Impossibile, secondo i Giudici, riconoscere alla donna la restituzione di quanto versato in eccesso in occasione della prima fattura. Respinta anche l’ipotesi di un risarcimento. Una soddisfazione per la donna è la compensazione delle spese processuali.
Nessun rimborso dalla società telefonica alla cliente che si è ritrovata col canone dell’abbonamento aumentato a sorpresa. Impossibile riconoscerle la restituzione di quanto ha pagato per il maggiore addebito in fattura. All’origine della vicenda c’è la protesta di una cliente – per il servizio di telefonia fissa – della ‘TIM spa’. La donna denuncia «l’illegittimo addebito in fattura di 4 euro e 9 centesimi quale aumento del canone di abbonamento» e lamenta che «la modifica delle condizioni contrattuali» non le è stata «preventivamente comunicata». Di conseguenza, ella chiede la condanna dell’azienda alla «restituzione della somma indebitamente percepita» o, in alternativa, il riconoscimento della «responsabilità contrattuale» dell’azienda per «avvenuta violazione dell’obbligo di buonafede nella formazione del contratto, nonché per avvenuta violazione degli obblighi di trasparenza, buonafede ed equità» con conseguente «condanna al risarcimento dei danni» da lei subiti come cliente. In prima battuta il Giudice di pace dà pienamente ragione alla donna, riconoscendone il diritto a riavere i 4 euro e 9 centesimi e aggiungendo a suo favore anche 50 euro a titolo di risarcimento. In seconda battuta, invece, i giudici del Tribunale ridimensionano la vittoria della donna la ‘TIM’ viene condannata solo a versare alla cliente solo 61 centesimi di euro, sul presupposto che «la cliente, ove tempestivamente informata, avrebbe potuto esercitare la facoltà di recesso anteriormente all’invio della prima fattura recante tale aumento». In sostanza, i giudici di secondo grado riconoscono alla donna «il diritto di ripetere quanto versato in eccesso soltanto in tale prima occasione», cioè l’importo di 61 centesimi di euro. Viene cancellato, invece, il risarcimento – seppur minimal – accordatole dal Giudice di pace, poiché su questo fronte i magistrati ritengono che la donna non abbia fornito alcuna prova del danno subito. Nel contesto della Cassazione, però, i legali della ‘TIM’ respingono anche l’ipotesi della restituzione di 61 centesimi di euro alla cliente. In questa ottica essi sostengono che «non è comportamento contrattuale illecito la modifica delle condizioni contrattuali, quanto, piuttosto, il mancato avviso di tale modifica», ma a quest’ultima omissione, aggiungono i legali, «consegue, in forza del principio di buonafede nell’esecuzione del contratto, solo la possibilità di recesso da parte del consumatore, una volta che abbia avuto conoscenza della modifica del contratto». Di conseguenza, ragionando sempre in questa ottica, «in difetto di esercizio del diritto di recesso e in presenza del persistere del rapporto obbligatorio» è illogico, secondo i legali, «riconoscere – ancorché limitatamente alla riscossione del primo canone successivo all’avvenuta modifica delle condizioni contrattuali –» il diritto della cliente a riavere quanto pagato in eccesso nella prima fattura. I giudici di terzo grado ricordano, in premessa, che «l’indebito oggettivo si verifica o perché manca la causa originaria giustificativa del pagamento o perché la causa del rapporto originariamente esistente è poi venuta meno in virtù di eventi successivi che hanno messo nel nulla o reso inefficace il rapporto». Nella vicenda in esame, di conseguenza, è erronea, sanciscono dalla Cassazione, la decisione presa dal Tribunale, decisione con cui «si è stabilito che, pur nella persistenza del rapporto contrattuale con la ‘TIM’, la cliente avesse diritto di riavere una somma pari a quella riscossa dall’azienda in conseguenza dell’aumento del canone risultante dalla prima fattura», fattura con cui ella «aveva appreso – senza esserne previamente informata – dell’avvenuta modifica delle condizioni contrattuali». Tirando le somme, va respinta totalmente, chiosano dalla Cassazione, la pretesa avanzata dalla cliente, non essendovi i presupposti per «ordinare» alla ‘TIM’ «la restituzione di alcuno degli importi versati a titolo di aumento del canone», né quelli per «accordare tale somma a titolo di risarcimento del danno da comportamento non conforme all’obbligo di buonafede della società di telefonia nell’esecuzione del contratto». Per la donna, però, è confermata solo una piccola vittoria le spese processuali per i tre gradi di giudizio vanno compensate tra lei e l’azienda. Su questo fronte i giudici di terzo grado parlano di «giusti motivi» per la compensazione delle spese a fronte della «condotta di ‘TIM’», poiché «costituisce comportamento contrattuale illecito la modifica delle condizioni contrattuali che non sia stata preventivamente comunicata». E allo stesso tempo viene anche posto in evidenza «il comportamento preprocessuale tenuto dalle parti», comportamento che «ha contribuito a generare un contenzioso che avrebbe ben potuto essere evitato».
Presidente Scoditti – Relatore Guizzi Ritenuto in fatto - che la società TIM S.p.a. già Telecom Italia S.p.a. ricorre, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza numero 629/19, del 27 giugno 2019, del Tribunale di Lamezia Terme, che - accogliendone solo parzialmente il gravame esperito avverso la sentenza del Giudice di pace di Lamezia Terme, numero 1917/08, del 18 novembre 2008 - l'ha condannata al pagamento di Euro, 0,61 in favore di M.O. - che, in punto di fatto, la ricorrente riferisce che, con citazione notificata il 27 giugno 2008, Telecom Italia veniva convenuta in giudizio dalla M. , utente del servizio di telefonia fissa, la quale lamentava l'illegittimo addebito, in fattura, della somma complessiva di Euro, 4,09, quale aumento del canone di abbonamento, adducendo l'attrice come la modifica delle condizioni contrattuali non gli fosse stata preventivamente comunicata, secondo quanto, invece, previsto dall'articolo 15 delle condizioni generali di abbonamento - che su tali basi ella, pertanto, chiedeva condannarsi Telecom alla restituzione della somma suddetta in quanto indebitamente percepita , ovvero, in subordine, a titolo di responsabilità contrattuale per avvenuta violazione dell'obbligo di buona fede nella formazione del contratto, nonché per avvenuta violazione degli obblighi di trasparenza, buona fede ed equità , ai sensi del D.Lgs. 6 settembre 2005, numero 206, con condanna, della convenuta al risarcimento dei danni ex articolo 2043 c.c. - che il giudice di prime cure accoglieva la domanda, condannando Telecom a restituire l'importo suddetto di Euro 4,09, nonché al pagamento di ulteriori Euro 50,00, a titolo di risarcimento del danno - che esperito gravame da Telecom, il giudice di appello lo accoglieva solo parzialmente, condannandola comunque al pagamento di Euro 0,61, sul presupposto che l'utente, ove tempestivamente informata, avrebbe potuto esercitare la facoltà di recesso anteriormente all'invio della prima fattura recante tale aumento ciò che ella, comunque, avrebbe potuto fare successivamente, ovvero una volta avuto notizia dell'aumento del canone con l'emissione di tale fattura, non essendosi, invece, avvalsa di tale diritto , riconoscendo, pertanto, alla M. il diritto di ripetere, ex articolo 2033 c.c., quanto versato, in eccesso, soltanto in tale prima occasione, ovvero il minore importo di Euro 0,61 - che il giudice di seconde cure, inoltre, riformava la decisione appellata anche in relazione alla disposta condanna di Telecom al risarcimento del danno, sul rilievo che l'attrice/appellata non avesse fornito alcuna prova nè in ordine all'an nè in ordine al quantum dei danni subiti - che avverso la sentenza del Tribunale lametino ricorre per cassazione TIM, sulla base di due motivi - che il primo motivo denuncia - ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3 - violazione e falsa applicazione dell'articolo 2033 c.c., in relazione alla Delib. AGCOM numero 179/03 del 24 luglio 2003, articolo 3, 4 e 5 ed all'articolo 15 delle condizioni generali di abbonamento - che, in particolare, la ricorrente evidenzia come non sia comportamento contrattuale illecito - alla stregua dell'articolo 15 delle condizioni generali di abbonamento, oltre che delle citate previsioni di cui alla Delib. dell'autorità garante della concorrenza e del mercato numero 197 del 2003 - la modifica delle condizioni contrattuali , quanto piuttosto il mancato avviso di tale modifica , comportamento al quale, tuttavia, consegue, in forza del principio di buona fede nell'esecuzione del contratto , solo la possibilità di recesso da parte del consumatore una volta che abbia avuto conoscenza della modifica del contratto - che in difetto di esercizio del diritto di recesso, e dunque in presenza del persistere del rapporto obbligatorio, il giudice di appello non avrebbe potuto riconoscere ancorché limitatamente alla riscossione del primo canone successivo all'avvenuta modifica delle condizioni contrattuali il diritto della M. a ripetere l'indebito, giacché condizione per l'applicazione dell'articolo 2033 c.c. l'inesistenza, originaria o sopravvenuta, dell'obbligazione adempiuta dalla parte - che il secondo motivo denuncia - ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, nnumero 3 e 3 , - violazione degli articolo 91 e 92 c.p.c., lamentando che il giudice di appello ha confermato la soccombenza di Telecom in relazione al primo grado di giudizio, e quindi la sua condanna a rifondere alla M. le spese del grado, quantunque l'accoglimento del gravame avesse comportato l'obiettivo aggravamento della sua posizione, così disattendo il principio secondo cui il giudice di appello, allorché riformi la sentenza di primo grado, è tenuto a provvedere, anche d'ufficio, ad un nuovo regolamento delle spese dello stesso alla luce dell'esito complessivo della lite - che la M. , con controricorso, ha resistito all'avversaria impugnazione, per chiedere che la stessa sia dichiarata inammissibile o comunque rigettata, senza svolgere ricorso incidentale in relazione alla reiezione della domanda risarcitoria - che la proposta del relatore, ai sensi dell'articolo 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in camera di consiglio per il 14 settembre 2021. Considerato in diritto - che il ricorso merita accoglimento - che il primo motivo, infatti, è fondato, nella parte in cui ipotizza violazione e falsa applicazione dell'articolo 2033 c.c. - che questa Corte ha più volte affermato che l'indebito oggettivo si verifica o perché manca la causa originaria giustificativa del pagamento conditio indebiti sine causa o perché la causa del rapporto originariamente esistente è poi venuta meno in virtù di eventi successivi che hanno messo nel nulla o reso inefficace il rapporto medesimo conditio ob causarti finitam , e ciò secondo una distinzione che risale al diritto romano , e che è ripresa dalla dottrina italiana, sulla base del nuovo testo dell'articolo 2033 c.c. nel quale è stato trasfuso l'articolo 1327 codice abrogato 1865 che stabiliva il principio della inefficacia degli atti privi di una causa solvend3” così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 1 luglio 2005, numero 14084, Rv. 58269001 in senso analogo Cass. Sez. 3, sent. 20 dicembre 2014, numero 4378, Rv. 373059-01 e già Cass. Sez. 3, sent. 22 settembre 1979, numero 4889, Rv. 401528-01 , dovendo, in particolare, ravvisarsi l'ipotesi della conditio ob causarti finitam quando il credito risulti venuto meno successivamente a seguito di annullamento, rescissione o inefficacia connessa ad una condizione risolutiva avveratasi Cass. Sez. 3, sent. 28 maggio 2013, Rv. 626695 , ipotesi, nessuna delle quali, ricorre nel caso che occupa - che, dunque, è errata la decisione con cui il Tribunale lametino ha stabilito che, pur nella persistenza del rapporto contrattuale tra la Telecom e la M. , quest'ultima avesse diritto di ripetere una somma pari a quella riscossa dalla società telefonica, in conseguenza dell'aumento del canone risultante dalla prima fattura con cui l'utente apprese - senza esserne previamente e altrimenti informata - dell'avvenuta modifica delle condizioni contrattuali - che il secondo motivo resta assorbito dall'accoglimento del primo, atteso che la statuizione del giudice di appello sulle spese di lite resta travolta dalla cassazione della sentenza impugnata, a norma dall'articolo 336 c.p.c., comma 1, e dalla necessità di una loro rinnovata, totale, regolamentazione alla stregua dell'esito finale della lite Cass. Sez. 3, sent. 14 marzo 2016, numero 4887, Rv. 639295-01 - che la sentenza, dunque, va cassata, potendo tuttavia questa Corte decidere la causa nel merito, a norma dell'articolo 384 c.p.c., comma 2, seconda alinea, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto - che la domanda della M. va integralmente rigettata, non sussistendo - per le ragioni illustrate nello scrutinare il primo motivo di ricorso, ovvero in difetto delle condizioni di applicazione dell'articolo 2033 c.c. - i presupposti per ordinare la restituzione di alcuno degli importi versati a titolo di aumento del canone, nè quelli per accordare tale somma a titolo di risarcimento del danno da comportamento non conforme all'obbligo di buona fede della società di telefonia nell'esecuzione del contratto, atteso che la statuizione del giudice di appello, che ha riformato la condanna della stessa al risarcimento del danno disposta dal primo giudice, è ormai passata in giudicato, non avendo la M. proposto, sul punto, ricorso incidentale - che malgrado il rigetto integrale della domanda, le spese di ambo i giudizi di merito, come pure quelle del presente giudizio di legittimità, vanno integralmente compensate tra le parti, sussistendo - a norma dell'articolo 92 c.p.c., comma 2, nel testo risultante dopo la prima diverse modifiche legislative ad esso apportate, ovvero quella di cui alla L. 28 dicembre 2005, numero 263, articolo 2, comma 4, come modificato dal D.L. 30 dicembre 2005, numero 273, articolo 39-quater, convertito con modifiche dalla L. 23 febbraio 2006, numero 51, testo applicabile ratione temporis al presente giudizio, essendo stato il primo grado dello stesso instaurato con citazione notificata il 27 giugno 2008 - giusti motivi in tal senso - che gli stessi - da indicare esplicitamente in motivazione, secondo il disposto dell'articolo 92 c.p.c., comma 2, come temporaneamente modificato dalle norme di legge sopra meglio richiamate - vanno identificati nella condotta di Telecom Italia oggi TIM , giacché, come si legge nello stesso ricorso esaminato e deciso da questa Corte cfr. pag. 11 , costituisce comportamento contrattuale illecito , in quanto tenuto in violazione del principio di buona fede nell'esecuzione del contratto , la modifica delle condizioni contrattuali che non sia stata, previamente, comunicata all'utente - che, invero, questa Corte già in passato ha ritenuto che, ai fini dell'adozione del provvedimento sulle spese di lite, il giudice possa dare rilievo anche al comportamento preprocessuale tenuto dalle parti, in particolare da chi, venendo meno al criterio di correttezza che deve improntare la condotta di entrambe le parti del rapporto obbligatorio a norma dell'articolo 1175 c.c., abbia contribuito così a generare un contenzioso che avrebbe ben potuto essere evitato cfr., soprattutto in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 16 novembre 2011, numero 23997, Rv. 620310-01 . P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiarando assorbito il secondo, cassando la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l'appello di Telecom Italia S.p.a oggi TIM S.p.a. e per l'effetto - in integrale riforma della sentenza del Giudice di pace di Lamezia Terme, numero 1917/08, del 18 novembre 2008 - rigetta la domanda di M.O. , compensando integralmente tra le parti le spese del giudizio di merito e quelle del presente giudizio di legittimità.