Salvato dalla prescrizione l’uomo che in una manifestazione pubblica ha così dileggiato il sindaco. Evidente, però, per i Giudici, la condotta diffamatoria da lui tenuta. Confermato il risarcimento in favore della persona offesa.
Storpiare il cognome di una persona così da dileggiarla pubblicamente è inaccettabile. Logico parlare di diffamazione. E questa valutazione non può essere messa in discussione dal contesto, ossia dal fatto che l'offensiva presa in giro si sia concretizzata nel contesto di una manifestazione mirata a criticare l'amministrazione comunale. A finire sotto processo è un uomo. Su di lui pende l'accusa di avere diffamato il primo cittadino del Comune in cui vive con la propria famiglia. Il fattaccio si è verificato «nel corso di una manifestazione pubblica » mirata alla «rivendicazione del diritto ad avere un'abitazione nei pressi della farmacia di cui era titolare la persona diffamata, sindaco peraltro Comune». In quell'occasione l'uomo sotto processo «ha indossato un camice bianco su cui aveva appuntato la copia di un distintivo dell'Ordine dei farmacisti, distintivo che però recava, al posto del nome esatto della persona offesa, una scritta» che ne storpiava il cognome e la apostrofava in malo modo. Per i Giudici di merito è evidente la diffamazione subita dal sindaco. Per questo, l'uomo sotto processo viene condannato a 1.500 euro di multa e a versare 4mila euro alla persona offesa come risarcimento. A salvare l'uomo sotto processo è la prescrizione . Tuttavia, i Giudici di terzo grado ritengono comunque doveroso sottolineare la gravità della condotta da lui tenuta in occasione della manifestazione pubblica. In particolare, dalla Cassazione spiegano che «deve essere ben chiaro il confine tra la legittima espressione satirica di ludibrio o ironico scherno e, di contro, il disprezzo personale gratuito», e in questa ottica per «apprezzare il requisito della continenza bisogna tener conto del linguaggio essenzialmente simbolico e paradossale della satira , rispetto al quale non si può applicare il metro consueto di correttezza dell'espressione, restando, comunque, fermo il limite del rispetto dei valori fondamentali dell' individuo , limite che deve ritenersi superato quando la persona pubblica – quale è, nel caso, un sindaco, amministratore locale –, oltre che al ludibrio della sua immagine, sia esposta al disprezzo personale». Proprio valutando la vicenda, i Giudici sottolineano che ci si trova di fronte a «un chiaro e gratuito epiteto offensivo personale, coinvolgente l'aspetto fisico della persona offesa, costituito dalla storpiatura del suo cognome», e questa valutazione non è messa in discussione dalla constatazione che «la condotta si è collocata» nel contesto di «una legittima manifestazione del diritto di critica alle politiche abitative sviluppate dal Comune», critica espressa dall'uomo sotto processo «partecipando ad una manifestazione pubblica sul tema» anche perché direttamente coinvolto, «avendo la sua famiglia subito uno sfratto», e, dunque, «sicuramente legittimato ad esprimere un dissenso, pur aspro e vibrato, sulle scelte dell'amministrazione comunale in tale ambito». In sostanza, la matrice della condotta tenuta dall'uomo è «senza dubbio lecita», ma egli «ha superato i limiti, anzitutto quanto alla forma espositiva della critica manifestata, poiché definire una persona ‘brutto cesso', pur se con una finalità latamente satirica e benché ispirandosi ironicamente al suo cognome, non configura l'espressione di un pensiero che, per quanto forte ed offensivo, faccia riflettere sorridendo sul tema in relazione al quale si manifesta la propria idea – come è nell'obiettivo di quella forma di critica peculiare rappresentata dalla satira – ma si risolve nel gratuito insulto spregiativo e nel disprezzo personale». Inoltre, «non può ritenersi che la modalità di satira prescelta fosse inevitabile a definire le proprie idee riguardo ad una questione pure di sicuro e drammatico rilievo quale è il diritto all'abitazione, essendo l' offesa all'aspetto fisico della vittima del tutto scollegata dall'oggetto della critica », aggiungono i Giudici. Evidente, quindi, come l'uomo sotto processo abbia superato i limiti. A salvarlo dalla condanna per diffamazione, però, è la prescrizione. Ciò però non cancella il suo obbligo di risarcire il sindaco da lui offeso, versandogli 4mila euro. Su questo fronte i Giudici ritengono rilevante «il contesto in cui si è manifestata l'espressione diffamatoria» e il fatto che l'offesa sia stata arrecata «in una zona affollata di persone».
Presidente Vessichelli – Relatore Brancaccio Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Cremona, quale giudice d'appello, ha confermato la sentenza di condanna emessa dal Giudice di Pace di Crema il 14.5.2019 nei confronti di M.T.C. alla pena di 1.500 Euro di multa e al risarcimento del danno in favore della parte offesa, costituita parte civile, B.B., in relazione al reato di diffamazione. L'imputato, nel corso di una manifestazione pubblica tenutasi a […], con al centro la rivendicazione del diritto ad avere un'abitazione, nei pressi della farmacia di cui era titolare il diffamato, sindaco anche del citato comune, ha indossato un camice bianco su cui aveva appuntato la copia di un distintivo dell'ordine dei farmacisti che recava, al posto del nome esatto della persona offesa, la scritta omissis . 2. Propone ricorso l'imputato, mediante il difensore, evidenziando due distinti motivi di censura. 2.1. Il primo argomento difensivo eccepisce violazione di legge ed omessa motivazione quanto alla ritenuta insussistenza della scriminante del diritto di critica e di satira politica, poiché - secondo il giudice - tale causa di giustificazione non potrebbe applicarsi al chiaro epiteto offensivo personale costituito dalla storpiatura del cognome della vittima del reato. La tesi del ricorrente, che aveva subito uno sfratto di recente, insieme alla sua famiglia, ritiene, invece, sussistente la scriminante, fondata sul legittimo esercizio del diritto di criticare le politiche di edilizia residenziale pubblica adottate dal comune di […], di cui la persona offesa era sindaco. 2.2. Il secondo motivo di ricorso eccepisce violazione di legge, avuto riguardo all'omessa motivazione della sentenza rispetto alla prova dell'esistenza di un danno morale subito dalla vittima ed alla sua quantificazione, al cui risarcimento, pure, il ricorrente è stato condannato. 3. Il Sostituto Procuratore Generale ha chiesto l'inammissibilità del ricorso. 3.1. Il difensore dell'imputato, l'avv. Bandiera, ha depositato conclusioni scritte con le quali chiede l'accoglimento dei motivi di ricorso. Considerato in diritto 1. La sentenza impugnata va annullata senza rinvio, agli effetti penali, perché è estinto per prescrizione il reato di cui all' articolo 595 c.p. , in relazione al quale l'imputato è stato condannato. Rileva il Collegio che, in considerazione della non manifesta infondatezza dei motivi dedotti dal ricorrente, il ricorso è idoneo - diversamente dai casi di inammissibilità per manifesta infondatezza delle censure - ad instaurare il rapporto di impugnazione, condizione che consente di rilevare d'ufficio ex articolo 609 c.p.p. , comma 2, una causa di non punibilità nelle more intervenuta, nel caso di specie costituita, appunto, dalla prescrizione del reato cfr. Sez. U, numero 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266 e Sez. U, numero 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266818, in motivazione . Deve essere rilevata, pertanto, la prescrizione del reato, essendo decorso, dalla data della condotta delittuosa, fissata al 17.9.2011, il tempo massimo previsto dal legislatore sette anni e mezzo ai sensi del disposto degli articolo 157 e 161 c.p. , computati, altresì, i 144 giorni di sospensione del termine di prescrizione per effetto dei rinvii decisi nei giudizi di merito. In assenza di elementi che rendano evidenti i presupposti per un proscioglimento più favorevole ai sensi dell' articolo 129 c.p.p. secondo quanto è chiaramente evincibile dalla motivazione e per quel che si dirà di seguito, dovendosi procedere ad esaminare il ricorso agli effetti civili , deve accedersi ad una pronuncia di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata agli effetti penali perché il reato è estinto per prescrizione. 2. La declaratoria di prescrizione non esime il Collegio dall'esaminare il ricorso agli effetti civili, ai sensi dell' articolo 578 c.p.p. , quanto alle sue ragioni, essendo stato l'imputato condannato anche alle statuizioni civili in favore della persona offesa cfr. Sez. U, numero 35490 del 28/5/2009, Tettamanti, Rv. 244273 . Ed infatti, nel dichiarare estinto per prescrizione il reato per il quale nei gradi di merito è intervenuta condanna, ai sensi dell' articolo 578 c.p.p. , il giudice d'appello e la Corte di cassazione sono tenuti a decidere sull'impugnazione agli effetti delle disposizioni dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili e, a tal fine, i motivi di ricorso proposti dall'imputato devono essere esaminati compiutamente, non potendosi trovare conferma della condanna, anche solo generica, al risarcimento del danno dalla mancanza di prova dell'innocenza dell'imputato, secondo quanto previsto dall' articolo 129 c.p.p. cfr., per il giudizio d'appello, negli stessi termini, Sez. 5, numero 28289 del 6/6/2013, Cologno, Rv. 256283 nonché, tra le tante, in ordine al giudizio di legittimità, in motivazione Sez. 1, numero 14822 del 20/2/2020, Milanesi, Rv. 278943 e Sez. 5, numero 26217 del 13/7/2020, G., Rv. 279598-02, nonché Sez. 5, numero 28848 del 21/9/2020, D'Alessandro, Rv. 279599. Vedi in precedenza, altresì, Sez. 5, numero 5764 del 7/12/2012, dep. 5/2/2013, Sarti, Rv. 254965 - 01 Sez. 5, numero 14522 del 24/3/2009, Petrilli, Rv. 243343 - 01 Sez. 6, numero 21102 del 9/3/2004, Zaccheo, Rv. 229023 - 01 . 3. Orbene, il primo motivo è infondato. Il ricorrente sottolinea come la satira sia una forma di critica particolarmente arguta ed ironica, anche estrema nelle sue manifestazioni, che, se esercitata correttamente, può scriminare la condotta di diffamazione. La finalità della satira, sottolinea il ricorrente, contrariamente a quanto ritenuto nel provvedimento impugnato, è proprio quella di provocare dileggio e l'utilizzo di espressioni di qualsiasi tipo, anche lesive della reputazione altrui, deve essere consentito, sempre che esse siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato rispetto al comportamento preso di mira dal personaggio pubblico. L'impostazione difensiva, pur contenendo nuclei interpretativi corretti, poiché è certamente molto ampia la sfera di liceità penale che l'interpretazione della Cassazione ha riservato all'esercizio di quella peculiare forma di pensiero critico-dissenziente che si esprime nella satira, anzitutto nel contesto di rivendicazioni su tematiche di rilievo pubblico, deve essere precisata quanto al manifestarsi della satira sotto forma di dileggio o disprezzo personali. Questa Corte di legittimità, infatti, più volte ha avuto modo di chiarire che, in tema di diffamazione anche a mezzo stampa , sussiste l'esimente del diritto di critica quando le espressioni utilizzate, pur se veicolate nella forma scherzosa e ironica propria della satira, consistano in un'argomentazione che esplicita le ragioni di un giudizio negativo collegato agli specifici fatti riferiti, mediante una forma espositiva strettamente funzionale alle finalità di disapprovazione e che non si risolve in un'aggressione gratuita alla sfera morale altrui o in disprezzo personale, sebbene possano utilizzarsi termini oggettivamente offensivi se insostituibili nella formazione del pensiero critico cfr., tra le altre, Sez. 1, numero 5695 del 5/11/2014, dep. 2015, Montanari, Rv. 262531 Sez. 5, numero 15089 del 29/11/2019, dep. 2020, Cascio, Rv. 279084 nonché, Sez. 5, numero 31263 del 14/9/2020, Capozza, Rv. 279909 . Deve essere ben chiaro, pertanto, il confine tra la legittima espressione satirica di ludibrio o ironico scherno e, di contro, il disprezzo personale gratuito il giudice, nell'apprezzare il requisito della continenza, deve tener conto del linguaggio essenzialmente simbolico e paradossale della satira, rispetto al quale non si può applicare il metro consueto di correttezza dell'espressione, restando, comunque, fermo il limite del rispetto dei valori fondamentali dell'individuo, che deve ritenersi superato quando la persona pubblica quale è, nel caso di specie, un sindaco, amministratore locale , oltre che al ludibrio della sua immagine, sia esposta al disprezzo personale Sez. 5, numero 37706 del 23/5/2013, Rumiz, Rv. 257255 . Nel caso di specie, fermi i suddetti principi ermeneutici, detta causa di giustificazione non può applicarsi al chiaro e gratuito epiteto offensivo personale, coinvolgente l'aspetto fisico della vittima del reato, costituito dalla storpiatura del suo cognome, benché la condotta si inscriva nella legittima manifestazione del diritto di critica alle politiche abitative sviluppate dal comune di […], del quale il ricorrente si è reso portatore partecipando ad una manifestazione pubblica sul tema, anche perché direttamente interessato la sua famiglia aveva subito uno sfratto e, dunque, sicuramente legittimato ad esprimere un dissenso, pur aspro e vibrato, sulle scelte amministrative in tale ambito. Nonostante, quindi, la matrice della sua condotta sia senza dubbio lecita, l'imputato ha superato i limiti posti dall'interpretazione nomofilattica per ritenere sussistente la scriminante di cui all' articolo 51 c.p. , anzitutto quanto alla forma espositiva della critica manifestata, poiché definire una persona omissis , pur se con una finalità latamente satirica e benché ispirandosi ironicamente al suo cognome, non configura l'espressione di un pensiero che, per quanto forte ed offensivo, faccia riflettere sorridendo sul tema in relazione al quale si manifesta la propria idea - come è nell'obiettivo di quella forma di critica peculiare rappresentata dalla satira - ma si risolve nel gratuito insulto spregiativo e nel disprezzo personale in secondo luogo, tantomeno può ritenersi che la modalità di satira prescelta fosse inevitabile a definire le proprie idee riguardo ad una questione pure di sicuro e drammatico rilievo quale è il diritto all'abitazione, essendo l'offesa all'aspetto fisico della vittima del tutto scollegata dall'oggetto della critica. 4. Anche il secondo motivo è privo di pregio, poiché il provvedimento impugnato ha adeguatamente sostenuto le ragioni in base alle quali ha ritenuto di confermare la liquidazione, nei termini statuiti dal giudice di pace, del danno morale subito dalla vittima del reato per una somma complessiva di 4000 Euro . Sono stati, a tal fine, richiamati alcuni particolari del contesto in cui si è manifestata l'espressione diffamatoria l'offesa è stata arrecata in una zona affollata di persone e realizzata direttamente dinanzi alla farmacia della vittima, nel mentre questa era intenta al lavoro. 3. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato agli effetti civili. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il resto è estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso agli effetti civili.