Omessa dichiarazione e competenza per territorio: quale funzionalità dirimente può avere la sede effettiva della società rispetto alla sede legale?

La competenza territoriale per i delitti in materia di dichiarazione riguardante le imposte relative alle persone giuridiche si determina, ai sensi dell’articolo 18 d.lgs. numero 74/2000, con riferimento al luogo in cui queste ultime hanno il domicilio fiscale che, di regola, coincide con quello della sede legale, ma che, ove questa risulti avere carattere meramente fittizio, corrisponde al luogo in cui si trova la sede effettiva dell’ente

Il caso. La Corte di Appello di Lecce – Sezione Distaccata di Taranto – confermava la sentenza con cui il Tribunale di Taranto aveva affermato la penale responsabilità di A.A. per il reato di cui all'articolo 5 del d.lgs. numero 74/2000 e lo aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia. Avverso la pronuncia de qua ricorreva per Cassazione l'imputato deducendo, tra gli altri motivi, violazione di legge con riferimento sia alla competenza per territorio che alla ritenuta colpevolezza dell'imputato, nonché mancata assunzione di una prova decisiva. La disciplina sulla competenza per territorio. La difesa rileva come, in applicazione della disciplina speciale sulla competenza territoriale per i reati tributari, ex articolo 18 del d.lgs. numero 74/2000, la stessa avrebbe dovuto radicarsi presso il luogo in cui il contribuente aveva il proprio domicilio fiscale – e non, come effettuato dai Giudici di merito, nel luogo di accertamento del reato – laddove, nel caso di specie, tale luogo avrebbe dovuto essere comunque identificato non con la meramente formale sede legale dell'impresa ma, ex adverso, con la sede effettiva della stessa. La Suprema Corte ha anzitutto precisato che il criterio primario di individuazione della competenza territoriale per la fattispecie delittuosa di cui all'articolo 5 del d.lgs. numero 74/2000 risulta essere quello del domicilio fiscale del contribuente, da intendersi tale non quello del legale rappresentante ma quello dell'ente collettivo, in quanto la dichiarazione la cui omissione risulta penalmente rilevante non è quella della persona fisica ma quella della persona giuridica. Inoltre, allorquando il domicilio fiscale dell'azienda, di regola coincidente con la sede legale, risulti meramente fittizio, lo stesso andrà conseguentemente identificato nel diverso luogo in cui si trova la sede effettiva della società, sempre che emergano elementi fattuali in tal senso funzionalmente concludenti. Nel caso di specie, la Corte di merito ha invece ritenuto di dover fare riferimento al criterio secondario di individuazione della competenza territoriale – ovvero il luogo di accertamento del reato – in quanto ha rilevato, da un lato, la evidente fittizietà della sede legale della società e, dall'altro, la impossibilità di individuare la sede effettiva della medesima, risultando in tale ottica inconcludenti e prive di pregnanza le prospettazioni fattuali difensive. La colpevolezza del legale rappresentante mero prestanome. La totale assenza di elementi fattuali specifici, concreti e rilevanti, che propendano verso la identificazione del legale rappresentate quale mero prestanome a fronte, invece, della asserita ma non dimostrata presenza di un amministratore di fatto quale unico deus ex machina, non può che determinare il rigetto del motivo di ricorso avente ad oggetto l'effettivo coinvolgimento dell'imputato nelle operazioni economiche da cui sono scaturiti gli obblighi dichiarativi e, per l'effetto, la dedotta assenza del di lui elemento psicologico del reato. I limiti al diritto alla prova contraria. Il ricorrente lamenta la mancata assunzione, nell'alveo del giudizio di seconde cure, di una serie di prove di ritenuta decisività a discarico, riferite all'acquisizione di documenti e testimonianze ed alla effettuazione di una perizia, elementi asseritamente in grado di confutare quelli ricavati dalla documentazione acquisita d'ufficio proprio dalla Corte di Appello. Ora, i Supremi Giudici chiariscono come nel caso di assunzione d'ufficio di nuovi mezzi di prova, anche qualora alla stessa si proceda in appello, sussiste il diritto delle parti all'ammissione di prova contraria, per tale dovendosi intendere quella diretta a contrastare od a mostrare sotto una diversa prospettiva lo stesso fatto oggetto della prova assunta d'ufficio o, comunque, ad illuminare aspetti di tale fatto rimasti oscuri od ambigui all'esito della nuova acquisizione, salvo che non si tratti di profili manifestamente superflui od irrilevanti. Ergo, il diritto in questione ha ad oggetto la ammissione delle sole prove a discarico, e non certamente il compimento di attività di ricerca della prova – alla quale, nel caso di specie, erano evidentemente tendenti le richieste di ulteriore acquisizione documentale e testimoniale avanzate dalla difesa – data la differenza strutturale tra le due categorie giuridiche. Mentre, in ogni caso, la perizia non rientra nella nozione di prova contraria, trattandosi di mezzo di prova neutro sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla sola discrezionalità del giudice, con la conseguenza che la relativa mancata acquisizione non è denunciabile mediante ricorso per cassazione.

Presidente Lapalorcia – Relatore Corbo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa in data 25 settembre 2020, la Corte di appello di Lecce, Sezione Distaccata di Taranto, ha confermato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Taranto che aveva dichiarato la penale responsabilità di A.A. per il reato di cui al D.Lgs. numero 74 del 2000, articolo 5 e lo aveva condannato alla pena di un anno di reclusione, con concessione delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alla recidiva reiterata. Secondo i giudici di merito, A.A., quale legale rappresentante della società SCF s.r.l. Import Export , al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, aveva omesso di presentare le dichiarazioni fiscali dovute per l'anno d'imposta 2010, con evasione pari a 2.698.918,00 Euro per I.R.E.S. e a 3.081.638,00 Euro per I.V.A 2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe A.A., con atto a firma degli avvocati Giuliano Calabrese e Gianvito Lillo, articolando sei motivi. 2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli articolo 178,180 e 185 c.p.p., articolo 552 c.p.p., comma 3, e articolo 143 disp. att. c.p.p., a norma dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lett. c , avendo riguardo alla nullità della notificazione del decreto di citazione a giudizio e, conseguentemente, alla nullità delle sentenze di primo e di secondo grado. Si premette che - il decreto di citazione a giudizio era stato notificato nel rispetto del termine a difesa di sessanta giorni solo all'avvocato Giuliano Calabrese, ma non anche all'avvocato Gianvito Lillo - all'udienza fissata, il 6 giugno 2017, l'avvocato Calabrese aveva proposto l'eccezione di nullità della notificazione del decreto di citazione a giudizio all'avvocato Lillo - il Tribunale, di conseguenza, aveva rinviato al 14 novembre 2017, concedendo un termine sufficiente, senza null'altro disporre - all'udienza del 14 novembre 2017, l'avvocato Calabrese aveva eccepito la nullità dell'udienza per la mancata notifica all'avvocato Lillo del provvedimento di rinvio o, comunque, dell'avviso di fissazione di udienza - il Tribunale aveva rigettato la questione, poi riproposta come primo motivo nell'atto di appello - la Corte d'appello aveva respinto il motivo di gravame appena indicato, osservando, da un lato, che quella di non comparire era una scelta volontaria del difensore per il quale non erano stati rispettati i termini a difesa, e, dall'altro, che, come si evince dal verbale, il co-difensore era presente anche in sostituzione dell'altro. Si deduce, con riferimento al primo argomento svolto dalla Corte d'appello, che la scelta di non comparire è la conseguenza della mancata citazione nel rispetto dei termini di legge, ed è quindi legittima, in quanto confidente nel rilievo officioso della nullità di ordine generale. Si deduce, poi, relativamente al secondo argomento del Giudice del gravame, che il difensore assente non può ritenersi sostituito a tutti gli effetti dal codifensore comparso al solo fine di eccepire la nullità, posta la mancata regolare costituzione delle parti e, quindi, l'impossibilità di applicare la disciplina di cui all'articolo 477 c.p.p., relativa al rinvio in prosecuzione del dibattimento, nonché la limitazione della nomina del sostituto al solo fine di eccepire la nullità si aggiunge che il codifensore presente non è stato nemmeno onerato di comunicare in rinvio dell'udienza all'assente. Si cita, a sostegno, un precedente che ha ravvisato la nullità in caso di omessa rinnovazione della notificazione ad imputato non raggiunto dalla tempestiva notifica del decreto di citazione a giudizio, escludendo che l'imputato possa ritenersi rappresentato dal suo difensore, presente in udienza, e che ha dedotto l'invalidità Sez. 1, numero 11/02/2020, numero 7417 . Si conclude, quindi, che la indicata nullità impone annullamento di entrambe le sentenze di merito, con rinvio ex articolo 623 c.p.p 2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli articolo 8 e 9 c.p.p. e D.Lgs. numero 74 del 2000, articolo 18 a norma dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lett. b , avendo riguardo alla competenza per territorio. Si deduce che, procedendosi per il reato di cui al D.Lgs. numero 74 del 2000, articolo 5 avrebbe dovuto farsi riferimento, a norma dell'articolo 18 D.Lgs. cit., al luogo in cui il contribuente ha domicilio fiscale, da identificare non in quello in cui è presente la sede legale dell'ente la cui dichiarazione è stata omessa, ma in quello in cui detto ente ha la sede effettiva, nel caso di specie accertata essere in Ostuni, rientrante nel circondario del Tribunale di Brindisi, e non in Taranto si citano Sez. 3, numero 20504 del 19/02/2014, e Sez. 3, numero 27606 del 14/09/2020, per il principio di diritto, nonché l'avviso di accertamento dell'Agenzia delle Entrate acquisito al fascicolo, per il profilo fattuale . Si rappresenta che erroneamente i giudici di merito hanno individuato la competenza ritenendo che, in assenza di domicilio fiscale certo, occorre riferirsi al luogo di accertamento. Si premette che il criterio della sede effettiva è agevolmente applicabile nel caso di specie, perché l'impresa sottoposta a verifica è una società unipersonale con socio ed amministratore unico con residenza in Ostuni, e che, come ammesso in udienza dalla funzionaria dell'Amministrazione finanziaria, il riferimento a merce trasportata da Ostuni, effettuato nell'avviso di accertamento, era stato desunto da documenti di trasporto. Si osserva, poi, che, ove si ritenesse dubbia l'individuazione del domicilio fiscale effettivo, il criterio non può essere quello di cui al D.Lgs. numero 74 del 2000, articolo 18, comma 1, ossia il luogo di accertamento del fatto, ma occorrerebbe fare riferimento all'articolo 9 c.p.p., e, precisamente, non offrendo indicazioni utili il comma 1, al comma 2, il quale indirizza verso la residenza dell'imputato, appunto in Ostuni. Si segnala, in proposito, che il precedente giurisprudenziale richiamato dalla Corte d'appello Sez. 3, numero 17060 del 10/01/2019 , secondo cui primo criterio sussidiario utile in caso di inapplicabilità di quello di cui al D.Lgs. numero 74 del 2000, articolo 18, comma 2, non è pertinente perché relativo al reato di cui all'articolo 10-ter D.Lgs. cit., ossia ad una fattispecie non prevista dal capo I del titolo II del medesimo D.Lgs., ed alla quale, quindi, non si riferisce già il criterio principale di cui all'articolo 18, comma 2, cit. Si precisa, quindi, che, per i reati di cui al D.Lgs. numero 74 del 2000, articolo 18, comma 2, l'inapplicabilità del criterio del luogo di accertamento, fissato dall'articolo 18, comma 1, D.Lgs. cit., discende proprio da quest'ultima disposizione, la quale apre con la formula Salvo quanto previsto dai commi 2 e 3 . 2.3. Con il terzo motivo, si denuncia vizio di motivazione e mancata assunzione di prova decisiva, a norma dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lett. d ed e , avendo riguardo alla mancata assunzione di prova decisiva a discarico nel giudizio di appello. Si premette che la Corte d'appello, di ufficio, ha acquisito, con provvedimento di rinnovazione istruttoria, la documentazione utilizzata dall'Agenzia delle Entrate per l'attività di accertamento, ed è così emerso come questa consistesse in questionari formati su moduli prestampati dopo la consumazione del reato, e nel corso dell'accertamento fiscale, contenenti risposte dei legali rappresentanti delle ditte fornitrici, nonché altri atti allegati in copia. Si rappresenta, poi, che si era chiesto di formulare richieste di prova a norma dell'articolo 495 c.p.p., comma 2, avendo riguardo all'integrazione della documentazione incompleta e all'esame testimoniale dei soggetti che avevano reso le risposte scritte nei questionari, nonché ad una perizia avente ad oggetto l'individuazione dell'esatto ammontare dell'imposta evasa, e che, però, la Corte d'appello, aveva risposto negativamente, osservando che le prove acquisite non erano sopravvenute, facendo le stesse parte degli accertamenti dell'Agenzia delle Entrate acquisiti in primo grado, che le istanze istruttorie avevano un oggetto diverso rispetto al presupposto dell'imputazione, e che i questionari acquisiti costituivano elementi a favore dell'imputato. Si evidenzia che, in questo modo, il Giudice del gravame - non si è confrontato con le criticità denunciate dalla difesa con la memoria contenente le richieste di prova, relative all'assenza di alcuni questionari, o alla mancata sottoscrizione o illeggibilità degli stessi, o al difetto di documenti comprovanti l'esistenza delle operazioni ovvero alla loro tracciabilità economica e riconducibilità al ricorrente - ha trascurato di considerare come quella documentazione fosse stata acquisita proprio in forza dell'ordinanza pronuncia di ufficio da esso medesimo, e, quindi, mai esaminata in precedenza dalla difesa - ha omesso di spiegare perché le istanze istruttorie siano da ritenere riferite ad un oggetto diverso rispetto al presupposto dell'imputazione e perché i questionari acquisiti costituiscano elementi a favore dell'imputato, tanto più se si considera il contenuto della motivazione della conferma della colpevolezza, fondata proprio su tale documentazione. Si deduce, in sintesi, che l'imputato non ha avuto possibilità di fornire prova contraria, in particolare con riferimento alla riconducibilità a lui delle operazioni formalmente attribuibili alla società e all'esatto ammontare dell'imposta evasa. 2.4. Con il quarto motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento al D.Lgs. numero 74 del 2000, articolo 5 e articolo 42 c.p., comma 2, a norma dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lett. b , avendo riguardo alla ritenuta colpevolezza dell'imputato. Si deduce che la sentenza impugnata, come già quella di primo grado, non ha risposto ai rilievi difensivi circa l'assenza di prova tanto in ordine al coinvolgimento reale ed effettivo dell'imputato nelle operazioni economiche dalle quali sarebbero scaturiti gli obblighi di dichiarazione, quanto relativamente alla consapevolezza del medesimo circa la realtà economica riferibile alla società, e, quindi, all'esistenza di elementi dai quali inferire la sua colpevolezza per l'omessa presentazione delle dichiarazioni. Si richiamano, in proposito, gli orientamenti giurisprudenziali secondo cui del reato di cui al D.Lgs. numero 74 del 2000, articolo 5 risponde innanzitutto l'amministratore di fatto si citano Sez. 3, numero 41259 del 17/01/2018 Sez. 3, numero 26468 del 08/05/2014 Sez. 3, numero 23425 del 28/04/2011 , mentre il prestanome può essere ritenuto colpevole solo se emergono elementi fattuali idonei a dimostrare che anch'egli abbia agito con il dolo specifico richiesto dalla disposizione incriminatrice si cita Sez. 3, numero 36474 del 07/06/2019 , non essendo sufficiente una mera culpa in vigilando si cita Sez. 3, numero 31343 del 27/06/2019 . 2.5. Con il quinto motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento al D.Lgs. numero 74 del 2000, articolo 5 e articolo 640 c.p., comma 2, a norma dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lett. b , avendo riguardo alla qualificazione del fatto come omessa dichiarazione invece che come truffa. Si deduce che l'evasione di imposta è stata determinata dalla presentazione delle lettere d'intento con le quali la società dell'imputato si definiva esportatore abituale , al fine di beneficiare della possibilità di acquistare in esenzione di I.V.A., a norma del D.P.R. numero 633 del 1972, articolo 8, comma 1, lett. c , e che, nonostante specifica censura nell'atto di appello, nulla ha risposto il Giudice del gravame. Si aggiunge che, anzi, la stessa sentenza impugnata rappresenta che l'evasione è stata realizzata utilizzando dichiarazioni d'intenti emesse in frode alla legge , e, di conseguenza, riconosce il ricorso ad un artificio o raggiro determinativo di induzione in errore dei fornitori e di ingiusto profitto ai danni dell'Erario. Si segnala che la condotta di impiego dell'espediente della simulata qualità di esportatore abituale al fine di conseguire il regime agevolato dell'I.V.A. sulle merci acquistate è stata ritenuta integrare gli estremi del reato di truffa aggravata si cita Sez. 5, numero 21307 del 22/03/2005 . 2.6. Con il sesto motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all'articolo 99 c.p., nonché vizio di motivazione, a norma dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lett. b ed e , avendo riguardo all'applicazione della recidiva. Si deduce che la sentenza impugnata non offre sul punto una motivazione adeguata , perché non tiene conto né della datata collocazione temporale dei precedenti, né della loro eterogeneità rispetto al fatto in contestazione, né dell'assenza di ulteriori elementi significativi in proposito, e, quindi, ricorre ad una motivazione di stile. Considerato in diritto 1. Il ricorso è nel complesso infondato per le ragioni di seguito precisate. 2. Infondate sono le censure esposte nel primo motivo, e che contestano la nullità del giudizio di primo grado, per il mancato rispetto del termine a difesa di sessanta giorni nei confronti di uno dei due difensori, deducendo che il difensore non ritualmente avvisato ed assente non può ritenersi sostituito dal collega presente in occasione dell'udienza in cui si era preso atto della inosservanza del termine nei confronti dell'assente ed era stato disposto rinvio ad oltre sessanta giorni mediante semplice avviso orale in udienza, solo perché l'assente ha delegato il co-difensore ad eccepire la nullità. 2.1. Per l'esame della questione, è utile indicare, in via preliminare, i fatti processuali rilevanti e non controversi. La prima udienza del giudizio di primo grado era stata fissata per il 6 giugno 2017. Dal relativo verbale di udienza, risulta che - erano stati nominati difensori di fiducia dell'imputato sia l'avvocato Gianvito Lillo, sia l'avvocato Giuliano Calabrese - l'avvocato Lillo era assente, mentre l'avvocato Calabrese era presente anche in sostituzione del 1 ossia dell'avvocato Lilla, indicato per primo nel precisato verbale - l'avvocato Calabrese aveva dedotto il mancato rispetto del termine a difesa nei confronti dell'avvocato Lilla - il Tribunale aveva rinviato all'udienza del 14 novembre 2017. La successiva udienza si era effettivamente tenuta il 14 novembre 2017. Dal relativo verbale di udienza, risulta che - l'avvocato Lilla era assente, mentre l'avvocato Calabrese era presente anche in sostituzione dell'avv. Lilla - l'avvocato Calabrese aveva dedotto il mancato rispetto del termine a difesa nei confronti dell'avvocato Lilla - il Tribunale aveva respinto l'eccezione, ritenendo che non spettasse all'avvocato Lilla una nuova notifica del decreto di citazione a giudizio, in quanto sostituito in udienza dall'avvocato Calabrese. 2.2. Il dato dirimente ai fini della decisione della questione è costituito dalla presenza dell'avvocato Calabrese all'udienza del 6 giugno 2019, anche in sostituzione dell'avvocato Lillo. Invero, secondo un principio ripetutamente enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, il sostituto del difensore esercita i diritti e assume i doveri del titolare a norma dell'articolo 102 c.p.p., sicché, non rilevano eventuali limitazioni apposte alla sua designazione così, tra le altre, Sez. 3, numero 7458 del 15/01/2008, Barranca, Rv. 239010-01, che ha ritenuto legittimo il rigetto di richiesta di rinvio del processo formulata dal sostituto per impedimento del titolare stante l'irrilevanza del conferimento espresso del solo incarico di formulazione di una tale richiesta, nonché Sez. 2, numero 40230 del 28/09/2005, Rizzo, Rv. 23266301 . A fondamento di questo principio, più decisioni hanno persuasivamente evidenziato che in tema di nomina del sostituto, l'articolo 102 c.p.p. non riconosce alcuna rilevanza ad eventuali limitazioni apposte dal difensore di fiducia ai poteri del sostituto, prevedendo che quest'ultimo possa esercitare tutti i diritti assumendo altresì i doveri del difensore così Sez. 2, numero 40230 del 2005, cit., ma già, in termini pressoché identici, Sez. 5, numero 14115 del 10/11/1999, Di Prenda, Rv. 216105-01 . In ogni caso, poi, la nomina in sostituzione di un difensore per far valere il mancato rispetto del termine a comparire non può essere circoscritta fino al punto da escluderne l'estensione alla ricezione dell'avviso relativo alla data della nuova udienza, fissata proprio in accoglimento di tale eccezione, salvo l'evidenziazione di specifiche ed effettive ragioni, nella specie neppure prospettate. Occorre infatti considerare la strettissima connessione funzionale tra la deduzione della violazione del termine da parte del difensore, e quindi anche del suo sostituto, il rilievo di tale violazione da parte del giudice, e la fissazione della nuova udienza. In conseguenza di ciò, nei caso di nomina in sostituzione del difensore per far valere la violazione del termine a comparire, l'esclusione, dagli effetti di tale nomina, della legittimazione del sostituto a ricevere l'avviso relativo alla data della nuova udienza per conto del sostituito, salvo l'esistenza di specifiche ed effettive ragioni, risulta obiettivamente artificiosa e tale da integrare un abuso del processo. Secondo la nozione formulata dalle Sezioni Unite, in effetti, l'abuso del processo consiste in un vizio, per sviamento, della funzione, ovvero in una frode alla funzione, e si realizza allorché un diritto o una facoltà processuali sono esercitati per scopi diversi da quelli per i quali l'ordinamento processuale astrattamente li riconosce all'imputato, il quale non può in tale caso invocare la tutela di interessi che non sono stati lesi e che non erano in realtà effettivamente perseguiti cfr. Sez. U, numero 155 del 29/09/2011, Rossi, Rv. 251496-01 . 2.3. Ne' a questa soluzione è di ostacolo il rilievo secondo cui, per effetto della violazione del termine a comparire nei confronti di un difensore, non vi era stata regolare costituzione delle parti e, quindi, sarebbe inapplicabile la disciplina di cui all'articolo 477 c.p.p., la quale prevede avvisi orali per la comunicazione della nuova data di udienza di prosecuzione del dibattimento. Innanzitutto, infatti, deve osservarsi che l'articolo 477 c.p.p. è previsione normativa costituente espressione di un principio più generale, fissato dall'articolo 148 c.p.p., comma 5. Precisamente, quest'ultima disposizione, dettata nell'ambito della disciplina generale degli atti e delle notificazioni, e per la cui applicazione non sono previsti limiti collegati a fasi del procedimento o del processo, stabilisce La lettura dei provvedimenti alle persone presenti e gli avvisi che sono dati dal giudice verbalmente agli interessati in loro presenza, sostituiscono le notificazioni, perché ne sia fatta menzione nel verbale . Inoltre, una puntuale applicazione della regola generale appena richiamata in una fase del giudizio anteriore all'apertura del dibattimento è rinvenibile in relazione al caso, marcatamente analogo, di imputato assente il quale abbia ricevuto la notificazione del decreto di citazione in giudizio, ma senza il rispetto del termine dilatorio per comparire. Costituisce principio ripetutamente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità quello secondo cui, nel caso in cui all'imputato sia stato regolarmente notificato il decreto di citazione per il giudizio di appello, ma non sia stato osservato il termine dilatorio per comparire di cui all'articolo 601 c.p.p., nessuna nullità si verifica ove il giudice rinvii preliminarmente il processo ad altra udienza, concedendo per intero un nuovo termine di sessanta giorni, senza disporre la notificazione dell'ordinanza di rinvio all'imputato assente, in quanto l'avviso orale della successiva udienza rivolto al difensore vale anche come comunicazione all'interessato, spettando al primo la rappresentanza del proprio assistito cfr., tra le tante, Sez. 5, numero 8896 del 18/01/2021, Mottarlini, Rv. 281136-01, e Sez. 2, numero 11986 del 05/02/2020, Borsani, Rv. 278832-01 . 3. Infondate sono anche le censure esposte nel secondo motivo, e che criticano l'individuazione della competenza per territorio sulla base del criterio residuale del luogo di accertamento, deducendo che sarebbe stato possibile far ricorso al criterio principale del domicilio reale, da individuarsi in un luogo ubicato nel circondarlo di Brindisi, e che, in ogni caso, per i delitti di cui al capo I del Titolo II del D.Lgs. numero 74 del 2000, non è applicabile il criterio residuale del luogo di accertamento, sicché, non potendo farsi riferimento ai criteri di cui all'articolo 8 c.p.p. per pratica impossibilità, occorrerebbe avere riguardo alle regole suppletive di cui all'articolo 9 c.p.p., e, segnatamente, a quello della residenza dell'imputato, anch'essa in un Comune sito nel circondario di Brindisi. 3.1. Nel presente processo, la competenza per territorio è stata determinata sulla base del luogo di accertamento del reato, in Taranto. Il processo ha ad oggetto esclusivamente il reato di omessa dichiarazione di cui al D.Lgs. numero 74 del 2000, articolo 5 come tale previsto nel capo I del titolo II del medesimo D.Lgs La disciplina fondamentale di riferimento è costituita dal D.Lgs. numero 74 del 2000, articolo 18 rubricato competenza per territorio . Questa disposizione, al comma 1, prevede Salvo quanto previsto dai commi 2 e 3, se la competenza per territorio per i delitti previsti dal presente decreto non può essere determinata a norma dell'articolo 8 c.p.p., è competente il giudice del luogo di accertamento del reato . Al comma 2, poi, stabilisce Per i delitti previsti dal capo I del titolo II il reato si considera consumato nel luogo in cui il contribuente ha il domicilio fiscale. Se il domicilio fiscale è all'estero è competente il giudice del luogo di accertamento del reato . Al comma 3, infine, detta una specifica disciplina per il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, quando ricorre l'ipotesi contemplata dal D.Lgs. numero 74 del 2000, articolo 8, comma 2. 3.2. In considerazione della disciplina appena indicata, è fuori discussione che, per i delitti previsti dal capo I del titolo II, e quindi anche per la fattispecie di cui al D.Lgs. numero 74 del 2000, articolo 5 il primo criterio da applicare per l'individuazione della competenza per territorio è il luogo in cui il contribuente ha il domicilio fiscale. Ciò posto, per domicilio fiscale del contribuente, nel caso di delitti in materia di dichiarazioni concernenti le imposte relative alle persone giuridiche, si intende non quello del legale rappresentante, ma quello dell'ente collettivo. In questo senso depongono sia la lettera della legge che fa riferimento al contribuente , sia esigenze di razionalità e praticità, perché, nelle ipotesi in esame, la dichiarazione, presentata od omessa, che rileva ai fini della configurabilità di uno dei delitti previsti dal capo I del titolo II del D.Lgs. numero 74 del 2000, è quella della persona giuridica. E in questo senso risulta orientata la giurisprudenza, secondo la quale, in tema di reati tributari, la competenza territoriale per i delitti in materia di dichiarazione riguardante le imposte relative alle persone giuridiche si determina, ai sensi del D.Lgs. 10 marzo 2000, numero 74, articolo 18, con riferimento al luogo in cui queste ultime hanno il domicilio fiscale, che, di regola, coincide con quello della sede legale, ma che, ove questa risulti avere carattere meramente fittizio, corrisponde al luogo in cui si trova la sede effettiva dell'ente così, in particolare, Sez. 3, numero 27606 del 14/09/2020, Di Leo, Rv. 280275-01, e Sez. 3, numero 20504 del 19/02/2014, Cederna, Rv. 259783-01 . 3.3. Il criterio del luogo in cui il contribuente ha il domicilio fiscale, però, nella specie, è stato ritenuto inapplicabile. Invero, la sede legale della società SCF SRL IMPORT EXPORT , di cui era legale rappresentante l'imputato, era ubicata proprio in Taranto. Tuttavia, la Corte d'appello ha ritenuto di dover fare ricorso al criterio residuale del luogo di accertamento del reato, sul presupposto della fittizietà della sede legale, posto che la società era risultata sconosciuta all'indirizzo indicato in Taranto, e della impossibilità di individuare la sede effettiva. La valutazione della Corte d'appello in ordine alla impossibilità di individuare la sede effettiva della SCF SRL IMPORT EXPORT non può essere messa in discussione in questa sede solo perché detta società era unipersonale, con socio ed amministratore unico residente in Ostuni, Comune sito nel circondario del Tribunale di Brindisi, e perché, secondo alcuni documenti di trasporto, vi sarebbe stata merce proveniente da quel Comune. I rilievi della difesa, infatti, sono generici, e poco concludenti. Invero, la residenza del socio ed amministratore unico di una società a responsabilità limitata costituisce un dato in sé scarsamente significativo ai fini dell'individuazione della sede della persona giuridica, posto che, per definizione, una società di capitali, quale appunto una società a responsabilità limitata, si distingue nettamente dalle persone che la costituiscono e la gestiscono. Il luogo di provenienza di parte della merce di pertinenza di una società da un determinato luogo, poi, in difetto di ulteriori specificazioni, è circostanza ancor meno rilevante ai fini dell'accertamento della sede effettiva di detto ente. Del resto, nello stesso ricorso, si trascrive una parte della deposizione del funzionario dell'Agenzia delle Entrate, dalla quale si evince che, nell'ambito degli accertamenti dell'Amministrazione finanziaria non fu possibile accertare quale fosse la sede effettiva dell'ente, e che solo su qualche documento di trasporto ero indicato come luogo di provenienza della merce Ostuni. 3.4. Posta l'inapplicabilità del criterio prioritario di individuazione della competenza per territorio, ossia del domicilio fiscale del contribuente, deve rilevarsi che correttamente si è individuato come parametro di riferimento cui fare ricorso quello previsto dal D.Lgs. numero 74 del 2000, articolo 18, comma 1, ossia quello del luogo di accertamento del reato. Innanzitutto, occorre precisare che il criterio previsto dal D.Lgs. numero 74 del 2000, articolo 18, comma 1, è applicabile anche ai delitti di cui al capo I del titolo II del medesimo D.Lgs L'utilizzabilità del parametro in questione, in effetti, non è esclusa dalla parte iniziale dell'articolo 18 cit., comma 1 laddove si premette Salvo quanto previsto dai commi 2 e 3 . Questo inciso, infatti, secondo il suo significato letterale, preclude il ricorso ai criteri indicati dall'articolo 18 cit., comma 1 quando è possibile applicare le disposizioni di cui ai successivi commi 2 e 3, ossia quando ricorrono le ipotesi ivi descritte, ma non in ogni caso in cui vengono in rilievo le fattispecie di reato in essi richiamate. Sono invece ravvisabili significativi elementi testuali e sistematici che depongono per l'applicabilità del criterio di cui al D.Lgs. numero 74 del 2000, articolo 18, comma 1, anche ai delitti di cui al capo I del titolo II del medesimo D.Lgs In primo luogo, il medesimo articolo 18, comma 1, cit., laddove stabilisce l'area di applicazione del parametro del luogo di accertamento, fa riferimento ai delitti previsti dal presente decreto , in generale e senza alcuna distinzione o limitazione. In secondo luogo, ancor più significativamente, l'articolo 18, comma 2, D.Lgs. cit., dopo aver previsto che per i delitti di cui al capo I del titolo II del medesimo D.Lgs. il reato si considera consumato nel luogo in cui il contribuente ha il domicilio fiscale, precisa Se il domicilio fiscale è all'estero è competente il giudice del luogo di accertamento del reato questa previsione, in effetti, evidenzia che, in caso di impossibilità di ricorrere al criterio della sede del contribuente, il primo parametro di riferimento per l'individuazione della competenza per territorio è proprio quello del luogo di accertamento del reato. Una volta esclusa l'applicabilità del criterio del domicilio fiscale del contribuente, ed affermata l'ammissibilità del ricorso al parametro previsto dal D.Lgs. numero 74 del 2000, articolo 18, comma 1, anche per i delitti di cui al capo I del titolo II del medesimo D.Lgs., e, quindi, per quello che interessa nella specie, al reato di omessa dichiarazione, deve negarsi che venga in rilievo una diversa regola di attribuzione della competenza.   Invero, il D.Lgs. numero 74 del 2000, articolo 18, comma 1, prevede l'applicazione del criterio del luogo di accertamento quando non sia possibile far ricorso ai parametri del domicilio fiscale del contribuente, ovvero a quelli di cui all'articolo 8 c.p.p Ora, quest'ultima disposizione ha riguardo al luogo di consumazione del reato. Nel delitto di omessa dichiarazione, però, il luogo di consumazione del reato, che è quello in cui dovrebbe essere presentata la dichiarazione, non risulta identificabile lo stesso, infatti, corrisponde all'intero territorio nazionale, in quanto la presentazione delle dichiarazioni IRES e IVA, pure secondo le disposizioni vigenti già nel 2011, è effettuabile in via telematica, mediante collegamento al sito dell'Agenzia delle Entrate. 4. Infondate, ancora, sono le censure enunciate nel terzo motivo, e che lamentano la mancata assunzione di prova decisiva a discarico nel giudizio di secondo grado, con riferimento all'acquisizione di documenti, testimonianze e perizia per confutare gli elementi desunti dalla documentazione acquisita di ufficio dalla Corte d'appello. 4.1. Secondo un principio diffuso in giurisprudenza, in caso di assunzione di ufficio di nuovi mezzi di prova, anche qualora alla stessa si proceda in appello, sussiste il diritto delle parti all'ammissione della prova contraria, per tale dovendosi intendere quella diretta a contrastare o a mostrare sotto una diversa prospettiva lo stesso fatto oggetto della prova assunta d'ufficio, o comunque ad illuminare aspetti di tale fatto rimasti oscuri o ambigui all'esito della nuova acquisizione, salvo che non si tratti di profili manifestamente superflui o irrilevanti così Sez. 6, numero 15912 del 28/01/2015, Palermita, Rv. 263120-01, nonché Sez. 6, numero 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254585-01 . Di conseguenza, il diritto alla prova contraria anche in appello è riconosciuto, ma incontra dei limiti. Innanzitutto, il diritto alla prova contraria non è illimitato, bensì soggetto ad una valutazione di non superfluità e di non irrilevanza, secondo quanto previsto dall'articolo 190 c.p.p Inoltre, il diritto in questione, a norma dell'articolo 495 c.p.p., comma 2, ha ad oggetto la ammissione delle prove indicate a discarico , e non certo il compimento di attività di ricerca della prova, data la differenza strutturale tra le due categorie giuridiche. Ed attività di ricerca della prova, non prove , sono le richieste di blocchi di documenti ad una pluralità di soggetti pubblici o privati, per compiere una verifica in ordine alle copie di tali documenti, già disponibili agli atti del processo. Va inoltre precisato che l'esclusione del diritto di cui all'articolo 495 c.p.p., comma 2, con riferimento al compimento di attività di ricerca della prova non significa esclusione del diritto di produrre direttamente i documenti ritenuti rilevanti, ed eventualmente acquisiti mediante lo svolgimento di indagini difensive, né preclude la possibilità di dedurre incongruenze o lacune degli elementi istruttori a disposizione del giudice. Ancora, secondo il costante insegnamento della giurisprudenza, recentemente ribadito dalle Sezioni Unite, la perizia non rientra nella nozione di prova contraria la cui acquisizione è doverosa a norma dell'articolo 495 c.p.p., comma 2, e la cui mancata acquisizione è denunciabile mediante ricorso per cassazione Sez. U, numero 39746 del 23/03/2017, A, Rv. 270936-01 . Si è infatti precisato che la mancata effettuazione di un accertamento peritale non può costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lett. d , in quanto la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, trattandosi di un mezzo di prova neutro , sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, laddove l'articolo citato, attraverso il richiamo all'articolo 495 c.p.p., comma 2, si riferisce esclusivamente alle prove a discarico che abbiano carattere di decisività. 4.2. Nella specie, la violazione del diritto all'ammissione della prova contraria è stata prospettata con riferimento alla documentazione posta a base degli accertamenti dell'Amministrazione finanziaria, acquisita di ufficio dalla Corte d'appello, a verifica di quanto illustrato nel verbale di accertamento redatto dall'Agenzia delle Entrate. La documentazione acquisita di ufficio dal Giudice di secondo grado è costituita da fatture, documenti di trasporto, lettere d'intenti e questionari compilati dai legali rappresentanti delle ditte fornitrici. La difesa dell'odierno ricorrente ha chiesto alla Corte d'appello di acquisire in originale tale documentazione, di esaminare come testimoni i legali rappresentanti delle ditte fornitrici e di disporre l'espletamento di perizia contabile. Il Giudice del gravame ha respinto le precisate istanze istruttorie, in quanto relative ad attività non necessaria ai fini del decidere e sostanzialmente dilatoria , evidenziando, tra l'altro, che - tutta la documentazione di cui si chiede l'acquisizione in originale è o dovrebbe essere, ad eccezione dei formulari, nella disponibilità dell'imputato, in quanto da lui emessa o ricevuta - gli originali delle fatture sono disponibili solo presso la ditta del ricorrente e presso le ditte fornitrici - i documenti di trasporto e le dichiarazioni d'intento sono stati trasmessi, come previsto dalla legge, all'Anagrafe Tributaria - i documenti relativi alle transazioni con l'estero sono stati trasmessi al sistema di interscambio denominato VIES, per cui non vi è un documento cartaceo in originale. 4.3. In considerazione dei principi giuridici applicabili e dei dati processualmente rilevanti, la decisione della Corte di respingere le istanze istruttorie avanzate dalla difesa dell'imputato risulta immune da vizi. Per quanto concerne la richiesta di acquisire in originale la documentazione, ossia fatture, documenti di trasporto, lettere d'intenti e questionari compilati dai legali rappresentanti delle ditte fornitrici, è sufficiente considerare che la stessa ha ad oggetto un'attività di ricerca della prova. Si può aggiungere, anzi, che tale attività di ricerca della prova è richiesta essenzialmente ai fini di una verifica delle copie già acquisite in atti, e sulla base di una esigenza prospettata, almeno nel ricorso, in termini generali, e non con riguardo a specifici documenti. Ancora, la difesa avrebbe potuto agevolmente chiedere copia dei documenti e delle risultanze disponibili presso le strutture pubbliche e, poi, eventualmente, segnalare discrasie obiettivamente meritevoli di approfondimento. Con riguardo alla richiesta di perizia, è sufficiente richiamare il principio giurisprudenziale ribadito dalle Sezioni Unite, secondo cui detto mezzo istruttorio non rientra nella nozione di prova contraria la cui acquisizione è doverosa a norma dell'articolo 495 c.p.p., comma 2, e la cui mancata acquisizione è denunciabile mediante ricorso per cassazione. Relativamente alla richiesta di assunzione delle testimonianze dei legali rappresentanti delle ditte fornitrici o che hanno risposto al questionario, va rilevata la sostanziale superfluità di tale mezzo di prova. Ed infatti, la Corte d'appello evidenzia come, già solo dall'esame delle fatture di acquisto e delle lettere di intenti, fosse possibile inferire un'evasione d'IVA, da parte della società di cui era legale rappresentante l'odierno ricorrente, per un importo pari a 928.263,00 Euro, ossia superiore di oltre diciotto volte l'attuale soglia di punibilità, con riferimento agli acquisiti di merce sul territorio nazionale. La medesima Corte d'appello, inoltre, rappresenta che l'importo complessivo dell'IVA evasa, pari a 3.081.368,00 Euro, deve essere desunto prendendo in considerazione anche i documenti di trasporto della merce verso l'Inghilterra, nonché fatture di vendita ad altri clienti si cita, come esempio, la fattura numero 258 relativa alla vendita di vino per un importo di 205.000,00 Euro, con 41.000,00 Euro di IVA evasa . 5. Del tutto prive di specificità sono le censure proposte con il quarto motivo, e che assumono l'assenza di prove circa il coinvolgimento effettivo dell'imputato nelle operazioni economiche da cui sono scaturiti gli obblighi di dichiarazione, nonché circa la consapevolezza dell'entità di tali operazioni, e, quindi, il difetto di prove in ordine alla colpevolezza dell'imputato. Queste censure, in effetti, presuppongono che l'odierno ricorrente fosse un mero prestanome della società SCF SRL IMPORT EXPORT . Tuttavia, le stesse, già quando sono state presentate in sede di merito, sono state meramente enunciate in termini generici, senza alcun riferimento a circostanze od elementi specifici, come puntualmente sottolineato nella sentenza impugnata, la quale osserva che . l'ipotesi dell'esistenza di un amministratore di fatto e' sfornita di qualsiasi addentellato concreto . Si può aggiungere che l'esigenza di indicare elementi specifici a sostegno dell'ipotesi che l'odierno ricorrente fosse un mero prestanome risulta dai dati fattuali segnalati dalla Corte d'appello. Invero, il Giudice del gravame rappresenta che l'imputato dal 2009 e fino al 2016, data dell'accertamento, è stato il legale rappresentante della SCF SRL IMPORT EXPORT , nonché il proprietario dell'intero capitale sociale della stessa. Di conseguenza, non è manifestamente illogico, anzi del tutto ragionevole, ritenere, in assenza di qualunque elemento di segno contrario, che l'odierno ricorrente sia stato pienamente coinvolto nella gestione della società per la quale non ha presentato le dichiarazioni, e, quindi, consapevole dell'entità di tali operazioni e della conseguente evasione fiscale realizzata. 5. Manifestamente infondate sono le censure prospettate con il quinto motivo, e che contestano la qualificazione del fatto come reato di omessa dichiarazione, a norma del D.Lgs. numero 74 del 2000, articolo 5 invece che come truffa aggravata, evidenziando che l'evasione fiscale è stata realizzata mediante dichiarazioni di intenti mendaci. Va premesso che la questione appena sintetizzata, pur non essendo stata dedotta con i motivi di appello, deve essere esaminata in questa sede. Invero, la questione concernente la corretta qualificazione giuridica del fatto, in quanto tema strettamente giuridico, è rilevabile di ufficio dalla Corte di cassazione ex articolo 609 c.p.p., comma 2, se l'impugnazione è ammissibile e nei limiti in cui la sua soluzione non implica accertamenti di fatto cfr., in questo senso, tra le altre, Sez. 2, numero 17235 del 17/01/2018, Tucci, Rv. 272651-01, e Sez. 1, numero 13387 del 16/05/2013, dep. 2014, Rossi, Rv. 259730-01 . Ciò posto, la questione è manifestamente infondata perché i profili fattuali indicati nel ricorso per ottenere una diversa qualificazione giuridica della vicenda come truffa sono in realtà del tutto distinti da quelli che assumono rilievo ai fini della configurabilità del reato di omessa dichiarazione, sicché vi è completa diversità ontologica ed autonomia tra le due condotte. Invero, i fatti evidenziati nel ricorso sono quelli costituiti dalla formazione ed utilizzazione delle false dichiarazioni di intenti. Ora, queste false dichiarazioni di intenti, ai fini dell'inganno dal quale discende il profitto, presuppongono o, in alternativa, prescindono totalmente dalla presentazione o meno di una dichiarazione fiscale, e, comunque, le operazioni ad esse collegate potrebbero essere riportate nella dichiarazione senza che tale indicazione determini un'attenuazione della loro efficacia decettiva. Precisamente, se si ritiene che l'inganno ed il profitto si perfezionano con la maturazione del credito fiscale, occorre considerare che l'esenzione dall'IVA avviene a seguito di un complesso procedimento, il quale richiede proprio l'esposizione delle operazioni effettuate sulla base delle lettere di intento nella pertinente dichiarazione fiscale. Il procedimento in questione, infatti, si caratterizza per - l'invio all'Amministrazione finanziaria competente dell'apposito modello per la dichiarazione di intento - la consegna al fornitore della dichiarazione di intento - l'annotazione dell'operazione nell'apposito registro - l'indicazione nella dichiarazione ai fini IVA, precisamente nel quadro VC, sia delle modalità di determinazione del plafond, ovvero dell'importo utilizzabile per gli acquisiti in esenzione della precisata imposta, sia del concreto utilizzo di tale plafond. Se, poi, si volesse sostenere che l'inganno ed il profitto si realizzano già attraverso l'acquisto dei beni o servizi senza applicazione dell'IVA dal fornitore, è agevole osservare che la presentazione della dichiarazione fiscale è del tutto irrilevante. Invero, al fine di effettuare l'acquisto dal fornitore in apparente esenzione d'IVA, è sufficiente la consegna al medesimo della dichiarazione di intento, e la ricevuta di avvenuta presentazione della stessa presso l'Amministrazione finanziaria competente. Inoltre, la mancata presentazione della dichiarazione da parte dell'impresa la quale presenta dichiarazioni di intento non solo non è necessaria ai fini in questione, ma costituisce comportamento idoneo ad evidenziare, sulla base di meri controlli sulle banche dati dell'Amministrazione finanziaria, una grave anomalia. 6. Manifestamente infondate, infine, sono anche le censure presentate con il sesto motivo di ricorso, e che deducono l'illegittimità della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza della recidiva, in particolare perché collegata a fatti lontani nel tempo ed eterogenei rispetto a quelli oggetto del presente processo. La sentenza impugnata, infatti, osserva che i fatti del processo rappresentano la conferma di una pericolosità sociale già manifestata in epoca non lontana ed in termini omogenei, in quanto i precedenti non sono certo datati, se rapportati alla commissione del reato in contestazione, ed attengono anch'essi a condotte di natura predatoria , costituite, precisamente, dallo spaccio di stupefacenti e da grande evasione fiscale. In questo modo, la motivazione addotta evidenzia, sulla base di congrui elementi, l'avvenuto compimento della verifica diretta ad accertare se ed in che misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato sub iudice. 7. Alla complessiva infondatezza delle censure segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente ai pagamento delle spese processuali.