Il regolamento preventivo di giurisdizione non è ammissibile in una controversia tra privati, «ancorché il giudice adito debba vagliare aspetti di pubblico interesse, disapplicare provvedimenti amministrativi, ovvero valutarne in via meramente incidentale la legittimità, in quanto, attesa l’estraneità della P.A. al giudizio, le suddette questioni attengono al merito e non alla giurisdizione».
Il Tribunale di Napoli dichiarava la nullità dell’atto di compravendita avendo ad oggetto l’acquisto di un immobile, a cagione dell’abusività dell’immobile alienato, condannando il venditore alla restituzione della somma di denaro. Successivamente la controparte continuava ad occupare l’immobile senza titolo, pertanto intervenivano i Giudici del merito affinché fosse dichiarata la restituzione dell’immobile e il risarcimento del danno cagionato al proprietario. Si propone ricorso, nel caso in esame, per regolamento di giurisdizione, affermando che la giurisdizione appartiene al giudice amministrativo, trattandosi di bene divenuto per legge di proprietà pubblica. Sul punto la Suprema Corte ribadisce che il regolamento preventivo di giurisdizione non è ammissibile in una controversia tra privati, «ancorché il giudice adito debba vagliare aspetti di pubblico interesse, disapplicare provvedimenti amministrativi, ovvero valutarne in via meramente incidentale la legittimità, in quanto, attesa l’estraneità della P.A. al giudizio, le suddette questioni attengono al merito e non alla giurisdizione». La vicenda sottoposta al giudice in tal caso costituisce conferma dell’inammissibilità dello strumento azionato infatti, l’articolo 31, comma 3, non involge alcuna questione di giurisdizione, ma disciplina il destino degli immobili frutto di abuso edilizio, ponendo questioni che attenendo al merito. Costituisce causa di responsabilità processuale aggravata, ai sensi dell’articolo 96 c.p.c., la proposizione di regolamento di giurisdizione senza il riscontro dell’erroneità della propria tesi alla stregua della giurisprudenza. Da qui l’inammissibilità del ricorso.
Presidente Raimondi – Relatore Grasso Ritenuto che la vicenda al vaglio, per quel che qui rileva, può sintetizzarsi nei termini seguenti - il Tribunale di Napoli dichiarò la nullità dell'atto di compravendita con il quale AV.Do. e A.R. avevano acquistato un immobile da P.P. , a cagione dell'abusività, in tutto o in parte, dell'immobile alienato, condannando il venditore alla restituzione della somma di Euro 420.000,00, nonché al pagamento della somma di Euro 85.100,58, oltre interessi legali - successivamente il P. , assumendo che nonostante avesse immediatamente onorato la sentenza la controparte continuava ad occupare l'immobile senza titolo, adì il medesimo Tribunale chiedendo che l'Av. e l'A. fossero dichiarati tenuti a restituirgli l'unità immobiliare e condannati al pagamento dei frutti civili, nonché al risarcimento del danno - nella pendenza dell'incoato processo civile AV.Do. e A.R. hanno notificato e tempestivamente depositato ricorso per regolamento di giurisdizione, affermando che la giurisdizione si appartiene al giudice amministrativo, trattandosi di bene divenuto per legge di proprietà pubblica, a mente del D.P.R. numero 308 del 2001, articolo 31, comma 3, Se il responsabile dell'abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall'ingiunzione, il bene e l'area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. L'area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita - resiste con atto nomato controricorso P.P. , con il quale chiede dichiararsi l'inammissibilità del ricorso, in ogni caso confermarsi la giurisdizione del giudice ordinario e condannarsi la controparte al risarcimento dei danni ai sensi dell'articolo 96 c.p.c., comma 1 Osserva in fatto e diritto 1. Il ricorso è palesemente inammissibile. Come si è già affermato, il regolamento preventivo di giurisdizione non è ammissibile in una controversia tra privati, ancorché il giudice adito debba vagliare aspetti di pubblico interesse, disapplicare provvedimenti amministrativi, ovvero valutarne in via meramente incidentale la legittimità, in quanto, attesa l'estraneità della P.A. al giudizio, le suddette questioni attengono al merito e non alla giurisdizione Sez. U, numero 13639, 22/06/2011, Rv. 617750 conf. Sez. U. numero 107/1999 Sez. U. numero 3385, 07/03/2002 si veda pure Sez. U. numero 12248/2002 . Nè ricorre l'ipotesi delineata da talune decisioni di questa Corte, secondo la quale deve ritenersi tuttavia ammissibile il regolamento preventivo quando la definizione della controversia intorno alla natura pubblica o privata di un soggetto, che è parte del giudizio, si configura come presupposto indispensabile per decidere della giurisdizione del giudice ordinario o amministrativo, giacché dichiararne l'inammissibilità darebbe per risolto il problema della natura pubblica o privata del suddetto soggetto Sez. U, numero 7800, 15/04/2005, Rv. 580285 la già citata Sez. U. numero 107/1999, Sez. U. numero 5407/2011 . La vicenda sottoposta al giudice che qui viene rappresentata costituisce paradigmatica conferma dell'inammissibilità dello strumento azionato. Il richiamato articolo 31, comma 3, non involge alcuna questione di giurisdizione, ma disciplina il destino degli immobili frutto di abuso edilizio, ponendo, in definitiva, questioni, che attenendo al merito, il giudice civile ha la piena potestà di risolvere, in relazione al caso concreto. 2. Le spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi, in favore di P.P. siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle attività espletate. 3. Non può essere accolta la domanda di risarcimento proposta dal P. , ai sensi dell'articolo 96 c.p.c., comma 1, non avendo la parte istante assolto all'onere di allegare almeno gli elementi di fatto necessari alla liquidazione, pur equitativa, del danno lamentato Sez. 3, numero 21798, 27/10/2015, Rv. 637545 . 4. Sussistono, per contro, i presupposti per condannare i ricorrenti al pagamento di una somma di denaro equitativamente determinata ex articolo 96 c.p.c., comma 3. Costituisce causa di responsabilità processuale aggravata, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 96 c.p.c., la proposizione di regolamento di giurisdizione senza il riscontro preventivo - nell'esercizio di un minimo di elementare diligenza - dell'erroneità della propria tesi alla stregua della disciplina positiva e della giurisprudenza, costituendo tale difetto di diligenza un elemento rivelatore di un uso distorto del regolamento ai fini meramente dilatori. Oltre che, secondo nozioni di comune esperienza, di conseguenze pregiudizievoli per le controparti Sez. U, numero 11848, 30/10/1992, Rv. 479260 . Va soggiunto che la condanna ex articolo 96 c.p.c., comma 3, applicabile d'ufficio in tutti i casi di soccombenza, configura una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma ed indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilità aggravata ex articolo 96 c.p.c., commi 1 e 2, e con queste cumulabile, volta - con finalità deflattive del contenzioso - alla repressione dell'abuso dello strumento processuale la sua applicazione, pertanto, non richiede, quale elemento costitutivo della fattispecie, il riscontro dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensì di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di abuso del processo , quale l'aver agito o resistito pretestuosamente Sez. 2, numero 27623, 21/11/2017, Rv. 646080 . Nè la liquidazione ai sensi del comma 3, in discorso, a differenza di quella di cui al comma 1, presuppone che la parte vincitrice debba dimostrare il danno. La funzione di chiusura dell'istituto, il quale, per espressa disposizione di legge, assegna al giudice, in ogni caso , il potere di condannare la parte soccombente al pagamento, in favore della controparte, di una somma equitativamente determinata , e l'officiosità della pronuncia non lasciano spazio ai dubbi. Di poi, come si è avuto modo di precisare, l'espressa previsione, da parte dell'articolo 96 c.p.c., del potere del giudice di liquidare il danno da responsabilità processuale aggravata si basa sulla considerazione che tale danno non può di norma essere provato nel suo esatto ammontare e, quindi, deve poter essere liquidato equitativamente dal medesimo Sez. 2, numero 22588, 16/10/2020, Rv. 659388 . Ciò conferma la natura di sanzione risarcitoria della disposizione, diretta a reprimere l'abuso dello strumento processuale, avente, in primo luogo, ricadute dannose sull'economia del processo e, inevitabilmente, sul diritto della controparte a non essere attratta in giudizio da una pretesa radicalmente destituita di fondamento. Diritto, quest'ultimo, che non si risolve nella condanna al rimborso delle spese, ma che investe un'area d'ingiustizia maggiore, la cui ripercussione di danno il legislatore, per scelta pubblicistica, ha reputato di rendere indipendente dal principio dispositivo. P.Q.M. dichiara il ricorso inammissibile e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore del resistente, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, e agli esborsi, liquidati in Euro 200,00 condanna i ricorrenti, ai sensi dell'articolo 96 c.p.c., comma 3, al pagamento in favore del resistente dell'ulteriore somma di Euro 5.000,00.