Condannato per maltrattamenti in famiglia l’uomo che mostra disinteresse verso i bisogni affettivi della moglie.
Riflettori puntati sulla vita coniugale a cui una donna è stata obbligata per anni dal marito. Numerosi i comportamenti inaccettabili dell’uomo, capace solo di mostrare disinteresse verso i figli e verso la moglie, colpita da continue critiche, da offese, da aggressioni fisiche. A lungo andare la sopportazione della donna finisce con l’esaurirsi. Consequenziale la denuncia nei confronti del marito. Inevitabile lo strascico giudiziario che vede l’uomo condannato, sia in primo che in secondo grado, per il reato di maltrattamenti in famiglia e sanzionato con tre anni di reclusione, a cui si aggiunge anche l’obbligo di risarcire la moglie. Col ricorso in Cassazione, però, il difensore dell’uomo prova a ridimensionare le accusa a carico del suo cliente. In questa ottica il legale sostiene sia illogico parlare di «maltrattamenti», vista «la mancanza di episodi specifici e reiterati di abuso» poiché quelli accertati «sono ben pochi durante tutto l’arco ventennale della convivenza familiare». In aggiunta, poi, l’avvocato contesta anche la prospettiva adottata in appello, laddove, osserva, si sono erroneamente «collegate le condotte di maltrattamenti al totale disinteresse dell’uomo per le esigenze della famiglia», così «trasformando nel delitto di maltrattamenti semplici condotte sussumibili nel reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare in relazione a condotte consumate, peraltro, in un periodo in cui l’uomo aveva perso il lavoro». In premessa, però, i Giudici della Cassazione richiamano le dettagliate dichiarazioni della donna, la quale ha descritto «il lungo rapporto coniugale, le traversie lavorative e, quindi i disagi economici ai quali la famiglia è stata sottoposta, in ragione del carattere irascibile dell’uomo e dell’uso di alcol e droga ai quali egli era dedito» e ha fornito «una ricostruzione precisa del ménage coniugale e familiare, contrassegnato da ingiurie e da sopraffazioni, fisiche e psicologiche, alle quali la donna è stata sottoposta durante tutta la durata del matrimonio ». Inoltre, l’uomo, «a fronte delle richieste di collaborare nella gestione dei figli, come andare a prenderli a scuola o prendersi cura di loro mentre la moglie era al lavoro», «si è sempre mostrato indifferente ed incapace di assicurare alla coniuge un apporto valido», sottolineano i Giudici. Infine, per completare il triste quadro, è emerso anche che l’uomo «aveva imposto alla donna, nel corso degli anni, rapporti sessuali e, negli anni più recenti, in più occasioni, l’aveva aggredita fisicamente , soprattutto quando la donna, esasperata, si era rivolta al suocero per avere il suo aiuto o aveva contestato al marito il tenore di vita sregolato». Senza dimenticare, poi, «gli epiteti e i rimproveri» rivolti dall’uomo alla moglie per «come ella si occupava della casa e dei figli». Evidente, in sostanza, «il sistema di vessazioni » a cui l’uomo ha sottoposto la moglie. Per fare chiarezza, poi, i magistrati sottolineano che l’uomo non si è limitato all’«inadempimento delle obbligazioni economiche su di lui gravanti come marito e come padre, ovvero nella inosservanza cosciente e volontaria dell’obbligo di assistenza morale ed affettiva verso l’altro coniuge – obbligo, questo, che scaturisce dal vincolo matrimoniale e che la finalità di garantire che l’altro coniuge non sia mai lasciato solo a sé stesso in caso di difficoltà –» ma si è reso anche responsabile di «una persistente condotta di incuria » e di «comportamenti censurabili sul piano morale» come «rubare i soldi dal salvadanaio dei figli per giocare con le slot machine e per procurarsi la droga». Complessivamente emerge, spiegano i Giudici, l’evidente «disinteresse dell’uomo verso i bisogni affettivi ed esistenziali della moglie» con reiterate omissioni sul fronte dei suoi «obblighi di cura verso la moglie e verso i figli». A completare il poco edificante quadro, infine, anche «ingiurie, denigrazioni, minacce verbali, sopraffazioni di ogni genere, per tutta la durata del rapporto coniugale» e infine «vere e proprie aggressioni fisiche» ai danni della moglie. Questi comportamenti – giustificati dall’uomo col suo «carattere irascibile» – hanno cagionato alla donna «uno stato di timore e di vero e proprio assoggettamento al marito», tanto che, sottolineano i Giudici, «ella si è autoimposta la scelta di non reagire al fine di non correre il rischio della possibile reazione violenta del marito», e questo dettaglio «sostanzia un ulteriore aspetto di sopraffazione, idoneo ad integrare l’elemento oggettivo del reato di maltrattamenti, configurando un vero e proprio sistema di vita mortificante e vessatorio per la donna».
Presidente Mogini – Relatore Giordano Ritenuto in fatto 1.La Corte di appello di Firenze ha confermato la condanna di R.T.G. alla pena di anni tre di reclusione per il reato di cui all' articolo 572 c.p. , commesso in danno della moglie. Ha confermato anche le statuizioni civili. In particolare, è stato confermato l'aumento, della pena di mesi sei di reclusione, per la contestata aggravante di cui all'articolo 61 numero 11 quinquies c.p., sulla pena base di anni due e mesi sei di reclusione. 2.Con i motivi di ricorso, di seguito sintetizzati ai sensi dell' articolo 173 disp. att. c.p.p. , nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione, il ricorrente denuncia 1. violazione di legge, in relazione all'aggravante di cui all'articolo 61 numero 11 quinquies c.p., e vizio di motivazione perché meramente apparente quella posta a fondamento delle conclusioni della Corte di appello, ovvero che i fatti, avendo avuto uno svolgimento prettamente domestico in un ambiente in cui erano presenti quattro minori, era evidente che si fossero svolti, almeno una quota parte di essi, in presenza dei minori. Rileva il difensore che, invece, le condotte afferenti alla vita intima della coppia che sono a fondamento della condanna non si svolgevano in presenza dei figli nè erano svolte in presenza le ulteriori condotte di deprivazione di assistenza familiare in cui si risolve il reato. Solo in due occasioni di aggressione alla moglie, peraltro, erano stati presenti i figli della coppia 2. vizi di motivazione e violazione di legge inficiano la ritenuta sussistenza del delitto di maltrattamenti in mancanza di episodi specifici e reiterati di abuso poiché quelli che emergono sono ben pochi durante tutto l'arco ventennale della convivenza familiare. Si tratta di una grave carenza, che connota intrinsecamente le dichiarazioni della persona offesa ritenute attendibili secondo l'id quod plurmque accidit e sulla quale la Corte svia non affrontando lo specifico motivo di appello e, anzi, collegando le condotte di maltrattamenti al totale disinteresse dell'imputato per le esigenze della famiglia così trasformando nel delitto di maltrattamenti semplici condotte sussumibili nel reato di cui all' articolo 570 c.p. , in relazione a condotte consumate, peraltro, in un periodo in cui l'imputato aveva perso il lavoro. 3. Il difensore dell'imputato, avvocato Tiziano Checcoli, ha depositato memoria di contestando le conclusioni del Procuratore generale poiché i motivi di ricorso investono il percorso motivazionale della sentenza impugnata, ritenuto carente, ed impongono, pertanto, un esame nel merito. Considerato in diritto 1.Il ricorso è inammissibile perché proposto per motivi generici e manifestamente infondati. Nella sentenza impugnata è riportata un'ampia ricostruzione in fatto nella quale sono state richiamate in sintesi le dichiarazioni rese dalla moglie dell'imputato, costituita parte civile e più ampiamente illustrate nella sentenza di primo grado. Si tratta di dichiarazioni molto dettagliate che descrivono il lungo rapporto coniugale il matrimonio è, infatti, risalente all'anno 2001-, le traversie lavorative e, quindi i disagi economici ai quali la famiglia è stata sottoposta, in ragione del carattere irascibile e dell'uso di alcol e droga ai quali era dedito e, soprattutto, contengono una ricostruzione precisa del menage coniugale e familiare contrassegnato da ingiurie e da sopraffazioni, fisiche e psicologiche, alle quali la persona offesa è stata sottoposta durante tutta la durata del matrimonio. L'imputato, a fronte delle richieste di collaborare nella gestione dei figli, come andare a prenderli a scuola o prendersi cura di loro, mentre la moglie era a lavoro, si è sempre mostrato indifferente ed incapace di assicurare alla coniuge un apporto valido le aveva imposto, nel corso degli anni, rapporti sessuali e, negli anni più recenti, in più occasioni, l'aveva aggredita fisicamente soprattutto quando la donna, esasperata, si era rivolta al padre dell'imputato per avere il suo aiuto o gli aveva contestato il tenore di vita sregolato che conduceva in tali circostanze l'imputato era giunto ad afferrarla per il collo e a stringerle le mani alla gola, alla presenza della figlia più piccola in un'altra occasione, dopo un litigio, l'aveva colpita alla spalla mentre la donna lo pregava di rallentare mentre guidava, correndo e contromano spaventando i figli che si trovavano in auto con loro e, subito dopo, arrivati a casa, le aveva lanciato contro il bastone di una scopa che la donna era riuscita a scansare. Epiteti di ogni genere e rimproveri per come si occupava della casa e dei figli le erano costantemente rivolti e analogo comportamento il marito aveva tenuto, in più occasioni, nei confronti del figlio maggiore della coppia nato nel 2001. 1.1.Sulla scorta di siffatto racconto, molto più particolareggiato e ricco di episodi, valorizzando l'attendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, la Corte di appello ha correttamente ritenuto integrato il delitto di maltrattamenti nonché l'aggravante di cui all' articolo 61 c.p. , numero 11 quinquies. È noto che le dichiarazioni della persona offesa, anche se costituita parte civile e, dunque, portatrice di un interesse economico contrapposto a quello dell'imputato possono reggere la dichiarazione di colpevolezza quando siano sottoposte a rigoroso vaglio critico e senza la necessità di applicare le regole probatorie di cui all' articolo 192 c.p.p. , commi 3 e 4, che richiedono la presenza di riscontri esterni è, in tal caso, sufficiente che il controllo di attendibilità sia più rigoroso ed è solo opportuna, rimessa dunque al prudente apprezzamento del giudice, una più pregnante verifica con elementi di natura esterna. Nel caso in esame non solo i Giudici del merito hanno evidenziato la precisione e coerenza del racconto della parte civile ma hanno anche richiamato le dichiarazioni rese dai congiunti della donna che non erano solo testimoni de relato , in quanto destinatari delle confidenze della persona offesa, ma anche testimoni diretti del sistema di vessazioni alle quali l'imputato aveva sottoposto la moglie. 2.La sentenza impugnata, in risposta ad un preciso motivo di impugnazione che contestava la sussistenza del reato di maltrattamenti a fronte di singoli episodi di aggressione che si inserivano in una lunga relazione coniugale, ha evidenziato come la condotta dell'imputato non si è risolta nel mero inadempimento delle obbligazioni economiche su di lui gravanti come marito e come padre ovvero nella inosservanza cosciente e volontaria dell'obbligo di assistenza morale ed affettiva verso l'altro coniuge, obbligo, questo, che scaturisce dal vincolo matrimoniale e che ha la finalità di garantire che l'altro coniuge in caso di difficoltà non sia mai lasciato solo a se stesso venendo, così ad integrare la fattispecie di cui all' articolo 570 c.p. , comma 1. La Corte di merito, infatti, ha ritenuto configurabile il reato di maltrattamenti a fronte della persistente condotta di incuria dell'imputato, affatto riducibile ai periodi in cui l'imputato non svolgeva attività lavorativa di comportamenti non solo censurabili sul piano morale l'imputato ha ammesso di essere arrivato a rubare i soldi dal salvadanaio dei figli per giocare con le slot machine o procurarsi lo stupefacente ma leggendo l'una e gli altri, per la loro frequenza e reiterazione nel corso degli anni, come emblematici del disinteresse verso i bisogni affettivi ed esistenziali della moglie e reiteratamente omissivi agli obblighi di cura verso la moglie e i figli, condotte accompagnate da ingiurie, denigrazione, minacce verbali, sopraffazioni di ogni genere protrattisi per tutta la durata del rapporto coniugale e acuitisi nel corso degli anni giungendo alle vere e proprie aggressioni fisiche che la teste ha descritto. Si tratta di comportamenti che l'imputato ha ammesso giustificandoli con un carattere irascibile che hanno cagionato alla persona offesa uno stato di timore, e di vero e proprio assoggettamento al marito perché, come sottolineato nella sentenza impugnata pag. 16 la donna si era autoimposta la scelta di non reagire al fine di non correre il rischio della possibile reazione violenta dell'imputato, il che sostanzia un ulteriore aspetto di sopraffazione idoneo ad integrare l'elemento oggettivo del reato configurando un vero e proprio sistema di vita mortificante e vessatorio. I Giudici di appello hanno, invero, sottolineato che la condotta dell'imputato aveva assunto connotati di tale gravità da costituire, per il soggetto passivo, fonte abituale di sofferenze fisiche e morali integrando, così il delitto di maltrattamenti di cui all' articolo 572 c.p. , Sez. 6, numero 8650 del 09/07/1996, Fina, Rv. 205762 . 3.Manifestamente infondato è anche il primo motivo di ricorso poiché l'aggravante di cui all' articolo 61 c.p. , numero 11-quinquies, è integrata dalla circostanza che il minore assista ad uno dei fatti che si inseriscono nella condotta costituente reato Sez. 6, numero 2003 del 25/10/2018, dep. 2019, Z, Rv. 274924 e non è necessario che gli atti di violenza posti in essere alla presenza del minore rivestano il carattere dell'abitualità. Nella sentenza impugnata sono illustrati specifici episodi, occorsi soprattutto negli ultimi anni, in cui i figli minori della coppia nati il 2014 e il 2016 erano certamente presenti alle aggressioni fisiche consumate in danno della persona offesa, aggressioni che, come si è precisato, non possono essere lette, in ragione del contesto in cui si inerivano, come singoli episodi connotanti un fatto delittuoso autonomo rispetto al delitto di maltrattamenti ed al sistematico abuso che contrassegnava la relazione familiare. 4. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, che si stima equo liquidare come in dispositivo. L'imputato va condannato al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile secondo le prescrizioni recate dal dispositivo Sez. U, Ordinanza numero 5464 del 26/09/2019, dep. 2020, De Falco, Rv. 277760 . P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Firenze con separato decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 8 2 e 83 , disponendo il pagamento in favore dello Stato.