In presenza nell’atto di compravendita della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata rispetto al titolo menzionato.
Premessa. La Corte di Cassazione con la pronuncia numero 29317 depositata in cancelleria il 21 ottobre 2021, si è occupata della validità relativa all'atto di acquisto avente ad oggetto la compravendita di un bene costruito in difformità dalla licenza edilizia. Il fatto. La vicenda coinvolge le parti di un contratto di compravendita immobiliare avvenuto nell'anno 1979. L'acquirente adiva il Tribunale chiedendo la declaratoria di nullità del contratto concluso, la restituzione del prezzo versato, nonché il risarcimento del danno patrimoniale subito da liquidarsi tenendo conto del presumibile valore commerciale dell'immobile. Si doleva l'attore del fatto che il bene immobile, ancorché nell'atto di acquisto fosse espressamente citata la licenza edilizia, fosse stato edificato in modo difforme dal medesimo titolo. In primo grado la domanda trovava accoglimento. La pronuncia era impugnata dalle parti soccombenti. La decisione della Corte ribaltava le sorti della controversia con conseguente rigetto della domanda formulata in primo grado. La Corte di Appello specificava che, nel caso di specie, il contratto di compravendita facesse espressa menzione della licenza edilizia sicché allo stesso dovesse applicarsi il regime giuridico della l. numero 10/1977, articolo 15 che prevedeva la sanzione della nullità per gli atti relativi ad immobili costruiti senza concessione e laddove l'acquirente ignorasse tale mancanza. Pertanto, a parere del giudice di seconde cure la sanzione della nullità non era applicabile nell'ipotesi in cui vi fosse la semplice difformità del bene immobile realizzato dalla relativa licenza edilizia, come era avvenuto nel caso di specie. Anche la disposizione normativa successiva attuata mediante la l. numero 47/1985 , in continuità con la precedente, prevedeva la nullità del trasferimento mediante compravendita dei beni solo nell'ipotesi di omessa menzione degli estremi della licenza nell'atto. La decisione era impugnata dinanzi alla Corte di Cassazione. L'interpretazione non estensiva dell' articolo 15, l. numero 10/1977 . La prima censura proposta riguardava la violazione dell' articolo 15, l. numero 10/1977 . La ricorrente sosteneva la totale difformità del bene acquistato alla licenza edilizia, anche accertata in sede di consulenza tecnica di ufficio, motivo che rendeva il bene stesso incommerciabile. Tale situazione consentiva di equiparare lo stato dell'immobile privo di licenza edilizia a quello realizzato in totale difformità. Sicché alle due fattispecie poteva ritenersi applicabile la medesima sanzione giuridica prevista per l'ipotesi di totale assenza di concessione quale la nullità dell'atto di compravendita in buona sostanza parte acquirente sosteneva che indirettamente da tale norma si sarebbe dovuta dedurre l'incommerciabilità di immobili comunque abusivi, qual era quello oggetto della compravendita de qua. La riconducibilità della concessione edilizia al bene non inficia la compravendita anche in presenza di difformità del bene. I Giudici di monofilachia evidenziavano la correttezza della pronuncia di secondo grado conforme a diritto e priva di vizi logici. Invero già altra giurisprudenza della Cassazione aveva affermato come il regime di nullità introdotto dall' articolo 40 l. numero 47/1985 non fosse retroattivo non essendo quindi applicabile a contratti intervenuti prima della sua entrata in vigore i quali, restavano assoggettati alla disciplina di cui alla l. numero 10/1977 . Ai sensi dell' articolo 15, l. numero 10 1977 gli atti giuridici aventi per oggetto unità edilizie costruite in assenza di concessione sono nulli ove da essi non risulti che l'acquirente era a conoscenza della mancanza della concessione. Il ricorso era considerato infondato anche con riferimento alla terza censura che riguardava la necessità d'individuare comunque il regime di nullità dell'atto per violazione di norme imperative e per impossibilità o illiceità dell'oggetto, secondo quanto previsto dagli articolo 1418 e 1346 c.c. . Ferma la genericità della motivazione, i Giudici di legittimità specificavano che recentemente le Sezioni Unite della Cassazione Cass. numero 8230/2019 avevano affermato che le nullità degli articoli 17 e 40 della legge numero 47 del 1985 dovevano essere intese in senso testuale. Sicché la sanzione della nullità non poteva colpisce l'atto di compravendita del bene ove gli estremi del titolo abilitativo esistano e siano riferibili all'immobile, a nulla rilevando ai fini della validità del contratto che vi sia anche la conformità della costruzione realizzata al titolo. Tanto anche in ragione del fatto che la causa del contratto di compravendita è individuabile nel trasferimento della proprietà della cosa a fronte del versamento di un prezzo, pertanto l'indagine relativa alla regolarità urbanistica del bene resta estranea al contratto di compravendita. Ne discende che la dichiarazione attinente alla licenza edilizia richiamata nell'atto e riferibile effettivamente all'immobile oggetto di compravendita rende il contratto valido indipendentemente dalle difformità effettivamente riscontrate. Per queste ragioni il ricorso era rigettato.
Presidente Di Virgilio – Relatore Varonne Fatti di causa 1. L.S. citava dinanzi il Tribunale di Roma b.o., Be.Do. e T.M. per accertare la nullità del contratto di compravendita stipulato il 14 dicembre 1979 tra l'attore e i convenuti con condanna di questi ultimi congiuntamente o disgiuntamente tra loro e previa restituzione degli immobili acquistati, al pagamento della somma di Lire 15.000.000 oltre rivalutazione e interessi e oltre al risarcimento del danno patrimoniale riferito alla differenza di valore degli immobili oggetto del contratto in relazione all'attuale valore di mercato immobiliare. 2. Il Tribunale accoglieva la domanda e dichiarava la nullità del contratto per essere l'immobile non conforme alla disciplina urbanistica con condanna dei convenuti alla restituzione del prezzo versato di Euro 7746,85 ed al risarcimento del danno liquidato complessivamente in Euro 126.500 sulla base del presumibile valore commerciale di un immobile di caratteristiche simili a quello oggetto della compravendita. 3. Gli eredi dei convenuti, nelle more deceduti, Pa.Li., in proprio e quale tutrice di b.p., b.a., in qualità di eredi di b.o., Ca.Na., T.S., T.M., e R.G. in qualità di genitori esercenti la patria potestà sul minore T.D., T.F., B.M., nella qualità di genitori esercenti la patria potestà sul minore To.Ma., C.C., Ba.Ma., Be.Lo., D.P.F., Be.Ro. e Ba.Al. nella qualità di genitori esercenti la patria potestà sulla minore ba.al. in qualità di eredi di Be.Do. proponevano appello avverso la suddetta sentenza. 4. La Corte d'Appello accoglieva l'impugnazione e in riforma della sentenza di primo grado rigettava la domanda proposta da L.S In particolare, la Corte d'Appello evidenziava che il punto centrale della controversia era costituito dal regime giuridico della compravendita al momento della stipula del contratto avvenuta il 13 dicembre 1979. Nel contratto si specificava che il fabbricato di cui faceva parte la porzione immobiliare compravenduta era stato costruito in base alla licenza di costruzione numero 1097 del 1968 e della successiva voltura numero 2691 del 1973. La Corte d'Appello riteneva che alla fattispecie dovesse applicarsi della L. numero 10 del 1977, articolo 15, che prevedeva la sanzione della nullità esclusivamente per gli atti relativi ad immobili costruiti senza concessione e laddove l'acquirente non fosse a conoscenza di tale assenza, con la conseguenza che, in caso di costruzione in difformità dalla concessione, nessuna nullità dell'atto poteva ipotizzarsi. La sanzione della nullità di un atto di disposizione, infatti, non poteva essere interpretata estensivamente al fine di ricondurvi anche il caso di costruzione in difformità dal permesso di costruire. Anche la successiva L. numero 47 del 1985 , secondo la giurisprudenza di legittimità prevedeva, prescindendo dalla regolarità sostanziale del bene sotto il profilo urbanistico, la nullità degli atti di trasferimento di diritti reali di edifici esclusivamente per l'omessa menzione degli estremi della licenza edilizia da parte dell'alienante ovvero per la mancata allegazione della relativa domanda di sanatoria con allegata la prova dell'avvenuto versamento delle prime due rate dell'oblazione. La Corte d'Appello dava atto dell'orientamento della giurisprudenza di legittimità che successivamente aveva adottato un'interpretazione sostanzialistica della nullità ma riteneva di aderire alla tesi che limitava l'ipotesi di nullità alla mancanza di concessione o alla mancata indicazione degli estremi della licenza edilizia. Peraltro, nel caso di specie, doveva farsi applicazione della L. numero 10 del 1977 e non della L. numero 47 del 1985, articolo 40 . 5. L.S. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di quattro motivi di ricorso. 6. Ca.Na., C.C., Pa.Li. in proprio e quale esercente la patria potestà sulla figlia b.p. ed b.a. hanno resistito con controricorso. 7. Entrambe le parti con memoria depositata in prossimità dell'udienza hanno insistito nelle rispettive richieste. Ragioni Della Decisione 1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato violazione della L. numero 10 del 1977, articolo 15 . La censura attiene alla statuizione secondo la quale l'assenza di concessione edilizia prevista a pena di nullità debba differenziarsi rispetto alla difformità totale, con particolare riferimento al disposto di cui della L. numero 10 del 1977, articolo 15 . Il trasferimento di beni immobili viziati da incommerciabilità, secondo il ricorrente, deve essere dichiarato nullo indipendentemente dal regime giuridico applicabile. La L. numero 10 del 1977, articolo 15, comma 7, sanciva la nullità dei trasferimenti degli immobili costruiti in assenza di concessione e, in tal modo, vietava il commercio di immobili abusivi. In sostanza ciò che rileva nel caso in esame è l'incommerciabilità dei beni come accertata dal consulente tecnico d'ufficio. Peraltro, la stessa Corte d'Appello avrebbe evidenziato che non ogni abuso edilizio determina di per sé stessa l'incommerciabilità del bene ma solo quelli di maggiore gravità. A tal proposito il ricorrente riporta le conclusioni del consulente tecnico che aveva evidenziato la totale difformità dell'immobile costruito rispetto al titolo riabilitativo, concludendo nel senso che l'irregolarità edilizia e urbanistica fosse tale da rendere impossibile l'immissione in commercio degli immobili. Il ricorrente richiama la giurisprudenza di legittimità che ha equiparato all'ipotesi di assenza di concessione edilizia il vizio di totale difformità. 2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato violazione della L. numero 10 del 1977, articolo 15 e della L. numero 47 del 1985, articolo 17 e 40 . Il ricorrente richiama la giurisprudenza di legittimità che ha interpretato le norme citate in senso sostanziale e dopo aver ricostruito la successione delle leggi ritiene di individuare una linea di continuità che caratterizza la legislazione finalizzata a garantire il prevalente interesse pubblico all'incommerciabilità delle costruzioni abusive o totalmente difformi, in conformità con il principio generale della nullità di carattere sostanziale degli atti di trasferimento di immobili non in regola con la normativa urbanistica. Peraltro, la legge del 1985 non ha sottratto alla sua applicazione le costruzioni ultimate entro la data della sua entrata in vigore e anzi ha offerto l'opportunità di procedere ad una sanatoria per gli abusi ultimati entro la data del 1 ottobre 1983. Di conseguenza le sanzioni introdotte dalla L. numero 47 del 1985 , sarebbero retroattive. L'articolo 40 della Legge citata, infatti, era riferito alle costruzioni antecedente l'entrata in vigore della legge alle quali soltanto poteva far riferimento la sanatoria. Dunque, gli immobili di cui è causa avrebbero dovuto essere esaminati nel rispetto delle prescrizioni urbanistiche intervenute nel 1985 e, nella specie, non essendo stata attivata alcuna procedura di sanatoria o condono, doveva trovare applicazione della L. numero 47 del 1985, articolo 40 . 2 .1 I primi due motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono infondati. La Corte d'Appello ha individuato il punto centrale della controversia nel regime giuridico della compravendita al momento della stipula del contratto avvenuta il 13 dicembre 1979. Nella specie, ha ritenuto di fare applicazione della L. numero 10 del 1977, articolo 15, che prevedeva la sanzione della nullità esclusivamente per gli atti relativi ad immobili costruiti senza concessione e laddove l'acquirente non fosse a conoscenza di tale assenza, con la conseguenza che in caso di costruzione in difformità dalla concessione nessuna nullità dell'atto poteva ipotizzarsi. Nel contratto, infatti, si specificava che il fabbricato di cui faceva parte la porzione immobiliare compravenduta era stato costruito in base alla licenza di costruzione numero 1097 del 1968 e della successiva voltura numero 2691 del 1973. La statuizione della Corte d'Appello di Roma è conforme alla giurisprudenza di legittimità ed è immune dalle censure sollevate dal ricorrente. Questa Corte, infatti, ha già avuto modo di affermare che Il regime di nullità degli atti tra vivi aventi ad oggetto diritti reali, previsto dalla L. numero 47 del 1985, articolo 40, è inapplicabile per il principio della irretroattività, ai contratti stipulati anteriormente alla sua entrata in vigore per essi trova applicazione il sistema di sanzioni civili previsto dalla L. numero 765 del 1967, articolo 10, comma 4 e, in termini pressoché identici, dalla L. numero 10 del 1977, articolo 15, comma 7, che subordina la nullità dell'atto alla mancata conoscenza da parte dell'acquirente della carenza di concessione edilizia nella specie, si è esclusa la nullità del contratto di compravendita posto che la conoscenza da parte dell'acquirente della carenza della concessione edilizia emergeva inequivocabilmente dalla presenza di un patto aggiunto nel quale la parte venditrice aveva assunto l'obbligazione di tenere indenni gli acquirenti dalle conseguenze economiche della costruzione abusiva Sez. II, numero 3350 del 1992 . Inoltre, quanto all'interpretazione della L. numero 10 del 1977, articolo 15, deve darsi continuità al seguente principio di diritto La L. numero 10 del 1977, articolo 15, comma 7, relativo alla nullità degli atti giuridici aventi ad oggetto costruzioni abusive va interpretato nel senso che ai fini della validità dell'atto occorre il duplice requisito che l'acquirente sapeva della mancanza della concessione al momento della stipulazione e che tale conoscenza fu espressa nell'atto medesimo anche implicitamente in modo che si possa dire egli vi manifestò la volontà di acquistare un'unità edilizia costruita senza la necessaria concessione - manifestazione di volontà che - è bene precisare - non può desumersi aliunde Sez. II, numero 6466 del 1990 . 3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato violazione degli articolo 1418 e 1346 c.c. . Secondo il ricorrente, la Corte d'Appello avrebbe dovuto in ogni caso individuare il fondamento della nullità sostanziale del contratto del dicembre 1979 nel sistema codicistico ed in particolare nella disciplina generale della nullità di cui agli articolo 1418 e 1346 c.c. . In sostanza, nella specie il contratto sarebbe nullo per contrarietà a norme imperative e per impossibilità e illiceità dell'oggetto. 3.1 Il terzo motivo di ricorso è infondato. In primo luogo, la censura è del tutto generica perché non indica quali siano le norme urbanistiche violate, facendo riferimento genericamente ad abusi edilizi. Ad ogni modo deve richiamarsi la recente pronuncia delle Sezioni Unite con la quale si è ritenuto che La nullità comminata dal D.P.R. numero 380 del 2001, articolo 46 e della L. numero 47 del 1985, articolo 17 e 40, va ricondotta nell'ambito dell' articolo 1418 c.c. , comma 3, di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità testuale , con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un'unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell'immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell'immobile. Pertanto, in presenza nell'atto della dichiarazione dell'alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all'immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato Sez. U., Sent. numero 8230 del 2019 . In tale pronuncia si è precisato che la nullità comminata dalle disposizioni in esame non può esser sussunta nell'orbita della nullità c.d. virtuale di cui dell' articolo 1418 c.c. , comma 1, che presupporrebbe l'esistenza di una norma imperativa ed il generale divieto di stipulazione di atti aventi ad oggetto immobili abusivi al fine di renderli giuridicamente non utilizzabili, e tale divieto non trova riscontro in seno allo jus positum, che, piuttosto, enuncia specifiche ipotesi di nullità. Ne' la conclusione può fondarsi nella previsione della conferma degli atti nulli, mediante la redazione di un atto aggiuntivo, contemplata per l'ipotesi in cui la mancata indicazione dei prescritti elementi non sia dipesa dalla insussistenza del permesso di costruire al tempo in cui gli atti medesimi sono stati stipulati. Tale conferma e l'atto aggiuntivo che la contiene presuppongono, bensì, che il titolo e la documentazione sussistano, ma, di per sé, non implicano che l'edificio oggetto del negozio ne rispecchi fedelmente il contenuto. Le sezioni Unite hanno precisato anche che la tesi sostanzialista non può fondarsi sul disposto di cui dell' articolo 1418 c.c. , comma 2. La consentita disposizione testamentaria in ordine ad immobili non regolari urbanisticamente, e comunque la possibilità del loro trasferimento per successione mortis causa, la loro attitudine a costituire garanzie reali, la loro idoneità, inoltre, ad esser contemplati in seno agli atti inter vivos valga per tutti la locazione ed in seno ad atti costituenti diritti reali di servitù escludono che il loro modo di atteggiarsi possa di per sé solo valere ad integrare le vietate ipotesi d'illiceità o d'impossibilità dell'oggetto, o, ancora d'illiceità della prestazione che, in tesi, dovrebbero colpire tutti gli atti e, dunque, anche quelli esentati o della causa per contrarietà a norme imperative o al buon costume. L'oggetto della compravendita, secondo la definizione data dall' articolo 1470 c.c. , è il trasferimento della proprietà della res, che, in sé, non è suscettibile di valutazione in termini di liceità o illiceità, attenendo l'illecito all'attività della sua produzione, e, considerato che la regolarità urbanistica del bene è estranea alla causa della compravendita, tradizionalmente definita nello scambio - cosa contro prezzo - che ne costituisce la sua funzione economica e sociale, ed altresì il suo effetto essenziale. In costanza di una dichiarazione reale e riferibile all'immobile, il contratto sarà in conclusione valido, e tanto a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo in esso menzionato, e ciò per la decisiva ragione che tale profilo esula dal perimetro della nullità, in quanto, non è previsto dalle disposizioni che la comminano, e tenuto conto del condivisibile principio generale secondo cui le norme che, ponendo limiti all'autonomia privata e divieti alla libera circolazione dei beni, sanciscono la nullità degli atti debbono ritenersi di stretta interpretazione, sicché esse non possono essere applicate, estensivamente o per analogia, ad ipotesi diverse da quelle espressamente previste. In conclusione, in presenza nell'atto della dichiarazione dell'alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all'immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata rispetto al titolo menzionato. 4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio oggetto di discussione. Secondo il ricorrente la Corte d'Appello avrebbe dovuto valutare l'inadempimento delle controparti che non avevano correttamente adempiuto la loro prestazione avendo venduto un bene abusivo e, dunque, avrebbe dovuto pronunciarsi sul risarcimento del danno. Tale richiesta sarebbe autonoma rispetto alla richiesta di risoluzione del contratto non riproposta in appello. 4.1 Il quarto motivo è infondato. La Corte d'Appello ha accolto l'appello e rigettato le domande di L.S., precisando che questi sebbene in primo grado avesse proposto anche una domanda di risoluzione del contratto, non aveva in sede di appello riproposto la questione, sulla quale pertanto non poteva pronunciarsi Risulta evidente, pertanto, che non vi sia stato alcun omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e che il ricorrente ha proposto nella sostanza una censura di omessa pronuncia che è del tutto infondata, in quanto la Corte d'Appello ha espressamente chiarito che nella specie non era stata riproposta la domanda di risoluzione e di risarcimento per inadempimento. D'altra parte, anche con il motivo in esame, il ricorrente non indica in alcun modo di aver riproposto in sede di appello la domanda di risoluzione del contratto per inadempimento con conseguente domanda di risarcimento del danno. Viceversa, il risarcimento del danno riconosciuto dalla sentenza di primo grado si fondava sulla presunta nullità del contratto. 5. Il ricorso è rigettato. 6. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. 7. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto. P.Q.M . La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento alla parte controricorrente delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5300 piùEuro 200. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13 , comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.