Ai sensi dell’articolo 35-ter ord. pen. «le allegazioni dell’istante sul fatto costitutivo della lesione, addotte a fondamento di una domanda sufficientemente determinata e riscontrata sotto il profilo dell’esistenza e della decorrenza della detenzione, sono assistite da una presunzione relativa di veridicità del contenuto, per effetto della quale incombe sull’Amministrazione penitenziaria l’onere di fornire idonei elementi di valutazione di segno contrario».
Un detenuto ricorre in Cassazione deducendo la violazione ed erronea applicazione dell'articolo 35-ter ord. penumero , in relazione all'articolo 3 CEDU e agli articolo 125 e 627 c.p.c., in quanto il Tribunale di L'aquila, al termine del secondo giudizio di rinvio, sarebbe erroneamente pervenuto a decisione reiettiva senza assolvere al dovere di investigazione d'ufficio assegnatogli e si sarebbe discostato dai principi giurisprudenziali affermati sull'argomento in sede di legittimità secondo cui «ove la eventuale genericità delle allegazioni del richiedente discenda», come nel caso di specie, «dalla difficoltà se non impossibilità di reperimento dei dati da parte dello stesso essendo essi nella disponibilità dell'amministrazione – difficoltà che ancor più si acuisce allorquando il lasso di tempo trascorso dai fatti è notevole – vieppiù s'impone l'esercizio dei poteri d'ufficio da parte del giudice per verificare la congruenza di quanto avviene affermato laddove non dovesse ritenere già sufficientemente e positivamente valutabile la domanda risultando evidente che la difficoltà di ricostruzione che sussiste per chi avanza la pretesa non è giammai equiparabile a quella della PA detentrice delle informazioni». Ne consegue che «in virtù del principio di “prossimità alla prova” - che comunque rimane valido per la PA anche in caso di consistente distacco temporale dei fatti facendo comunque ad essa capo i dati ricostruttivi della vicenda carceraria – non può che incombere innazittutto sulla stessa l'onere probatorio di verifica delle asserzioni attoree, e che nel caso in cui essa non controdeduca alcunchè adducendo la impossibilità di reperire informazioni, a maggior ragione non può che ricadere sul giudice l'obbligo di attivare i poteri officiosi di accertamento – laddove non ritenga di per sé sufficienti le deduzioni/allegazioni del richiedente ciò discende dalla necessità di compensare la disparità di posizioni esistente tra le parti, pubblica e privata, e dalla natura non meramente privatistica della pretesa azionata, essendo anzi gli interessi che si assumono compressi di rango costituzionale». Si deve quindi affermare che «la ripartizione dell'onere della prova costituisca utile meccanismo riequilibratore nell'ambito di un procedimento caratterizzato da una immanente situazione di squilibrio tra le parti in causa e dalla prevalente componente pubblicistica della pretesa azionata». In altri termini, «la deduzione di violazione di specifici obblighi di rispetto dei diritti fondamentali dei detenuti stretti in case di detenzione determina una presunzione di grave responsabilità dello Stato in ordine alle modalità di esecuzione di trattamento», pertanto «la situazione di squilibrio che si crea all'origine tra chi dispone di tale potestà e chi la subisce non può non riverberarsi sul piano processuale» Cass. numero 31556/2018, numero 23362/2018 . Inoltre, ai sensi dell'articolo 35-ter ord. penumero «le allegazioni dell'istante sul fatto costitutivo della lesione, addotte a fondamento di una domanda sufficientemente determinata e riscontrata sotto il profilo dell'esistenza e della decorrenza della detenzione, sono assistite da una presunzione relativa di veridicità del contenuto, per effetto della quale incombe sull'Amministrazione penitenziaria l'onere di fornire idonei elementi di valutazione di segno contrario». L'onere della prova non può che «modularsi tenendo conto, da un lato, degli interessi in gioco di rango costituzionale e dall'altro, della posizione di svantaggio processuale in cui versa il detenuto, con la conseguenza che in ultima analisi deve ricadere sul giudice l'onere di attivarsi». Per tutti questi motivi, il Collegio annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di L'Aquila.
Presidente Fiordalisi – Relatore Casa Ritenuto in fatto 1. Per una più precisa comprensione della questione oggetto di ricorso, occorre premettere che, con sentenza numero 54617/2018, questa Prima Sezione penale annullò, in parte, l'ordinanza emessa in data 6 febbraio 2018, con la quale il Tribunale di sorveglianza di L'Aquila aveva parzialmente accolto il reclamo proposto da A.D.P. in materia di rimedi risarcitori per ingiusta detenzione di cui alla L. 26 luglio 1975, numero 354, articolo 35 ter. Questa Corte, in particolare, annullò con rinvio il provvedimento impugnato limitatamente ai periodi di detenzione trascorsi dal D.P. presso gli Istituti penitenziari di , , e , rigettandolo nel resto. Fu osservato in sentenza, con riferimento alla detenzione subita presso la struttura di - che oggi qui unicamente rileva - che il giudice a quo si era limitato a prendere atto della comunicazione, inoltrata dalla Direzione della casa circondariale, di indisponibilità di documentazione che potesse permettere il riscontro su quanto affermato dal reclamante, mentre sarebbe stato doveroso ricercare aliunde informazioni o altri dati che potessero permettere di convalidare o smentire l'assunto posto a fondamento della doglianza. 2. In esito al giudizio di rinvio, con ordinanza del 19 febbraio 2019, il Tribunale adito rigettava nuovamente la richiesta relativa all'istituto di , osservando che l'Amministrazione Penitenziaria aveva comunicato di non poter fornire notizie utili, stante la mancata raccolta informatica dei dati risalendo le detenzioni al biennio 1995-1996 , e che l'impossibilità di recuperare i registri cartacei non consentiva di ravvisare in tale condotta una connotazione colposa concludeva, quindi, nel senso che dovesse prendersi atto del difetto di prova del fatto costitutivo della pretesa - detenzione inumana e degradante - non ricavabile nemmeno aliunde. 3. Su ulteriore ricorso per cassazione proposto dall'interessato, veniva pronunciata, dalla Quinta Sezione penale di questa Corte, la sentenza numero 18328 del 2020, che tornava ad annullare con rinvio, per la parte relativa al carcere dichiarando inammissibile nel resto il ricorso concernente altre strutture penitenziarie , il provvedimento impugnato, stigmatizzando che il Tribunale noni avesse adempiuto alle prescrizioni indicate nella precedente sentenza di annullamento, come sopra sintetizzate. 3.1. Vale la pena di riportare integralmente i condivisibili passi salienti della decisione rescindente, per meglio cogliere il principio di diritto ivi enunciato. Ed invero, si può aggiungere, ad ulteriore precisazione, che ove la eventuale genericità delle allegazioni del richiedente discenda - come nel caso del detenuto - dalla difficoltà se non impossibilità di reperimento dei dati da parte dello stesso essendo essi nella disponibilità dell'amministrazione - difficoltà che ancor più si acuisce allorquando il lasso di tempo trascorso dai fatti è, come nel caso di specie, notevole - vieppiù s'impone l'esercizio dei poteri di ufficio da parte del giudice per verificare la congruenza di quanto viene affermato laddove non dovesse ritenere già sufficientemente e positivamente valutabile la domanda risultando, peraltro, evidente che la difficoltà di ricostruzione che sussiste per chi avanza la pretesa non è giammai equiparabile a quella della Pubblica Amministrazione detentrice delle informazioni, con la conseguenza che in virtù del principio di ‘prossimità alla provà - che comunque rimane valido per la P.a. anche in caso di consistente distacco temporale dai fatti facendo comunque ad essa capo i dati ricostruttivi della vicenda carceraria - non può che incombere innanzitutto sulla stessa l'onere probatorio di verifica delle asserzioni attoree, e che nel caso in cui essa non controdeduca alcunché adducendo la impossibilità di reperire informazioni, a maggior ragione non può che ricadere sul giudice l'obbligo di attivare i poteri officiosi di accertamento - laddove non ritenga di per sé sufficienti le deduzioni/allegazioni del richiedente ciò discende dalla necessità di compensare la disparità di posizioni esistente tra le parti, pubblica e privata, e dalla natura non meramente privatistica della pretesa azionata, essendo anzi gli interessi che si assumono compressi di rango costituzionale. In conclusione, quindi, si deve giungere ad affermare che la ripartizione dell'onere della prova - come ben scandita anche nella giurisprudenzà civile di questa Corte cfr. in particolare l'ordinanza della Sez. III civ., numero 31556 del 06/12/2018, Rv. 651946-01 che sul presupposto che il rimedio di cui al L. numero 354 del 1975 , articolo 35 ter, presuppone una responsabilità di tipo contrattuale, derivante dallo stretto rapporto che si instaura tra l'ente pubblico, lo Stato, e il detenuto, afferma, tra l'altro, l'esistenza del potere integrativo ed officioso del giudice costituisca - in funzione della salvaguardia del principio di effettività della tutela giurisdizionale di diritti di indubbia matrice costituzionale e convenzionale - utile meccanismo riequilibratore nell'ambito di un procedimento caratterizzato da una immanente situazione di squilibrio tra le parti in causa e dalla prevalente componente pubblicistica della pretesa azionata. La deduzione di violazione di specifici obblighi di rispetto dei diritti fondamentali dei detenuti ristretti in case di detenzione determina, in altri termini, una presunzione di grave responsabilità dello Stato in ordine alle modalità di esecuzione del trattamento, in ragione dello stretto rapporto che si instaura tra il soggetto attivo - lo Stato - che dispone della potestà punitiva e il soggetto passivo - il detenuto - che la subisce in condizioni di restrizione della libertà personale, quest'ultimo certamente titolare del diritto incomprimibile di non ricevere un trattamento inumano e degradante durante il periodo di sconto della pena. Pertanto la situazione di squilibrio che si crea all'origine tra chi dispone di tale potestà e chi la subisce non può non riverberarsi sul piano processuale, così come già più volte affermato anche nell'ambito della giurisprudenza penale di questa Corte, che è opportuno espressamente richiamare per meglio rammentare quali sono gli ambiti valutativi in cui occorre muoversi nell'ambito dei procedimenti ex articolo 35 ter cit., tracciati in considerazione delle loro peculiarità cfr. tra le molte, Sez. 1, numero 23362 dell'11/5/2018, Lucchese, Rv. 273144-01, in cui si afferma che nei procedimenti instaurati ai sensi dell'articolo 35 ter ord. penumero , le allegazioni dell'istante sul fatto costitutivo della lesione, addotte a fondamento di una domanda sufficientemente determinata e riscontrata sotto il profilo dell'esistenza e della decorrenza della detenzione, sono assistite da una presunzione relativa di veridicità del contenuto, per effetto della quale incombe sull'Amministrazione penitenziaria l'onere di fornire idonei elementi di valutazione di segno contrario - fattispecie in cui la direzione della casa di reclusione in cui l'istante era stato ristretto non era stata in grado di fornire elementi conoscitivi sulle condizioni della detenzione atteso il cospicuo lasso di tempo trascorso -. In motivazione si evidenzia che tale presunzione deriva dalla necessità di bilanciare l'asimmetria derivante dal fatto che l'Amministrazione è l'unico soggetto detentore di quel complesso di informazioni idonee ad apprezzare la legalità del trattamento. Si prosegue, indi, osservando che la trattazione e la decisione delle procedure instaurate ai sensi dell'articolo 35 ter ord. penumero , sono da ritenersi in via generale assoggettate al principio per cui la tutela viene concessa lì dove il fatto costitutivo del diritto all'indennizzo introdotto dall'attore risulta più probabile che non , rinviandosi, quanto alla distinzione tra criterio penalistico del ‘ragionevole dubbiò e civilistico della ‘preponderanza dell'evidenza, a Sez. III civ. numero 10285 del 5.5.2009, rv 608403 sottolineando, poi, la necessità Corte Cost. numero 204 del 2016 di adottare criteri interpretativi della disposizione in esame tesi ad attribuire allo strumento introdotto dal legislatore nel 2014 il maggior grado possibile di effettività evidenziando che anche nel sistema interno, in campo civile, il principio di prossimità alla prova è da tempo utilizzato in chiave di riequilibrio processuale di asimmetrie sostanziali, in rapporto a quanto previsto in tema di effettività della difesa ed azione in giudizio dall'articolo 24 Cost. . Non si tratta - ovviamente - di qualificare i contenuti assertivi della domanda in termini di prova legale, quanto di riconoscere che il sistema di tutela dei diritti fondamentali.del soggetto privato della libertà richiede - ovunque quei diritti siano azionati - a fini di effettività, per i fatti avvenuti in costanza di detenzione, la adozione di una diversa ripartizione dell'onere dimostrativo che imponga al detentore delle informazioni lo sforzo di introdurre nel procedimento la conoscenza eventualmente impeditiva. Resta salva, in simile contesto procedimentaie, l'attivazione dei poteri di verifica ex officio, il cui esercizio va ritenuto necessario, sempre sulla base dei principi generali, lì dove venga - in conseguenza dell'assenza di controdeduzioni dell'amministrazione o in rapporto a documentazione comunque acquisita - a determinarsiuna condizione di incertezza probatoria non altrimenti superabile. In altri termini - per essere ulteriormente chiari - l'onere della prova non può che modularsi tenendo conto, da un lato, degli interessi in gioco di rango costituzionale e, dall'altro, della posizione di svantaggio processuale in cui versa il detenuto, con la conseguenza che in ultima analisi deve ricadere sul giudice l'onere di attivarsi e pertanto s'impone la verifica dell'effettivo - e non solo formale - adempimento degli obblighi di cui il ricorrente ha dedotto la violazione. Pertanto, in tale contesto, sebbene l'inerzia difensiva del titolare della potestà punitiva non potrà mai giocare a favore di quest'ultimo, tuttavia in talune ipotesi potrebbe rendersi necessario accertare la congruenza delle allegazioni offerte dal ricorrente, se ritenute troppo generiche. Quindi, solo all'esito dell'attività integrativa - da ritenersi imposta, si ribadisce, a compensazione dalla situazione di disparità esistente tra le parti essendo solo la pubblica amministrazione detentrice di informazioni qualificate - il giudice del merito potrà valutare la ricorrenza dei presupposti per l'affermazione del diritto azionato, tenendo anche conto dei criteri di ripartizione probatoria come indicati nella giurisprudenza della Corte Edu e richiamati nelle pronunce di questa Corte, civile e penale . Nel caso di specie, invece, la P.a. si è limitata ad addurre l'impossibilità di controdeduzione senza peraltro contestare alcunché della pretesa del detenuto senza neppure escludere, più in generale, la possibilità che in quella casa circondariale, nei periodi indicati, vi siano potuti essere dei casi di violazione dell'articolo 3 Cedu tenuto conto delle caratteristiche della struttura dell'epoca e del numero di detenuti che venivano solitamente internati in essa, nè indicare in cosa fosse consistito un eventuale cambiamento della struttura medio tempore intervenuto - circostanze tutte che riguardando comunque una pubblica struttura ben potrebbero essere, in ultima analisi, anche ricostruite mediante notizie reperite aliunde . Nel caso in scrutinio, rimane, dunque, il mancato adempimento alle prescrizioni impartite da questa Corte che con la sentenza di annullamento indicata aveva già dato al tribunale le coordinate precise lungo le quali avrebbe dovuto muoversi qui ribadite ed ulteriormente illustrate il giudice di merito, invece, in palese violazione del disposto di cui all'articolo 627 comma 3 6 codice di rito, ha inteso decidere senza assolvere al dovere di investigazione di ufficio assegnatole da questa Corte e ha per di più ritenuto che in mancanza di informazioni l'esito dovesse in ogni caso essere il rigetto della domanda. . 4. Con l'ordinanza in epigrafe, emessa a definizione del nuovo giudizio di rinvio, il Tribunale di sorveglianza di L'Aquila ha, ancora una volta, rigettato il reclamo del D.P. . Interpellati l'Ufficio di Sorveglianza, il Provveditorato regionale della Sicilia e la Direzione della Casa Circondariale di , il Tribunale reputa di aver assolto al dovere di investigazione assegnatogli dalla sentenza rescindente. Rileva il Collegio di merito che, mentre i primi due Uffici non avevano offerto alcuna significativa indicazione, la Direzione della Casa Circondariale di non si era limitata stavolta ad indicare soltanto la mancanza di archivi informatici, ma, riferendo che, all'epoca, l'annotazione delle allocazioni dei detenuti avveniva esclusivamente su registri cartacei, aveva precisato di aver compiuto l'operazione di ricerca della documentazione cartacea e, dunque, di aver ottemperato a quanto disposto espressamente dal Tribunale che aveva chiesto di ‘ricostruire, anche attraverso operazioni di ricerca cartacea o attraverso altri canali informativì, le condizioni detentive in cui avesse vissuto il D.P. tuttavia - aveva chiarito la Direzione - non si era riusciti a reperire i suddetti registri cartacei, sicché l'esito negativo delle ricerche aveva reso impossibile ricostruire, anche solo in parte, la detenzione trascorsa dal reclamante nella struttura la Direzione aveva, inoltre, rappresentato che tale ricostruzione non era possibile ricavarla neppure dalle caratteristiche e dalla conformazione attuale dell'Istituto, in quanto esso era stato interessato da importanti lavori di adeguamento e di ristrutturazione. Osserva il Giudice a quo che, qualora la Direzione dell'istituto di non avesse corrisposto alla richiesta di informazioni senza addurre motivazioni plausibili, tale condotta avrebbe potuto essere utilizzata quale argomento di prova a fondamento della pretesa del reclamante invece, nel caso di specie, la mancata risposta era motivata da giustificati argomenti, essendo stata allegata dall'Amministrazione penitenziaria l'impossibilità di recuperare i registri cartacei e l'intervenuta modifica, nelle more, dello stato dei luoghi per ristrutturazione del penitenziario pertanto, alla luce di ciò, non poteva che prendersi atto del difetto della prova della pretesa risarcitoria del detenuto. Si aggiunge, nella ordinanza in esame, che sarebbe ostativa alla valutazione della fondatezza della domanda anche l'assenza, nel reclamo originario del detenuto proposto il 14 luglio 2014 , di qualsivoglia allegazione indicativa dell'asserita lesione dei diritti fondamentali stabiliti dall'articolo 3 CEDU nè alcuna prospettazione ulteriore era stata indicata dall'interessato nel reclamo all'epoca proposto dinanzi al Tribunale di sorveglianza avverso l'ordinanza del Magistrato di sorveglianza 25 marzo 2015 . Il profilo di sufficiente determinatezza della domanda, richiesto dalla giurisprudenza di legittimità quale presupposto necessario per la valutazione della stessa, doveva, nella specie, considerarsi del tutto assente. 5. Ha proposto ricorso per cassazione l'interessato, per il tramite del difensore, deducendo, con un unico motivo, violazione ed erronea applicazione dell'articolo 35 ter ord. penumero , in relazione all'articolo 3 CEDU, anche in relazione agli articolo 125 e 627 c.p.p., e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione. Il Tribunale di sorveglianza aquilano non aveva recepito le indicazioni fornite dalla Corte di cassazione, reiterando le motivazioni già addotte e Finendo con l'affermare che, in mancanza di elementi e persistendo l'impossibilità di reperirli, ritenuti assolti gli obblighi officiosi impostigli, l'esito doveva essere il rigetto della domanda. L'affermazione andava sottoposta a censura. Ed invero, in base alle direttive impartite dalla Suprema Corte, il Giudice di merito, ricevute le note risposte dagli Uffici interpellati, avrebbe dovuto a chiedere se dalla documentazione cartacea in possesso dell'Istituto fosse comunque possibile ricostruire quale fosse la più ampia situazione detentiva nei periodi indicati dal D.P. capienza massima dell'Istituto, numero di detenuti effettivamente ristretti, numero delle celle etc. b chiedere dettagli sui poderosi lavori di adeguamento e ristrutturazione , concetto che in re ipsa esprimeva l'inadeguatezza della struttura per come esistente prima della ristrutturazione. Il Tribunale, viceversa, non aveva svolto alcuno dei descritti adempimenti, nonostante le specifiche indicazioni della sentenza di annullamento. Sarebbe stato doveroso, ad esempio, da parte dell'organo giudicante, richiedere all'Amministrazione penitenziaria di indicare in cosa fosse consistito il citato mutamento strutturale, trattandosi di circostanze che, riguardando comunque una struttura pubblica, ben avrebbero potuto essere ricostruite anche mediante notizie reperite aliunde, come sottolineato dalla sentenza rescindente. L'organo di sorveglianza, oltre a non aver proceduto ad esternare informazioni quantomeno sull'entità delle ristrutturazioni avvenute, aveva superato tale carenza ritenendo egualmente di poter decidere in merito alle doglianze del D.P. , andando, così, oltre al principio di ‘prossimità alla provà che dovrebbe investire di una presunzione di veridicità le affermazioni del detenuto che lamenta periodi di detenzione subìti in violazione dell'articolo 3 CEDU . Ciò tenuto conto anche del fatto che, non avendo assolto concretamente all'obbligo informativo richiesto, il Tribunale non era stato neanche in grado di dimostrare l'assenza di condizioni da cui poter trarre il convincimento contrario ossia che il D.P. non avesse effettivamente patito un pregiudizio nella detenzione . Il Tribunale abruzzese aveva, dunque, violato il principio affermato dalla Corte di legittimità Sez. 1, numero 23362/2018 , secondo il quale, nel caso in cui le informazioni sul periodo di detenzione, da parte della Pubblica amministrazione, manchino, il reclamo va deciso in senso favorevole all'istante. Quanto all'affermata genericità dell'istanza, la difesa del ricorrente obietta che nel suo reclamo originario il detenuto aveva indicato, oltre al periodo e al luogo della detenzione, anche la ‘ragione essenziale della domanda di ristorò cioè la condizione di sovraffollamento e le ulteriori doglianze patite in violazione dall'articolo 3 CEDU, elementi sufficienti al fine di vagliare nel merito l'istanza presentata. 6. Il Procuratore generale presso questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha concluso per l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata, in adesione alle ragioni esposte in ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato e va, pertanto, accolto. 2. Il Tribunale di sorveglianza di L'Aquila, al termine del secondo giudizio di rinvio discendente dall'ultima pronuncia di annullamento emessa da questa Corte sentenza della Quinta Sezione penale numero 18328/2020 , per l'ennesima volta, in violazione del disposto di cui all'articolo 627 c.p.p., comma 3, è pervenuto a decisione reiettiva senza assolvere, concretamente e adeguatamente, al dovere di investigazione di ufficio assegnatogli da questa Corte e, discostandosi dai principi giurisprudenziali affermati sull'argomento in sede di legittimità, ha ritenuto, erroneamente, che in mancanza di informazioni l'esito dovesse, in ogni caso, essere costituito dal rigetto della domanda. Nell'ultima sentenza rescindente era stato, con chiarezza, evidenziato - come risulta dai brani di motivazione appositamente trascritti nella superiore esposizione in fatto - che, in riferimento all'eventuale cambiamento delle caratteristiche anche in termini di capienza della struttura penitenziaria di , trattandosi di circostanze afferenti ad una struttura pubblica, le relative informazioni avrebbero potuto essere reperite aliunde, ossia da fonti egualmente pubbliche, ma non necessariamente inquadrate nell'Amministrazione penitenziaria. 3. Nel provvedimento impugnato, pur essendosi dato atto che, nella realtà, in epoca posteriore al periodo di detenzione 1995-1997 ivi trgliscorso dal ricorrente - dunque, in tempi non così remoti da essere ostativi al reperimento di pertinente documentazione - l'istituto di fu interessato da poderosi lavori di adeguamento e di ristrutturazione , il Tribunale di sorveglianza, ancora una volta, ha recepito passivamente l'ennesimo esito infruttuoso della richiesta di informazioni inoltrata all'istituto di pena, continuando a ritenere giustificata la mancanza di dati da parte della Pubblica amministrazione per l'impossibile reperimento di documentazione cartacea posto che all'epoca della detenzione del D.P. non vi erano archivi informatici , concernente le condizioni detentive in cui aveva vissuto il reclamante. Tuttavia, di fronte al dato informativo nuovo del riferimento ai lavori di adeguamento e ristrutturazione di quell'istituto, non risulta che il Collegio aquilano abbia esercitato convenientemente i suoi poteri istruttori, chiedendo,, ad esempio, alla Direzione della Casa Circondariale di di voler reperire la documentazione afferente a quei lavori anche investendo altro comparto della Pubblica amministrazione , da cui, eventualmente, poter ricavare notizie sulle caratteristiche della struttura precedente, sulla capienza in allora delle celle e sul numero dei detenuti ivi ospitati. 4. Non solo, ma il Giudice di merito è pervenuto a decisione di rigetto del reclamo senza tener conto del principio affermato da questa Corte, in forza del quale Nei procedimenti instaurati ai sensi dell'articolo 35 ter ord. penumero , le allegazioni dell'istante sul fatto costitutivo della lesione, addotte a fondamento di una domanda sufficientemente determinata e riscontrata sotto il profilo dell'esistenza e della decorrenza della detenzione, sono assistite da una presunzione relativa di veridicità del contenuto, per effetto della quale incombe sull'Amministrazione penitenziaria l'onere di fornire idonei elementi di valutazione di segno contrario Sez. 5, numero 18328 dell'8/6/2020, D.P. , Rv. 279208 Sez. 1, numero 23362 dell'11/5/2018, Lucchese, Rv. 273144 . Per disattendere tale principio, il Tribunale abruzzese ha affermato che il reclamo originario proposto dal detenuto doveva considerarsi generico , in quanto privo di allegazione indicativa dell'asserita lesione dei diritti fondamentali stabiliti dall'articolo 3 CEDU. Tale affermazione si rivela, in primo luogo, palesemente contraddittoria rispetto allo svolgimento, da ben sette anni, di un procedimento ex articolo 35 ter ord. penumero , caratterizzato, nelle fasi di merito due giudizi di rinvio da annullamento della Corte di cassazione inclusi , da ripetute acquisizioni istruttorie eseguite nel contraddittorio delle parti, laddove, se realmente il reclamo originario fosse stato generico, il Magistrato di sorveglianza avrebbe dovuto dichiararlo inammissibile de plano, sicché non si sarebbe neppure dato luogo alla eventuale fase impugnatoria davanti al Tribunale di sorveglianza. In secondo luogo, si tratta di un profilo che la sentenza di annullamento non ha trattato e, quindi, non può costituire oggetto della cognizione del giudice del rinvio. Viceversa, oggetto della cognizione del giudice del rinvio era l'ottemperanza agli adempimenti istruttori di cui si è detto e che, per le ragioni esposte, non sono stati, ancora una volta, assolti. 5. In conclusione, l'ordinanza impugnata va annullata, con rinvio, per nuovo giudizio, al Tribunale di sorveglianza di L'Aquila, che dovrà correttamente ottemperare a quanto già deciso con la sentenza di questa Corte numero 18238/2020 e che qui si ribadisce, senza poter ritenere che, in caso di mancanza di informazione, il reclamo debba essere rigettato. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per.nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di L'Aquila.