Infermiera no vax e in aspettativa retribuita: illegittima la sua sospensione

Censurato il provvedimento adottato da un’Azienda socio-sanitaria una volta preso atto della decisione della lavoratrice di non sottoporsi al ciclo vaccinale anti COVID.

Niente sospensione dal servizio e, soprattutto, dallo stipendio per la lavoratrice che non si è sottoposta al ciclo vaccinale anti COVID-19 ma, dettaglio fondamentale, ha precedentemente ottenuto dall'INPS la collocazione in aspettativa retribuita per un biennio grazie alla legge 104. Riflettori puntati sullo scontro tra un' infermiera professionale e un'Azienda socio-sanitaria territoriale. A dare il là al conflitto è il provvedimento con cui la struttura sanitaria comunica, in qualità di datrice di lavoro, alla dipendente la sospensione del collocamento in aspettativa retribuita riconosciutole in origine. Questo drastico provvedimento è connesso alla constatazione che la lavoratrice non ha rispettato l' obbligo vaccinale imposto, a causa della pandemia, al personale sanitario. Pronta la reazione dell'infermiera, la quale chiede in Tribunale di vedere censurata la condotta dell'Azienda socio-sanitaria e di vedersi riconosciuta la ricollocazione in aspettativa retribuita. A lasciare perplessi, secondo i giudici, sono i dettagli del provvedimento adottato nei confronti della lavoratrice. Dal documento emerge difatti che la struttura sanitaria ha comunicato alla dipendente «la sospensione dal diritto di svolgere mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano il rischio di diffusione del contagio» da Coronavirus e ha aggiunto che, di conseguenza, «per il periodo di sospensione non sono dovuti né la retribuzione né altro compenso o emolumento», incluso, quindi, quello previsto in caso di collocamento in aspettativa della dipendente. Acclarata l'inosservanza dell'obbligo vaccinale da parte dell'infermiera, i giudici ritengono illegittimo il provvedimento di sospensione deciso dall'Azienda socio-sanitaria. Chiara l'obiezione fatta dalla lavoratrice la normativa «collega la sospensione del compenso alla sospensione della prestazione lavorativa», ma, invece, «non viene sospeso il diritto a lavorare» e il dipendente «non può essere privato dei diritti previdenziali». Questa riflessione convince i giudici, i quali sottolineano che «i lavoratori tenuti a sottoporsi a vaccinazione» anti COVID «sono individuati non solo sulla base della professione esercitata ma anche sulla base dello svolgimento di attività presso determinate strutture». Ciò significa che «la sospensione del lavoratore presuppone lo svolgimento in concreto di prestazioni professionali» da parte del lavoratore che «astrattamente rientra tra i soggetti destinatari dell'obbligo di vaccinazione». Non può essere ignorato, quindi, il fatto che l' infermiera professionale «è stata collocata in aspettativa retribuita, grazie alla legge 104, per un periodo di due anni» a seguito della richiesta da lei presentata in epoca precedente all'imposizione dell'obbligo vaccinale per il personale sanitario. I giudici precisano che «l'aspettativa costituisce» di per sé «un'ipotesi di sospensione dell'attività lavorativa». E aggiungono poi che «il possesso e l'esibizione della cosiddetta certificazione verde sono condizioni che devono essere soddisfatte al momento dell'accesso al luogo di lavoro» e «in relazione alle giornate di assenza ingiustificata», dovuta alla mancata sottoposizione al ciclo vaccinale anti COVID, «al lavoratore non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento ». Tirando le somme, è evidente che «la retribuzione non è dovuta» al lavoratore «soltanto per le giornate di lavoro non prestate a causa del mancato adempimento» da parte sua «dell'obbligo vaccinale». Illegittimo, quindi, la sospensione adottata dalla struttura sanitaria nei confronti dell'infermiera, essendo quest'ultima da tempo in aspettativa retribuita, concludono i giudici. Consequenziale il provvedimento con cui l'Azienda socio-sanitaria è condannata anche a versare alla dipendente le mensilità di indennità di aspettativa non corrispostole a seguito del provvedimento di sospensione.

Giudice Porcelli Svolgimento del giudizio Con ricorso al Tribunale di Milano, e contestuale istanza ex articolo 700 c.p.c. , depositati in via telematica in data 6-10-21 omissis ha convenuto in giudizio la omissis per sentir accertare la illegittimità della sospensione datoriale attuata, con sospensione del collocamento in aspettativa retribuita e sospensione della relativa indennità, con conseguente condanna della convenuta a reintegrare la ricorrente nella posizione previdenziale sospesa, con ricollocazione in aspettativa retribuita, procedendo alla rettifica della posizione INPS e adottando ogni comunicazione necessaria allo scopo la ricorrente ha chiesto, inoltre, la condanna della convenuta alla corresponsione di tutte le mensilità di indennità di aspettativa non percepite dal 14-9-21 alla data di effettiva reintegra ovvero, in subordine, al risarcimento di tutti i danni patiti, pari alla sommatoria dell'indennità di aspettativa retribuita che la ricorrente avrebbe percepito infine la ricorrente ha chiesto, visto il carattere di interesse generale della pronuncia, anche alla luce delle Linee Guida Regionali, la pubblicazione del provvedimento, a spese della convenuta, su un quotidiano di tiratura locale e/o sulle pagine locali di un quotidiano nazionale. Premesso di prestare servizio presso la convenuta dal 3-9-90, assunta come infermiera professionale, la ricorrente ha esposto di avere ottenuto dall'Inps, in data 6-9-21, la collocazione in aspettativa retribuita biennale ex l. numero 104/92 ha aggiunto che, in data 14-9-21, la convenuta le aveva comunicato la sospensione dal diritto di svolgere mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano il rischio di diffusione del contagio SarsCov-2, precisando che per il periodo di sospensione non sono dovuti né la retribuzione né altro compenso o emolumento comunque denominato. In punto di diritto ha dedotto la erronea e/o falsa applicazione dell' articolo 4 del D.L. numero 44/21 con riferimento al dettato letterale e con riferimento alla ratio della stessa in subordine ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'articolo 4 in esame per violazione degli articolo 3,36 e 38 della Costituzione in ogni caso ha dedotto la violazione dell'iter previsto dall'articolo 4 e la violazione dell'obbligo di repechage. Costituendosi ritualmente in giudizio, la convenuta ha contestato la fondatezza delle pretese avversarie, di cui ha chiesto il rigetto. Il Giudice ha invitato i procuratori delle parti alla discussione orale e ha pronunciato sentenza, dando lettura del dispositivo in udienza. Motivi della decisione Il ricorso è in parte fondato e merita accoglimento nei limiti e con le precisazioni che si vanno ad esporre. Come emerge dalla documentazione prodotta in causa, la convenuta ha ricevuto, dall'ATS omissis in data 14-9-21, comunicazione dell'inosservanza dell'obbligo vaccinale da parte della ricorrente, all'esito degli adempimenti previsti dall' articolo 4 del D.L. numero 44/21 . In pari data l'ASSI datrice di lavoro ha comunicato alla ricorrente l'applicazione della sospensione del diritto di svolgere mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano il rischio di diffusione del contagio SarsCov-2, avendo verificato che le mansioni a cui era adibita presentano il rischio di diffusione del contagio e avendo constatato l'impossibilità di assegnarla a mansioni diverse. Il ricorso sostiene l'illegittimità del provvedimento di sospensione, in quanto l' articolo 4 del D.L. numero 44/21 ricollega la sospensione del compenso alla sospensione della prestazione lavorativa il lavoratore non viene sospeso dal diritto a lavorare e non può' essere privato dei diritti previdenziali. La ASST convenuta afferma di aver operato conformemente alle disposizioni di legge, alle linee guida di cui ai DPCM 11-10-21 e alle linee guida della Regione Lombardia. Aggiunge di essere mera esecutrice accertamenti operati dalla ATS e sottolinea l'inapplicabilità di discrezionalismi e di trattamenti ad personam. Le considerazioni svolte dalla convenuta non possono essere condivisi. L' articolo 4 del D.L. numero 44/21 prevede 2 “al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza, gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario di cui all' articolo 1, comma 2, della legge 1° febbraio 2006, numero 43 , che svolgono la toro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, nelle parafarmacie e negli studi professionali sono obbligati a sottoporsi a vaccinazione gratuita per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2. La vaccinazione costituisce requisito essenziale per l'esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati”. I soggetti tenuti a sottoporsi a vaccinazione sono individuati non solo sulla base della professione esercitata, ma anche sulla base dello svolgimento di attività presso determinate strutture La norma, al comma 6, precisa l'adozione dell'atto di accertamento da parte dell'azienda sanitaria determina la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-Cov-2 . Appare quindi evidente che la sospensione presuppone, al momento della sua adozione, lo svolgimento in concreto delle prestazioni professionali da parte del soggetto che astrattamente rientra tra i soggetti destinatari dell'obbligo di vaccinazione. Ciò trova conferma nel successivo comma 8 Ricevuta la comunicazione di cui al comma 6, il datore di lavoro adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche inferiori, diverse da quelle indicate al comma 6, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate e che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio. Quando l'assegnazione a mansioni diverse non è possibile, per il periodo di sospensione di cui al comma 9 non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato . Nel caso di specie è pacifico che la ricorrente, dal 6-9-21, fosse collocata in aspettativa retribuita, ai sensi della l. numero 104/92 per un periodo di due anni, come emerge anche dalla busta paga di settembre 2021. In assenza di ulteriori deduzioni, specificazioni e documentazione, deve quindi ritenersi che l'aspettativa sia stata richiesta ed ottenuta prima dell'avvio della procedura prevista dall'articolo 4. L'aspettativa non retribuita ex l. numero 104/92 costituisce un'ipotesi di sospensione dell'attività lavorativa, e il provvedimento impugnato si sovrappone ad un rapporto già sospeso. Le considerazioni svolte non possono essere confutate dalle generiche affermazioni contenute nel quesito A delle indicazioni operativa consigliate dalla Direzione Generale Welfare della Regione Lombardia e sono invece confermate dalle linee guida elaborate nel DPCM 12-10-21, ai sensi dell' articolo 1, comma 5, del D.L. 127/21 , le quali precisano che il possesso e l'esibizione della certificazione verde sono condizioni che devono essere soddisfatte al momento dell'accesso al luogo di lavoro e, nella parte relativa al trattamento economico, precisano che “In relazione alle giornate di assenza ingiustificata, al lavoratore non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati, intendendosi qualsiasi componente della retribuzione anche di natura previdenziale avente carattere fisso e continuativo, accessorio o indennitario comunque denominato, previsto per la giornata di lavoro non prestata. I giorni di assenza ingiustificata non concorrono alla maturazione di ferie e comportano la corrispondente perdita di anzianità di servizio . Pertanto la retribuzione, o gli altri emolumenti, non sono dovuti soltanto per le giornate di lavoro non prestate a causa del mancato adempimento dell'obbligo vaccinale e non per altre ragioni. Quanto alla dedotta vincolatività per la convenuta del provvedimento di ATS, il comma 8 sopra riportato prevede che, a seguito della comunicazione di ATS, il datore di lavoro debba comunque valutare la posizione del singolo dipendente, al fine di evitare che lo stesso svolga mansioni che comportino rischi di diffusione del contagio, e solo nel caso in cui ciò' non sia possibile procede a sospendere l'erogazione della retribuzione e degli altri compensi o emolumenti. Il provvedimento di sospensione adottato in data 14-9-21 deve pertanto essere dichiarato illegittimo. A ciò consegue che la convenuta è tenuta a corrispondere alla ricorrente le mensilità di indennità di aspettativa non corrisposte, oltre interessi legali. Del resto in ricorso non viene chiesta la reintegrazione nelle mansioni, come invece adombrato nella memoria di costituzione. Le ulteriori domande avanzate in ricorso non possono trovare accoglimento. Quanto alla domanda di reintegrazione della ricorrente nella posizione previdenziale sospesa e di rettifica della posizione Inps, non risulta che sia stato adottato alcun provvedimento in proposito e lo stesso ricorso, alla nota numero 3 di pagina 2, dà atto che Non risulta peraltro che Inps o ASST abbiano assunto provvedimenti di revoca dell'aspettativa retribuita . Per quanto concerne, infine, la domanda di pubblicazione del presente provvedimento, essa è prevista dal legislatore solo in determinati casi, che non ricorrono nella specie. Il regolamento delle spese di lite segue il criterio della soccombenza e le stesse vengono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Definitivamente pronunciando, accerta l'illegittimità del provvedimento di sospensione adottato dalla convenuta in data 14-9-21 condanna la convenuta a corrispondere alla ricorrente le mensilità di indennità di aspettativa non percepite, con decorrenza dal 14-9-21, oltre interessi legali rigetta per il resto il ricorso condanna la convenuta a rimborsare alla ricorrente le spese di lite, liquidate in complessivi € 1.500,00 fissa termine di sessanta giorni per il deposito della sentenza.