Riapertura del bar dopo l’avviso del questore per urla e schiamazzi: confermato il sequestro preventivo

Il questore può sospendere la licenza di un esercizio nel quale siano avvenuti gravi disordini, o che sia abituale ritrovo di persone pregiudicate o pericolose ovvero che costituisca un pericolo per l’ordine pubblico, per la moralità pubblica e il buon costume o per la sicurezza dei cittadini.

Sequestro preventivo del locale. Il GIP del Tribunale di Trieste disponeva il sequestro preventivo del locale pubblico un bar nell'ambito di un procedimento che vede il titolare del predetto esercizio, indagato per il reato di cui agli articolo 81 e 650 c.p. Il Tribunale confermava il suddetto decreto di sequestro preventivo. In particolare, il titolare del bar aveva ricevuto l'avviso orale emesso dal questore della Provincia per schiamazzi e urla da lì provenienti, essendo quello punto di riferimento per pregiudicati e per soggetti dediti all'abuso di alcool, fonte dunque di disturbo alle persone. Nonostante il provvedimento del questore, in cinque occasioni le Forze dell'ordine accertavano che era avvenuta la riapertura del locale. Il difensore del titolare del locale ricorre così in Cassazione, sostenendo che il provvedimento del questore risulta palesemente adottato da autorità incompetente, in ragione di quanto stabilito dalla l. numero 241/1990, che attribuisce tale potestà all'Autorità che ha adottato il provvedimento, quindi al Comune. Validità del provvedimento emesso dal questore. Il Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza stabilisce che il questore può sospendere la licenza di un esercizio nel quale siano avvenuti gravi disordini, o che sia abituale ritrovo di persone pregiudicate o pericolose ovvero che costituisca un pericolo per l'ordine pubblico, per la moralità pubblica e il buon costume o per la sicurezza dei cittadini. Sulla base di ciò, deve ritenersi che l'ordinanza del Tribunale abbia correttamente ravvisato la sussistenza del fumus commissi delicti e, quindi, la sussistenza della legittimità del sequestro del locale. Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Presidente Andreazza – Relatore Zunica Ritenuto in fatto 1. Con decreto in data 8 settembre 2020, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trieste disponeva il sequestro preventivo del locale pubblico omissis , sito in omissis , nell'ambito di un procedimento che vede il titolare del predetto esercizio, M.D. , indagato per il reato di cui agli articolo 81 e 650 c.p., in relazione all'articolo 17 ter, comma 5, T.U.L.P.S 2. Con ordinanza in data 1 ottobre 2020, il Tribunale di Trieste, adito per il riesame dall'indagato ai sensi dell'articolo 324 c.p.p., confermava il suddetto decreto di sequestro preventivo. Secondo la ricostruzione della vicenda recepita dal Tribunale, il Comune di Trieste, con provvedimento del 22 novembre 2019, aveva disposto, con riferimento al locale omissis , la chiusura d'ufficio dell'attività di somministrazione di bevande e alimenti per mancanza dei requisiti soggettivi in capo a M.D. , poiché costui era stato raggiunto da un avviso orale emesso dal Questore della Provincia di Trieste ai sensi del D.Lgs. numero 59 del 2010, articolo 71, come richiamato dalla L.R. numero 29 del 2005, articolo 6. Con successivo provvedimento del 5 giugno 2020, il Questore ordinava a M.D. la cessazione immediata dell'attività di somministrazione di bevande e alimenti nel locale pubblico suddetto. In particolare, il Questore, rilevato che il locale era punto di riferimento per pregiudicati e per soggetti dediti all'abuso di alcool, e fonte di disturbo alle persone, ordinava la cessazione immediata dell'attività in argomento ai sensi degli articolo 100 e 17-ter T.U.L.P.S. Nonostante il provvedimento del Questore, in cinque occasioni 20 giugno 2020, 24 giugno 2020, 19 luglio 2020, 23 luglio 2020, 29 luglio 2020 le Forze dell'ordine accertavano che era avvenuta l'apertura del locale. In ragione delle reiterate violazioni del provvedimento del Questore, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trieste aveva chiesto il sequestro preventivo del locale. 3. L'avv. C. P., in qualità di difensore di M.D. , ha proposto ricorso per cassazione, con atto articolato in due motivi. 3.1. Con il primo motivo si deduce la violazione di cui all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lett. b , con riferimento all'articolo 650 c.p., in relazione all'articolo 17 ter T.U.L.P.S. L'articolo 650 c.p., per il principio di specialità, non trova applicazione in tutti i casi in cui l'inosservanza di un provvedimento amministrativo è specificamente sanzionata da una disposizione di legge penale, processuale o amministrativa. L'odierno ricorrente è indagato per la violazione dell'articolo 650 c.p., in relazione all'articolo 17 ter T.U.L.P.S., per plurime violazioni del provvedimento di cessazione dell'attività adottato dal Questore, provvedimento, quest'ultimo, tempestivamente impugnato dinanzi al Presidente della Repubblica con contestuale richiesta di sospensiva ancora pendente. Il provvedimento del Questore si colloca all'interno del procedimento avviato dal Comune di Trieste, il quale aveva revocato la licenza commerciale per l'attività esercitata da M.D. in via OMISSIS e in via OMISSIS e aveva disposto la chiusura dei locali. Il provvedimento del Questore risulta palesemente adottato da autorità incompetente, in ragione di quanto stabilito alla L. numero 241 del 1990, articolo 21 ter, che attribuisce tale potestà all'Autorità che ha adottato il provvedimento, quindi al Comune. Nel caso in esame, la L. numero 241 del 1990, articolo 21 ter, fornisce lo strumento per dare esecuzione al provvedimento del Comune sicché non si può sostenere, come invece fatto dal giudice del riesame, che il reato sussista, non essendoci nella fattispecie alcun rimedio ad eccezione di quello di cui all'articolo 650 c.p In ogni caso, il provvedimento del Questore, avendo portato alla chiusura definitiva di un'attività lecita, ha violato i principi di proporzionalità e di limiti del potere. La normativa di sicurezza non attribuisce al Questore il potere di disporre la chiusura senza limiti di tempo e non sembrano sussistenti le condizioni di cui all'articolo 100 T.U.L.P.S. richiamate nell'articolo 17 ter, comma 5, T.U.L.P.S. Inoltre, tale provvedimento non poteva riguardare l'indagato, il quale non fece altro che esercitare l'attività di bar semmai, sono gli avventori che abbiano assunto condotte incivili a dover essere destinatari di simili provvedimenti. In materia di autorizzazioni amministrative e di revoche circa somministrazione al pubblico di cibi e bevande, è competente, come si è evidenziato, il Comune, e non già il Questore. 3.2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione di cui all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lett. e , con riferimento all'articolo 324 c.p.p., articolo 650 c.p., e articolo 17 ter T.U.L.P.S Il Tribunale del riesame ha affermato che il locale sottoposto a vincolo costituisce cosa pertinente al reato, poiché tramite detto locale l'odierno ricorrente non ottemperò ai provvedimenti di chiusura e perché la libera disponibilità del locale non farebbe altro che agevolare ulteriori condotte analoghe. L'ordinanza ora impugnata non soddisfa i requisiti motivazionali richiesti dalla giurisprudenza di legittimità in ordine alla sussistenza del periculum in mora. Non si comprende per quale motivo la disponibilità del locale in sequestro agevolerebbe la commissione di condotte analoghe. Il Tribunale non ha fornito alcun chiarimento circa i reati di cui si sarebbe reso responsabile l'odierno ricorrente e che denoterebbero il pericolo concreto di commissione di altri reati. Inoltre, essendo la responsabilità penale individuale, non possono essere attribuite all'esercente di un'attività condotte eventualmente poste in essere da altri soggetti che si trovino nelle immediate vicinanze dell'esercizio. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. 1.1. Il R.D. 18 giugno 1931, numero 773, articolo 100, Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, stabilisce, al comma 1, che il questore può sospendere la licenza di un esercizio nel quale siano avvenuti tumulti o gravi disordini, o che sia abituale ritrovo di persone pregiudicate o pericolose o che, comunque, costituisca un pericolo per l'ordine pubblico, per la moralità pubblica e il buon costume o per la sicurezza dei cittadini. L'articolo 17 ter, dello stesso testo normativo stabilisce, al comma 4, che, quando ricorrono le circostanze previste dall'articolo 100, la cessazione dell'attività non autorizzata è ordinata immediatamente dal questore stabilisce, al comma 5, che chiunque non osserva i provvedimenti previsti dal terzo e dal comma 4, legalmente dati dall'autorità, è punito ai sensi dell'articolo 650 c.p 1.2. Ciò posto, è agevole rilevare per un verso e sul piano astratto, che, in virtù del citato rinvio all'articolo 650 c.p., proprio in applicazione di quest'ultima norma è sanzionata l'inosservanza dei provvedimenti dati dal questore ai sensi delle disposizioni citate per altro verso e in concreto, che il provvedimento del Questore di Trieste in data 5 giugno 2020, recante l'ordine di cessazione dell'attività di somministrazione di alimenti e bevande, esercitata nel locale pubblico sopra indicato, risulta legalmente emesso dall'Autorità competente in base alla normativa richiamata e, in virtù delle indicazioni emergenti dagli atti, in presenza dei presupposti indicati dalla normativa. 1.3. Sulla base dei rilievi esposti, deve ritenersi che l'ordinanza del Tribunale di Trieste, qui impugnata, abbia correttamente ravvisato la sussistenza del fumus commissi delicti e, quindi, la sussistenza, sotto tale profilo, della legittimità del sequestro del locale. 2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile perché propone, sul punto relativo alla ritenuta sussistenza del pericolo di reiterazione di illeciti, o periculum in mora, posto alla base del provvedimento impugnato, dei pretesi vizi di motivazione, mentre nella materia in esame il ricorso per cassazione può avere per oggetto soltanto il vizio di violazione di legge, come stabilito dall'articolo 325 c.p.p 2. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile in applicazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 3. Ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma indicata nel seguente dispositivo alla Cassa delle ammende, non essendo dato escludere - alla stregua del principio di diritto affermato da Corte Cost. numero 186 del 2000 - la ricorrenza dell'ipotesi della colpa nella proposizione dell'impugnazione. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.