Toccamenti durante il colloquio: condannato il datore di lavoro

Evidente la responsabilità penale dell’uomo che ha approcciato in modo offensivo, prevaricatore e inopportuno una giovane donna presentatasi per un colloquio di lavoro. Inequivocabile poi la reazione della donna, che ha cercato di allontanarsi dall’uomo lapalissiano, quindi, il suo dissenso.

Condannato per violenza sessuale il datore di lavoro che approfitta del colloquio con una potenziale nuova dipendente per approcciarla con carezze, sfioramenti e toccamenti. Inequivocabile, secondo i Giudici, il comportamento tenuto dalla donna ella ha provato ad allontanare l’uomo e ad uscire da una situazione di difficoltà. Ciò avrebbe dovuto spingere il datore di lavoro a desistere dal suo comportamento Cass. penumero , sez. III, 24 febbraio 2021, numero 36755 . Ricostruita la delicata vicenda, l’uomo sotto processo – titolare di uno studio legale – viene ritenuto colpevole, sia in primo che in secondo grado, per « violenza sessuale consistita in toccamenti ai danni di una giovane donna che si era recata da lui per un colloquio di lavoro». In Appello la pena viene ridotta a «nove mesi di reclusione», ma l’avvocato decide di presentare ricorso in Cassazione, puntando a mettere in discussione la credibilità della donna. In particolare, l’uomo osserva che «la donna soffriva di ansia da tempo», ammette di «aver collocato la sua mano su quella della donna mentre stava manovrando il mouse» ma spiega che «si trattava di una condotta abituale per accelerare i tempi di azione di una persona meno esperta» e aggiunge che «se la donna non avesse gradito, avrebbe potuto chiedere di interrompere il gesto». Sempre ragionando in questa ottica, poi, osserva che «era singolare che la persona offesa, con una solida famiglia alle spalle e con esperienze lavorative all’estero, non avesse interrotto la prova allorquando egli l’aveva toccata». E con riferimento all’episodio avvenuto nell’archivio, l’avvocato precisa che «l’ambiente era angusto e non era possibile che i corpi non venissero a contatto, ma, d’altra parte, altre candidate nulla avevano lamentato». Secondo il legale, quindi, «la condotta tenuta dalla donna non era conciliabile con quella di una persona sconvolta». A sostegno della propria linea difensiva, poi, egli osserva ancora che «la prima prova era terminata per una decisione sua, e non della donna» mentre una settimana dopo «quando la donna si era presentata con due microcamere audio e video, non era accaduto nulla di significativo, ad eccezione di una fuggevole sbirciata nella scollatura della donna». Per completare il quadro, poi, l’uomo sostiene che comunque «ci si trova di fronte ad approcci non invasivi , consistenti in carezze e sfioramenti compatibili con la manifestazione del desiderio sessuale» ed aggiunge che «la donna non ha mai espresso il suo dissenso». Per i Giudici della Cassazione è innanzitutto impossibile pensare di mettere in discussione l’attendibilità della persona solo alla luce dell’«atteggiamento da lei tenuto durante e dopo i toccamenti». Su questo punto i magistrati sono netti «la violenza non si misura dalla reazione , che è del tutto personale e imprevedibile» poiché «non è raro che una donna in siffatte occasioni si senta paralizzata e non sia in grado di difendersi, tanto più in un contesto di soggezione quale quello del colloquio di lavoro. Quindi, non ha senso disquisire sulle possibili e ragionevoli difese che una vittima può esercitare, secondo la sua esperienza e personalità». Allo stesso tempo, è illogico ipotizzare che ella «avesse potuto fraintendere gli atteggiamenti dell’uomo per le sue pregresse problematiche collegate all’ansia tali disturbi avevano infatti colpito la donna in conseguenza di eventi infausti, quali lutti familiari, ma non avevano potuto indurla a dare una connotazione sessuale a toccamenti occasionali, distorcendo la realtà», osservano i Giudici. Infine, va respinta la tesi difensiva secondo cui «la donna non ha espresso chiaramente il suo dissenso». Soprattutto perché, osservano i Giudici, si è accertato che «la donna aveva tenuto condotte inequivocabilmente rivolte a esprimere in modo netto di non gradire quei comportamenti, perché aveva più volte spostato la sedia durante il lavoro alla scrivania per allontanarsi dall’uomo e aveva finto un’allergia alla polvere per uscire dall’angusto archivio». Questi conteggi vanno considerati «sintomatici del disagio e dell’ imbarazzo della donna» e «avrebbero dovuto indurre l’uomo a desistere dal suo comportamento prevaricatore, offensivo e inopportuno», concludono i magistrati.

Presidente Di Nicola – Relatore Macrì Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 6 novembre 2019 la Corte di appello di Genova, in parziale riforma della sentenza in data 12 dicembre 2018 del Giudice dell'udienza preliminare di Savona, ha ridotto la pena nei confronti dell'imputato a mesi nove di reclusione nonché adeguato le pene accessorie con il beneficio della sospensione condizionale, per violenza sessuale consistente in toccamenti, ai danni di una giovane donna che si era recata da lui per un colloquio di lavoro. 2. Con il primo motivo di ricorso l'imputato deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione. Precisa che la donna soffriva di ansia da tempo anteriore a quello del supposto reato. Ammette di aver collocato la sua mano su quella della donna mentre stava manovrando il mouse. Si trattava di una condotta abituale per accelerare i tempi di azione di una persona meno esperta. Se la donna non avesse gradito, avrebbe potuto chiedere di interrompere il gesto. Aggiunge che era un giovane e noto avvocato e che aveva tutto da perdere per lo scandalo. Osserva che era singolare che la persona offesa, di 28 anni, con una solida famiglia alle spalle e con esperienze lavorative all'estero, non avesse interrotto la prova allorquando egli l'aveva toccata. Con riferimento all'episodio dell'archivio, precisa che l'ambiente era angusto e non era possibile che i corpi non venissero a contatto. D'altra parte, però, altre candidate nulla avevano lamentato. Evidenzia che nel certificato del pronto soccorso era attestata obiettività cardiaca, polmonare e addominale nella norma, pressione arteriosa di 150 su 85 . Aggiunge che non era normale che avesse differito al giorno dopo il racconto dell'accaduto alla madre e che quando era tornata a casa si era prima cambiata e poi aveva raccontato il fatto al coniuge. La condotta tenuta non era conciliabile con quella di una persona sconvolta. La prova del omissis era terminata per una decisione sua e non della donna. Aggiunge che il omissis , quando la donna si era presentata con due microcamere audio e video, non era accaduto nulla di significativo, ad eccezione di una fuggevole sbirciata nella scollatura che non integrava reato. La persona offesa aveva invece affermato che egli aveva tenuto condotte analoghe a quelle del omissis . Dall'esame del video del omissis non era emerso nessuno dei sintomi che la donna aveva descritto come effetto del blocco cui era soggetta abitualmente quando si trovava in difficoltà, ovvero logorrea nel linguaggio e arrossamento del viso. Contesta le spiegazioni della Corte territoriale e osserva che la denunciante aveva dato, seppur in buona fede, una lettura malevole dei comportamenti, in seguito alla formazione di un erroneo convincimento. La donna aveva enfatizzato l'accaduto del omissis . Sostiene che non si era superato il ragionevole dubbio. Con il secondo deduce la violazione di legge in ordine alla consapevolezza del consenso. Anche a voler considerare vero il racconto, ci si trovava di fronte ad approcci non invasivi, consistenti in carezze e sfioramenti compatibili con la manifestazione del desiderio sessuale. Evidenzia che la donna non aveva mai espresso il suo dissenso, neanche per fatti concludenti. Nega una condotta insidiosamente repentina. Nella memoria la difesa ribadisce le sue ragioni. Considerato in diritto 3. Il ricorso è manifestamente infondato perché consiste in generiche doglianze di fatto già vagliate e disattese con adeguata motivazione giuridica dai Giudici di merito. Con il primo motivo la difesa ha sollevato dubbi sull'attendibilità della persona offesa in conseguenza del suo atteggiamento durante e dopo i toccamenti. I rilievi sono del tutto ininfluenti, perché, come correttamente evidenziato dai Giudici di appello, la violenza non si misura dalla reazione, che è del tutto personale e imprevedibile non è raro che una donna in siffatte occasioni si senta paralizzata e non sia in grado di difendersi, tanto più in un contesto di soggezione quale quello del colloquio di lavoro. Quindi, non ha senso disquisire sulle possibili e ragionevoli difese che una vittima può esercitare, secondo la sua esperienza e personalità. Inoltre, si è confidata subito con i suoi familiari, riuscendo a parlare con la madre, che aveva tentato di contattare nelle immediatezze, solo il giorno dopo. Anche sotto questo profilo il comportamento tenuto è coerente con quanto accaduto. La giovane donna è stata considerata pienamente attendibile dai Giudici, in primo e secondo grado. È stato motivatamente escluso che avesse potuto fraintendere gli atteggiamenti dell'imputato per le sue pregresse problematiche collegate all'ansia tali disturbi avevano infatti colpito la donna in conseguenza di eventi infausti, quali lutti familiari, ma non avevano potuto indurla a dare una connotazione sessuale a toccamenti occasionali, distorcendo la realtà. Con il secondo motivo, la difesa addebita alla donna di non aver espresso chiaramente il suo dissenso. I Giudici hanno accertato, invece, con motivazione immune da censure che la donna aveva tenuto comportamenti inequivocabilmente rivolti a esprimere in modo netto di non gradire quei comportamenti, perché aveva più volte spostato la sedia durante il lavoro alla scrivania per allontanarsi dall'uomo e aveva finto un'allergia alla polvere per uscire dall'angusto archivio, condotte queste sintomatiche del disagio e imbarazzo della vittima che avrebbero dovuto indurre l'uomo a desistere dal suo comportamento prevaricatore, offensivo e inopportuno. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell' articolo 616 c.p.p. , di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, numero 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. numero 196 del 2003, articolo 5 2 in quanto imposto dalla legge.