Dipendente in malattia si diletta come ciclista: le carenze della contestazione disciplinare lo salvano dal licenziamento

Confermato il diritto dell’uomo a essere reintegrato in azienda e adeguatamente indennizzato. Fatale alla società datrice di lavoro il fatto di avere contestato solo la simulazione della malattia.

Licenziato per avere simulato la malattia. I Giudici cancellano il provvedimento adottato dall'azienda fondamentale il richiamo alla relazione del consulente, relazione che ha attestato il problema di salute del lavoratore. Impossibile, poi, per l'azienda addebitare al dipendente una ulteriore condotta negativa, ossia la partecipazione, nel periodo della malattia, a una gara ciclistica Cass. civ., sez. lav., ord., 12 ottobre 2021, numero 27788 . A finire nel mirino è un operaio. Quest'ultimo subisce, nella primavera del 2011, «un infortunio sul lavoro che gli causa la frattura del quinto dito del piede destro» e per questo «si assenta dal lavoro, previo rilascio di numerose certificazioni mediche, per settantacinque giorni». Tre anni dopo il rientro in azienda, però, la società gli contesta la partecipazione, durante il periodo di malattia, a due gare ciclistiche «nonostante la accampata incapacità di attendere alle ordinarie attività lavorative». Consequenziale la lettera con cui gli viene intimato «il licenziamento per giusta causa senza preavviso». Il provvedimento adottato dall'azienda viene confermato solo in Tribunale. Al contrario, i Giudici d'appello danno ragione al lavoratore, ordinando alla società di reintegrarlo e di versargli un'adeguata indennità. In secondo grado è stato disposto un accertamento ad hoc per appurare «la condizione fisica del lavoratore a soli tre giorni dall'infortunio, che, è bene ricordarlo, solo in un secondo momento si rivelò nella sua reale gravità». Ebbene, «la consulenza tecnica ha confortato il dubbio circa la possibilità per il lavoratore di partecipare, a soli tre giorni dall'infortunio, ad una impegnativa gara ciclistica», osservano i giudici, dubbio «accresciuto dalla deposizione» di un altro ciclista, il quale «ha asserito di aver corso quella gara portando con sé, per ragioni di spirito di squadra, anche il chip del compagno, rimasto forzatamente a casa in quanto infortunato». Irrilevanti, invece, «le dichiarazioni rese nel dibattimento penale dal lavoratore circa la partecipazione alla impegnativa gara ciclistica», dovendosi invece dar credito alla «tesi difensiva del lavoratore secondo cui le dichiarazioni nel giudizio penale furono inveritiere in quanto frutto di una confusa ricostruzione della realtà, resa probabilmente nella consapevolezza di dover nascondere una frode sportiva, consistita nella cessione ad un compagno di squadra del pettorale e della strumentazione idonea a consentire la registrazione dell'arrivo del ciclista», tanto che il lavoratore e il suo compagno «risultano in quella gara aver superato il traguardo nel medesimo momento». Una volta caduta la prima accusa mossa al lavoratore, resta da esaminare il fronte relativo alla seconda gara. Per i Giudici, però, «non può sussistere alcun dubbio circa la non sussistenza di una fraudolenta simulazione della malattia da parte del lavoratore», poiché «la malattia conseguente all'infortunio sul lavoro è stata inoppugnabilmente dimostrata, anche se, per le ragioni ampiamente illustrate nella consulenza tecnica, la diagnosi della frattura della falange prossimale del quinto dito dell'avampiede destro venne diagnosticata solo dopo tre settimane». I Giudici osservano poi che «la contestazione disciplinare è stata fondata solo ed esclusivamente sulla simulazione della malattia, mentre il primo giudice ha affermato la legittimità del licenziamento sulla base del fatto che il lavoratore, partecipando alla seconda gara ciclistica, avrebbe pregiudicato la pronta guarigione dalla malattia». Per i Giudici d'Appello, quindi, non è condivisibile la tesi pro azienda adottata in Tribunale. Ciò perché «nel licenziamento individuale la contestazione disciplinare assolve ad una funzione ineludibile, che è quella di cristallizzare l'accusa mossa al lavoratore al fine di consentirgli una adeguata difesa». E «una cosa è accusare il lavoratore di avere simulato lo stato di malattia, altra è invece la condotta consistita nel trascurare le dovute cautele al fine di non allungare i tempi della guarigione. Né può sostenersi che il semplice accostamento tra assenza dal lavoro per malattia e svolgimento di attività sportiva, operato nella lettera di contestazione disciplinare ai soli fini di una contestazione di una simulazione fraudolenta dello stato di malattia, possa rilevare anche sotto il profilo delle cautele e del comportamento secondo buonafede e correttezza che il lavoratore avrebbe dovuto tenere». In conclusione, per la Corte d'Appello, «se un lavoratore è stato licenziato per avere simulato la malattia, che invece era sussistente, non si può ritenere giusta causa del licenziamento una condotta del tutto diversa, qual è quella di avere il dipendente tenuto condotte potenzialmente idonee ad allungare Io stato di una malattia che, in tesi, era stata negata». Quindi, «prima ancora che di sanzione sproporzionata, in quanto irrogata per un solo episodio concretamente esistente e di cui la consulenza tecnica d'ufficio ha pure posto in dubbio l'idoneità ad allungare i tempi della guarigione, deve parlassi nella fattispecie di licenziamento illegittimo». Inutile il ricorso in Cassazione proposto dalla azienda e mirato a contestare la visione tracciata in Appello, laddove si sono poste in evidenza «le carenze del procedimento disciplinare condotto dalla società» nei confronti del dipendente. I Giudici di terzo grado osservano, in premessa, che «la contestazione disciplinare deve essere puntuale e specifica, al fine di consentire al destinatario di approntare una difesa adeguata», e aggiungono poi che in questa vicenda «mentre da un lato si contesta al lavoratore di avere simulato la malattia, dall'altro, viene censurato il comportamento da lui tenuto – la partecipazione a una gara ciclistica – durante lo stato di malattia, che ne avrebbe rallentato la guarigione, in violazione dei principi di correttezza e buonafede e della necessaria diligenza». Ci si trova di fronte a condotte differenti, e «la seconda non è neppure contestata nel provvedimento disciplinare posto a fondamento del licenziamento intimato, in cui, appunto, non si fa riferimento ad un comportamento contrario ai doveri di diligenza, correttezza e buonafede che il lavoratore avrebbe tenuto con il rischio di aggravare lo stato patologico sussistente e di rallentarne la guarigione». Tirando le somme, «la contestazione disciplinare non conteneva le indicazioni necessarie ad individuare il fatto addebitato nella sua materialità». Illegittimo, quindi, il licenziamento.

Presidente Doronzo - Relatore Leo Rilevato che M.G. ha proposto ricorso ai sensi della L. numero 92 del 2012, articolo 1, comma 48, dinanzi al Tribunale di Trento, nei confronti della Rete Ferroviaria S.p.A. - alle dipendenze della quale aveva prestato servizio per circa 39 anni, con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e qualifica di operaio di armamento -, rappresentando di avere subito, il […], un infortunio sul lavoro che gli aveva causato la frattura del quinto dito del piede destro di essersi dovuto, pertanto, assentare dal lavoro, previo rilascio di numerose certificazioni mediche, per 75 giorni, sino al omissis che, dopo circa tre anni dal rientro, il omissis , la società datrice, avendone avuto notizia dalla sentenza penale numero 124/2014 del Tribunale di Trento , aveva contestato al dipendente la partecipazione, il omissis e l'[…], a due gare ciclistiche di gran fondo , nonostante la accampata incapacità di attendere alle ordinarie attività lavorative che, con lettera del 20.6.2014, il lavoratore aveva presentato le proprie osservazioni e giustificazioni, ritenute, però, incongrue dalla società che, il successivo 3.7.2014, gli aveva intimato il licenziamento per giusta causa senza preavviso ai sensi dell'articolo 2119 c.c. e articolo 64 del CCNL applicato che, il 26.3.2015, il Tribunale di Trento ha respinto il ricorso che, con la sentenza numero 44/2017, il medesimo Tribunale, adito dal ricorrente in sede di opposizione all'ordinanza resa nella fase sommaria, ha confermato la predetta decisione che, con sentenza pubblicata in data 14.5.2018, la Corte di Appello di Trento ha accolto il reclamo interposto dal M. avverso la detta pronunzia e, in riforma di quest'ultima, ha dichiarato illegittimo ed annullato il licenziamento impugnato , condannando Rete Ferroviaria S.p.A. alla reintegrazione di M.G. nel posto di lavoro e al pagamento in suo favore di un'indennità pari a dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, oltre rivalutazione e interessi dalla data del licenziamento fino a quella dell'effettiva reintegrazione che la Corte di merito, per quanto ancora di interesse in questa sede, ha rilevato che esiste una palese contraddizione tra quanto ha asserito il M. nella sua veste di testimone nel giudizio penale e quanto, invece, ha riferito il teste D. avanti al Giudice del Lavoro. Sicché si è creata incertezza sulla circostanza se il M. abbia partecipato o meno alla prima delle due manifestazioni ciclistiche richiamate nella lettera di contestazione dell'illecito disciplinare e svoltasi ad appena tre giorni dall'infortunio. La c.t.u. svolta nel giudizio di prime cure ha dato per scontata, ma solo sulla base di quanto riferito dal periziando, la mancata partecipazione dello stesso a detto evento e, in sostanza, le conclusioni del CTU, favorevoli al ricorrente, ma disattese dal primo giudice, sono state assunte con riferimento alla seconda competizione, quella dell'[…], nella quale M. completò il percorso, di lunghezza abbastanza modesta rispetto alle classiche Gran Fondo, con una media prossima ai 20 chilometri orari. Per tale ragione questa Corte, al fine di chiarire meglio la situazione e, quindi, di appurare l'attendibilità del D., negata dal primo giudice, ha disposto un accertamento su quale sia stata la condizione fisica del M. a soli tre giorni dall'infortunio che, è bene ricordarlo, solo in un secondo momento si rivelò nella sua reale gravità . La consulenza tecnica ha confortato il dubbio circa la possibilità da parte del lavoratore di avere potuto partecipare a soli tre giorni dall'infortunio ad una impegnativa Gran Fondo ciclistica, dubbio che era stato accresciuto dalla deposizione del teste D., il quale aveva asserito di aver corso quella gara portando con sé, per ragioni di spirito di squadra, anche il chip del compagno, rimasto forzatamente a casa in quanto infortunato. Ha errato, dunque, il giudice dell'opposizione nel valorizzare le dichiarazioni rese nel dibattimento penale dal M. circa la partecipazione il omissis ad una impegnativa gara ciclistica, trascurando invece la deposizione del teste anzidetto, dovendosi invece dar credito alla tesi difensiva del lavoratore secondo cui le dichiarazioni nel giudizio penale furono inveritiere, in quanto frutto di una confusa ricostruzione della realtà resa probabilmente nella consapevolezza di dover nascondere una frode sportiva, consistita nella cessione ad un compagno di squadra del pettorale e della strumentazione idonea a consentire la registrazione dell'arrivo del ciclista tant'è che M. e D. risultano in quella gara aver superato il traguardo nel medesimo momento che caduta la prima accusa mossa al lavoratore con la contestazione disciplinare, resta tuttavia da esaminare la seconda, la gara dell'[…], in ordine alla quale non può sussistere alcun dubbio circa la non sussistenza di una fraudolenta simulazione della malattia da parte del lavoratore la malattia, infatti, conseguente all'infortunio sul lavoro verificatosi il omissis è stata inoppugnabilmente dimostrata anche se, per le ragioni ampiamente illustrate nella consulenza tecnica, la diagnosi della frattura della falange prossimale del quinto dito dell'avampiede destro venne diagnosticata solo dopo tre settimane che nella fattispecie è pacifico e non confutato che la contestazione disciplinare è stata fondata solo ed esclusivamente sulla simulazione della malattia, mentre il primo giudice ha affermato la legittimità del licenziamento sulla base del fatto che il lavoratore, partecipando alla gara ciclistica dell' omissis , avrebbe pregiudicato la pronta guarigione dalla malattia che la tesi del primo giudice non appare convincente restando ostativa la circostanza per cui nel licenziamento individuale la contestazione disciplinare assolve ad una funzione ineludibile, che è quella di cristallizzare l'accusa mossa al lavoratore al fine di consentirgli una adeguata difesa. E, ad avviso di questa Corte, una cosa è accusare il lavoratore di avere simulato lo stato di malattia, altra è invece la condotta consistita nel trascurare le dovute cautele al fine di non allungare i tempi della guarigione Nè può sostenersi che il semplice accostamento tra assenza dal lavoro per malattia e svolgimento di attività sportiva, operato nella lettera di contestazione disciplinare ai soli fini di una contestazione di una simulazione fraudolenta dello stato di malattia, possa rilevare anche sotto il profilo delle cautele e del comportamento secondo buona fede e correttezza che il lavoratore avrebbe dovuto tenere” e che, pertanto, se un lavoratore è stato licenziato per avere simulato la malattia, che invece era sussistente, non si può, ad avviso di questa Corte, ritenere giusta causa del licenziamento una condotta del tutto diversa, qual è quella di avere il dipendente tenuto condotte potenzialmente idonee ad allungare lo stato di una malattia che, in tesi, era stata negata. Quindi, prima ancora che di sanzione sproporzionata, in quanto irrogata per un solo episodio concretamente esistente e di cui la consulenza tecnica d'ufficio ha pure posto in dubbio l'idoneità ad allungare i tempi della guarigione, deve parlarsi nella fattispecie di licenziamento illegittimo, che, dunque, va annullato che per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la Rete Ferroviaria S.p.A. articolando tre motivi, cui M.G. ha resistito con controricorso che sono state comunicate memorie nell'interesse della società che il P.G. non ha formulato richieste. Considerato che con il ricorso, si censura 1 in riferimento all'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3, la violazione e falsa applicazione della L. numero 300 del 1970, articolo 7 e degli articolo 1175,1375 e 2104 c.c., per avere la Corte di Appello ritenuto carente il procedimento disciplinare condotto dalla società, nella parte in cui non ha espressamente contestato anche la violazione dei principi di buona fede e correttezza del rapporto di lavoro, da parte del M. , che, nel porre in essere l'attività extralavorativa che ha reso inattendibile l'asserito stato di malattia, ha messo potenzialmente a repentaglio la guarigione si deduce, in particolare, che i giudici di seconda istanza avrebbero errato nel ritenere illegittimo il licenziamento intimato al lavoratore a causa del presunto vizio ab origine della contestazione disciplinare della L. numero 300 del 1970, ex articolo 7, perché la società avrebbe contestato la sola simulazione della malattia senza contestare la condotta consistita nel partecipare a due gare ciclistiche di gran fondo in costanza di malattia, con la conseguenza di trascurare le dovute cautele al fine di non allungare i tempi della guarigione pertanto, a parere della società ricorrente, l'errore della Corte di Appello sarebbe stato quello di mal interpretare la normativa sopra richiamata, con riferimento al contenuto della lettera di contestazione, anche in violazione dei principi stabiliti dalla Suprema Corte 2 in riferimento all'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3, la violazione e falsa applicazione degli articolo 2697 e 2735 c.c., per avere la Corte distrettuale errato nel ritenere che il M. non avesse partecipato alla gran fondo ciclistica omissis , tenutasi il omissis e disputata sulla lunghezza di 123 Km, a soli tre giorni dall'infortunio occorsogli, sulla base di prove meramente indiziarie di indirizzo contrario alla confessione stragiudiziale resa dal M. nel processo penale e si censura, specificamente, il fatto che la Corte di Appello abbia valorizzato risultanze istruttorie consistenti in una ctu dalle conclusioni ipotetiche e probabilistiche ed in una prova testimoniale resa da un indiscusso amico del M. e, in quanto tale, inattendibile”, mentre avrebbe dovuto dare prevalenza alle dichiarazioni rese dal M. nel processo penale, da considerare confessione stragiudiziale, sia da un punto di vista oggettivo, perché si trattava di un'ammissione di fatti sfavorevole al dichiarante, sia dal punto di vista soggettivo, in quanto era chiaro l'animus confitendi poiché effettuata nel corso di indagini penali 3 in riferimento all'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3, la violazione e falsa applicazione della L. numero 300 del 1970, articolo 7 e 18, per avere la Corte di merito erroneamente applicato al caso di specie della L. numero 300 del 1970, articolo 18, comma 4, in luogo della tutela indennitaria debole L. numero 300 del 1970, articolo 18, comma 6 o, al più, forte L. numero 300 del 1970, articolo 18, comma 5 in presenza di una asserita sanzione sproporzionata che il primo motivo non è fondato al riguardo, è da sottolineare che, correttamente, la Corte di merito ha osservato che la contestazione disciplinare deve essere puntuale e specifica cfr., tra le molte, Cass. nnumero 11540/2020 26199/2019 28471/2018 6499/2011, nella quali si ribadisce che nel procedimento disciplinare a carico del lavoratore, l'essenziale elemento di garanzia in suo favore è dato dalla contestazione dell'addebito , al fine di consentire al destinatario di approntare una difesa adeguata e che, nella fattispecie, mentre da un lato, si contesta al lavoratore di avere simulato la malattia, dall'altro, viene censurato il comportamento dallo stesso tenuto l'espletamento di gara ciclistica , durante lo stato di malattia, che ne avrebbe rallentato la guarigione, in violazione dei principi di correttezza e buona fede e della necessaria diligenza articolo 1175,1375 e 2104 c.c. condotte, all'evidenza, diverse, la seconda delle quali, peraltro, neppure contestata nel provvedimento disciplinare posto a fondamento del licenziamento intimato, in cui, appunto, non si fa riferimento ad un comportamento contrario ai doveri di diligenza, correttezza e buona fede che il lavoratore avrebbe tenuto con il rischio di aggravare lo stato patologico sussistente e di rallentarne la guarigione cfr. Cass. numero 17625/2014 . Peraltro, questa Corte ha altresì chiarito che l'accertamento concreto relativo al requisito della specificità della contestazione costituisce oggetto di una indagine di fatto, incensurabile in sede di legittimità, se non sotto il profilo della congruità della motivazione del relativo apprezzamento cfr., tra le altre, Cass. nnumero 26199/2019, cit. 9590/2018 10154/2017 . E nella fattispecie, la Corte territoriale ha, appunto, compiuto un apprezzamento di fatto, reputando che la contestazione disciplinare non contenesse le indicazioni necessarie ad individuare il fatto addebitato nella sua materialità dunque, le censure sollevate non risultano in grado di incidere l'operazione di sussunzione effettuata, all'esito di quell'apprezzamento, dai giudici di seconda istanza, ma contestano il convincimento espresso da questi ultimi, dando per presupposto che il lavoratore fosse in grado di comprendere il contenuto della contestazione mossagli e sollecitando, in sostanza, un riesame del merito, non consentito in questa sede che il secondo motivo non è meritevole di accoglimento, perché teso, all'evidenza, a sollecitare un nuovo esame dei fatti, attraverso censure che investono la valutazione effettuata dai giudici di seconda istanza degli elementi probatori attività, questa, istituzionalmente riservata al giudice di merito, non sindacabile in Cassazione se non sotto il profilo della congruità della motivazione del relativo apprezzamento nella fattispecie, peraltro, del tutto congrua, condivisibile e scevra da vizi logici . Ed alla stregua dei costanti arresti giurisprudenziali di questa Corte, qualora il ricorrente denunzi, in sede di legittimità - nel caso di specie, peraltro, come error in iudicando -, l'omessa o errata valutazione di prove testimoniali in questo caso, in particolare, le dichiarazioni del teste D. , ha l'onere non solo di trascriverne il testo integrale nel ricorso per cassazione, ma anche di specificare i punti ritenuti fondamentali, al fine di consentire il vaglio di decisività che avrebbe eventualmente dovuto condurre il giudice ad una diversa pronunzia, con l'attribuzione di una diversa valutazione e di un diverso rilievo delibatorio alle dichiarazioni testimoniali relativamente alle quali si denunzia il vizio cfr., ex multis, Cass. nnumero 17611/2018 13054/2014 6023/2009 nella fattispecie, invero, la contestazione sulla valutazione delle dichiarazioni del teste addotto dal lavoratore, cui la Corte distrettuale avrebbe erroneamente attribuito un valore probatorio prevalente rispetto a quelle rese dal M. in sede penale, si risolve in una inammissibile richiesta di riesame di elementi di fatto cfr. Cass. nnumero 24958/2016 4056/2009 , finalizzata ad ottenere una nuova pronunzia sul merito, certamente estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione cfr., ex plurimis, Cass., S.U., numero 24148/2013 Cass. numero 14541/2014 . Al riguardo, è, altresì, da rilevare che, proprio al fine di vagliare la veridicità delle dichiarazioni rese dal D. in sede di escussione testimoniale, i giudici di seconda istanza hanno disposto una integrazione della c.t.u. di primo grado, dalla quale è emerso che non è da ritenere possibile o, quantomeno altamente improbabile che il M. abbia potuto partecipare alla gara del omissis a soli tre giorni dall'infortunio , date le condizioni fisiche susseguenti all'infortunio occorsogli secondo Cass. civ. numero 581/2008, il criterio di probabilità , in sede civilistica, non richiede la certezza assoluta, sia pure processuale, al di là di ogni ragionevole dubbio, ma la certezza relativa della sussistenza del nesso causale secondo la logica della probabilità prevalente e nel concorso di altri elementi liberamente valutati dal giudice peraltro, il vizio denunciabile in sede di legittimità della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio è ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell'omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce mero dissenso diagnostico che si traduce in una inammissibile critica del convincimento del giudice cfr., ex multis, Cass. nnumero 18358/2017, cit. 4124/2017 27378/2014 1652/2012 che, infine, per quanto attiene alle dichiarazioni rese dal lavoratore in sede penale, questa Corte non ha potuto apprezzarne il contenuto, perché, in violazione dell'articolo 366 c.p.c., comma 1, numero 6, le stesse non sono state prodotte, nè trascritte nel ricorso di legittimità che il terzo motivo è infondato, poiché, nella fattispecie, ricorre l'ipotesi di cui della L. numero 300 del 1970, articolo 18, comma 4, avendo la Corte di merito accertato che non ricorrono gli estremi della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato. Pertanto, correttamente, i giudici di appello, prima ancora di prendere in considerazione la proporzionalità della sanzione v. pag. 11 della sentenza impugnata , hanno annullato il licenziamento - data, appunto, la insussistenza del fatto contestato - e condannato la società datrice alla reintegrazione del M. nel posto di lavoro ed al pagamento di una indennità risarcitoria pari a dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori, dalla data del licenziamento sino a quella della effettiva reintegra che, per tutte le considerazioni innanzi svolte, il ricorso va respinto che le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza che, avuto riguardo all'esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti processuali di cui al D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, secondo quanto precisato in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.