Confermata la condanna per l’azione compiuta ai danni della titolare di un bar. Indiscutibile il carattere estorsivo della pretesa economica avanzata nei suoi confronti.
Sacrosanto parlare di estorsione se c'è evidente sproporzione tra il credito vantato e la cifra richiesta con rabbia al debitore. Ricostruito nei dettagli l'episodio sottoposto all'esame dei Giudici un uomo si presenta in un bar e consegna alla titolare un biglietto con l'indicazione del denaroda lui preteso, manifestando poi la propria rabbia quando la commerciante risponde negativamente alla richiesta. Per i giudici di merito è inevitabile la condanna per il reato di tentata estorsione. Questa valutazione viene fortemente contestata dall'uomo, il quale propone ricorso in Cassazione sostenendo non sia stato dimostrato in modo univoco «il tentativo di estorcere denaro alla titolare del bar». A questo proposito l'uomo pone in evidenza che «l'unico episodio accertato si riferisce alla consegna di un biglietto con la richiesta di una somma di denaro per conto di un altro uomo, nella convinzione del diritto di quest'ultimo a riscuoterla, e senza formulare alcuna minaccia ». In seconda battuta l'uomo ipotizza anche «la derubricazione del reato in esercizio arbitrario delle proprie ragioni», proprio perché, spiega, «la richiesta della somma di denaro» è avvenuta «nella convinzione che essa fosse dovuta» e quindi «in mancanza di un ingiusto profitto». Per i Giudici di terzo grado, però, la visione difensiva, mirata a ridimensionare l'episodio, non può reggere, poiché grazie alle dichiarazioni della persona offesa e di alcuni testimoni è emerso «il connotato intimidatorio della condotta dell'uomo», il quale «disse, dopo aver esibito il biglietto alla vittima con l'importo preteso, che in caso di mancato pagamento avrebbe spaccato tutto, perseverando nella minaccia anche dopo il rifiuto della titolare del bar», ha riferito un testimone. Impossibile, poi, parlare di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alla persona, poiché esso richiede che «il soggetto persegua il conseguimento di un profitto nella convinzione non meramente astratta ed arbitraria, ma ragionevole, anche se in concreto infondata, di esercitare un suo diritto, ovvero di soddisfare personalmente una pretesa che potrebbe formare oggetto di azione giudiziaria». Inoltre, «la pretesa arbitrariamente coltivata deve corrispondere esattamente all'oggetto della tutela apprestata in concreto dall'ordinamento giuridico, e non risultare in qualsiasi modo più ampia, atteso che ciò che caratterizza il reato in questione è la sostituzione dello strumento di tutela pubblico con quello privato, e il soggetto deve, quindi, essere animato dal fine di esercitare un diritto con la coscienza che l'oggetto della pretesa gli possa competere giuridicamente». Nella vicenda in esame è acclarata la non corrispondenza tra il credito vantato di 400 o 500 euro e la somma oggetto della richiesta 1.500 euro . In sostanza, l'azione è stata compiuta per ottenere dalla titolare del bar «un importo che non avrebbe potuto essere oggetto di una domanda giudiziale». Logico, quindi, parlare di evidente «pretesa estorsiva».
Presidente Diotallevi – Relatore Agostinacchio Fatto e diritto 1. Con sentenza in data 03/04/2020 la Corte di Appello di Torino, in parziale riforma della sentenza emessa dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Torino il 20/09/2019, confermava il giudizio di responsabilità dell'imputato appellante D.G.M. per il reato di tentata estorsione aggravata in concorso, rideterminando la pena a seguito dell'esclusione della continuazione. 2. Avverso la pronuncia di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione il D.G. tramite il difensore di fiducia, eccependo - la violazione di legge ed il vizio di motivazione circa la valutazione della prova relativa all'elemento soggettivo del reato in particolare, non sarebbe dimostrato in termini univoci il tentativo di estorcere denaro, in concorso con C.L. , alla titolare di un bar/tabacchi, con l'aggravante delle più persone riunite , posto che l'unico episodio accertato si riferiva alla consegna di un biglietto, con la richiesta di una somma di denaro per conto del C. , nella convinzione del diritto di costui a riscuoterla, senza formulare alcuna minaccia, con la conseguenza che doveva trovare applicazione nel caso di specie l'errore di fatto disciplinato dall' articolo 47 c.p. - violazione di legge e vizio di motivazione per la mancata derubricazione del reato in esercizio arbitrario delle proprie ragioni ex articolo 393 c.p. attesa la richiesta di una somma di denaro nella convinzione che fosse dovuta, in mancanza di un ingiusto profitto - violazione di legge in relazione al trattamento sanzionatorio, in considerazione anche dell'esclusione della circostanza attenuante della minima partecipazione di cui all' articolo 114 c.p. nonostante l'unico episodio accertato, del tutto marginale nella dinamica della condotta delittuosa, nonché del giudizio di comparazione fra circostanza di segno opposto in termini di equivalenza anziché di prevalenza. 3. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi. 4. Il primo ed il secondo motivo attengono all'accertamento di responsabilità ed implicano valutazioni in fatto, peraltro già sottoposte alla corte territoriale che, confermando sul punto la sentenza di primo grado, ha evidenziato, sulla base delle dichiarazioni della persona offesa e delle fonti testimoniali in atti, il connotato intimidatorio della condotta del D.G. un testimone ha riferito che costui, dopo aver esibito il biglietto alla vittima con l'importo preteso, disse che in caso di mancato pagamento avrebbe spaccato tutto , perseverando nella minaccia anche dopo il rifiuto della titolare del bar, con esplicito riferimento alla reazione del sodale . 4.1 Anche la qualificazione giuridica della condotta è corretta, alla stregua delle risultanze processuali e dei principi di diritto di riferimento, così come affermati di recente dalla sentenza delle sezioni unite numero 29541 del 16/07/2020 - dep. 23/10/2020 - Rv. 280027. I delitti di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alla persona e di estorsione, pur caratterizzati da una materialità non esattamente sovrapponibile, si distinguono essenzialmente in relazione all'elemento psicologico nel primo, l'agente persegue il conseguimento di un profitto nella convinzione non meramente astratta ed arbitraria, ma ragionevole, anche se in concreto infondata, di esercitare un suo diritto, ovvero di soddisfare personalmente una pretesa che potrebbe formare oggetto di azione giudiziaria nel secondo, invece, l'agente persegue il conseguimento di un profitto nella piena consapevolezza della sua ingiustizia. Hanno tuttavia al contempo precisato le sezioni unite che ai fini dell'integrazione del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la pretesa arbitrariamente coltivata dall'agente deve corrispondere esattamente all'oggetto della tutela apprestata in concreto dall'ordinamento giuridico, e non risultare in qualsiasi modo più ampia, atteso che ciò che caratterizza il reato in questione è la sostituzione, operata dall'agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato, e l'agente deve, quindi, essere animato dal fine di esercitare un diritto con la coscienza che l'oggetto della pretesa gli possa competere giuridicamente. Il concorso del terzo nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone è configurabile poi nei soli casi in cui questi si limiti ad offrire un contributo alla pretesa del creditore, senza perseguire alcuna diversa ed ulteriore finalità. 4.2 Nel caso in esame, come ben evidenziato dalla corte di merito, non c'è corrispondenza tra il credito vantato di 400 o 500 Euro e la somma oggetto dell'imposizione di 1.500 Euro , avendo i complici agito per ottenere un importo che non avrebbe potuto essere oggetto di una domanda giudiziale pag. 9 della sentenza impugnata , senza alcun errore percettivo da parte del ricorrente, consapevole della pretesa estorsiva del C. , supportata anche dal correo rimasto ignoto. 5. Il trattamento sanzionatorio, infine, è immune da rilievi la pena è stata correttamente determinata, in considerazione dei parametri edittali e della gravità della condotta l'attenuante ex articolo 114 c.p. esclusa per l'apporto rilevante all'estorsione pag. 12 il bilanciamento delle attenuanti con le aggravanti e la recidiva giustificato con l'obiettivo di neutralizzare incrementi di pena senza riduzioni premiali. 6. L'inammissibilità del ricorso determina, a norma dell' articolo 616 c.p.p. , la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta equa di Euro 3.000,00 a titolo di sanzione pecuniaria. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa de le ammende.