Il nuovo art. 344-bis c.p.p.: “ombre ed ombre”

Il nuovo articolo 344-bis c.p.p. costituisce il “pezzo forte” della c.d. “Riforma Cartabia” essendo stata la l. 27 settembre 2021, numero 134 ‒ pubblicata in G.U. del 4 ottobre 2021, numero 237, ed in vigore dal 19 ottobre 2021 ‒ così ormai ribattezzata in omaggio al nome della Ministra Guardasigilli .

1. Introduzione. Il nuovo articolo 344-bis c.p.p. costituisce il “pezzo forte” della c.d. “Riforma Cartabia” essendo stata la l. 27 settembre 2021, numero 134 ‒ pubblicata in G.U. del 4 ottobre 2021, numero 237, ed in vigore dal 19 ottobre 2021 ‒ così ormai ribattezzata in omaggio al nome della Ministra Guardasigilli . L'iter del progetto di riforma aveva preso il via con l'istituzione, in data 16 marzo 2021, di una Commissione di studio la c.d. “Commissione Lattanzi”, dal nome del suo Presidente incaricata di elaborare proposte di riforma riguardanti il processo penale, il sistema sanzionatorio penale e la disciplina della prescrizione del reato, perseguendo i seguenti obiettivi ‒ riduzione dei tempi di definizione dei procedimenti ‒ riduzione del numero dei procedimenti da trattare.    Attraverso la riforma in fieri ed il perseguimento dei predetti obiettivi, si intendeva, inoltre, rinnovare la fiducia della collettività nell'amministrazione della giustizia e garantire l'effettività della tutela giurisdizionale per tutti, nel rispetto dei principi del giusto processo e della ragionevole durata di esso, valori costituzionalmente tutelati dall'articolo 111 Cost. In seno alla Commissione Lattanzi erano maturate, con riguardo alla disciplina della prescrizione del reato ed alla riduzione dei tempi di definizione dei procedimenti, due proposte. La prima mirava a ridurre l'incidenza della prescrizione nei giudizi d'impugnazione, modificando l'articolo 159 c.p., che disciplina le cause di sospensione così la Relazione della Commissione Lattanzi sul punto «si propone in particolare la sostituzione del secondo comma dell'articolo 159 c.p. con cinque nuovi commi, allo scopo di introdurre, in luogo dell'attuale sospensione della prescrizione illimitata e incondizionata dopo la condanna, una sospensione condizionata e di durata limitata, corrispondente alla durata non irragionevole stabilita per i giudizi di impugnazione dalla legge Pinto» . La seconda prevedeva una riforma più radicale partendo dal presupposto che la prescrizione, determinata dal c.d. “tempo dell'oblio”, «che determina il venir meno dell'interesse sociale alla punizione del fatto», non può verificarsi dopo l'inizio del procedimento, perché il suo termine deve cessare di decorrere con l'esercizio dell'azione penale, attraverso la quale lo Stato manifesta il suo interesse a perseguire il reato commesso si legge, in proposito, nella Relazione della Commissione Lattanzi che «Se e quando il processo inizia, anche un solo giorno prima del maturare del termine di prescrizione del reato, prosegue senza che la prescrizione del reato possa più maturare, perché lo Stato si è attivato in tempo» , si proponeva l'inserimento, nell'articolo 158 c.p., di un nuovo quarto comma, a norma del quale «Il corso della prescrizione del reato cessa definitivamente, in ogni caso, con l'esercizio dell'azione penale», oltre che di una serie di disposizioni consequenziali. Al tempo stesso, si proponeva l'inserimento di una nuova disposizione, l'articolo 344-bis c.p.p., che introduceva nell'ordinamento una nuova causa d'improcedibilità per il superamento dei termini massimi di durata del processo, a garanzia dell'esigenza di salvaguardare il diritto alla ragionevole durata del processo preso atto del fatto che la priorità odierna è di ridurre i tempi di definizione dei giudizi, allineandoli agli standard europei che, peraltro, nessuno mai illustra compiutamente per avere dati significativi, non basta, infatti, richiamare il tempo di durata del singolo procedimento, occorrendo anche verificare il numero dei procedimenti assegnati, nelle varie fasi, a ciascun magistrato , si osservava che questo risultato «può essere raggiunto individuando termini di fase prossimi a quelli di ragionevole durata del processo, che per la legge Pinto sono pari a tre anni per il primo grado, a due per l'appello e a un anno per il giudizio di legittimità» in quest'ottica, l'improcedibilità dell'azione costituiva «estremo rimedio per la tutela del diritto fondamentale alla ragionevole durata del processo», rimedio «che, in una logica di progressività, è temporalmente preceduto dal rimedio risarcitorio della legge Pinto», essendo il previsto termine di improcedibilità determinato dalla Commissione in misura più ampia di quello corrispondente previsto dalla citata legge Pinto. Secondo la proposta della Commissione, in particolare, i termini di improcedibilità avrebbero dovuto essere pari ad anni 4, 3, e 2 rispettivamente per il giudizio di primo grado, di appello e di legittimità l'improcedibilità si sarebbe dovuta determinare per ciascuna fase il processo penale, nel suo complesso, non sarebbe dovuto durare, dalla data dell'esercizio dell'azione penale e, quindi, senza considerare il tempo necessario per lo svolgimento delle indagini preliminari , più di nove anni, salva proroga del termine di fase nei casi previsti, nelle ipotesi in precedenza previste come cause di sospensione del corso della prescrizione del reato per una serie di reati di particolare gravità si ipotizzava l'evenienza di prevedere un termine di improcedibilità di durata maggiore, o addirittura, per i reati puniti con l'ergastolo o di criminalità organizzata, l'esclusione dalla disciplina. Una terza proposta, discussa ma non accolta dalla Commissione, limitava il meccanismo dell'improcedibilità ai soli giudizi d'impugnazione di conseguenza, il termine di prescrizione del reato cessava di decorrere definitivamente con l'emissione della sentenza di primo grado proprio questa è, peraltro, la proposta accolta dalla novella. 2. La disciplina. Il nuovo articolo 344-bis c.p.p. stabilisce che l'azione penale, nei casi in cui essa era ex ante procedibile, diventa ex post “improcedibile” in caso di mancata definizione dei giudizi d'impugnazione entro termini prestabiliti. Questa previsione è viziata da un primo, grave, errore logico-giuridico, potendo, nei casi presi in considerazione dalla disposizione, l'azione penale correttamente esercitata perché “procedibile” a seconda dei casi, d'ufficio oppure a querela di parte al più divenire “improseguibile”, non certo radicalmente improcedibile la tecnicamente errata dizione utilizzata dal legislatore verosimilmente fuorviata da una collocazione surreale, nell'ambito delle condizioni di procedibilità, istituto che, peraltro, fino ad ieri condizionava anche l'inizio del procedimento, non soltanto la tombale conclusione del processo sembra volere intendere che, a seguito della declaratoria di “improcedibilità” per mancata definizione entro il termine previsto del giudizio d'impugnazione, l'azione penale, dichiarata improcedibile, non potrà essere esercitata nuovamente in relazione al medesimo fatto storico, pur se diversamente qualificato in diritto. A ciò induce anche il rilievo che il successivo articolo 345 c.p.p. il quale disciplina i casi di riproponibilità dell'azione penale in presenza del sopravvenire della condizione di procedibilità inizialmente mancante, evocando – anche nel secondo comma ‒ situazioni che, in relazione alla nuova causa di improcedibilità di cui all'articolo 344-bis, rimuovibile solo da una tempestiva definizione ex post dell'impugnazione, non sono ex ante immaginabili non è stato modificato dalla novella.  A seguito dell'introduzione dell'articolo 344-bis c.p.p., è stato modificato anche l'articolo 578 c.p.p., attraverso l'inserimento di un nuovo comma 1-bis, a norma del quale gli effetti civili delle sentenze di condanna pronunciate in primo grado restano salvi si prevede, in particolare, che, nei casi in cui, nei confronti dell'imputato, sia stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, in favore della parte civile, il giudice di appello e la Corte di cassazione, nel dichiarare improcedibile l'azione penale per il superamento dei termini di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 344-bis, rinviano per la prosecuzione del giudizio riguardante l'azione civile, al giudice civile competente per valore in grado di appello, che decide valutando le prove acquisite nel processo penale. 2.1. L'ambito applicativo della disciplina il “giudizio” d'impugnazione. L'articolo 344-bis c.p.p.si applica, per sua espressa previsione, ai soli “giudizi” d'impugnazione, non quindi a tutte le impugnazioni, come pure sarebbe stato possibile prevedere. Tenuto conto che il termine “giudizio”, impiegato dalla disposizione per delimitare il suo ambito applicativo, intitola anche il libro VII del vigente codice di rito, ed evoca il processo di cognizione ordinario, potendo al più essere ampliato estensivamente per trasparente identità di presupposto legittimante e di ratio , fino a ricomprendere i processi di cognizione celebrati e conclusi con i riti alternativi, riteniamo che la prevista causa speciale d'improcedibilità, avente natura eccezionale, e come tale insuscettibile di analogia, non operi con riferimento al processo cautelare ed al processo esecutivo, oltre che per ogni altro diverso subprocedimento nell'ambito del quale sia accordata alle parti la facoltà di proporre una impugnazione. Ad esempio, a nostro avviso non opera ‒ con riguardo al ricorso previsto dal comma 5 dello stesso articolo 344-bis - con riguardo ai ricorsi per cassazione contro gli atti abnormi. 2.2. I termini. La nuova disciplina prevede due ipotesi - per i delitti puniti con l'ergastolo, anche come effetto dell'applicazione di circostanze aggravanti, il comma 9 stabilisce che non è previsto alcun termine entro il quale definire, a pena di c.d. “improcedibilità”, i giudizi d'impugnazione il riferimento che condiziona l'organizzazione dei ruoli di udienza e la determinazione delle priorità nella trattazione dei giudizi d'impugnazione per il rispetto di termini che devono essere ex ante già certi ci sembra poter essere inteso come evocante la pena edittale astratta comminata per il reato, anche se non più irrogabile all'esito del giudizio d'impugnazione de quo,  non potendo l'applicazione o meno della causa d'improcedibilità essere determinata ex post, ovvero secundum eventum, in considerazione della pena in concreto irrogata in ciascun grado - per tutti gli altri reati, i giudizi d'impugnazione devono essere definiti entro termini prestabiliti, in particolare quello di appello entro il termine di due anni comma 1 , quello di cassazione entro il termine di un anno comma 2 . Con riguardo ai predetti termini - il dies a quo coincide con il novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine previsto dall'articolo 544 c.p.p. come eventualmente prorogato ulteriormente ex articolo 154 disp. att. c.p.p. per il deposito della motivazione della sentenza - il dies ad quem coincide con la “definizione” del giudizio di impugnazione. Nel silenzio della disposizione, riteniamo che i predetti termini ricominciano a decorrere integralmente – senza “scomputi” – nei casi in cui il singolo giudizio di impugnazione debba essere celebrato nuovamente a seguito di annullamento. 2.2.1. Il dies a quo. La Corte di appello e la Corte di cassazione dovranno, pertanto, definire il proprio grado di giudizio rispettivamente entro due anni oppure entro un anno, computati a partire dal 90o giorno successivo al giorno in cui scade il termine fissato, per il deposito della motivazione della sentenza di primo grado o di appello, a norma del combinato disposto degli articolo 544 c.p.p. e 165 disp. att. c.p.p. si vuole in tal modo sanzionare l'eventuale inerzia del giudice del grado precedente che abbia depositato la motivazione della sentenza violando i predetti termini, laddove, al contrario, nel caso in cui il Giudice di pace, il Tribunale o la Corte di appello abbiano rispettato i predetti termini, ed essendo il termine per proporre appello o ricorso per cassazione pari, al massimo, a 45 giorni, residuerebbero in ogni caso – fino al momento della decorrenza del termine di cui all'articolo 344-bis – non meno di 45 giorni per provvedere alla trasmissione degli atti rispettivamente in Tribunale, alla Corte di appello oppure alla Corte di cassazione. Questa previsione appare estremamente irragionevole e, pertanto, in sospetto contrasto con l'articolo 3 Cost. , oltre che suscettibile di compromettere la corretta amministrazione della giustizia e, pertanto, in sospetto contrasto con l'articolo 101 Cost. , nella misura in cui prevede che il tempo a disposizione del giudice dell'appello o di legittimità per la definizione del grado sia condizionato dall'operato sia del giudice del grado precedente, sia del personale amministrativo che presta servizio presso l'Ufficio giudiziario dianzi al quale si è celebrato il grado precedente, e quindi non dipenda esclusivamente dall'organizzazione del giudice dell'impugnazione. Per quanto ci si sia ragionato, non è stato francamente possibile comprendere la ragione per la quale il termine previsto dall'articolo 344-bis, comunque commisurato, non sia stato fatto decorrere dal momento in cui l'Ufficio giudiziario competente per il giudizio d'impugnazione abbia ricevuto gli atti dall'Ufficio giudiziario a quo. Balza, inoltre, immediatamente all'attenzione dell'interprete, anche in sede di commento a prima lettura, una ingiustificabile lacuna considerate le conseguenze tanto radicali della mancata definizione del giudizio d'impugnazione entro i termini prestabiliti a pena di improcedibilità, andava certamente prevista la possibilità di disporre la rimessione in termini per il giudizio di impugnazione nella misura in cui il ritardo oltre i termini massimi di rito nel deposito della motivazione della sentenza del grado precedente abbia costituito effetto almeno del dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giudicato, ed il ritardo nella trasmissione degli atti al giudice competente per l'impugnazione abbia costituito effetto almeno del dolo del personale amministrativo, ugualmente accertato con sentenza passata in giudicato. 2.2.2. Il dies ad quem. Il concetto di “definizione” potrebbe, a stretto rigore, se inteso in senso tecnico, evocare il giudicato solo con il giudicato, infatti, ai sensi dell'articolo 648 c.p.p., la sentenza diviene irrevocabile ed il giudizio d'impugnazione può ritenersi “definito”, venendo meno la possibilità che, rispettivamente, esso sia nuovamente celebrato in sede di rinvio in appello , od a seguito di un giudizio di rinvio in Cassazione . Nondimeno, appare evidente che esso sia stato utilizzato atecnicamente, volendo al contrario evocare la data di decisione, che coincide con quella della pubblicazione del dispositivo a tale data potrà ritenersi definito il giudizio ai fini del rispetto del termine previsto a pena di improcedibilità. Invero, sia pur ad altri effetti, la Corte di cassazione Sez. VI, numero 31702/2008 Sez. V, numero 25470/2009 ha in passato chiarito che il grado di giudizio deve ritenersi definito nel momento della lettura del dispositivo, non in quello, eventualmente successivo, del deposito della motivazione. Considerato che, come appena osservato, il dies a quo del medesimo termine previsto per il giudizio d'impugnazione di grado successivo inizia a decorrere a partire dal 90o giorno successivo alla scadenza del termine fissato per il deposito della motivazione della sentenza che ha definito la fase precedente, appare evidente che il termine fissato per il deposito della motivazione della sentenza di primo grado non assume rilievo in primo grado, per la cui definizione non è previsto il rispetto dei termini di cui all'articolo 344-bis condiziona il dies a quo del termine per la definizione del giudizio di appello. Inoltre, il termine fissato per il deposito della motivazione della sentenza che ha definito il giudizio di appello non rileva in appello come dies ad quem, che va, al contrario, computato con riferimento alla data della pubblicazione del dispositivo condiziona il dies a quo del termine per la definizione del giudizio di legittimità Infine, il termine fissato per il deposito della motivazione della sentenza che ha definito il giudizio di cassazione non rileva in Cassazione come dies ad quem, che va, lo si ripete, computato con riferimento alla data della pubblicazione del dispositivo  condiziona, come si vedrà sub § 2.5. , il dies a quo del termine per la definizione del giudizio di rinvio. 2.3. Casi di proroga dei termini previsti a pena di “improcedibilità”. Il comma 4 della disposizione consente, nei casi in cui il giudizio di impugnazione sia particolarmente complesso, la proroga dei termini previsti dai commi 1 e 2 a pena di improcedibilità, rispettivamente, del giudizio di appello o di legittimità. La “particolare complessità” del giudizio di impugnazione va determinata, per espressa previsione normativa, avendo riguardo - al numero delle parti o delle imputazioni - al numero o alla complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare. La proroga può avere durata pari a - non oltre un anno nel giudizio di appello - non oltre sei mesi nel giudizio di cassazione. Per effetto di questa proroga - il giudizio d'appello potrà essere definito entro il termine di tre anni - il giudizio di cassazione potrà essere definito entro il termine di un anno e sei mesi. Ulteriori proroghe possono essere disposte, per le medesime ragioni, e per la stessa durata, quando si procede per una serie di delitti all'evidenza ritenuti tali da suscitare maggiore allarme sociale indicati con elencazione da ritenersi tassativa, come tale insuscettibile di analogia - delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci anni - delitti di cui agli articoli 270, terzo comma, 306, secondo comma, 416-bis, 416-ter, 609-bis nelle ipotesi aggravate di cui all'articolo 609-ter , 609-quater e 609-octies c.p. - delitti aggravati ai sensi dell'articolo 416-bis.1, primo comma, c.p. - delitto di cui all'articolo 74 d.P.R. numero 309 del 1990. Per i soli delitti aggravati ai sensi dell'articolo 416-bis.1, primo comma, c.p. si prevede che i periodi di proroga non possono superare, nel complesso, tre anni nel giudizio di appello ed un anno e sei mesi nel giudizio di cassazione ne consegue che, per essi - il giudizio d'appello potrà essere definito entro il termine di cinque anni - il giudizio di cassazione potrà essere definito entro il termine di due anni e sei mesi. La previsione di un periodo di proroga massimo, tra i reati per i quali sono consentite proroghe ulteriori rispetto a quella prevista per tutti i reati, per i soli delitti aggravati ai sensi dell'articolo 416-bis.1, primo comma, c.p., non può che voler dire che per gli altri delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci anni delitti di cui agli articoli 270, terzo comma, 306, secondo comma, 416-bis, 416-ter, 609-bis nelle ipotesi aggravate di cui all'articolo 609-ter , 609-quater e 609-octies c.p. delitto di cui all'articolo 74 d.P.R. numero 309 del 1990 le proroghe possono essere disposte senza limiti inclusio unius, exclusio alterius , salvo unicamente l'onere di motivazione, del quale non è, peraltro, agevolmente possibile desumere l'oggetto ragionevolmente andranno indicate le ragioni per le quali permangono le condizioni che avevano inizialmente legittimato la proroga.    Nel caso in cui si proceda per una pluralità di reati connessi, il termine più ampio previsto per il reato più grave, o comunque per quello in ipotesi meno grave, ma ricompreso nell'elenco dei delitti per i quali sono consentite proroghe di durata maggiore, opera anche per i reati connessi, anche se contestati ad imputati diversi a ciò induce il rilievo che non è stato previsto un caso ad hoc di separazione processuale obbligatoria ex articolo 18 c.p.p. I predetti termini ricominciano a decorrere integralmente, e, nei casi consentiti, con immutata facoltà di proroga – senza “scomputi” – nei casi in cui il singolo giudizio di impugnazione debba essere celebrato nuovamente a seguito di annullamento. 2.3.1. Il regime giuridico dell'ordinanza di proroga. Competente a disporre la proroga del termine previsto a pena di improcedibilità per la definizione di impugnazione è il giudice che procede, ovvero quello che dovrà definire il giudizio di impugnazione sarebbe, infatti, irragionevole, legittimare a disporre la proroga il giudice a quo, pur se ciò potrebbe, almeno in apparenza, sembrare consentito dal tenore letterale della disposizione il giudice a quo è, infatti, competente in materia cautelare ex articolo 91 disp. att. c.p.p. fino al momento della trasmissione degli atti al giudice di grado superiore, ed è, quindi, fino a tale momento, a tutti gli effetti “giudice che procede” anche nella fase che decorre dal 90o giorno successivo al giorno in cui scade il termine fissato, per il deposito della motivazione della sentenza di primo grado o di appello, fino al giorno in cui ha luogo la trasmissione degli atti al giudice competente per la decisione dell'impugnazione invero, solo il giudice ad quem appare in condizione di valutare l'effettiva sussistenza dei presupposti in presenza dei quali è consentito disporre la proroga. Il provvedimento di proroga andrà disposto in forma di ordinanza motivata la precisazione, atteso il tenore dell'articolo 125, comma 2, c.p.p. a norma del quale le ordinanze sono motivate, a pena di nullità appare superflua. L'ordinanza che dispone la proroga del termine previsto per la celebrazione del giudizio di legittimità non è impugnabile. Contro l'ordinanza che dispone la proroga del termine previsto per la celebrazione del giudizio di appello, l'imputato e il suo difensore possono proporre ricorso per cassazione, a pena di inammissibilità, entro cinque giorni dalla lettura dell'ordinanza o, in mancanza, dalla sua notificazione il ricorso non ha effetto sospensivo. La Corte di cassazione decide entro trenta giorni dalla ricezione degli atti, osservando le forme previste dall'articolo 611 c.p.p. udienza camerale non partecipata quando la Corte di cassazione rigetta o dichiara inammissibile il ricorso, la questione non può essere riproposta con l'impugnazione della sentenza. Questa disposizione dimostra la miopia del Legislatore, o forse no pur non volendo considerare gli oneri ulteriori che graveranno sui magistrati della Corte di cassazione tutto sommato agevolmente arginabili, atteso che si discute di ricorsi seriali, per la cui trattazione può ragionevolmente ritenersi che possa fornire un valido ausilio il neonato ufficio del giudice , appare evidente che le cancellerie della Suprema Corte si troveranno assediate senza vie di fuga, dovendo fronteggiare gli oneri di comunicazione prescritti dall'articolo 611 c.p.p. in relazione a decine di migliaia di ricorsi contro le decine di migliaia di proroghe che le Corti d'appello non mancheranno di disporre sempre e comunque, e le difese non mancheranno di impugnare sempre e comunque in Italia “si usa così” . Perchè non provare provare a chiedere, e comunque prevedere, la possibilità di decidere sempre e comunque de plano ex articolo 610, comma 5-bis, c.p.p. . Per fortuna, come abbiamo anticipato sub § 2.1., con riguardo al subprocedimento che si instaura a seguito del ricorso previsto dal comma 5 dell'articolo 344-bis, non avente natura tecnica di “giudizio”, la causa di improcedibilità prevista dall'articolo 344-bis non opera. 2.4. Casi di sospensione dei termini previsti a pena di “improcedibilità”. I termini previsti a pena di improcedibilità dai primi due commi dell'articolo 344-bis sono sospesi, ai sensi del comma 7 della disposizione, con effetto per tutti gli imputati nei cui confronti si sta procedendo, in tre situazioni - nei casi previsti dall'articolo 159, primo comma, c.p. ovvero nei casi di sospensione della prescrizione - nel giudizio di appello, per il tempo occorrente per la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale articolo 603 c.p.p. si prevede, in proposito, che, in caso di sospensione per la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, il periodo di sospensione tra un'udienza e quella successiva non può comunque eccedere sessanta giorni. Il riferimento indiscriminato alla “rinnovazione dibattimentale” consente di ritenere sospeso il termine de quo anche nel caso in cui sia disposta una rinnovazione discrezionale, e non soltanto quando essa è obbligatoria ex articolo 603, comma 3-bis, c.p.p. - quando è necessario procedere a nuove ricerche dell'imputato, ai sensi dell'articolo 159 c.p.p., per la notificazione del decreto di citazione per il giudizio di appello o degli avvisi di cui all'articolo 613, comma 4, in cassazione, i termini de quibus sono sospesi tra la data in cui l'autorità giudiziaria dispone le nuove ricerche e la data in cui la notificazione è effettuata. Il riferimento ai soli “termini di cui ai commi 1 e 2”, presente nella disposizione potrebbe legittimare il dubbio che le cause di sospensione non operino anche in riferimento alle eventualmente previste proroghe ci sembra, peraltro, sistematicamente e ragionevolmente ex articolo 3 Cost. corretto ritenere che la predetta previsione evochi i “termini di cui ai commi 1 e 2” come prorogati in caso contrario, le difese avrebbero gioco troppo facile a neutralizzare le proroghe eventualmente disposte con astensioni e/o impedimenti di varia natura.  L'esigenza che ha indotto il legislatore a “sterilizzare” i termini-base esiste, quindi, anche per le proroghe, in caso contrario destinate immancabilmente a risultare inutiliter data. Come per le cause di sospensione del termine di prescrizione del reato, anche le cause di sospensione del termine di improcedibilità delle impugnazione sono computabili sempre e comunque, non essendone previsti limiti massimi. 2.5. Disposizioni riguardanti il giudizio di rinvio. Il comma 8 dell'articolo 344-bis prevede che, fermo restando quanto previsto dall'articolo 624 c.p.p. in tema di annullamento parziale delle sentenze impugnate in cassazione , le disposizioni di cui ai commi 1, 4, 5, 6 e 7 dello stesso articolo 344-bis si applicano anche nel giudizio di rinvio in appello, ma, in questo caso, il termine di durata massima del processo pari ad anni due, oltre proroghe decorrerà dal 90o giorno successivo alla scadenza del termine previsto dall'articolo 617 c.p.p. per il deposito della motivazione. Sarà, quindi, necessario che, almeno nei casi di annullamento con rinvio, in presenza di motivazioni di particolare complessità destinate ad essere depositate oltre il 30o giorno, ed entro il 90o, anche la Corte di cassazione inizi a ricorrere allo strumento di cui all'articolo 544, comma 3, c.p.p., senz'altro compatibile con il giudizio di legittimità, per espressa previsione dell'articolo 617, comma 1, seconda parte, c.p.p., a norma del quale «Si osservano le disposizioni concernenti la sentenza nel giudizio di primo grado, in quanto applicabili» non altrettanto sembrerebbe potersi dire per lo strumento previsto dall'articolo 154 disp. att. c.p.p., norma speciale che prevede espressamente competenze inerenti alla necessità della proroga ulteriore, oltre i 90 giorni, del termine per il deposito della motivazione in capo ai soli presidenti del Tribunale e della Corte di appello. Attraverso la previsione di un termine per il deposito della motivazione superiore a quello base di giorni 30, fino ad un massimo di giorni 90, sarà anche possibile disporre la conseguente sospensione dei termini di custodia cautelare ex articolo 304, comma 1, lett. c , c.p.p., sempre utile, ed anzi doverosa, nei casi in cui il giudizio di rinvio debba essere celebrato nei confronti di imputati sottoposti a misure cautelari personali, detentive o meno. 2.6. La rinunzia alla declaratoria di improcedibilità. L'imputato ha facoltà di chiedere la prosecuzione del processo, rinunziando alla declaratoria di improcedibilità. Pur nel silenzio del comma 7 dell'articolo 344-bis sul punto, sembra ragionevole ritenere, come già per la rinunzia alla prescrizione ex articolo 157, settimo comma, c.p. il cui diritto potestativo è attribuito, più o meno nei medesimi termini, all'imputato che si tratti di atto personalissimo riservato all'imputato, che non rientra, pertanto, nel novero degli atti processuali che possono essere compiuti dal difensore se non munito di procura speciale a norma dell'articolo 99 c.p.p. cfr., con riferimento alla rinunzia alla prescrizione, Cass. penumero , Sez. III, numero 54374/2018 e Cass. penumero , Sez. I, numero 21666/2013 . 2.7. La rilevanza o meno, ai fini della declaratoria di improcedibilità, della corretta instaurazione del giudizio d'impugnazione. La possibilità che la disciplina della prescrizione operi in sede di legittimità anche in presenza di impugnazioni palesemente strumentali fu disinnescata dall'orientamento per il quale non può porsi in sede di legittimità la questione della declaratoria della estinzione per prescrizione del reato eventualmente maturata dopo la sentenza d'appello, nei casi in cui il ricorso sia conclusivamente dichiarato inammissibile, perché l'inammissibilità del ricorso per cassazione non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'articolo 129 c.p.p. l'orientamento, inaugurato, con riferimento ai soli casi di inammissibilità “originaria” del ricorso ovvero di mancanza, nell'atto di impugnazione, dei requisiti prescritti dall'articolo 581 c.p.p., compreso quello della specificità dei motivi , da Cass. penumero , Sez. Unumero , numero 11/1995, è stato successivamente esteso a tutte le cause di inammissibilità del ricorso da Cass. penumero , Sez. Unumero , numero 32/2001 riguardante un caso di inammissibilità del ricorso per manifesta infondatezza dei motivi , ed è ormai graniticamente consolidato Cass. penumero , Sez. Unumero , numero 23428/2005 Sez. Unumero , numero 19601/2008 Sez. Unumero , numero 12602/2016 . Potrà operare questo orientamento anche in riferimento alla neonata causa di improcedibilità di cui all'articolo 344-bis c.p.p.?  È troppo presto per dirlo. Nei precedenti della Suprema Corte si rinviene l'affermazione, ugualmente consolidata cfr. Cass. penumero , Sez. Unumero , numero 24246/2004 Sez. III, numero 9154/2021 , che la remissione di querela, intervenuta in pendenza del ricorso per cassazione e ritualmente accettata, determina l'estinzione del reato, che prevale su eventuali cause di inammissibilità e va rilevata e dichiarata dal giudice di legittimità, purché il ricorso sia stato tempestivamente proposto, non operando, quindi, unicamente in presenza di ricorsi tardivi fermo restando tale ultimo principio, deve dirsi che, nel resto, l'orientamento non appare immediatamente “esportabile” in tema di improcedibilità dell'impugnazione ex articolo 344-bis c.p.p., poiché la remissione accettata di querela è espressamente qualificata dall'articolo 155 c.p. non come causa, sia pur sopravvenuta, di improcedibilità, bensì   come ben diversa causa di estinzione del reato. 3. Diritto intertemporale. Il comma 3 dell'articolo 2, comma 2, lett. a , l. 27 settembre 2021, numero 134, a sua volta vigente dal 19 ottobre 2021, contiene disposizioni transitorie. Si prevede, come regola generale, che l'articolo 344-bis c.p.p. si applica ai soli procedimenti di impugnazione che hanno ad oggetto reati commessi a far data dal 1° gennaio 2020. Tra questi - per i procedimenti che al 19 ottobre 2021, data di entrata in vigore della legge novellatrice, siano già pervenuti al giudice dell'appello o alla Corte di cassazione gli atti trasmessi ai sensi dell'articolo 590 c.p.p., i termini previsti a pena di improcedibilità dai commi 1 e 2 dell'articolo 344-bis decorrono dal 19 ottobre 2021 la novella trova, quindi, immediata applicazione anche per i procedimenti già pendenti in appello od in cassazione alla data di entrata in vigore della novella, anche se già fissati, ma con termini maggiorati, ai sensi della disposizione che segue - per i procedimenti nei quali l'impugnazione è proposta entro il 31 dicembre 2024, i termini previsti a pena di improcedibilità dai commi 1 e 2 dell'articolo 344-bis sono, rispettivamente, di tre anni per il giudizio di appello e di un anno e sei mesi per il giudizio di cassazione e non più, rispettivamente, di due anni ed un anno gli stessi termini si applicano nei giudizi conseguenti ad annullamento con rinvio pronunciato prima del 31 dicembre 2024. Nel silenzio della disposizione, deve ritenersi che resti salva la possibilità di prorogare i predetti termini nulla essendo stato previsto – per effetto di questa deroga – con riferimento ai reati aggravati ex articolo 416-bis.1, primo comma, c.p., per essi resta fermo che il termine massimo comprensivo di proroghe non può superare, nel complesso, cinque anni per il giudizio di appello e due anni e sei mesi per il giudizio di cassazione. In caso di pluralità di impugnazioni, si fa riferimento all'atto di impugnazione proposto per primo. Fermo restando, quindi - che l'articolo 344-bis si applica unicamente ai procedimenti aventi ad oggetto reati commessi a far data dal 1° gennaio 2020 - che per i procedimenti pendenti in appello od in cassazione alla data del 19 ottobre 2021, i termini previsti a pena di improcedibilità dai commi 1 e 2 dell'articolo 344-bis decorrono dal 19 ottobre 2021 ne consegue che - per le impugnazioni proposte fino al 31 dicembre 2024, tenuto conto della possibilità di proroga, il giudizio d'appello potrà essere definito in non meno di quattro anni, ed il giudizio di cassazione potrà essere definito in non meno di due anni, in entrambi i casi, oltre sospensioni. Per i soli delitti aggravati ai sensi dell'articolo 416-bis.1, primo comma, c.p. il giudizio d'appello potrà comunque essere definito entro il termine di cinque anni ed il  giudizio di cassazione potrà comunque essere definito entro il termine di due anni e sei mesi, in entrambi i casi, oltre sospensioni per i delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci anni, i delitti di cui agli articoli 270, terzo comma, 306, secondo comma, 416-bis, 416-ter, 609-bis nelle ipotesi aggravate di cui all'articolo 609-ter , 609-quater e 609-octies c.p. ed i delitti di cui all'articolo 74 d.P.R. numero 309 del 1990 non sono previsti termini massimi - per le impugnazioni proposte dal 1o gennaio 2025, valgono i termini ordinari e le proroghe secondo quanto già osservato nel § 2.3, oltre sospensioni.   4. Considerazioni conclusive.  Dopo aver letto e “digerito” o, almeno, provato a farlo l'articolo 344-bis c.p.p., si ha netta la sensazione che gli allarmi sugli effetti che la riforma potrebbe esplicare sull'amministrazione della giustizia penale italiana sono condivisibili. È pur vero che, per i reati di maggiore gravità il cui elenco non ci sembra difficile pronosticare che sarà, di volta in volta, massicciamente ampliato da leggi-tampone emanate per fronteggiare l'onda emozionale suscitata nella collettività da questa o quella vicenda non si pongono problemi per quelli puniti con la pena dell'ergastolo non sono previsti termini a pena di improcedibilità delle impugnazioni, per gli altri terrorismo, mafia, reati sessuali, associazioni finalizzate al traffico di sostanze stupefacenti i termini sono prorogabili sine die per i soli reati aggravati ex articolo 416-bis.1, primo comma, c.p. sono previsti termini massimi, peraltro assolutamente congrui 5 anni per l'appello, 2 anni e mezzo per la fase di legittimità . E', inoltre, importante ricordare che tutti i termini ricominciano a decorrere integralmente, e, nei casi consentiti, con immutata facoltà di proroga – senza “scomputi” – nei casi in cui il singolo giudizio di impugnazione debba essere celebrato nuovamente a seguito di annullamento. Per gli altri reati, i termini sono meno “comodi”, ma pur sempre adeguati per le impugnazioni presentate fino al 31/12/2024, con proroghe, 4 anni per l'appello e 2 per la fase di legittimità per le impugnazioni presentata a partire dall'1/1/2025, con proroghe, 3 anni per l'appello ed 1 e mezzo per la fase di legittimità in entrambi i casi, oltre sospensioni , tanto da non legittimare il timore già espresso da taluno di trovarsi al cospetto di una amnistia mascherata. Desta comunque meraviglia il fatto che per una rapina aggravata che, prima del ciclone-Bonafede, si prescriveva in 25 anni oltre sospensioni la declaratoria di improcedibilità possa intervenire, proprio nei casi più “scontati” arresto in flagranza, condanna nel giudizio direttissimo, motivazione contestuale in poco più di 4 o di 3 anni dalla data di commissione. E di esempi del genere potrebbero farsene tanti. Il vero problema della “riforma Cartabia” è un altro. Abbiamo letto da qualche parte che uno degli obiettivi perseguiti, su input delle Istituzioni europee, era quello di ridurre del 25% la durata media dei procedimenti penali. Ma davvero si crede che il nuovo articolo 344-bis dissuaderà i difensori dal proporre sempre e comunque l'impugnazione? Per chi esercita la professione forense, ogni atto giudiziario costituisce una legittima occasione di lavoro retribuito, anche deontologicamente consentita, quando non addirittura imposta, nell'interesse dell'imputato proprio nell'interesse di quest'ultimo, sarà conveniente, e quindi necessario, ingolfare il più possibile gli uffici giudiziari competenti per le impugnazioni, nella speranza che, almeno in qualche caso, possa maturarne la salvifica improcedibilità per gli inevitabili disguidi di cancelleria che si verificheranno in presenza di una non arginabile neppure con le nuove assunzioni di 16.500 assistenti, da reclutare e formare, e quindi non immediatamente disponibili mole di impugnazioni anche pretestuose nessuna disposizione sanziona i difensori che le propongono. In Italia, pur se la decisione avviene con rito de plano, è tuttora ricorribile, senza conseguenze disciplinari, persino la sentenza di patteggiamento che non abbia prosciolto l'imputato ex articolo 129 c.p.p., o gli abbia applicato una pena troppo severa in Europa, alcuni ordinamenti prevedono, in presenza di impugnazioni reiteratamente inammissibili o dell'esposizione di dati processuali non corrispondenti al vero, severe conseguenze disciplinari per i difensori, ma da noi l'argomento è tabù . Drammatica sarà, in particolare, la situazione della Corte di cassazione, che si troverà investita da un incrementato numero di ricorsi dilatori nel dubbio, meglio provarci, non si sa mai … oltre che dal prevedibilmente alluvionale carico dei ricorsi contro le ordinanze di proroga dei termini previsti a pena di improcedibilità emesse dalle Corti di appello, per i quali come abbiamo anticipato sub 2.1. e sub 2.3.1 la causa di improcedibilità prevista dall'articolo 344-bis non opera, ma che sarà comunque necessario decidere sollecitamente, dovendo le Corti di appello avere certezza sui termini che devono rispettare. Oggi in Cassazione i tempi medi di definizione dei procedimenti sono pari a circa sei/sette mesi nelle Sezioni ordinarie, e circa sette/otto mesi in Settima sezione il maggiorato carico di ricorsi che la investirà non provocherà declaratorie di improcedibilità in Cassazione si lavora sodo, lo si è sempre fatto, lo si farà ancora , ma dilaterà i tempi di definizione entro i sicuramente più comodi limiti previsti dall'articolo 344-bis. Ed allora, ritornando a considerare gli obiettivi della Riforma Cartabia preliminarmente riepilogati sub § 1 , è ora possibile chiedersi l'articolo 344-bis c.p.p. contribuirà a ridurre il numero dei procedimenti da trattare? a ridurre i tempi della giustizia penale? ad aumentare la fiducia della collettività nell'amministrazione della giustizia penale? a garantire l'effettività della tutela giurisdizionale penale per tutti ci sono anche persone offese e parti civili, non dimentichiamolo ? Non diremmo proprio.