Maldestre e poco professionali le operatrici socio-sanitarie, si lamentano gli anziani: nessuna condanna

Impossibile, secondo i Giudici, parlare di maltrattamenti ai danni degli ospiti di una residenza per anziani. I comportamenti inadeguati tenuti da tre lavoratrici sono stati frutto solo di incompetenza, scarsa professionalità e frustrazione.

I comportamenti poco professionali tenuti dall'operatrice socio-sanitaria nei confronti degli ospiti della residenza per anziani non bastano per ipotizzare il reato di maltrattamenti. A maggior ragione, poi, se essi sono conseguenza della stanchezza e della frustrazione per l'incapacità di gestire persone poco collaborative e propense anche a comportamenti provocatori verso il personale meno gradito Cass. penumero , sez. VI, 15 novembre 2021, numero 41562 . A finire sotto processo sono tre operatrici socio-sanitarie di una struttura per anziani nel Nord Italia. A loro viene addebitato di avere vessato, lungo un arco temporale di tre anni, gli ospiti della struttura. In primo grado le dichiarazioni di alcuni anziani presenti nella residenza e le intercettazioni video-ambientali sono ritenute sufficienti per condannare le tre dipendenti della struttura. In secondo grado, invece, arriva la sorprendente pronuncia di assoluzione i giudici evidenziano «la mancanza dell' abitualità e l' assenza di una generalizzata situazione di maltrattamenti ai danni degli anziani, essendo le condotte descritte dalle persone offese, come anche quelle emergenti dalle videoriprese, solo espressione di una scarsa preparazione professionale». In sostanza, secondo i giudici d'Appello, ci si trova di fronte a « comportamenti maldestri , per lo più isolati ed episodici, poco consoni alla delicatezza del compito assegnato, ma senza la volontà di arrecare sofferenze gratuite, né di porre in essere vessazioni o soprusi ai danni degli anziani». Inoltre, in secondo grado viene anche chiarito che «le accuse rivolte alle tre operatrici sono condizionate dalla ridotta attendibilità delle poche persone offese che le avevano segnalate, tutte affette da gravi problemi cognitivi per forte decadimento psico-fisico dovuto a demenza senile, oltre che rese poco decifrabili dalla difficoltà dei compiti assegnati alle tre lavoratrici che si occupavano del cambio dei pannoloni degli anziani». A portare il caso in Cassazione è l'ente proprietario della residenza per anziani, ente costituitosi anche parte civile. Col ricorso viene contestata l'assoluzione pronunciata in Appello e vengono poste in evidenza «anche quelle condotte meno gravi, caratterizzate da modi bruschi ed indelicati» poiché «inserite nella più ampia e generalizzata attività di maltrattamenti posta in essere dalle tre operatrici». Queste osservazioni non convincono i Giudici della Cassazione, i quali mostrano di condividere il ragionamento compiuto in Appello, laddove, come detto, è stato escluso il reato di maltrattamenti ai danni degli anziani ospiti della residenza sul duplice rilievo che «le singole condotte ascritte alle operatrici non integravano atti di contenuto vessatorio, essendo espressione piuttosto di impreparazione e scarsa competenza professionale» e che, per altro verso, «il carattere episodico ed isolato delle lamentele nel contesto di una situazione di generale gradimento espresso dalle stesse persone offese rispetto agli altri operatori che in alcuni casi usavano modi non diversi da quelli delle tre operatrici sotto accusa, escludeva l'abitualità della condotta, richiesta quale requisito strutturale del reato di maltrattamenti». Ragionando in maniera più ampia, poi, i magistrati chiariscono si possa parlare di «abitualità delle condotte vessatorie quando esse attingono indistintamente la platea dei soggetti passivi, senza che rilevino specifici atti di sopruso posti in essere ai danni dei singoli». Nella vicenda in esame, invece, «la descrizione della situazione generale degli anziani non delinea alcuna forma di maltrattamento ambientale, essendosi ritenuto incontestato che la condotta degli operatori sanitari non sia stata valutata come deprecabile nel suo complesso, ma al contrario adeguata dalle stesse persone offese, mentre i comportamenti di alcuni degli operatori oggetto di critiche oltre a non essere stati descritti come vessatori ma solo come poco professionali , sono risultati essere conseguenza di stanchezza e frustrazione per l'incapacità di gestire anziani poco collaborativi e propensi anche a comportamenti provocatori verso il personale meno gradito».

Presidente Villoni – Relatore Amoroso Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Torino con la sentenza impugnata, in riforma della sentenza emessa dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Vercelli, ha assolto le imputate S.Z. , G.C. e K.A.S. dai reati di maltrattamenti ex articolo 81 e 572 c.p. , loro rispettivamente ascritti ai capi A , B e C , in qualità di operatrici socio sanitarie della struttura per anziani omissis di , con condotte reiterate nel tempo nei confronti di alcuni ospiti della struttura, e precisamente per S. ai danni di Z.G. , F.L. , P.P. , per G. ai danni di S.E. e F.L. , per K. ai danni di S.E. e F.L. fatti commessi negli anni 2016, 2017 e 2018 La Corte di appello, vagliato il compendio probatorio, costituito in massima parte da intercettazioni video-ambientali e dalle dichiarazioni rese dalle persone offese, ha escluso la sussistenza dei reati per difetto di condotte intrinsecamente maltrattanti, per la mancanza dell'abitualità e per l'assenza di una generalizzata situazione di maltrattamenti ai danni degli anziani, essendo le condotte descritte dalle persone offese, come anche quelle emergenti dalle videoriprese, solo espressione di una scarsa preparazione professionale, integranti comportamenti maldestri, per lo più isolati ed episodici, poco consoni alla delicatezza del compito assegnato, ma senza la volontà di arrecare sofferenze gratuite, nè di porre in essere vessazioni o soprusi ai danni delle persone offese. In altri termini, secondo la Corte di appello le accuse rivolte alle tre imputate erano condizionate dalla ridotta attendibilità delle poche persone offese che le avevano segnalate, affette da gravi problemi cognitivi per forte decadimento psicofisico dovuto a demenza senile, oltre che rese poco decifrabili dalla difficoltà dei compiti assegnati alle tre operatrici sanitarie che si occupavano del cambio dei pannoloni dei predetti anziani. 2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso per cassazione la parte civile costituita omissis di deducendo un unico motivo per vizio di motivazione con riguardo alla ravvisata episodicità dei comportamenti valutati obiettivamente maltrattanti per la contraddittoria esclusione della valenza ambientale e generalizzata dei maltrattamenti riconosciuta dal primo giudice e che avrebbe dovuto rendere penalmente rilevante a titolo di concorso anche quelle condotte meno gravi, caratterizzate da modi bruschi ed indelicati, ove inserite nella più ampia e generalizzata attività di maltrattamenti posta in essere dalle predette imputate. Considerato in diritto 1. Il ricorso è manifestamente infondato. La Corte di appello ha escluso la sussistenza dei reati sul duplice rilievo che le singole condotte ascritte non integravano atti di contenuto vessatorio, essendo espressione piuttosto di impreparazione e scarsa competenza professionale e che, per altro verso, il carattere episodico ed isolato delle lamentele nel contesto di una situazione di generale gradimento espresso dalle stesse persone offese rispetto agli altri operatori che in alcuni casi usavano modi non diversi da quelli delle tre imputate, escludeva l'abitualità della condotta, richiesta quale requisito strutturale del reato di maltrattamenti. Gli argomenti posti a fondamento della decisione, sorretti da una puntuale analisi delle fonti di prova video-riprese e dichiarazioni delle persone offese , appaiono logicamente congrui e perciò non sindacabili in sede di legittimità per i denunziati profili di violazione di legge e di vizio della motivazione. D'altra parte, è priva di un reale ancoraggio probatorio ed è perciò meramente apodittica la tesi della parte civile secondo cui le imputate avrebbero comunque offerto un efficiente e consapevole contributo concorsuale al contesto delle condizioni di vita nella struttura, contesto definito apoditticamente come generalmente maltrattante, ascrivibile alle distinte condotte materiali dei predetti operatori sanitari, in contrasto con le risultanze probatorie analizzate nella sentenza impugnata. Il tema del clima di indistinta sopraffazione e delle correlate responsabilità di figure professionali che operano nell'ambito di comunità socio assistenziali preposte alla cura di soggetti fragili malati e inabili , e della configurabilità del reato ex articolo 572 c.p. , quando non vi sia prova di specifici atti di prevaricazione da parte dei singoli, non può venire qui in considerazione. La giurisprudenza di legittimità ha ritenuto integrato l'estremo della abitualità delle condotte vessatorie quando esse attingano indistintamente la platea dei soggetti passivi, senza che rilevino specifici atti di sopruso posti in essere ai danni dei singoli. Ma il concorso presuppone pur sempre un contributo causale fornito da ciascun concorrente, in quanto il carattere personale della responsabilità penale impedisce che il singolo addetto, in mancanza di addebiti puntuali che lo riguardino, possa essere chiamato a rispondere, sia pure in forma concorsuale, del contesto in sé considerato Sez. 6, numero 7760 del 10/12/2015, dep. 2016, B., Rv. 266684 . Nel caso in esame, invece, la descrizione della situazione generale degli anziani non delinea alcuna forma di maltrattamento ambientale, essendosi ritenuto incontestato che la condotta degli operatori sanitari non sia stata valutata come deprecabile nel suo complesso, ma al contrario adeguata dalle stesse persone offese, mentre i comportamenti di alcuni degli operatori oggetto di critiche oltre a non essere stati descritti come vessatori ma solo come poco professionali, sono risultati essere conseguenza di stanchezza e frustrazione per l'incapacità di gestire anziani poco collaborativi e propensi anche a comportamenti provocatori verso il personale meno gradito. Si tratta, in definitiva, di una motivazione che non presenta vizi logici manifesti e decisivi, che risulta coerente con le emergenze processuali e non risulta incrinata dalle doglianze difensive che si limitano ad invocare una diversa ricostruzione di merito, inammissibile in questa sede. 2. Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell' articolo 616 c.p.p. , la condanna della ricorrente, oltre che al pagamento delle spese del procedimento, anche a versare una somma, che si ritiene congruo determinare in tremila Euro. Considerato che il procedimento riguarda reati commessi in ambito familiare si deve disporre nel caso di diffusione del presente provvedimento l'oscuramento delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti private a norma dell' articolo 52 D.Lgs. numero 196 del 2003 . P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.