«È inammissibile l’opposizione a decreto penale di condanna presentata a mezzo di posta elettronica certificata ciò in quanto vige il principio di tassatività ed inderogabilità delle forme per la presentazione delle impugnazioni, trattandosi di modalità non consentita dalla legge, in ragione dell’assenza di una norma specifica che consenta nel sistema processuale penale, in termini generali, il deposito di atti in via telematica, e nonostante che per espressa previsione di legge il valore legale della posta elettronica certificata sia equiparato alla raccomandata con ricevuta di ritorno».
Un'imputata ricorre in Cassazione, avverso l'ordinanza con la quale il GIP del Tribunale di Ascoli Piceno ha dichiarato inammissibile l'opposizione a decreto penale di condanna emesso a suo carico, in quanto presentata tramite PEC. La ricorrente deduce la violazione di legge, sottolineando il mancato consenso «alla parte privata a proporre opposizione o impugnazioni o a depositare atti attraverso il mezzo informatico, sebbene esso sia consentito per le notificazioni da parte degli uffici giudiziari nei termini di cui al d.l. numero 179/2012». La doglianza è inammissibile. La Corte di Cassazione ha già avuto modo di affermare che «è inammissibile l'opposizione a decreto penale di condanna presentata a mezzo di posta elettronica certificata ciò in quanto vige il principio di tassatività ed inderogabilità delle forme per la presentazione delle impugnazioni, trattandosi di modalità non consentita dalla legge, in ragione dell'assenza di una norma specifica che consenta nel sistema processuale penale, in termini generali, il deposito di atti in via telematica, e nonostante che per espressa previsione di legge il valore legale della posta elettronica certificata sia equiparato alla raccomandata con ricevuta di ritorno» Cass. numero 21056/2018, numero 50932/2017 . Nel caso di specie la suddetta opposizione è stata presentata durante il periodo emergenziale dovuto alla pandemia da COVID-19, ma la facoltà delle parti di depositare atti per via telematica in tale fase è stata introdotta, in via derogatoria e transitoria, solo in epoca successiva a quella della proposizione dell'opposizione da parte dell'accusata. Ne consegue l'inammissibilità del ricorso e la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Presidente Di Salvo – Relatore Ravich Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. C.C. ricorre avverso l'ordinanza con la quale, in data 7 agosto 2020, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Ascoli Piceno ha dichiarato inammissibile l'opposizione, presentata dalla stessa C. a mezzo posta elettronica certificata, a decreto penale di condanna emesso a suo carico il 3 luglio 2020. Quale unico motivo di doglianza, proposto per violazione di legge, la ricorrente lamenta il mancato consenso alla parte privata a proporre opposizione o impugnazioni o a depositare atti attraverso il mezzo informatico, sebbene esso sia consentito per le notificazioni da parte degli uffici giudiziari nei termini di cui al D.L. numero 179 del 2012 il fatto che la legge non preveda alcunché al riguardo per le parti private non può considerarsi un argomento contrario all'utilizzabilità della PEC per queste ultime inoltre, in assenza di disposizioni diverse, dovrebbe trovare applicazione l'articolo 48, comma 2, del c.a.d Infine la deducente evidenzia la condizione di emergenza e straordinarietà, dovuta alla pandemia da COVID, in cui l'opposizione fu presentata. 2. Il ricorso è inammissibile. Come noto, questa Corte ha ripetutamente affermato che è inammissibile l'opposizione a decreto penale di condanna presentata a mezzo di posta elettronica certificata ciò in quanto vige il principio di tassatività ed inderogabilità delle forme per la presentazione delle impugnazioni, trattandosi di modalità non consentita dalla legge, in ragione dell'assenza di una norma specifica che consenta nel sistema processuale penale, in termini generali, il deposito di atti in via telematica, e nonostante che per espressa previsione di legge il valore legale della posta elettronica certificata sia equiparato alla raccomandata con ricevuta di ritorno Sez. 4, numero 21056 del 23/01/2018, D'Angelo, Rv. 272740 Sez. 3, numero 50932 del 11/07/2017, Giacinti, Rv. 272095 . È ben vero, poi, che l'opposizione è stata presentata nel corso del periodo emergenziale dovuto alla pandemia da coronavirus ma è del pari vero che la facoltà per le parti di depositare atti per via telematica nella fase di emergenza sanitaria da Covid-19 è stata introdotta - si badi, in via derogatoria e transitoria - solo in epoca successiva a quella della proposizione dell'opposizione da parte della ricorrente, ossia dal D.L. 28 ottobre 2020, numero 137, articolo 24, comma 4, nel testo convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, numero 176 ed è noto che, vertendosi in materia processuale, vale per la norma predetta il principio tempus regit actum, con conseguente inapplicabilità ad atti compiuti in epoca antecedente l'entrata in vigore della disposizione medesima avente peraltro valore derogatorio e, dunque, di stretta interpretazione a norma dell'articolo 14 preleggi . 3. Alla declaratoria d'inammissibilità consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, numero 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , la ricorrente va condannata al pagamento di una somma che si stima equo determinare in Euro 3000,00 in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Motivazione semplificata.