In che termini incide la modifica della qualificazione giuridica del fatto in senso favorevole all’imputato?

La questione giuridica posta in tale sentenza attiene all’incidenza della riqualificazione del reato inizialmente contestato sui termini di durata della custodia cautelare, tenuto conto della fase di giudizio in cui avviene la riqualificazione stessa.

Il Tribunale del Riesame di Palermo confermava l’ordinanza della Corte d’Appello con cui è stata rigettata l’istanza dell’imputato, volta ad ottenere la dichiarazione di inefficacia della misura cautelare della custodia in carcere, per decadenza del termine di fase relativo al primo grado di giudizio. Le varie vicende processuali avevano portato alla riqualificazione di alcune condotte di reato, sicché l’imputato era in quel momento sottoposto alla misura cautelare carceraria esclusivamente per il delitto di associazione mafiosa. Propone ricorso l’imputato, evidenziando che non vi sarebbe stata, nei suoi confronti, alcuna contestazione iniziale di condotte, in concreto, rientranti nella disposizione sanzionatoria modificata in senso peggiorativo, per il delitto di associazione mafiosa. La questione giuridica posta dunque dal ricorrente attiene all’incidenza della riqualificazione del reato inizialmente contestato sui termini di durata della custodia cautelare, tenuto conto della fase di giudizio in cui avviene la riqualificazione stessa. Sul punto i Supremi Giudici ribadiscono che i termini di custodia cautelare per la fase di primo grado vanno commisurati in relazione alla qualificazione giuridica del fatto contenuta nel provvedimento che dispone il giudizio, «mentre il contenuto del dispositivo della sentenza di primo grado rileva solo ai fini della commisurazione della custodia cautelare per quel che attiene alla fase successiva, ma non opera retroattivamente sui termini di custodia della fase processuale cui si riferisce». Conclude, pertanto, la Cassazione che la modifica della qualificazione giuridica del fatto in senso favorevole all’imputato, operata nella sentenza di condanna pronunciata all’esito del giudizio di primo o secondo grado, «non incide retroattivamente e, pertanto, non determina riduzione del termine di durata massima della custodia cautelare relativo alla fase conclusasi con una delle suddette pronunce». Sulla base di tale principio, la Corte rigetta il ricorso.

Presidente Palla – Relatore Brancaccio Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale del Riesame di Palermo, decidendo ai sensi dell'articolo 310 c.p.p., ha confermato l'ordinanza della Corte d'Appello di Palermo con cui è stata rigettata l'istanza di G.F. volta ad ottenere la dichiarazione di inefficacia della misura cautelare della custodia in carcere, per decadenza del termine di fase relativo al primo grado di giudizio. Il ricorrente è sottoposto alla misura custodiale predetta in ragione dell'ordinanza del GIP palermitano, datata 3.5.2016 ed eseguita in pari data, riguardante, inizialmente, le contestazioni di partecipazione ad associazione mafiosa, tentata estorsione aggravata da modalità e finalità mafiose, estorsione analogamente aggravata, nonché il delitto di trasferimento fraudolento di valori già previsto dal D.L. numero 306 del 1992, articolo 12 quinquies, conv. in L. numero 356 del 1992, e ora dall'articolo 512 bis c.p. . Le vicende processuali hanno portato alla riqualificazione di alcune condotte di reato, sicché l'imputato è attualmente sottoposto alla misura cautelare carceraria esclusivamente per il delitto di associazione mafiosa, in relazione al quale, in seguito alla pronuncia del 15/1/2021 della Corte d'Appello di Palermo, è stata esclusa l'aggravante prevista dall'articolo 416 bis c.p., comma 6, e si è applicata la previsione sanzionatoria previgente alla novella attuata con la L. numero 69 del 2015, alla luce dell'accertamento di insussistenza di condotte di reato successive all'entrata in vigore di tale riforma normativa. I giudici cautelari, diversamente dalla prospettazione difensiva, hanno ritenuto che la predetta riqualificazione del reato - avvenuta solo con la sentenza d'appello in maniera chiara, anche con l'esclusione dell'aggravante citata - non determini conseguenze sul calcolo dei termini di fase della custodia in carcere del giudizio di primo grado, dovendosi far riferimento, per il computo, alla contestazione iniziale, mai modificata prima sul punto nè eliminata in primo grado . 2. Propone ricorso l'imputato, tramite il difensore, avv. Polizzi, deducendo un unico motivo con cui eccepisce vizio di violazione di legge e di motivazione manifestamente illogica, evidenziando che non vi sarebbe stata, nei suoi confronti, alcuna contestazione iniziale di condotte, in concreto, rientranti nella disposizione sanzionatoria modificata in senso peggiorativo, per il delitto di associazione mafiosa, dalla L. 27 maggio 2015, numero 69 nè, conseguentemente, vi è stata alcuna implicita assoluzione dell'imputato al riguardo da parte della Corte d'Appello, essendo chiaro sin dal principio del procedimento che le condotte contestate si fermavano ad una data antecedente alla novella legislativa ed avendo provveduto i giudici di secondo grado soltanto alla corretta applicazione dei parametri sanzionatori, al fine di individuare la pena in concreto inflitta, correggendo l'impostazione del Tribunale sul punto, una volta esclusa l'aggravante di cui all'articolo 416 bis c.p., comma 6. Seguendo tale linea interpretativa, i termini di custodia cautelare sono inutilmente decorsi, poiché sono stati sospesi, ai sensi dell'articolo 304 c.p.p., comma 2, soltanto con provvedimento del Tribunale del 25.1.2019, successivo alla già intervenuta perdita di efficacia della misura che si collocherebbe in data 11.10.2018, tenuto conto che il 4.4.2017 è stato disposto il rinvio a giudizio nei confronti del ricorrente e che da tale data è decorso il termine anni uno e mesi sei, ex articolo 303 c.p.p., comma 1, lett. b , nnumero 2 e 3 bis, senza che sia stata pronunciata la sentenza di condanna di primo grado, con una sola sospensione valida, disposta dal 21.2.2018 al 28.2.2018, stante il rinvio dell'udienza dibattimentale per impedimento del difensore dell'imputato . Il ricorrente contesta il principio, alla base della decisione impugnata, secondo cui la diversa valutazione o qualificazione dei fatti contestati non comporta la rideterminazione retroattiva dei termini di durata massima per le precedenti fasi del procedimento, attesa l'autonomia di ciascuna di esse. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato. 2. La questione giuridica posta dal ricorrente attiene all'incidenza della riqualificazione del reato inizialmente contestato sui termini di durata della custodia cautelare, tenuto conto della fase di giudizio in cui avviene la riqualificazione. 2.1. In particolare, il ricorrente lamenta che il più favorevole inquadramento della fattispecie delittuosa ascrittagli - e cioè la condanna per il delitto di associazione mafiosa aggravata soltanto ai sensi dell'articolo 416 bis, comma 4, e non anche del comma 6, della medesima disposizione incriminatrice, con accertamento della condotta partecipativa in un tempo antecedente all'entrata in vigore delle modifiche normative dettate dalla L. 27 maggio 2015, numero 69 - si sarebbe determinato, di fatto, già con la pronuncia di primo grado e sarebbe stato poi formalizzato da quella di appello, che ha escluso esplicitamente l'aggravante prevista dal comma 6, ricalcolando la sanzione sulla base dei parametri edittali più favorevoli, vigenti al momento in cui si è accertato essere stata commessa l'ultima manifestazione della condotta partecipativa del ricorrente, in un tempo antecedente all'entrata in vigore della novella legislativa dell'articolo 416 bis c.p., disposta con la L. numero 69 del 2015. L'articolo 5, di tale legge, infatti, ha previsto che, all'articolo 416 bis c.p., fossero apportate le seguenti modificazioni a al comma 1, le parole da sette a dodici anni sono sostituite dalle seguenti da dieci a quindici anni b al comma 2, le parole da nove a quattordici anni sono sostituite dalle seguenti da dodici a diciotto anni c al comma 4, le parole da nove a quindici anni sono sostituite dalle seguenti da dodici a venti anni e le parole da dodici a ventiquattro anni sono sostituite dalle seguenti da quindici a ventisei anni . Di conseguenza, l'aggravante del comma 6, collegata ai limiti edittali predetti poiché costruita con la formula Se le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo sono finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto, o il profitto di delitti, le pene stabilite nei commi precedenti sono aumentate da un terzo alla metà , avrebbe consentito termini di custodia cautelare più ampi nella nuova formulazione. Orbene, non vi è dubbio che, in presenza di una contestazione del delitto di partecipazione ad associazione di tipo mafioso - sia in forma chiusa , con indicazione di una data di cessazione della condotta, che in forma aperta o a consumazione in atto , e cioè senza che tale data sia stata fissata -, con cui si abbracci un lungo arco temporale nel corso del quale sia intervenuta una modifica in peius del trattamento sanzionatorio nella specie, la L. 27 maggio 2015, numero 69 , è specifico onere dell'accusa dimostrare che la condotta si sia protratta per tutto il periodo contestato e, comunque, anche dopo detta modifica, con conseguente illegittimità, in difetto, della sentenza di condanna alla pena determinata sulla base delle deteriori previsioni sanzionatorie sopravvenute Sez. 1, numero 14823 del 28/2/2020, Binenti, Rv. 279061 Sez. 2, numero 23343 del 1/3/2016, Ariano, Rv. 267080 . La contestazione della permanenza del delitto e della compagine associativa, infatti, non equivale a presunzione di colpevolezza del singolo imputato-partecipe fino a quella data. Una volta, dunque, che sia stata esclusa la partecipazione criminale al sodalizio in un periodo temporale che ricada nella previsione della norma incriminatrice successiva e più sfavorevole, all'associato condannato dovrà essere applicata la sanzione meno grave stabilita dai limiti edittali vigenti al momento in cui si ferma la commissione del suo contributo al gruppo mafioso. 2.2. Il ricorrente prende atto della correttezza della decisione e del procedimento di commisurazione della pena seguito dalla Corte d'Appello con la sentenza di condanna di secondo grado, che, una volta fissata la condotta partecipativa entro un tempo antecedente all'entrata in vigore della L. numero 69 del 2015, non ha tenuto conto dei limiti edittali di pena più sfavorevoli stabiliti con tale novella, ma invoca l'incidenza di tale approdo decisorio sulla decorrenza dei termini cautelari di fase previsti per il giudizio di primo grado dall'articolo 303 c.p.p Secondo la difesa, detti termini sarebbero decorsi sin dal 11.10.2018, tenuto conto che il 4.4.2017 è stato disposto il rinvio a giudizio nei confronti del ricorrente e che da tale data è trascorso il lasso temporale di anni uno e mesi sei, previsto dall'articolo 303 c.p.p., comma 1, lett. b, nnumero 2 e 3 bis, nelle ipotesi di reato così come riqualificate , senza che sia stata pronunciata la sentenza di condanna di primo grado e con una sola sospensione valida, disposta dal 21.2.2018 al 28.2.2018, per impedimento del difensore dell'imputato, non potendo utilmente computarsi il periodo di sospensione deciso con ordinanza del 25.1.2019, intervenuta solo dopo che la misura sarebbe già divenuta inefficace per decorrenza dei detti termini di fase. L'assunto difensivo - che affonda le sue radici nella tesi secondo cui la riqualificazione dei fatti contestati, dalla quale scaturisca un mutamento dei termini cautelari di fase, deve avere conseguenze immediatamente favorevoli e sempre retroattive - non è esatto. La giurisprudenza della Corte di legittimità, infatti, ha già chiarito, quanto al rapporto tra la contestazione di reato contenuta nel provvedimento che dispone il giudizio e la decisione che chiude il giudizio di primo grado, come la modifica della qualificazione giuridica del fatto in senso favorevole all'imputato, operata nella sentenza di condanna pronunciata all'esito del giudizio di primo grado, non incide retroattivamente e, pertanto, non determina riduzione del termine di durata massima della custodia cautelare relativo alla fase conclusasi con la suddetta pronuncia Sez. 6, numero 46497 del 5/11/2019, Kimaoui Marouane, Rv. 277410 . In altre parole i termini di custodia cautelare per la fase di primo grado vanno commisurati in relazione alla qualificazione giuridica del fatto contenuta nel provvedimento che dispone il giudizio, mentre il contenuto del dispositivo della sentenza di primo grado rileva solo ai fini della commisurazione della custodia cautelare per quel che attiene alla fase successiva, ma non opera retroattivamente sui termini di custodia della fase processuale cui si riferisce vedi anche, con riferimento all'autonomia di ciascuna fase, Sez. 6, numero 7199 del 8/2/2013, Lusha, Rv. 254504 Sez. 4, numero 5079 del 11/1/2011, Guidi, Rv. 249581 . Alla stessa ratio interpretativa si è ispirata anche la sentenza Sez. 6, numero 35681 del 14/5/2015, Bruzzise, Rv. 264268, secondo cui - in una fattispecie riferita proprio all'esclusione di un'aggravante in relazione al delitto di associazione mafiosa - il mutamento della qualificazione giuridica del fatto non influisce sui termini di custodia cautelare delle fasi esaurite, con la conseguenza che, qualora con la sentenza di primo grado venga esclusa l'esistenza di un'aggravante nella specie, quella di cui all'articolo 416 bis c.p., comma 2 , i termini di custodia cautelare per la fase di primo grado vanno commisurati in relazione alla qualificazione giuridica del fatto contenuta nel provvedimento che dispone il giudizio, mentre il contenuto del dispositivo della sentenza di primo grado rileva ai fini della commisurazione della custodia cautelare per quel che attiene alla fase successiva. Il computo dei termini di custodia cautelare è regolato dall'articolo 303 c.p.p., che lo disciplina in relazione a quattro distinte fasi indagini preliminari, giudizio di primo grado, giudizio di appello e fase successiva sino alla sentenza irrevocabile . Nelle due prime fasi il termine massimo va determinato, in base al combinato disposto degli articolo 278 e 303 c.p.p., con riferimento esclusivo alla pena stabilita dalla legge per il reato per il quale si procede, senza considerare, perché successive, le statuizioni contenute nella sentenza di condanna, che eventualmente incidono sulla contestazione nel senso di escluderla o qualificarla diversamente Sez. 4, numero 31338 del 22/2/2005, Abada Rafik, Rv. 231732 . 2.3. Alla luce di tali principi, seppure il Tribunale, all'esito del giudizio di primo grado, avesse escluso l'aggravante prevista dall'articolo 416 bis c.p., comma 6, e, riqualificato il fatto, avesse esplicitamente o implicitamente affermato - come sostiene il ricorrente - che il contributo partecipativo dell'imputato non si sia protratto oltre l'entrata in vigore della novella normativa, ciononostante stabilendo erroneamente, come si è detto che la natura permanente del reato associativo complessivamente inteso determina pur sempre l'applicazione delle nuove sanzioni più gravi, non avrebbero dovuto essere computati i termini cautelari di fase previsti dal giudizio di primo grado in relazione alla contestazione rimodulata, bensì quelli in ipotesi d'accusa contestati nella fase delle indagini preliminari e nel provvedimento che ha disposto il rinvio al giudizio. Vale a dire, il piano sanzionatorio che, per l'operare del principio di irretroattività, deve seguire sempre la regola dettata dall'articolo 2 c.p., e dall'articolo 25 Cost., non può essere confuso con il piano cautelare, che va parametrato alla contestazione relativa alla fase in cui si esplica la verifica giurisdizionale sull'imputazione stessa. Deve concludersi, pertanto, che la modifica della qualificazione giuridica del fatto in senso favorevole all'imputato, operata nella sentenza di condanna pronunciata all'esito del giudizio di primo o secondo grado, non incide retroattivamente e, pertanto, non determina riduzione del termine di durata massima della custodia cautelare relativo alla fase conclusasi con una delle suddette pronunce. 2.4. Non rileva, infine, nè la prospettazione difensiva circa la reale portata della contestazione che, secondo la difesa, per il contenuto degli atti, avrebbe dovuto essere sin dall'inizio del procedimento modulata su una data di commissione del reato precedente all'entrata in vigore della novella del 2015 e, pertanto, mai avrebbe potuto fondare un tempo cautelare superiore a quello di un anno e sei mesi che si ritiene essere stato indebitamente superato. Invero, si tratta di una valutazione in fatto ed apodittica che il ricorrente propone al giudice di legittimità infrangendone i limiti di sindacato. E neppure ha valenza difensiva l'affermazione relativa alla natura di aggravante non ad effetto speciale della circostanza prevista dall'articolo 416 bis c.p., comma 4, che è, da un lato, irrilevante ai fini della risoluzione della questione nel caso di specie d'altro canto è errata cfr. Sez. 6, numero 41233 del 24/10/2007, Attardo, Rv. 237671 Sez. 1, numero 29770 del 24/3/2009, Vernengo, Rv. 244460 Sez. 6, numero 7916 del 13/12/2011, dep. 2012, La Franca, Rv. 252069 Sez. 2, numero 7155 del 11/11/2020, dep. 2021, Liccardi, rv. 280662 . 3. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.