Nasconde e tenta di salvare le armi e gli stupefacenti del marito: si tratta di concorso o connivenza?

Secondo la Corte d’Appello, nel caso di specie, non risulta configurabile la mera connivenza, né il delitto di favoreggiamento personale, in quanto, nei reati permanenti, salvo particolari ipotesi, «qualunque agevolazione del colpevole, posta in essere prima che la condotta di questi sia cessata, si risolve in un concorso nel reato, quanto meno a carattere morale».

Il GIP dichiarava una donna colpevole di concorso con il marito per i reati di ricettazione e detenzione illegale di armi, munizioni, stupefacenti ed esplosivo. Il giudice sosteneva che la donna non solo fosse consapevole della circostanza che nell'abitazione si svolgesse attività di confezionamento e cessione di stupefacenti, ma che avesse anche provato ad occultare una parte dei corpi del reato. Per tali motivi, la condannava a tre anni, nove mesi e dieci giorni di reclusione e 1000 euro di multa. La donna impugna la decisione in secondo grado, ritenendo che la pena inflitta sia eccessiva. Sostiene di aver provato ad occultare i beni non per prolungarne la detenzione, ma per disfarsene. Chiede, quindi, che i fatti siano riqualificati come favoreggiamento personale, che le venga concessa l'attenuante di cui all'articolo 114 del c.p. e che la pena sia ridotta. La doglianza è infondata. La Corte d'Appello ritiene che l'occultamento, non potendo avere la finalità di disfacimento, possa essere spiegato solo con la «volontà, in capo alla donna, di salvare il salvabile, cioè di sottrare al sequestro, mediante occultamento, almeno parte del compendio criminoso, onde conservarne la detenzione e continuare a trarre gli illeciti profitti che esso era in grado di produrre, costituenti l'unica fonte di reddito della famiglia». Pertanto, non risulta configurabile la mera connivenza non punibile e neppure il delitto di favoreggiamento personale, perché nei reati permanenti, salve particolari ipotesi, «qualunque agevolazione del colpevole, posta in essere prima che la condotta di questi sia cessata, si risolve in un concorso nel reato, quanto meno a carattere morale» Cass. 24 maggio 2012 . Secondo i giudici, inoltre, non può trovare applicazione l'art 114 c.p., poiché la donna non aveva di certo dato un apporto di minima importanza nella consumazione dell'illecito. Per questi motivi, la sentenza di primo grado viene integralmente confermata.

Presidente Poddighe Motivi di fatto e di diritto della decisione Con sentenza pronunciata il 20 giugno 2018 all'esito di giudizio abbreviato, il Giudice per le Indagini Preliminari costituito presso il Tribunale di Cagliari ha dichiarato colpevole dei reati, commessi in concorso col marito , di detenzione illegale di stupefacenti e di esplosivo, di ricettazione e di detenzione illegale di un fucile e di una pistola e di detenzione abusiva di munizioni per arma comune da sparo. Il Giudice, premesso che i corpi di reato erano stati rinvenuti all'esito di una perquisizione eseguita dalla Polizia di Stato nella camera da letto dell'appartamento ove i due coniugi dimoravano, ha accertato che l'imputata avesse concorso nei reati contestati perché 1 Era consapevole. - Della presenza di tutte le cose sequestrate, atteso che esse erano sistemate sotto il letto matrimoniale e nell'armadio ove erano conservati anche i suoi vestiti - Della circostanza che nell'abitazione si svolgesse attività di confezionamento e cessione di stupefacenti desunta dal rinvenimento, in parti comuni dell'immobile, dell'armamentario per il confezionamento delle dosi, di somme di danaro il cui possesso non era stato giustificato, e del traffico sospetto di persone nei pressi dell'abitazione stessa, notato dagli agenti operanti nei giorni precedenti la perquisizione . - Del fatto che gli unici redditi della famiglia provenissero dall'illecito traffico di droga, essendo i due coniugi disoccupati, nonché dalla detenzione, da parte del P., come dallo stesso dichiarato, delle armi per conto di ignoti terzi 2 Nel corso delle operazioni di perquisizione aveva cercato di portar via dalla camera da letto, al chiaro fine di occultarle, una quantità di stupefacente, la pistola, le munizioni e una parte del danaro custodito nella casa. Pertanto, riconosciute le attenuanti generiche e applicata la riduzione per il rito, l'ha condannata alla pena di tre anni, nove mesi e dieci giorni di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa, oltre ad accessori. Avverso tale sentenza ha proposto appello il difensore, deducendo a sostegno - Che la intendesse soltanto disfarsi dei beni illeciti e non prolungarne la detenzione, sicché, al più, avrebbe potuto essere ravvisata nella sua condotta la fattispecie di favoreggiamento personale - Che, comunque, la pena inflitta fosse eccessiva. Pertanto, ha chiesto, in via gradatamente subordinata, che l'imputata fosse assolta dai reati ascrittile per non averli commessi che i fatti fossero riqualificati come favoreggiamento personale, con conseguente rideterminazione della pena che fosse concessa l'attenuante di cui all'articolo 114 del cod. pen. e che, in ogni caso, la pena fosse congruamente ridotta. Ad avviso della Corte l'appello non è fondato. Invero deve ribadirsi anche in questa sede che correttamente il primo Giudice ha ritenuto - Che la fosse concorrente nella detenzione dell'esplosivo, degli stupefacenti e delle munizioni, in quanto gli elementi sopra catalogati, valutati non isolatamente, ma nel loro complesso, dimostravano in maniera inequivoca che la donna, oltre a essere a conoscenza dell'attività di spaccio svolta dal marito, con i cui proventi veniva mantenuta tutta la famiglia, era pienamente consapevole della presenza delle predette cose nella camera da letto e ne aveva anche la disponibilità, tanto è vero che, al momento della perquisizione, aveva cercato di sottrarle, almeno in parte, agli agenti operanti, in tal guisa dimostrando fattivamente di non essere affatto disinteressata al loro destino, come avrebbe dovuto esserlo se fosse stata soltanto una mera connivente - Che l'occultamento, non potendo avere la finalità di distruggere i corpi di reato non si vede, difatti, come tale ipotetico obiettivo, peraltro neppure mai dichiarato dall'imputata, avrebbe nel contesto potuto essere conseguito , né quella di favorire l'impunità del marito dato che lo stesso sarebbe stato comunque tosto arrestato in seguito al rinvenimento degli altri instrumenta sceleris rimasti nella camera da letto , può essere logicamente spiegato soltanto con la volontà, in capo alla donna, di salvare il salvabile , cioè di sottrare al sequestro, mediante occultamento, almeno parte del compendio criminoso, onde conservarne la detenzione e continuare a trame gli illeciti profitti che esso era in grado di produrre, costituenti l'unica fonte di reddito della famiglia, la quale, altrimenti, sarebbe immediatamente rimasta priva, chissà per quanto tempo, anche degli stessi mezzi di sussistenza cfr. Cass., 24 maggio 2012, e altro, secondo cui concorre nel reato di detenzione illegale di stupefacenti l'imputata la quale, all'arrivo della polizia giudiziaria, nasconda la droga detenuta in casa dal convivente - Che, in tal caso, non fosse appunto configurabile la mera connivenza non punibile e neppure il delitto di favoreggiamento personale, perché, come insegna la giurisprudenza cfr. per tutte, Sez. u., 24 maggio 2012, , nei reati permanenti, salve ipotesi particolari, non ravvisabili nel caso in esame, qualunque agevolazione del colpevole, posta in essere prima che la condotta di questi sia cessata, si risolve in un concorso nel reato, quanto meno a carattere morale - Che, infine, non potesse trovare applicazione il disposto dell'articolo 114 del cod. pen., poiché, nel caso, la condotta della non aveva certo dato un apporto di minima importanza, sotto alcun profilo, alla consumazione degli illeciti contestati. Quanto all'entità della pena inflitta, il primo Giudice, pur concedendo le attenuanti generiche, non ha potuto non tener conto della particolare capacità a delinquere dell'imputata la quale ha dimostrato lucidità e freddezza nel suo tentativo di far passare i corpi di reato sotto il naso dei poliziotti e, potrebbe aggiungersi, della gravità del fatto detenzione di più armi, di droga e di ben un chilo e duecento grammi di gelatina di dinamite, con tanto di miccia, mica un petardo e del suo precedente penale per estorsione per cui avrebbe meritato la contestazione della recidiva specifica . Per tali motivi la sentenza impugnata non può che essere integralmente confermata, con le conseguenze di legge. Infine, deve correggersi l'errore di calcolo contenuto nel dispositivo, nel senso che la pena finale risulta essere pari a tre anni, otto mesi e venti giorni di reclusione e 1.000,00 Euro di multa v., in proposito, la motivazione sul punto della sentenza impugnata, da cui emerge con evidenza l'errore di calcolo in cui è incorso il primo Giudice . P.Q.M. Visti gli articolo 130, 599 e 592 c.p.p., conferma la sentenza impugnata e condanna al pagamento delle spese del presente grado del giudizio. Dispone la correzione dell'errore di calcolo contenuto nel dispositivo nel senso che la pena finale risulta essere pari a tre anni, otto mesi e venti giorni di reclusione e 1,000,00 Euro di multa.