Contestazione sul quantum preteso a titolo di prestazioni professionali: oneri del debitore e del creditore

In tema di contestazione sul quantum preteso a titolo di prestazioni professionali, il debitore ha l’onere di contestare in modo specifico la richiesta di compenso professionale nel caso in cui essa parta da un conteggio preciso e dettagliato, «mentre può limitarsi ad eccepire la mera esorbitanza del compenso richiesto solo laddove tale richiesta si limiti ad indicarlo in un importo complessivo e globale, senza specificazioni».

Nel 2015 la Cassazione annullava la sentenza della Corte d'Appello che aveva dichiarato illegittima la domanda proposta da uno studio tecnico nei confronti di una società, per abusivo frazionamento del credito, relativa al pagamento del saldo di prestazioni professionali. Riassunta la causa, la Corte territoriale confermava l'ordinanza di primo grado che aveva condannato la società al pagamento di una somma di denaro in favore dello studio tecnico. Pertanto, la società stessa ricorre in Cassazione avverso tale decisione, denunciando violazione di legge per aver ritenuto provato il credito vantato dalla controparte, giudicando generica la contestazione sul quantum avanzata dalla convenuta. Sul punto, i Supremi Giudici affermano che, in tema di contestazione sul quantum preteso a titolo di prestazioni professionali, in forza del combinato disposto di cui agli articolo 2697 c.c. e 115, comma 1, c.p.c., che il debitore ha l'onere di contestare in modo specifico la richiesta di compenso professionale nel caso in cui essa parta da un conteggio preciso e dettagliato, «mentre può limitarsi ad eccepire la mera esorbitanza del compenso richiesto solo laddove tale richiesta si limiti ad indicarlo in un importo complessivo e globale, senza specificazioni, spettando in questo caso al creditore dimostrare, a fronte della contestazione dell'altra parte, la correttezza della propria pretesa sulla base di determinati parametri, che, vale a dire, l'importo richiesto è quello dovuto, sulla base della convenzione delle parti, delle tariffe professionali applicabili o degli usi, a mente dell'articolo 2225 cod.civ.».

Presidente Gorjan – Relatore Bertuzzi Fatti di causa e ragioni della decisione Con sentenza numero 10177 del 2015 la Corte di Cassazione cassò la sentenza della Corte di appello di Trieste che aveva dichiarato illegittima, per abusivo frazionamento del credito, la domanda proposta dallo Studio Tecnico Associato STF nei confronti della s.r.l. R.S.A. Craveggia per il pagamento del saldo di prestazioni professionali. Riassunta la causa dallo Studio Tecnico Associato, con sentenza numero 511 del 29. 7. 2016 la Corte di appello di Trieste, quale giudice di rinvio, decidendo nel merito, confermò l'ordinanza di primo grado che aveva condannato la s.r.l. R.S.A. Craveggia al pagamento della somma di Euro 61.521,49. A sostegno della propria decisione la Corte giuliana affermò, per quanto qui ancora interessa, che tale importo era dovuto a saldo di quello, minore, indicato nell'atto di transazione intervenuto tra le parti e risolto di diritto in forza dell'inadempimento della committente, tenuto conto che a fronte della pretesa creditoria fatta valere nei suoi confronti la R.S.A. Craveggia si era limitata ad una contestazione del tutto generica, lamentandone l'esorbitanza, l'incongruenza e l'eccessività, ma senza enunciare ragioni specifiche anche con riferimento a determinati parametri. Per la cassazione di questa sentenza, con atto notificato il 28. 2. 2017, ricorre la s.r.l. R.S.A. Craveggia, affidandosi a tre motivi. Resiste con controricorso e successiva memoria lo Studio Tecnico Associato STF. La causa è stata avviata in decisione in adunanza camerale non partecipata. Il primo e secondo motivo di ricorso denunziano, rispettivamente ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., nnumero 4 e 3, violazione degli articolo 383,392 e 394 c.p.c., assumendo la nullità della sentenza impugnata per non avere pronunciato sulla domanda di pagamento proposta originariamente dalla Studio Tecnico STF, ma sulla sua richiesta di conferma della decisione di primo grado, confermando così un provvedimento che doveva reputarsi inesistente in quanto travolto dalla pronuncia di cassazione. La Corte non ha infatti considerato che la sentenza della Corte di Cassazione che annulla con rinvio la sentenza d'appello non determina la rinnovazione del grado di appello, ma annulla tutte le sentenze di merito. I motivi appaiono infondati. Condivisibile appare il rilievo del ricorrente in base al quale il giudizio di rinvio conseguente alla cassazione della pronuncia di secondo grado per motivi di merito giudizio di rinvio proprio non costituisce la prosecuzione della pregressa fase di merito e non è destinato a confermare o riformare la sentenza di primo grado, ma integra una nuova ed autonoma fase che, pur soggetta, per ragioni di rito, alla disciplina riguardante il corrispondente procedimento di primo o secondo grado, ha natura rescissoria nei limiti posti dalla pronuncia rescindente ed è funzionale alla emanazione di una sentenza che, senza sostituirsi ad alcuna precedente pronuncia, riformandola o modificandola, statuisce direttamente sulle domande proposte dalle parti come si desume dal disposto dell'articolo 393 c.p.c., a mente del quale nell'ipotesi di mancata, tempestiva riassunzione del giudizio, non consegue il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, bensì la sua inefficacia . E tuttavia, come questa stessa Corte non ha mancato di rilevare in identiche fattispecie, la circostanza che la Corte di appello a conclusione del giudizio di rinvio si sia espressa nel formulare il dispositivo per la conferma della decisione del primo giudice non vale ad integrare la prospettata nullità, atteso che la Corte distrettuale ha proceduto ad un rinnovato esame del merito della controversia ed ha così ottemperato alle prescrizioni imposte dalla sentenza di cassazione Cass. numero 15143 del 2021 Cass. numero 1824 del 2005 . Il terzo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione degli articolo 2697,2702 e 2223 c.c., e dell'articolo 115 c.p.c., censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto provato il credito vantato dalla controparte, giudicando generica la contestazione sul quantum avanzata dalla convenuta. Si assume che, adottando tale conclusione, la Corte di appello ha fatto malgoverno del principio di non contestazione e della regola sull'onere della prova, finendo col gravare il committente di un onere di allegazione e di prova che, a fronte della contestazione sollevata, doveva porsi a carico del prestatore d'opera. Si assume, infine, che erroneamente il giudice a quo ha affermato, a sostegno del proprio convincimento, che la e-mai inviata dallo Studio Tecnico il 31 agosto 2010, contenente il riepilogo e la quantificazione delle prestazioni, non fosse stata contestata dalla odierna ricorrente, atteso che proprio la transazione successivamente intervenuta tra le parti in data 19. 5. 2011 , con la quale il compenso per l'attività professionale era stato ridotto, testimoniava e dimostrava il contrario. Il motivo è infondato. In tema di contestazione sul quantum preteso a titolo di prestazioni professionali, va affermato il principio, in forza del combinato disposto di cui all'articolo 2697 c.c., onere della prova e articolo 115 c.p.c., comma 1, criterio di non contestazione , che il debitore ha l'onere di contestare in modo specifico la richiesta di compenso del professionista nel caso in cui essa muova da un conteggio preciso e dettagliato, mentre può limitarsi ad eccepire la mera esorbitanza del compenso richiesto solo laddove tale richiesta si limiti ad indicarlo in un importo complessivo e globale, senza specificazioni, spettando in questo caso al creditore dimostrare, a fronte della contestazione dell'altra parte, la correttezza della propria pretesa sulla base di determinati parametri, che, vale a dire, l'importo richiesto è quello dovuto, sulla base della convenzione delle parti, delle tariffe professionali applicabili o degli usi, a mente dell'articolo 2225 c.c Tanto precisato, deve darsi atto che la corte territoriale ha fatto menzione, a sostegno della conclusione accolta, della e-mail inviata alla R.S.A. Craveggia in data 31.8.2010, rappresentando che in essa lo Studio Tecnico Associato aveva riepilogato le prestazioni eseguite fino a quel momento e le aveva quantificate nell'importo di Euro 147.906,00. Alla luce del rinvio al contenuto di tale documento deve allora ritenersi corretta la decisione del giudice a quo di rigettare la contestazione del quantum sollevata dalla R.S.A. Craveggia, per avere essa opposto ragioni generiche, allegando la mera esorbitanza, incongruenza ed eccessività dell'ammontare richiesto, senza altresì contestare in modo specifico l'applicazione dei criteri di determinazione del compenso. L'espresso rifermento, nella motivazione della statuizione impugnata, alla e-mail di riepilogo delle prestazioni eseguite e di quantificazione del compenso inviata dallo studio professionale depone infatti nel senso che la Corte distrettuale abbia compiuto la valutazione oggetto di censura proprio alla luce del contenuto di tale missiva e che, pertanto, abbia applicato correttamente la regola sull'onere della prova. Nè in contrario parte ricorrente ha allegato, riproducendone il contenuto, che tale documento non conteneva un conteggio dettagliato del dovuto, ma era del tutto indeterminato con riguardo ai criteri di calcolo utilizzati. Il ricorso va pertanto respinto. Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in Euro 7.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali. Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.