Il negozio di accertamento elimina la res dubia o quella litigiosa?

Il negozio di accertamento ha la funzione di precisare definitivamente il contenuto e l’essenza di un preesistente rapporto, eliminandone gli elementi di incertezza.

La sentenza numero 31319, resa dalla Corte di Cassazione, terza sezione civile, in data 3.11.2021, offre lo spunto per analizzare il tema del negozio di accertamento, allorquando viene inserito nell'ambito di un rapporto di locazione. I fatti risalgono all'anno 2003 due società immobiliari stipulavano un contratto in forza del quale veniva locata una unità immobiliare costituita da un edificio multipiano a destinazione autosilo, per la durata di anni 12 e con facoltà, per il conduttore, di recedere dopo la fine del quarto e con un preavviso di 12 mesi. Il contratto veniva ripetutamente modificato a seguito del sottoutilizzo della struttura, dettato anche dalla mancata realizzazione del secondo accesso carraio ad opera della proprietà. Da ultimo, con scrittura del 31.3.2009, le medesime parti stipulavano un nuovo contratto al cui art 6 prevedevano che, nell'ipotesi di risoluzione in data anteriore al 31.10.2009, il conduttore avrebbe dovuto pagare una penale di euro 300.000, nulla, invece, essendo dovuto qualora la risoluzione fosse avvenuta in epoca successiva. Stabilivano altresì che, a garanzia dell'osservanza di tutte le obbligazioni assunte, il conduttore avrebbe dovuto fornire una fideiussione bancaria di euro 300.000, aggiungendo che tale previsione sostituiva «ad ogni effetto la penale già prevista nei precedenti rapporti contrattuali di cui in premessa che deve, pertanto, intendersi con la sottoscrizione del presente atto, a tutti gli effetti definita e rinunciata». Il successivo 29.12.2009, tuttavia, la conduttrice comunicava il recesso a far data dal 31.1.2010 e, di lì a breve, le due società si fondevano dando vita ad un nuovo ente a responsabilità limitata al quale la già locatrice, con scrittura del 1.3.2010, concedeva in locazione il menzionato parcheggio. In tale contratto le parti espressamente rinunciavano, ora per allora, alle rispettive pretese creditorie a condizione che il rapporto fosse arrivato a naturale scadenza. In caso contrario i reciproci importi sarebbero stati pagati in 48 rate. Tale costituendo l'antecedente del giudizio, di lì a breve la locatrice chiedeva ed otteneva dal Tribunale di Treviso un d.i. di euro 447.976 contro la conduttrice, allegando quale presupposto dell'azione, un riconoscimento di debito. Proposta opposizione, il Tribunale la accoglieva rilevando che, con successive scritture private, le parti avevano rinunciato alle pretese derivanti da quelle precedenti e, in particolare, con quella del 1.3.2010 la debenza della penale originariamente pattuita era venuta meno. In fase di appello, la sentenza veniva riformata con condanna al pagamento degli importi richiesti. La pronuncia è stata oggetto di ricorso in Cassazione, affidato a cinque motivi di diritto la Suprema Corte ha accolto i primi tre, ritenuti connessi tra loro in quanto tutti incentrati sul tema degli effetti della rinuncia pattuita dalle parti. In primis, il Collegio ha chiarito che la clausola di rinuncia al credito, inserita alla lettera J della scrittura del 1 marzo, non può essere ricondotta alla fattispecie di cui all'art 1234 c.c., non essendo una novazione di un credito già rinunciato come rettamente sostenuto dai giudice di appello, essa era inidonea ad intaccare in alcun modo i diritti già maturati, valendo solo per il futuro, nel senso che, i crediti già nascenti dalla locazione originaria, «salvi ed impregiudicati» secondo le indicazioni delle parti, hanno mantenuto nella scrittura del 1.3.2010 la loro fonte di regolazione. Tale scrittura, ha aggiunto la Corte, non è un atto novativo ma si pone alla stregua di un negozio di accertamento, avendo funzione di accertare e di fissare il contenuto di un rapporto precedente, con effetto preclusivo di ogni ulteriore contestazione al riguardo. Tale negozio può eliminare incertezze sulla situazione giuridica ma non sostituirne il titolo costitutivo, ovvero, elimina la res dubia e non la res litigiosa. Prendendo le mosse da tali considerazioni, la Corte ha chiarito che la funzione svolta dall'accordo intervenuto il 1.3.2020 era proprio quella di eliminare gli elementi di incertezza del preesistente rapporto, subordinando tale effetto preclusivo ad una clausola condizionale il credito, così come cristallizzato con il negozio di accertamento, era subordinato all'evento, futuro ed incerto, della circostanza che il nuovo rapporto locatizio non fosse giunto a buon fine. Tale clausola, tuttavia, è stata, ex officio, ritenuta nulla dal Collegio, a norma dell'art 1355 c.c., trattandosi di condizione meramente potestativa, rimessa al totale arbitrio di una sola delle due parti e così finendo per integrare una classica ipotesi di tirannia del socio dominante. In conclusione, dunque, la Corte ha accolto il ricorso nei limiti di cui in premessa e rinviato alla Corte di appello di Venezia, sancendo il seguente principio di diritto «in caso di negozio di accertamento intercorso tra persone giuridiche già parti di un contratto di locazione, per eliminare la res dubia in relazione a crediti da esso nascenti, la clausola ad esso apposta, che subordini la loro esigibilità alla condizione sospensiva, negativa, che un nuovo contratto di locazione – in cui il già locatore conceda la res locata ad un diverso conduttore del quale, però, la locatrice sia socia di maggioranza – non giunge a buon fine, integrando un abuso di personalità giuridica va ritenuta alla stregua di una clausola meramente potestativa, come tale nulla ai sensi dell'articolo 1355 c.c.».

Presidente Graziosi – Relatore Guizzi Fatti di causa 1. La società S.p.a. ricorre, sulla base di cinque motivi, per la cassazione della sentenza numero 2786/17, del 22 gennaio 2018, della Corte di Appello di Venezia, che - accogliendo il gravame esperito dalla società D.N. Immobiliare S.r.l. avverso la sentenza numero 2169/15, del 12 febbraio 2016, del Tribunale di Treviso - ha rigettato l'opposizione a Decreto Ingiuntivo proposta dall'odierna ricorrente, condannandola a pagare alla predetta società D.N. Immobiliare l'importo di Euro 447.976,00, oggetto del credito da quest'ultima già azionato in via monitoria, in relazione ad una penale prevista da un contratto di locazione. 2. Riferisce, in punto di fatto, l'odierna ricorrente che, in data 23 luglio 2003, interveniva tra le società D.N. Immobiliare e ACTT S.p.a. poi incorporata dalla società un contratto di locazione, in forza del quale la prima locava alla seconda - per la durata di dodici anni e con facoltà, per il conduttore, di recedere dopo la fine del quarto anno e con un preavviso di dodici mesi - un'unità immobiliare ubicata in un complesso in corso di costruzione a OMISSIS , costituita da un edificio multipiano a destinazione autosilo. Dopo una prima modifica del contratto di locazione avvenuta con scrittura del 4 luglio 2005 , le parti modificavano ulteriormente - con scrittura del 29 dicembre 2006 - le reciproche pattuizioni. In particolare, esse stabilirono - all'articolo 4.1 - che ACTT, in caso di risoluzione del contratto anteriore al 1 novembre 2008, dovesse provvedere, entro trenta giorni, al pagamento di una penale per l'importo di Euro 643.976,00, da ridursi, invece, di 1/72 per ogni mese, nell'ipotesi in cui la risoluzione fosse avvenuta tra il 1 novembre 2008 e il 31 ottobre 2014, nulla, invece, essendo dovuto qualora il contratto fosse stato risolto in epoca successiva. Ciò premesso, perdurando - a dire dell'odierna ricorrente - le condizioni di sottoutilizzo del parcheggio oggetto di locazione e non essendo stato realizzato il secondo accesso carraio, come invece previsto dalla prima delle citate scritture integrative intervenute tra le parti contrattuali , la conduttrice comunicava il proprio recesso, con decorrenza dal 1 novembre 2008. Tuttavia, con scrittura privata del 31 ottobre 2008, le parti stipulavano un nuovo contratto di locazione per la durata di sei anni, con facoltà di recesso anticipato e rimodulazione del canone annuo. Nondimeno, con comunicazione del 18 novembre 2008, ACTT manifestava, nuovamente, la volontà di recedere dal contratto, con decorrenza dal 1 aprile 2009. Senonché, con scrittura del 31 marzo 2009, le medesime parti stipulavano un nuovo contratto di locazione, al cui articolo 6 espressamente convenivano che, nell'ipotesi di risoluzione in data anteriore al 31 ottobre 2009, il conduttore provvedesse al pagamento di una penale di Euro 300.000,00, nulla essendo, invece, dovuto dal medesimo qualora il contratto fosse stato risolto dopo tale data. Al successivo articolo 7 stabilivano, poi, che a garanzia dell'osservanza delle obbligazioni tutte assunte con il presente contratto, ivi comprese quelle previste al precedente punto 6 , il conduttore fornisse, entro quindici giorni dalla sottoscrizione dello stesso, una fideiussione bancaria di Euro 300.000,00, soggiungendo che tale previsione sostituisse ad ogni effetto la penale già prevista nei precedenti rapporti contrattuali di cui in premessa che deve pertanto intendersi, con la sottoscrizione del presente atto, a tutti gli effetti definita e rinunciata . Permanendo, però, il sottoutilizzo del parcheggio multipiano oggetto di locazione e il perdurante difetto anche della costruzione del secondo accesso carraio , la conduttrice - con raccomandata del 29 dicembre 2009 - comunicava di voler recedere dal contratto, a far data dal 31 gennaio 2010. Riferisce, inoltre, la ricorrente che le predette società ACTT e D.N. Immobiliare davano vita alla società Park D.N. S.r.l. costituita per le quote, rispettivamente, del 25% per la prima e del 75% per la seconda , alla quale la già locatrice D.N. Immobiliare - con scrittura privata del 1 marzo 2010 - concedeva in locazione il menzionato parcheggio multipiano. In detta scrittura, tra l'altro, veniva espressamente convenuto, alla lettera j , la rinuncia ora per allora di ACTT - già conduttrice dell'immobile - e D.N. Immobiliare persistente locatrice, invece, dello stesso , alle reciproche pretese creditorie , ovvero, Euro 192.000,00 per la prima ed Euro 643.976,00 per la seconda, a condizione che il presente contratto fosse arrivato a naturale scadenza . Per l'ipotesi, invece, che il contratto non dovesse addivenire a naturale scadenza, e ACTT S.p.a. risultasse per tale motivo debitrice nei confronti di D.N. Immobiliare S.r.l. della somma di Euro 447.976,00, quale differenza degli importi determinati ai punti 3.1. della convenzione del 29 dicembre 2006 , veniva stabilito - lettera k - che tale somma fosse corrisposta a D.N. Immobiliare S.r.l. in 48 rate anticipate di pari importo decorrente dalla data di introduzione del presente contratto . Infine, nel caso in cui il suddetto contratto non fosse arrivato a naturale scadenza per decisione di D.N. Immobiliare S.r.l. ovvero la persistente locatrice del bene , si conveniva, alla lett. l , che il credito di ACTT - ormai non più, come detto, conduttrice del bene - pari a Euro 192.000,00 fosse corrisposto dalla D.N. Immobiliare S.r.l. in 48 rate anticipate di pari importo decorrente dalla data di introduzione del presente contratto . La narrativa della ricorrente prosegue, poi, rammentando che all'esito dell'assemblea straordinaria dei soci della società ACTT, convocata per il 18 ottobre 2011, veniva deliberata la scissione della stessa in due società, ovvero ACTT poi, come detto, incorporata dall'odierna ricorrente e ACTT Servizi S.p.a., che subentrava nella titolarità del 25% della predetta società Park D.N., conduttrice del già più volte citato parcheggio multipiano. Infine, in data 5 dicembre 2012, la predetta Park D.N. ricevuta due giorni prima da D.N. Immobiliare la richiesta di pagamento di canoni scaduti e non pagati, relativi al contratto di locazione suddetto - convocava l'assemblea dei soci per deliberare il ripianamento delle perdite, nel corso della quale mentre la socia di minoranza, ACTT Servizi, si dichiarava disponibile ad un aumento di capitale sociale, la socia di maggioranza, D.N. Immobiliare, non accettava tale richiesta. Tale costituendo l'antecedente del presente giudizio, la ricorrente riferisce che la società D.N. Immobiliare conseguiva dal Tribunale di Treviso decreto ingiuntivo di Euro 447.976,00 contro essa , allegando la prima, quale presupposto dell'azione esperita in via monitoria, un preteso riconoscimento di debito operato dalla seconda. Proposta opposizione ex articolo 645 c.p.c., dal debitore ingiunto, il Tribunale trevigiano l'accoglieva, ritenendo che, con successive scritture private, le parti avessero rinunciato alle pretese derivanti da quelle precedenti, in particolare qualificando le pattuizioni di cui ai punti j , k ed l del contratto del 1 marzo 2010 come meramente ricognitive della preesistente situazione giuridica sostanziale e, quindi, ritenendo che la debenza della penale originariamente pattuita fosse venuta meno a seguito dell'estinzione per rinuncia operata con l'articolo 7 del contratto del 31 marzo 2009. Esperito gravame dalla convenuta opposta D.N. Immobiliare, il giudice di appello l'accoglieva, condannando l'odierna ricorrente al pagamento dell'importo di Euro 447.976,00. 3. Avverso la pronuncia della Corte lagunare ricorre per cassazione la società incorporante ACTT , sulla base - come detto - di cinque motivi. 3.1. Con il primo motivo - proposto ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3 - si deduce violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto attinenti alla novazione oggettiva delle obbligazioni , ovvero articolo 1230 c.c. e segg., sul rilievo che quella effettuata nel contratto del 31 marzo 2009 fosse una dichiarazione con valenza meramente ricognitiva delle precedenti obbligazioni , e dunque un riconoscimento di debito ex articolo 1988 c.c. . Si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato - sul presupposto che il credito vantato in sede monitoria da traesse origine dagli accordi integrativi del contratto di locazione stipulato il 23 luglio 2003, e segnatamente dalla scrittura del 29 dicembre 2006, che prevedeva, al punto 4.1, una penale di Euro 643.976,00 nel caso in cui il contratto fosse stato risolto anteriormente al 1 novembre 2008 risoluzione operata da ACTT, pacificamente, prima di tale data - che nel successivo contratto del 1 marzo 2010 ACTT e D.N. Immobiliare non avessero operato un riconoscimento di debito, che non costituisce autonoma fonte di obbligazione , bensì una nuova regolamentazione contrattuale operata dalle parti dei rispettivi crediti, avente all'evidenza effetto novativo rispetto ai precedenti accordi . In particolare, la Corte territoriale - con affermazione anch'essa censurata dalla ricorrente con il presente motivo - ha ritenuto che le previsioni di cui alle lettere j , k ed l del contratto del 1 marzo 2010 presentassero, appunto, tale efficacia novativa, nel disporre che ACTT e D.N. Immobiliare avrebbero rinunciato alle reciproche pretese creditorie solo ove il contratto di locazione fosse giunto alla sua naturale scadenza , stabilendo, in caso contrario, che ACTT sarebbe rimasta debitrice della somma di Euro 447.976,00, risultante dalla detrazione, da quanto dovuto dalla stessa a titolo di penale in base alla scrittura del 29 dicembre 2006 ovvero Euro 643.976,00 , dell'importo di Euro 192.000,00, oggetto, invece, del suo credito verso D.N. Immobiliare. Ciò premesso, la ricorrente, nel rammentare come la novazione oggettiva presupponga, quali suoi elementi costitutivi, la compresenza di animus novandi e di aliquid novi sottolineando, altresì, che la ricorrenza del primo va provata in concreto e che il secondo consiste in un mutamento sostanziale dell'oggetto della prestazione o del titolo del rapporto , esclude che una simile evenienza ricorra nel caso che occupa. Orbene, il semplice tenore delle clausole j , k ed l del contratto del 1 marzo 2010, solo in base alla loro lettura, rivelerebbe l'assenza di qualsiasi intento novativo e di oggettiva modificazione delle reciproche pretese. Secondo la ricorrente, infatti, attraverso di esse le parti avrebbero inteso abdicare alle reciproche pretese creditorie , indicate in via di mera ricognizione con specifico riguardo alla convenzione del 29 dicembre 2006 da cui traggono origine , ma ciò sotto condizione risolutiva del mancato raggiungimento della scadenza naturale del contratto di locazione . Le parti, in altri termini, esse avrebbero dato vita ad un accordo avente natura sostanzialmente transattiva , sicché le reciproche concessioni, se hanno presentato una qualche efficacia di incisione sulle preesistenti situazioni giuridiche facenti capo alle parti, hanno inteso farlo in senso prettamente ed integralmente estintivo , come reso evidente, tra l'altro, dall'uso della locuzione ora per allora . Di conseguenza, avveratasi la condizione risolutiva - non avendo raggiunto la locazione la sua scadenza naturale - si è determinato, con l'efficacia ex tunc prevista dall'articolo 1360 c.c., comma 1, il risorgere delle pretese creditorie così come già esistenti se sussistenti alla luce delle previe fonti contrattuali , ovvero del contratto del 29 dicembre 2006 e delle sue successive modificazioni. Orbene, poiché tra queste ultime vi era la rinuncia alla penale, effettuata con l'articolo 7 della scrittura integrativa del 31 marzo 2009, per tale motivo sarebbe venuta meno - come correttamente ritenuto dal primo giudice, secondo l'odierna ricorrente - ogni possibile pretesa creditoria su di essa da parte di D.N. Immobiliare. 3.2. Con il secondo motivo - proposto ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, nnumero 3 e 5 - si deduce violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto attinenti all'avveramento della condizione , ovvero gli articolo 1358 e 1359 c.c., nonché omessa pronuncia su di un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti , vale a dire la imputabilità della risoluzione del contratto di locazione alle decisioni della D.N. Immobiliare S.r.l. . Si censura la sentenza impugnata, in questo caso, nella parte in cui ha affermato che il contratto di locazione si è pacificamente risolto per la morosità di Park D.N. e non per la decisione di D.N. Immobiliare , quale socia di maggioranza della prima, di opporsi alla richiesta di ripianamento delle perdite della neocostituita società conduttrice, richiesta avanzata dalla socia di minoranza della stessa, ovvero ACTT Servizi S.p.a Poiché, come detto, l'accordo abdicativo - di cui, in particolare, alle lettere j e k del contratto del 1 marzo 2010 - era subordinato alla condizione risolutiva del raggiungimento della scadenza naturale della locazione, il comportamento di D.N. Immobiliare, sopra meglio descritto, avrebbe dovuto essere apprezzato come contrario a buona fede, ex articolo 1358 c.c Di conseguenza, essendo la locatrice D.N. Immobiliare la parte avente interesse contrario all'avveramento della condizione, siffatto suo contegno avrebbe dovuto essere sanzionato, ai sensi dell'articolo 1359 c.c., con la c.d. finzione di avveramento , ipotizzabile quando il mancato accadimento della condizione sia ricollegabile ad un comportamento imputabile, anche solo a titolo di colpa, alla parte non interessata a che la condizione si verifichi. Si lamenta, infine che la Corte territoriale, pur a fronte di specifiche censure mosse sul punto dall'odierna ricorrente censure tempestivamente mosse in primo grado, ma dichiarate assorbite, e ritualmente riproposte in appello , abbia mancato di ponderare integralmente le ripercussioni del comportamento, quanto meno negligente, osservato da D.N. Immobiliare. 3.3. Con il terzo motivo - proposto ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3 - si deduce violazione e/o falsa applicazione di norme di legge sulla novazione oggettiva dei contratti , in particolare dell'articolo 1234 c.c., nonché violazione e/o falsa applicazione di norme di legge sull'efficacia delle dichiarazioni di ricognizione di debito articolo 1988 c.c. , ed infine violazione e/o falsa applicazione di regole di ermeneutica contrattuale di cui agli articolo 1362 c.c. . Si censura l'interpretazione che la Corte territoriale ha dato dell'articolo 7 del contratto del 31 marzo 2009, e la conseguente affermazione della sua irrilevanza rispetto alle previsioni di cui alle lettere j , k ed l , giacché esso - secondo la sentenza impugnata - nella sua dizione letterale prevedeva solo che la fideiussione prestata e prevista nella prima parte dell'articolo andasse a sostituire la penale già prevista nei precedenti rapporti, con ciò volendo indicare che, al posto delle clausole penali già previste contrattualmente nei precedenti contratti, veniva prestata diversa garanzia costituita dalla fideiussione, senza intaccare in alcun modo i diritti già maturati, fatti salvi nella premessa del contratto. La ricorrente, per contro, nel rammentare i principi enunciati da questa Corte in materia di interpretazione dei contratti - ovvero, in ragione della gerarchia esistente tra i criteri di cui agli articolo da 1366 a 1371 c.c., innanzitutto quello della prevalenza dei criteri strettamente interpretativi rispetto a quelli integrativi, quando l'applicazione dei primi sia sufficiente a rendere palese la comune intenzione delle parti, nonché quello dell'interpretazione funzionale , che attribuisce rilievo alla funzione pratica del contratto - censura tale opzione ermeneutica. E ciò, innanzitutto, perché la Corte lagunare, più che privilegiare il significato letterale del suddetto articolo 7 visto che esso stabiliva espressamente che la penale già prevista nei precedenti rapporti dovesse intendersi a tutti gli effetti definita e rinunciata , è pervenuta alla conclusione che tale affermazione non potesse, comunque, intaccare in alcun modo i diritti già maturati, così anteponendo alla lettera della clausola l'asserito effetto novativo dell'accordo del 1 marzo 2010 . Tuttavia, ad escludere l'efficacia novativa di tale accordo, la sentenza impugnata avrebbe dovuto considerare che la novazione oggettiva, ex articolo 1234 c.c., risulta priva di effetto nel caso di inesistenza di quella originaria, ipotesi ricorrente nel caso che occupa, visto che, come detto, il credito nascente dalla penale ed asseritamente novato aveva formato oggetto, appunto, di rinuncia. 3.4. Con il quarto motivo - proposto ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, nnumero 3 e 5 - si deduce violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 1384 c.c. , in relazione alla mancata riduzione delle penale manifestamente eccessiva , nonché omessa pronuncia su di un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti . Si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto - sempre sul presupposto dell'effetto novativo del contratto del 1 marzo 2010 - che non potesse trovare accoglimento la richiesta di riduzione della penale. Al riguardo, la ricorrente assume che, anche ponendo da parte la questione circa l'efficacia novativa o meno dell'accordo suddetto, essendo la penale fin dall'origine manifestamente eccessiva, tale vizio genetico non può che ritenersi trasmesso anche ad ogni successivo regolamento negoziale dell'obbligazione al pagamento della medesima , e ciò se non altro in ossequio al principio secondo cui ogni trasferimento di ricchezza deve essere sorretto da un'idonea giustificazione causale . Orbene, la Corte territoriale, secondo la ricorrente, nel valutare l'eccessività della penale avrebbe dovuto dare rilievo a tutte le circostanze oggettive del caso concreto, neppure escluso il comportamento assunto da D.N. Immobiliare nel rifiutare di addivenire all'aumento di capitale di Park D.N., se è vero che il giudice, nell'esercizio del potere di cui all'articolo 1384 c.c., deve avere come riferimento il corretto equilibrio degli interessi contrattuali contrapposti , essendo il potere di riduzione ad equità conferito a tutela di un interesse generale dell'ordinamento ad una riconduzione dell'autonomia contrattuale nei limiti in cui essa appaia effettivamente meritevole di tutela. 3.5. Infine, con il quinto motivo - anch'esso proposto ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, nnumero 3 e 5 - è denunciata violazione dell'articolo 437 c.p.c., comma 2 per inammissibilità della produzione di nuovi documenti nel giudizio di appello , oltre che per omessa di pronuncia , per non avere il giudice d'appello deciso sull'eccezione d'inammissibilità tempestivamente proposta . Nel dedurre come l'allora appellante D.N. Immobiliare, in violazione del divieto di nova in appello, avesse basato il proprio gravame su due documenti non prodotti in primo grado, la ricorrente si duole del fatto sia che la loro produzione non venne dichiarata inammissibile, giacché avvenuta al di fuori delle ipotesi consentite dall'articolo 437 c.c., sia che la Corte territoriale non ebbe neppure a pronunciare su tale eccezione di inammissibilità, incorrendo, così, anche nel vizio di omessa pronuncia. 4. La società D.N. Immobiliare ha resistito, con controricorso, all'avversaria impugnazione, chiedendone la declaratoria di inammissibilità, ovvero, in subordine, il rigetto. In relazione, in particolare, al primo motivo di ricorso, la controricorrente evidenzia come l'esistenza degli elementi costitutivi nella novazione oggettiva costituisca oggetto di un accertamento di fatto, da parte del giudice di merito, sottratto al sindacato di legittimità se - come si assume essere avvenuto nella specie - correttamente motivato. Invero, la diversa interpretazione proposta dalla ricorrente dell'accordo del 1 marzo 2010 che, sia pure limitatamente alla lettera j, è inteso come avente un effetto meramente abdicativo/estintivo delle precedenti ragioni di credito non convincerebbe. Difatti, a dire di D.N. Immobiliare, tale interpretazione scinde in modo arbitrario le singole clausole del contratto , laddove le lettere j , k ed l sono fra loro connesse e vanno lette in modo sistematico e nel loro complesso , dovendo respingersi l'argomento, utilizzato dalla ricorrente per escludere la sussistenza della novazione oggettiva, relativo all'assenza del c.d. aliquid novi , visto che le parti hanno condizionato il pagamento della penale già maturata al fatto che il nuovo contratto di locazione , corrente inter alios , arrivasse a naturale scadenza , sicché già solo il fatto dell'apposizione della condizione rappresenterebbe modifica sostanziale del contenuto dell'obbligazione originaria. In ogni caso, la controricorrente insiste - come già in appello - per la qualificazione dell'accordo de quo come negozio di accertamento. Quanto al secondo motivo, si sottolinea, invece, che la ricorrente confonde la titolarità delle partecipazioni sociali con la responsabilità di gestione spettante all'organo amministrativo , nel ventilare una qualche interferenza dell'odierna resistente sull'andamento economico di Park D.N. o addirittura sulla gestione del contratto , introducendo profili endo-societari , che si assumono contestati e indimostrati , esulanti dall'oggetto del presente giudizio e dal sindacato di legittimità . Infine, la violazione degli articolo 1358 e 1359 c.c., costituirebbe questione nuova, e come tale inammissibile, al netto del rilievo che D.N. Immobiliare non aveva certo un interesse contrario all'avveramento della condizione, essendo vero esattamente l'opposto, poiché essa era, semmai, interessata a percepire il canone di locazione. La non fondatezza del terzo motivo è basata sul rilievo che la Corte territoriale non ha argomentato l'irrilevanza della rinuncia, contenuta nell'articolo 7 del contratto del 31 marzo 2009, sulla base della sola natura novativa della pattuizione del 1 marzo 2010, bensì sul contenuto stesso di tale articolo e di un'interpretazione sistematica che lo pone in correlazione con le clausole contenute in tale pattuizione. In tale prospettiva si osserva, in primo luogo, che le già citate clausole j , k ed l erano precedute da altra - quella di cui alla lettera e - con cui ACTT e D.N. Immobiliare avevano convenuto che restassero salvi e impregiudicati i diritti derivanti dai precedenti rapporti contrattuali . Già sotto questo profilo, dunque, la rinuncia alla penale operata, in precedenza, con il citato articolo 7 del contratto del 31 marzo 2009 andrebbe intesa come sostituzione della stessa, per il futuro , con una fideiussione, ma non certo come volontà di abdicare al al diritto di credito già maturato . D'altra parte, se così non fosse, le stesse clausole j , k ed l dell'accordo del 1 marzo 2010 sarebbero prive di qualsiasi significato . D'altra parte, neppure il quarto motivo di ricorso sarebbe fondato, visto che la sentenza impugnata non sarebbe incorsa in alcuna omissione, essendosi pronunciata - escludendo che ne ricorressero i presupposti - sulla richiesta di riduzione della penale. Che, poi, l'entità della stessa debba ritenersi congrua, è conclusione imposta, secondo la controricorrente, dal contenuto del contratto, che prevedeva una locazione dalla durata di ben dodici anni, un elevato ammontare complessivo dei canoni Euro 6.738.450,65 e una modalità di pagamento degli stessi particolarmente agevolata, visto che nella fase iniziale la conduttrice era tenuta al pagamento di Euro 264.000,00 annui, destinati ad incrementarsi solo nel corso del rapporto. Si richiama, infatti, sul punto il principio secondo cui l'apprezzamento del giudice di merito sull'eccessività dell'importo della clausola penale, come sulla misura della riduzione equitativa dello stesso, si sottrae al sindacato di legittimità se correttamente fondato sulla valutazione dell'interesse del creditore all'adempimento alla data di stipulazione del contratto e' citata, in particolare, Cass. Sez. 6-1, ord. 7 settembre 2015, numero 17731 . Infine, il quinto motivo sarebbe inammissibile, visto che la sentenza impugnata non ha fondato il proprio convincimento sui documenti dei quali è contestata la tardiva produzione, non avendoli mai espressamente citati. 5. Fissata adunanza camerale per la trattazione del presente ricorso in vista della quale la ricorrente depositava memoria , questa Corte - con ordinanza interlocutoria del 27 ottobre 2020, numero 23652 - disponeva rinvio del suo esame in pubblica udienza, inizialmente fissata per il 16 dicembre 2020, e poi per il 9 giugno 2021. Depositata memoria ex 378 c.p.c., da entrambe le parti, anche il Procuratore Generale presso questa Corte - nella persona di un suo sostituto - ha fatto pervenire conclusioni scritte, nel senso del rigetto del ricorso. Ragioni della decisione 6. Il ricorso va accolto, per le ragioni di seguito illustrate. 6.1. I primi tre motivi di ricorso - suscettibili di disamina congiunta, data la loro connessione - conducono all'accoglimento dell'impugnazione, nei termini di cui si dirà. 6.1.1. Nel procedere al loro scrutinio, tuttavia, occorre prendere le mosse dalla ricostruzione che la ricorrente propone, in particolare con il primo motivo del proprio atto di impugnazione, della clausola di cui alla lettera j del contratto del 1 marzo 2010. Essa, difatti, assume che tale clausola sia una rinuncia al credito, da parte della locatrice D.N. Immobiliare, sottoposta alla condizione - risolutiva e negativa - che il contratto di locazione, intervenuto tra la stessa e la nuova conduttrice, la neocostituita Park D.N. di cui, peraltro, la locatrice era socia di maggioranza al 75% , non giungesse alla sua scadenza naturale. Secondo questa impostazione, una volta verificatasi siffatta condizione, il credito di D.N. Immobiliare relativo alla penale di cui al precedente contratto intercorso con la già conduttrice ACTT , sarebbe stato egualmente inesigibile - così, dunque, producendosi il medesimo effetto abdicativo previsto dalla clausola condizionale suddetta - in virtù della rinuncia precedentemente operata con l'articolo 7 della scrittura integrativa, dell'originario contratto di locazione, datata 31 marzo 2009. Sempre secondo questa impostazione, se, al contrario, il contratto di locazione fosse giunto alla scadenza naturale la rinuncia operata con la scrittura del 1 marzo 2010 sarebbe divenuta definitivamente efficace. Detta ricostruzione, tuttavia, oltre a non trovare riscontro nelle pattuizioni in atti, risulta anche non sostenibile in diritto. Infatti, aderendo a questa impostazione, se ne dovrebbe trarre la conclusione che l'effetto abdicativo del credito di D.N. Immobiliare si sarebbe prodotto in ambo i casi, ovvero a prescindere dalla circostanza che il contratto di locazione avesse raggiunto, o meno, la sua scadenza naturale, donde l'inutilità della clausola di cui alla lettera j del contratto del 1 marzo 2010 anzi, a ben vedere, di tutte le pattuizioni intervenute con quel documento tra la precedente locataria, ovvero ACTT, e la immutata locatrice, D.N. Immobiliare, bastando sic et simpliciter - per attingere l'effettivo abdicativo - una mera conferma della rinuncia precedentemente intervenuta in virtù dell'articolo 7 della scrittura del 31 marzo 2009, integrativa della locazione originaria. Sul punto, pertanto, non sembra inutile rammentare che, a norma dell'articolo 1367 c.c., il principio di conservazione del contratto non comporta solo che esso o le sue singole clausole venga interpretato nel senso in cui possa avere un qualche effetto ma richiede che il contratto non risulti neppure in parte frustrato e che la sua efficacia potenziale non subisca alcuna limitazione Cass. Sez. 1, sent. 1 settembre 1997, numero 8301, Rv. 507397-01 . Tale sarebbe, invece, proprio l'evenienza che si verificherebbe - aderendo all'impostazione della ricorrente - nel caso che occupa. Infatti, come rileva, correttamente, la sentenza impugnata, il contratto del 1 marzo 2010 contiene in realtà due diversi accordi, il contratto di locazione, che riguarda solo il nuovo, numero d.r. conduttore, Park D.N., e il locatore ed un secondo accordo ricognitivo dei rapporti creditori tra l'Immobiliare D.N. e ACTT accordo della cui natura si dirà di seguito, trattandosi di questione che è il presupposto di quella oggetto del terzo motivo di ricorso . Invero, se l'efficacia dell'intera pattuizione intervenuta tra ACTT e D.N. Immobiliare - in ordine ai crediti nascenti dalla loro precedente relazione contrattuale, come integrata dalla scrittura del 31 marzo 2009 crediti i quali, oltretutto, erano fatti salvi e impregiudicati nelle premesse della scrittura del 1 marzo 2010 fosse rimasta, in definitiva, del tutto insensibile rispetto alla sorte del contratto con cui la seconda ri locava l'immobile a Park D.N. giacché, a seguire l'impostazione della ricorrente, qualunque cosa fosse accaduta in tale ambito l'effetto abdicativo , derivante dalla prima pattuizione, si sarebbe comunque prodotto , si sarebbe determinata una complessiva inutilità dell'autonomo accordo inserito, nel nuovo contratto di locazione, tra le parti di quello originario. 6.1.2. Chiarite le ragioni che impediscono di accedere all'interpretazione, proposta dall'odierna ricorrente, della clausola di cui alla lettera j del contratto del 1 marzo 2010, occorre - come preannunciato - provvedere a qualificarne la natura e con essa anche delle altre clausole, connesse, di cui alle lettere k ed l del medesimo contratto, pure destinate a definire i pregressi rapporti intercorsi tra la perdurante locatrice del bene, D.N. Immobiliare, e la precedente conduttrice, ACTT . Orbene, l'esito di tale operazione - che la ricorrente sollecita a questa Corte, in particolare con il terzo motivo del proprio atto di impugnazione, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui qualifica la clausola in esame come atto novativo - è nel senso, effettivamente, della non riconducibilità della stessa alla fattispecie di cui all'articolo 1234 c.c., ancorché da tale conclusione non derivino gli effetti ipotizzati dalla ricorrente bensì, come si vedrà, altri, destinati, comunque, a giovarle . Sul punto, invero, deve premettersi che se la clausola in questione fosse effettivamente una novazione di un credito già rinunciato si dovrebbe dare seguito al principio - enunciato da questa Corte, nella sua più autorevole composizione - secondo cui la novazione e la rinuncia configurano due cause estintive del rapporto obbligatorio a carattere alternativo e non concorrente , e ciò in quanto la prima postula la validità ed operatività dell'obbligazione originaria articolo 1234 c.c., comma 1 , e, pertanto, non è ravvisabile con riguardo a diritto oggetto di pregressa o contestuale rinuncia Cass. Sez. Unumero , sent. 5 agosto 1977, numero 3525, Rv. 387107-01 . Pertanto, alla stregua di tale principio, la clausola in esame anzi, come detto, ciascuna delle tre clausole di cui alle lettere j , k ed l dell'accordo del 1 marzo 2010 - difficilmente potrebbe essere intesa come novazione in ciò cogliendo nel segno i rilievi della ricorrente, sebbene con esiti parzialmente diversi da quelli da essa ipotizzati . L'assunto, però, che il credito relativo alla penale fosse stato già rinunciato - rinuncia della quale la clausola in esame avrebbe operato una mera ricognizione - non può essere condiviso, e ciò, innanzitutto, per le ragioni sopra evidenziate ovvero, la conseguente inutilità della clausola in esame, nonché la sua difficile coesistenza con la previsione, contenuta nelle premesse della scrittura del 1 marzo 2010, che faceva salvi e impregiudicati i crediti nascenti dalla locazione originaria . Inoltre, ad escludere che la clausola in esame possa intendersi come atto meramente ricognitivo, ex articolo 1988 c.c., vale la constatazione del suo inserimento in un negozio bilaterale. Invero, come è stato sostenuto, in modo condivisibile, in dottrina se si riconducono infatti gli atti ricognitivi nell'ambito della contra se declaratio , la difficoltà di una configurazione di questi in chiave bilaterale appare evidente, per non dire insuperabile basti pensare al fatto che per una delle due parti del rapporto la dichiarazione non sarebbe contra se ma pro se in senso analogo, in giurisprudenza, spunti si rinvengono in Cass. Sez. 3, sent. 24 febbraio 1988, numero 1948, Rv. 457851-01 Cass. Sez. 1, sent. 25 maggio 1985, numero 3180, Rv. 440866-01 . Corretta e', dunque, l'affermazione della sentenza impugnata che interpreta la previsione secondo cui la penale già prevista nei precedenti rapporti dovesse intendersi a tutti gli effetti definita e rinunciata , come non idonea ad intaccare in alcun modo i diritti già maturati , valendo solo per il futuro, nel senso che, i crediti già nascenti dalla locazione originaria - salvi e impregiudicati , appunto, secondo l'espressa previsione delle parti - hanno mantenuto nella scrittura del 1 marzo 2010 la loro fonte di regolazione. 6.1.3. Tale scrittura, tuttavia, lungi dal costituire un atto novativo, si pone - come sempre sostenuto dall'odierna ricorrente, sebbene per trarne effetti differenti da quelli cui perverrà, invece, questo collegio - alla stregua di un negozio di accertamento. Invero, secondo quanto osservato, da tempo, da questa Corte l'essenziale contenuto del negozio suddetto e' il riconoscimento dell'esistenza di un diritto altrui , giacché e' da qualificare come negozio di accertamento quello che ha la funzione di fissare il contenuto di un rapporto precedente con effetto preclusivo di ogni ulteriore contestazione al riguardo , fermo restando, beninteso, che il negozio di accertamento non costituisce fonte autonoma degli effetti giuridici da esso previsti, ma rende definitivo ed immutabile, nel senso esposto, situazioni effettuali già in stato di obiettiva incertezza, con il vincolare il soggetto dichiarante ed i soggetti interessati che abbiano manifestato la volontà di avvalersene, ad attribuire al preesistente rapporto gli effetti che risultano dall'accertamento e col precludere loro ogni pretesa, ragione od azione in contrasto con esso in sostanza, attraverso di esso le parti si impegnano a considerare, per l'avvenire, la situazione giuridica preesistente, nei limiti di contenuto e di operatività risultando dal compiuto accertamento così, icasticamente, in motivazione, Cass. Sez. 1, sent. 10 gennaio 1983, numero 161, Rv. 424983-01 . Senza qui entrare nel merito della questione - che contrappone, in sede scientifica, i fautori delle teorie dichiarativa e costitutiva - se il negozio di accertamento abbia un contenuto propriamente dispositivo , secondo la prospettiva di chi sottolinea che le parti, mostrando di accertare, vogliono in sostanza modificare i rapporti originari secondo un apprezzamento che esse sono riuscite a concordare , deve osservarsi che ad esso non si è mai riconosciuta anche da parte di quanti esprimono dubbi su tale figura valenza puramente ricognitiva. Come osservato da un'ormai classica dottrina, l'accertamento non esaurisce tutto lo schema del contratto esso ne costituisce soltanto la funzione tipica causa , la quale viene realizzata, qualunque sia la struttura e il contenuto della dichiarazione, merce' la creazione, sia pure implicita, di un obbligo, l'obbligo di non dare al rapporto preesistente intelligenza diversa da quella su cui converge in quel momento la volontà delle parti . E', questa, la ben nota ricostruzione dommatica che ricollega al negozio di accertamento, per le parti, il cd. effetto preclusivo , ovvero, quello in forza del quale ogni interpretazione del rapporto diversa da quella sulla quale si sono accordate e ogni eventuale contestazione sul contenuto della situazione giuridica accertata sarebbe irrilevante . Una ricostruzione, in definitiva, recepita pure da questa Corte, come sottolinea - correttamente - quella dottrina secondo cui, quando la giurisprudenza di legittimità ha attribuito al negozio di accertamento natura dichiarativa, ha inteso tale locuzione in senso riduttivo , volendo, cioè, intendere la dichiaratività del negozio di accertamento esclusivamente per affermare che questo e inidoneo a costituire diritti o a trasferire beni, e deve far capo, in ogni caso, ad una fonte originaria, che ne integra il fondamento , ma non certo per escludere che esso sia, nel senso chiarito, un atto dispositivo. Secondo questa Corte, infatti, il negozio di accertamento ha la funzione di precisare definitivamente il contenuto e l'essenza di un preesistente rapporto eliminandone gli elementi di incertezza Cass. Sez. 2, sent. 6 maggio 1980, numero 2976, Rv. 406720 , essendosi rimarcato che esso può eliminare incertezze sulla situazione giuridica, ma non sostituirne il titolo costitutivo Cass. Sez. 2, sent. 16 dicembre 1987, numero 9358, Rv. 456524-01 , caratterizzandosi, così, per il fatto di spiegare i suoi effetti anche per il passato , ovvero venendo in tal caso a fissare il contenuto di un rapporto giuridico preesistente, con effetto preclusivo di ogni ulteriore contestazione al riguardo Cass. Sez. Lav. sent. 20 maggio 2004, numero 9651, Rv. 572987-01 . Orbene, se la causa del negozio di accertamento è l'eliminazione della res dubia , e non della res litigiosa , prescindendo, così, da reciproche concessioni nel caso in esame, in effetti, mancanti , non può negarsi che tale funzione abbia svolto l'accordo intervenuto tra ACTT e D.N. Immobiliare il 1 marzo 2010. Invero, a fronte di uno svolgimento del rapporto di locazione, instaurato con la pattuizione del 23 luglio 2003, tutt'altro che piano e lineare essendo stato connotato dal susseguirsi, quasi con ciclica alternanza, di atti di disdetta da parte della società conduttrice e di ripresa della relazione negoziale, anche con la rinnovata previsione di penali a carico della stessa, fino a culminare in un atto di rinuncia, valido, tuttavia, solo per il futuro e non anche per il passato , era certamente rispondente agli interessi dei soggetti, già parti dello stesso, eliminare la cd. res dubia , vincolandosi ad una particolare interpretazione del contenuto di quella pregressa pattuizione, come integrata con la scrittura del 31 marzo 2009. 6.1.4. La peculiarità, tuttavia, del negozio di accertamento alle quali ACTT e D.N. Immobiliare hanno dato vita è stata quella di subordinare l'effetto preclusivo suo proprio - vale a dire, di fissare il contenuto del rapporto giuridico preesistente , e ormai venuto meno, facendo salvi e impregiudicati i crediti da esso nascenti, in particolare quello relativo alla penale spettante al locatore - ad una clausola condizionale, ovvero quella di cui alla lettera j della scrittura del 1 marzo 2010 ma analogo discorso può ripetersi per le clausole k ed l . Che, d'altra parte, anche in relazione a quello di accertamento sia consentito il ricorso agli accidentalia negotii è conclusione che - quantunque finora priva di un diretto riscontro nella giurisprudenza di questa Corte - deriva dall'atteggiarsi dello stesso come atto di autoregolamento dei propri interessi, avente portata non meramente ricognitiva, bensì, nel senso già chiarito, dispositiva . Ciò detto, ritiene questa Corte - diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente - che la clausola in esame, lungi dal condizionare, risolutivamente, l'efficacia di una in realtà, inesistente rinuncia al credito relativo alla penale, condizionasse, invece, sospensivamente, l'esigibilità del credito stesso, come cristallizzato con il negozio di accertamento, subordinandola all'evento, futuro ed incerto, rappresentato dalla circostanza che il nuovo rapporto locatizio, tra quest'ultima e Park D.N., non giungesse a buon fine . Da tale inquadramento - alla quale questa Corte è abilitata, non risultandole inibito dalla differente qualificazione che la ricorrente ha dato di tale pattuizione, né dalla sua riconduzione ad una clausola condizionale sospensiva e non risolutiva , e ciò perché, in virtù della funzione del giudizio di legittimità di garantire l'osservanza e l'uniforme interpretazione della legge, nonché per omologia con quanto prevede la norma di cui dell'articolo 384 c.p.c., comma 2 , deve ritenersi che, nell'esercizio del potere di qualificazione in diritto dei fatti, la Corte di Cassazione può ritenere fondata la questione, sollevata dal ricorso, per una ragione giuridica diversa da quella specificamente indicata dalla parte e individuata d'ufficio, con il solo limite che tale individuazione deve avvenire sulla base dei fatti per come accertati nelle fasi di merito ed esposti nel ricorso per cassazione e nella stessa sentenza impugnata, senza cioè che sia necessario l'esperimento di ulteriori indagini di fatto, fermo restando, peraltro, che l'esercizio del potere di qualificazione non deve inoltre confliggere con il principio del monopolio della parte nell'esercizio della domanda e delle eccezioni in senso stretto, con la conseguenza che resta escluso che la Corte possa rilevare l'efficacia giuridica di un fatto se ciò comporta la modifica della domanda per come definita nelle fasi di merito o l'integrazione di una eccezione in senso stretto così Cass. Sez. 3, sent. 29 settembre 2005, numero 19132, Rv. 586707-01 nello stesso senso, in particolare in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 28 giugno 2018, numero 17015, Rv. 649511-03 - derivano le due conseguenze che si vanno ad illustrare. 6.1.4.1. Per un verso, infatti, va dichiarata la non fondatezza del secondo motivo di ricorso, che contesta la violazione degli articolo 1358 e 1359 c.c Difatti, una volta qualificata la clausola condizionale in esame come sospensiva dell'efficacia del disposto accertamento del credito oggetto della clausola penale, e con esso della possibilità di esigerne la riscossione, il comportamento addebitato a D.N. Immobiliare parte interessata all'avveramento di tale condizione, onde poter richiedere il pagamento della penale già prevista dall'originario contratto di locazione , condotta consistita nel rifiuto dell'aumento di capitale che ha reso impossibile alla nuova società conduttrice - di cui la locatrice, come detto, era socia di maggioranza - di adempiere l'obbligo di pagamento dei canoni, impedendo, così, al rapporto di locazione di giungere a buon fine , dovrebbe intendersi come volto non già ad impedire, bensì a favorire l'avveramento delle condizione alla quale essa era interessata. Stando così le cose, dunque, l'applicazione dell'articolo 1359 c.c. dalla ricorrente sollecitata , lungi dal dare luogo, in questo caso, ad una finzione di avveramento , dovrebbe determinare, piuttosto, una finzione di non avveramento della condizione sospensiva, negativa - cui era subordinata l'efficacia del negozio di accertamento. Orbene, una simile evenienza la finzione di non avveramento , appunto , ancorché non sia esclusa a priori da un'autorevole dottrina, è ritenuta subordinata non semplicemente ad un comportamento contrario a buona fede, qual è quello dedotto nel caso che occupa, bensì ad una vera e propria illiceità della condotta. In tale prospettiva, infatti, viene valorizzato il passaggio finale del p. 620 della Relazione del Ministro Guardasigilli a Re, sul codice civile, nel quale, con riferimento alla fattispecie in cui la parte interessata all'avveramento della condizione sospensiva si adoperi per influire sul corso naturale dell'evento posto in condizione, provocandone con proprio vantaggio l'avveramento , si afferma che, nel vigente codice, non si e' contemplata tale ipotesi per applicarvi una corrispondente sanzione, perché non può a priori ritenersi che sia normalmente illecito simile comportamento l'illiceità potrà dipendere dalle circostanze . Ne deriva che, nella specie, non bastava dedurre - come ha fatto la ricorrente - che il comportamento D.N. Immobiliare non ha salvaguardato l'altrui interesse, ma occorreva allegare l'esistenza di una sua condotta, appunto, illecita, ciò che non risulta avvenuto. 6.1.4.2. Nondimeno, come si notava, la ri qualificazione della clausola in esame come condizione sospensiva negativa comporta la necessità di ravvisare la nullità della stessa, a norma dell'articolo 1355 c.c., trattandosi - per le ragioni indicate di seguito - di condizione meramente potestativa . Sul punto, peraltro, deve osservarsi, preliminarmente, come il rilievo anche di tale nullità negoziale sia consentito ex officio a questa Corte, la quale, peraltro, ha sollecitato il contraddittorio delle parti sul punto cfr. Cass. Sez. 2, ord. 17 ottobre 2019, numero 26495, Rv. 655652-01 , così come in relazione alla configurabilità quale negozio di accertamento dell'accordo, intervenuto il 1 marzo 2010, tra ACTT e D.N. Immobiliare, secondo quanto indicato nella già ricordata ordinanza interlocutoria numero 23652, del 27 ottobre 2020. Difatti, come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, in appello e in cassazione, in caso di mancata rilevazione della nullità in primo grado, il giudice ha sempre la facoltà di rilevare d'ufficio la nullità Cass. Sez. Unumero , sent. 12 dicembre 2014, numero 26242, Rv. 633509-01 nello stesso senso, tra le più recenti, Cass. Sez. 6-1, ord. 15 settembre 2020, numero 19161, Rv. 658837-01 Cass. Sez. 63, ord. 19 luglio 2018, numero 19251, Rv. 650242-01 . Invero, la circostanza che tale nullità non sia stata eccepita in appello e che in relazione ad essa, quindi, non vi sia stata alcuna omissione di pronuncia da parte della Corte lagunare comporta che proprio siffatto svolgimento del giudizio, da un lato, e la rilevabilità ufficiosa della questione in ogni stato e grado del giudizio, escludono che possa ritenersi formato alcun giudicato interno preclusivo della sua deducibilità/rilevabilità nel giudizio di cassazione così, in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 9 maggio 2019, numero 12259, Rv. 653780-01 nello stesso senso anche Cass. Sez. 3, ord. 11 novembre 2020, numero 25298, Rv. 659780-01 . Ciò detto, deve ribadirsi, in fatto, che - contestualmente alla stipulazione del negozio di accertamento concluso tra le originarie parti del contratto di locazione, ACTT e D.N. Immobiliare - tra tali soggetti venne costituita una società di capitali di cui la seconda era socia nella misura del 75% , alla quale la già locatrice, Immobiliare D.N., concedeva in locazione il medesimo bene già oggetto del precedente contratto. Siffatta circostanza, unitamente al fatto che le parti di quel negozio di accertamento ne avessero sospensivamente subordinato l'efficacia alla condizione che il nuovo contratto di locazione non andasse a buon fine , è equivalsa a rimettere al totale arbitrio di D.N. Immobiliare la sorte di quel negozio. D.N. Immobiliare, invero, in qualsiasi momento avrebbe potuto influire, a proprio piacimento, sull'efficacia del negozio di accertamento, data la posizione non solo di locatrice, ma anche di socia di maggioranza della società conduttrice, e ciò anche considerata la genericità se non, addirittura, la vaghezza dell'evento - che la locazione non giungesse a buon fine - elevato a condizione sospensiva. La clausola condizionale, dunque, deve ritenersi meramente potestativa anche perché, come si dirà appena di seguito, espressione di abuso della personalità giuridica , se è vero che tale fattispecie deve ritenersi integrata quando l'atto dispositivo del diritto venga fatto dipendere da un fatto volontario il cui compimento o la cui omissione non dipende da seri o apprezzabili motivi, ma dal mero arbitrio della parte, svincolato da qualsiasi razionale valutazione di opportunità o di convenienza da ultimo, Cass. Sez. 2, sent. 20 novembre 2019, numero 30143 Rv. 652927-01 . Ne' osta, poi, all'applicazione dell'articolo 1355 c.c., la circostanza che esso faccia riferimento alla nullità dell'atto di alienazione di un diritto subordinata ad una condizione sospensiva dipendente dalla mera volontà dell'alienante . Invero, in relazione al primo di tali profili, deve evidenziarsi come il riferimento, testuale, ad un atto di alienazione debba intendersi come richiamo non alla sola fattispecie del trasferimento del diritto di proprietà o della costituzione o del trasferimento di un diritto reale limitato , ma a quella, più in generale, dell'atto dispositivo del diritto, della quale l'alienazione è figura, per così dire, paradigmatica . E si è già visto che - sebbene con peculiari caratteristiche - anche il negozio di accertamento, lungi dal presentare efficacia meramente ricognitiva , sia atto dispositivo della sfera giuridica delle parti, dal momento che si pone come atto di volontà che ha funzione di fissare il contenuto di un rapporto giuridico preesistente, con effetto preclusivo di ogni ulteriore contestazione al riguardo , con l'assunzione di un obbligo di non porre più in discussione l'assetto dato alla res dubia . Quanto, invece, alla circostanza che la condizione alla quale il negozio di accertamento subordinava - sospensivamente l'efficacia dello stesso e con esso la esigibilità del credito relativo alla penale risulti dipendere dalla volontà di un soggetto diverso, almeno formalmente, dalla disponente D.N. Immobiliare, deve osservarsi che la dualità di quest'ultima, rispetto alla nuova conduttrice dell'immobile, Park D.N., costituisce poco più che una fictio iuris . Invero, la constatazione che la larga maggioranza delle quote sociali di quest'ultima il 75% fosse detenuta dalla stessa parte locatrice, ovvero D.N. Immobiliare, rappresenta - in relazione alla gestione del contratto di locazione alla cui sorte era collegato il negozio di accertamento concluso tra i due soci una classica ipotesi di tirannia del socio maggioritario , che integra la fattispecie di abuso della personalità giuridica. Non è questa, certamente, la sede per affrontare in termini generali siffatta tematica della quale la giurisprudenza si è per lo più occupata al fine di affermare la decadenza del socio, che versi in tale situazione, dal beneficio della responsabilità limitata . E' sufficiente, invece, rilevare che, secondo questa Corte, il socio c.d. sovrano, vale a dire il socio di controllo di una società di capitali , quando si serva della struttura come schermo, trasformandosi così in socio c.d. tiranno, al fine di gestire i propri affari , incorre, appunto, nel descritto abuso, ravvisabile allorché alla forma societaria corrisponda una gestione in tutto o in parte individuale, con conseguente configurabilità di una responsabilità civile e penale, avuto riguardo al ruolo da lui svolto così, in motivazione, Cass. Sez. 1, sent. 25 gennaio 2000, numero 804, Rv. 533122-01, non massimata sul punto . E tra gli strumenti per far valere tale abuso non può escludersi, in via generale, la disapplicazione dello schermo societario, giacché nei casi di tirannia del socio di maggioranza, dette situazioni debbono trovare disciplina e sanzione in forme tipiche della singola attività , anche diverse dalla responsabilità per obbligazioni sociali così, in motivazione, Cass. Sez. 1, sent. 26 gennaio 1990, numero 1439, non massimata sul punto . Affermazione che, calata nel caso di specie, porta ad addebitare direttamente alla socia di maggioranza della D.N. Park, ovvero a D.N. Immobiliare, la riferibilità della condizione - il mancato raggiungimento del buon fine della nuova locazione - da cui dipendeva l'efficacia del negozio di accertamento intervenuto tra quest'ultima e ACTT. Può, infatti, mutuarsi, al riguardo, quanto sancito dalle Sezioni Unite di questa Corte, sebbene con riferimento a tutt'altra fattispecie, ovvero che, in presenza di un socio tiranno, di una società di capitali diversa dalla socia di maggioranza , intesa come persona giuridica autonoma cui corrisponda un autonomo centro decisionale e di cui sia possibile individuare un interesse suo proprio, non è più possibile parlare così, in motivazione, con riferimento alle società in house , cfr., in motivazione, Cass. Sez. Unumero , sent. 25 novembre 2013, numero 26253, non massimata sul punto . 6.2. L'accoglimento, per quanto di ragione, del ricorso in relazione ai sui primi tre motivi , comporta l'assorbimento del quarto e del quinto. 7. La sentenza impugnata va pertanto cassata, rinviando alla Corte di Appello di Venezia, in diversa composizione, per la decisione nel merito occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, preclusi nella presente sede , oltre che sulle spese anche del presente giudizio, dovendosi il giudice del rinvio attenere al seguente principio di diritto in caso di negozio di accertamento, intercorso tra persone giuridiche già parti di un contratto di locazione, per eliminare la res dubia in relazione ai crediti da esso nascenti, la clausola ad esso apposta, che subordini la loro esigibilità alla condizione sospensiva, negativa, che un nuovo contratto di locazione - in cui il già locatore conceda la res locata ad un diverso conduttore del quale, però, la locatrice sia socia di maggioranza - non giunga a buon fine , integrando un'ipotesi di abuso della personalità giuridica va ritenuta alla stregua di una clausola meramente potestativa, come tale nulla ai sensi dell'articolo 1355 c.c. . P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione e cassa la sentenza impugnata, rinviando alla Corte di Appello di Venezia, in diversa composizione, per la decisione nel merito, oltre che sulle spese anche del presente giudizio.