Repentinità del gesto e breve durata del tocco non possono rendere meno grave il fatto. Irrilevante anche la qualificazione giuridica data dalla vittima all’episodio.
Palpeggiare il sedere di una donna è sufficiente per una condanna per violenza sessuale. Impossibile per l’uomo sotto processo ridimensionare l’accusa ponendo in evidenza repentinità del gesto e breve durata del tocco Cass. penumero , sez. III, 19 ottobre 2021, numero 37725 . Ricostruito l’episodio incriminato – e segnalato dalla persona offesa come caso di molestie –, i giudici di merito ritengono inevitabile, sia in primo che in secondo grado, la condanna dell’uomo sotto processo. Per i giudici è evidente come l’uomo si sia reso responsabile del reato di «violenza sessuale» palpeggiando all’improvviso il sedere della donna che lo ha poi denunciato. Col ricorso in Cassazione l’uomo prova a rendere meno delicata la propria posizione, mettendo in evidenza «il contesto e i rapporti» tra lui e la donna. Inoltre, egli sostiene anche non si possa parlare di «atto sessuale», soprattutto tenendo presente che la persona offesa «ha sporto denunzia solo per molestie» e ha successivamente «sottoscritto la quietanza risarcitoria per la contravvenzione di molestie alle persone». Sempre su questa falsariga, poi, l’uomo sostiene «l’assenza di ogni intenzione sessuale», parlando di «condotta casuale» e richiamando anche «la durata del toccamento». Ogni obiezione difensiva si rivela però inutile, poiché pure secondo i Giudici della Cassazione «è emersa la consumazione del reato di violenza sessuale» alla luce del «dolo» attribuibile all’uomo. A questo proposito, in particolare, vengono posti in evidenza non solo il racconto della persona offesa ma anche, anzi soprattutto, «il comportamento» tenuto dall’uomo ed «espressivo, in maniera inequivoca, dell’intenzione di palpeggiare il sedere» della donna. Per inchiodare l’uomo alle proprie responsabilità, infine, i Giudici sottolineano «l’irrilevanza della soggettiva destinazione della condotta al personale soddisfacimento sessuale» e «della durata del palpeggiamento». Anzi, proprio «la repentinità del gesto» è sufficiente ad «integrare la violenza sessuale», precisano i magistrati, poiché tale reato si concretizza anche con «una condotta caratterizzata da un fugace contatto corporeo con la vittima». Infine, «in tema di violenza sessuale, l’elemento oggettivo, oltre a consistere nella violenza fisica in senso stretto o nella intimidazione psicologica in grado di provocare la coazione della vittima, si configura anche nel compimento di atti sessuali repentini, compiuti improvvisamente, all’insaputa della persona offesa, in modo da poterne prevenire anche la manifestazione di dissenso». Condanna definitiva, quindi, per l’uomo. E come ultima considerazione i magistrati sottolineano «l’irrilevanza della qualificazione giuridica data ai fatti da parte della vittima».
Presidente Andreazza – Relatore Noviello Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 26 novembre 2019, la corte di appello di Firenze confermava la sentenza del 30 luglio 2015 del tribunale di Grosseto, con la quale S.C. era stato condannato in ordine al reato di cui all'articolo 609 bis c.p 2. Avverso la predetta sentenza della Corte di appello S.C. propone, mediante il proprio difensore, ricorso per cassazione, sollevando due motivi di impugnazione. 3. Con il primo, deduce il vizio ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lett. b . Non sarebbe stato considerato, ai fini della individuazione di un atto sessuale , il contesto in cui la condotta del ricorrente si è svolta, nè sarebbero stati considerati l'rapporti tra le persone coinvolte nè le circostanze a discarico proposte dalla difesa. Non sarebbe stato preso in considerazione, in particolare, il dato per cui la p.o. avrebbe sporto denunzia solo per molestie nè la circostanza che la stessa avrebbe sottoscritto la quietanza risarcitoria per la contravvenzione di molestie alle persone. Nè sarebbe stata valutata l'assenza di ogni intenzione sessuale in capo all'imputato, come affermato dal consulente tecnico della difesa e da altri testi. La corte non avrebbe neppure esaminato il profilo casuale della condotta dell'imputato. Nè la durata del toccamento. 4. Con il secondo motivo deduce il vizio di carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Non si comprenderebbe la ragione della irrilevanza della qualificazione, formulata dalla p.o., della condotta dell'imputato in termini di molestia, nè della sottoscrizione della quietanza risarcitoria, sempre per molestie. Non si spiegherebbe la connotazione sessuale dell'atto e le ragioni della sussistenza del dolo. Nè si motiverebbe sulla irrilevanza della durata della condotta. Neppure sarebbe stata spiegata la volontarietà del toccamento, la zona e l'intensità. 5. Con memoria la difesa ha prodotto scrittura privata di transazione tra l'imputato e la parte civile. Considerato in diritto 1. Il primo motivo è infondato. Va premesso che il vizio di violazione di legge in relazione ad una norma incriminatrice, come prospettato dal ricorrente, presuppone la sussistenza di circostanze di fatto inequivoche, di cui quindi venga discussa solo la corretta qualificazione. Tale non è il caso proposto con il motivo in esame, con il quale il ricorrente ha, piuttosto, prospettato una personale ricostruzione della condotta anche alla luce della personale valorizzazione di date circostanze, al contrario non ritenute rilevanti dalla corte, e di date testimonianze. Queste ultime, peraltro, semplicemente riassunte dal ricorrente in un unico concetto - quello per cui i testi, come anche il consulente della difesa, avrebbero escluso ogni intenzione sessuale del ricorrente -, senza alcuna specificazione, invece doverosa, di quali siano i soggetti in tal modo coinvolti nella predetta affermazione e senza alcuna allegazione delle deposizioni di riferimento, con indicazione, precisa, dello specifico passaggio dimostrativo della invocata affermazione, In palese violazione del noto principio di autosufficienza del ricorso. Viene articolata in tal modo una censura che si muove sul piano, comunque inammissibile per quanto sopra osservato, del vizio motivazionale, come tale non corrispondente al vizio dedotto in via preliminare. Tanto, peraltro, a fronte di una motivazione immune da vizi, come appresso indicato. 2. Anche il secondo motivo è inammissibile. La corte ha illustrato come sia emersa la consumazione del reato contestato, anche sul piano del dolo, sulla base delle chiare dichiarazioni della p.o. e del comportamento antecedente e successivo al reato tenuto dall'imputato, espressivo, in maniera inequivoca, dell'intenzione di palpeggiare il sedere della vittima ha inoltre richiamato indirizzi giurisprudenziali congrui rispetto ai motivi di appello, con riguardo alla irrilevanza della soggettiva destinazione della condotta al personale soddisfacimento sessuale dell'agente, come anche della durata del palpeggiamento. Sottolineando altresì la repentinità del gesto, integrante, come tale, la violenza di cui alla fattispecie contestata. A tale ultimo proposito giova ricordare che Suprema Corte ha chiarito che integra il reato di violenza sessuale anche quella condotta che, pur caratterizzata da un fugace contatto corporeo con la vittima, sia finalizzata a soddisfare l'impulso sessuale del reo Sez. 3, numero 45950 del 26/10/2011 Rv. 251339 - 01 M. . Lungo tale linea interpretativa si è precisato, altresì, che in tema di violenza sessuale, l'elemento oggettivo, oltre a consistere nella violenza fisica in senso stretto o nella intimidazione psicologica in grado di provocare la coazione della vittima, si configura anche nel compimento di atti sessuali repentini, compiuti improvvisamente all'insaputa della persona destinataria, in modo da poterne prevenire anche la manifestazione di dissenso Sez. 3, numero 46170 del 18/07/2014 Rv. 260985 - 011 . Del tutto corretta quanto ovvia è inoltre la considerazione, sempre espressa dai giudici, della irrilevanza della qualificazione giuridica data ai fatti da parte della vittima. Rispetto a tale completa motivazione, il ricorrente si è adagiato lungo una mera ripetizione delle censure già proposte in appello, evitando ogni confronto con la motivazione della sentenza, così incorrendo in un difetto di specificità estrinseca. In proposito è utile sottolineare che i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato Sez. 5, numero 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568 e che le ragioni di tale necessaria correlazione tra la decisione censurata e l'atto di impugnazione risiedono nel fatto che il ricorrente non può trascurare le ragioni del provvedimento censurato Sez. 2, numero 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425 . Ancor più specificamente, si è ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso Sez. 6, numero 20377 del 11/03/2009, Arnone, Rv. 243838 . In sintesi, il requisito della specificità estrinseca dei motivi risponde alla necessìtà che ii ricorrente formuli una ragionata censura della motivazione del provvedimento impugnato cfr. Cass. Sez. Sez.2, numero 7801 del 19/11/2013 Cc. dep. 19/02/2014 Rv. 259063 Hussien . 3. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, numero 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. numero 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.