subordinata al D.Lgs. numero 165 del 2001, non potrebbe derogare alle disposizioni primarie, che prevedono un criterio generale di autorizzabilità in via preventiva degli incarichi . La normativa, nel suo insieme, non vieta dunque l'espletamento di incarichi extraistituzionali retribuiti, ma li consente solo ove gli stessi siano conferiti dall'amministrazione di provenienza ovvero da questa preventivamente autorizzati , rimettendo al datore di lavoro pubblico la valutazione della legittimità dell'incarico e della sua compatibilità, soggettiva e oggettiva, con i compiti propri dell'ufficio. In tal senso, questa Corte ha rilevato che, in tema di pubblico impiego, il D.Lgs. numero 165 del 2001, articolo 53, comma 6, in cui è confluito il D.Lgs. numero 29 del 1993, articolo 58, come modificato dal D.Lgs. numero 80 del 1998, articolo 26, vieta ai dipendenti delle P.A. con rapporto di lavoro a tempo pieno l'espletamento di incarichi retribuiti, anche occasionali, non compresi nei compiti e nei doveri d'ufficio, per i quali sia corrisposto, sotto qualunque forma, un compenso, salvo che lo svolgimento dell'incarico sia stato preventivamente autorizzato, ai sensi della L. numero 662 del 1996, articolo 1, comma 60, dall'Amministrazione di appartenenza per le specifiche attività consentite dalla legge v. Cass. numero 15098 del 2011 . Lo scopo è evidentemente quello di garantire l'imparzialità, l'efficienza e il buon andamento della pubblica amministrazione nel rispetto dei principi sanciti dagli articolo 97 e 98 Cost., nonché di evitare che il pubblico dipendente possa svolgere incarichi ulteriori rispetto a quelli che discendono dai propri doveri istituzionali, distogliendolo da essi ovvero creando forme autorizzate di concorrenza soggettiva in capo al medesimo soggetto interessato, e procurandogli un vantaggio economico che non ne giustificherebbe, se stabile e duraturo e quindi dotato dei caratteri della prevalenza e continuità, la permanenza all'interno della pubblica amministrazione, con i conseguenti rilevanti oneri ad essa attribuiti. Sicché, quanto all'effetto di rimozione del generale divieto di conseguire l'incarico, se non attraverso una autorizzazione adottata prima dell'inizio dello stesso, questo Collegio non ravvisa una diversità della autorizzazione postuma rispetto a quella ora per allora , in quanto entrambe intervengono dopo l'inizio ovvero anche la fine dello svolgimento dell'incarico. Peraltro, la giurisprudenza amministrativa, in particolare, ha escluso che possa essere concessa un'autorizzazione successiva con efficacia sanante e dunque ora per allora , stante la specificità del rapporto di pubblico impiego rispetto a situazioni diverse dell'attività amministrativa cfr., ex plurimis, Tar Emilia-Romagna Parma Sez. I, Sent., 17 luglio 2017, numero 263 Tar Emilia-Romagna Parma, Sez. I, 5 giugno 2017, numero 191 Tar. Calabria Reggio Calabria, sez. I, 14 marzo 2017, numero 195 Tar. Lombardia Milano, Sez. IV, 7 marzo 2013, numero 614 . Seppure, dunque, il principio di tipicità degli atti amministrativi non impedisce che il momento di esercizio del potere amministrativo possa essere spostato in avanti in tutti i casi in cui sia ancora possibile effettuare le valutazioni che ne sono alla base come per le autorizzazioni postume in relazione ad attività edilizie ovvero paesaggistiche Cons. Stato, sez. VI, 30 marzo 2004, numero 1695 , ciò va escluso nell'ambito specifico degli incarichi dei pubblici dipendenti, che consente che il dipendente medesimo, in presenza di una specifica e preventiva autorizzazione rilasciata da parte dell'Amministrazione di appartenenza, possa eccezionalmente ricoprire incarichi ulteriori al di fuori di quelli istituzionali. Invero, l'autorizzazione postuma id est, con riferimento allo specifico caso in esame, l'autorizzazione ora per allora risulta ontologicamente incompatibile con la finalità dell'istituto della previa autorizzazione che, in base al disposto di cui al D.Lgs. numero 165 del 2001, articolo 53, comma 7, è quella come detto di verificare, necessariamente ex ante, l'insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi. Laddove, il dovere di rispettare la regola per cui - tra gli incarichi non vietati - gli incarichi extraistituzionali consentiti al dipendente rispetto ai quali quest'ultimo è legittimato a trattenere le relative remunerazioni sono solo quelli o previamente autorizzati dall'Amministrazione datoriale o quelli dalla stessa direttamente conferiti costituisce interpolativamente giacché introdotto per legge null'altro che uno dei diversi doveri del dipendente che rientrano nel fascio dei suoi obblighi dovuti per effetto del rapporto lavorativo dipendente Cons. Stato, sez. VI, 2 novembre 2016, numero 4590 . Va, inoltre, rilevato che il disposto dell'articolo 53, comma 9, cit., risulta diretto a sanzionare una violazione di carattere formale , integrata cioè dal semplice fatto di un privato che abbia conferito un incarico a un dipendente pubblico senza avere ottenuto preventivamente l'autorizzazione dell'Amministrazione presso cui il medesimo presti servizio. Detto illecito non può, dunque, essere sanato da un'autorizzazione intervenuta successivamente con effetti anche ora per allora al conferimento dell'incarico. Tale assunto risulta confortato tanto dall'inequivoco ed insuperabile significato letterale dello stesso articolo 53, comma 9, che fa esplicito riferimento ad una previa autorizzazione dell'incarico medesimo. Non può, pertanto, essere seguito l'assunto del giudice di appello, secondo cui, quella in questione, non sarebbe una mera autorizzazione postuma , che potrebbe far pensare a un'autorizzazione successiva al conferimento dell'incarico con efficacia ex nunc, bensì un'autorizzazione con formula ora per allora con effetti ex tunc equivalente a quella preventiva. Per tali complessive ragioni va accolto il motivo formulato con il ricorso principale, enunciandosi il seguente principio di diritto al quale dovrà uniformarsi il giudice di rinvio Io svolgimento di incarichi extraistituzionali retribuiti da parte di dipendenti della P.A. è condizionato alla previa autorizzazione da parte dell'amministrazione di appartenenza, secondo quanto previsto dal D.Lgs. numero 165 del 2001, articolo 53, comma 9, con la conseguenza che la violazione di siffatta prescrizione non può essere sanata da un'autorizzazione successiva ora per allora , stante la specificità del rapporto di pubblico impiego, la necessità di verificare ex ante la compatibilità tra l'incarico esterno e le funzioni istituzionali, e tenuto conto altresì della circostanza che il potere sanzionatorio è attribuito all'A.G. e non all'amministrazione di provenienza del dipendente . 4. - Passando all'esame del ricorso incidentale condizionato, rileva il collegio che è fondata la censura relativa alla prospettata violazione generale dell'articolo 436 c.p.c., dal momento che, per come risulta dalla stessa sentenza qui impugnata, l'Università del XXXXXXX, aveva espressamente riproposto in appello i motivi relativi ai vizi che risultando compendiati in quelli precedentemente richiamati ulteriormente addotti a sostegno del complessivo ricorso incidentale condizionato e riguardanti l'asserita insussistenza dei presupposti in fatto ed in diritto per l'emissione dell'ordinanza-ingiunzione anche con riferimento alla contestazione del procedimento di contestazione e la supposta estinzione della pretesa sanzionatoria amministrativa. La formulazione degli stessi, infatti, soggiaceva al regime processuale previsto dall'articolo 346 c.p.c., nel senso che sarebbe stata sufficiente la loro mera riproposizione in secondo grado come incontestabilmente verificatosi con la comparsa di risposta in appello , senza, quindi, la correlata necessità che venissero fatti oggetto propriamente di appello incidentale e, pertanto, risultando inapplicabile il citato articolo 436 c.p.c., con la previsione delle stabilite decadenze processuali. Ed invero, al riguardo, costituisce principio pacifico v., tra le pronunce più recenti, Cass. numero 11653/2020 e Cass. numero 25840/2021 che, in materia di impugnazioni, la parte pienamente vittoriosa nel merito in primo grado e l'Università del XXXXXXX lo era stato con riguardo al motivo sulla dedotta insussistenza della violazione ascrittale, sul presupposto dell'efficacia sanante all'autorizzazione rilasciata ora per allora al prof. N. , difettando di interesse al riguardo, non ha l'onere di proporre, in ipotesi di gravame formulato dal soccombente, appello incidentale per rimettere in discussione le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado, da intendersi come quelle che risultino superate o non esaminate perché assorbite o anche quelle esplicitamente respinte qualora l'eccezione mirava a paralizzare una domanda comunque respinta per altre ragioni, ma è soltanto tenuta a riproporle espressamente nel giudizio di appello in modo tale da manifestare la sua volontà di chiederne il riesame, al fine di evitare la presunzione di rinuncia derivante da un comportamento omissivo, ai sensi dell'articolo 346 c.p.c Pertanto, con riferimento al caso in esame, il Tribunale di Lecce avrebbe dovuto ritenere ammissibili le ulteriori domande proposte l'Università del XXXXXXX che, perciò, dovranno, per effetto della rilevata fondatezza del motivo di ricorso principale, essere esaminate in sede di rinvio. 5. - In definitiva, deve essere accolto il motivo del ricorso principale nonché quello del ricorso incidentale condizionato relativo alla violazione dell'articolo 436 c.p.c., con conseguente cassazione dell'impugnata sentenza ed il rinvio della causa al Tribunale monocratico di Lecce, in persona di altro magistrato, che, oltre a provvedere sulle spese del presente giudizio di legittimità, si uniformerà anche al principio di diritto enunciato con riferimento alla ritenuta fondatezza del ricorso principale. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso principale ed il ricorso incidentale condizionato nei sensi di cui in motivazione cassa l'impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, al Tribunale monocratico di Lecce, in persona di altro magistrato.