«Mentre il marchio complesso è costituito da una composizione di più elementi, ciascuno dotato di capacità caratterizzante, il cui esame da parte del giudice deve effettuarsi in modo parcellizzato per ciascuno di essi, pur essendone la forza distintiva affidata all’elemento costituente il c.d. cuore del marchio, il marchio d’insieme è qualificato dall’assenza di un elemento caratterizzante, dal momento che tutti i vari elementi di esso sono singolarmente privi di distintività, derivando il valore distintivo, più o meno accentuato, soltanto dalla loro combinazione o, appunto, dal loro insieme, onde la confluenza nell'elemento lessicale Nonsolomoda di termini di uso comune non esclude l'obbligo da parte del giudice del merito, di accertare se tale espressione verbale assuma, in ragione della combinazione dei detti termini, valenza distintiva».
Una s.p.a. conveniva in giudizio una società e deducendo di trasmettere da 24 anni su un'emittente televisiva un programma e rilevando che aveva provveduto alla registrazione del marchio presso l'ufficio italiano brevetti e marchi. L'attrice denunciava il fatto che la convenuta aveva provveduto a registrare a sua volta il dominio internet che contraddistingueva un sito diretto a reclamizzare la propria attività lavorativa e la vendita di prodotti consentendone la visualizzazione sulla rete telematica, quale internet access provider. Il Tribunale dichiarava che la registrazione del dominio costituiva violazione del marchio registrato dalla s.p.a. La Corte d'Appello invece riformava completamente la sentenza di primo grado, intervengono così i Giudici di legittimità. Marchio complesso e marchio d'insieme. Risarcimento del danno. Responsabilità dell'hosting provider. Al riguardo la Suprema Corte, accogliendo il ricorso ella s.p.a. afferma che «mentre il marchio complesso è costituito da una composizione di più elementi, ciascuno dotato di capacità caratterizzante, il cui esame da parte del giudice deve effettuarsi in modo parcellizzato per ciascuno di essi, pur essendone la forza distintiva affidata all’elemento costituente il c.d. cuore del marchio, il marchio d’insieme è qualificato dall’assenza di un elemento caratterizzante, dal momento che tutti i vari elementi di esso sono singolarmente privi di distintività, derivando il valore distintivo, più o meno accentuato, soltanto dalla loro combinazione o, appunto, dal loro insieme, onde la confluenza nell'elemento lessicale Nonsolomoda di termini di uso comune non esclude l'obbligo da parte del giudice del merito, di accertare se tale espressione verbale assuma, in ragione della combinazione dei detti termini, valenza distintiva in base al comma 2 dell' articolo 125 c.p.i il giudice può liquidare il danno in una «somma globale stabilita in base agli atti di causa ed alle presunzioni che ne derivano», avendo riguardo, quindi, anche solo ad elementi indiziari offerti dal danneggiato e, nel caso il titolare non sia riuscito a dimostrare il mancato guadagno, il lucro cessante può essere liquidato con il ricorso al metodo alternativo della giusta royalty o royalty virtuale, senza onere, per il titolare della privativa, di dimostrare che con riferimento al diritto di proprietà industriale oggetto della violazione egli avrebbe concluso un contratto di licenza del diritto stesso in particolare, in assenza di contratti di licenza conclusi dal titolare con riguardo a tale diritto, il giudice, avvalendosi, se del caso, di un consulente tecnico, deve prendere in considerazione la royalty praticata per prodotti, servizi e diritti di proprietà intellettuale che presentino elementi di omogeneità con quelli colpiti dalla denunciata violazione la responsabilità dell'hosting provider, prevista dall' articolo 16 del d.lgs. numero 70 del 2003 , sussiste in capo al prestatore dei servizi che abbia provveduto alla immediata rimozione dei contenuti illeciti, oppure abbia continuato a pubblicarli, quando ricorrano congiuntamente le seguenti condizioni sia a conoscenza legale dell'illecito perpetrato dal destinatario del servizio, per averne avuto notizia dal titolare del diritto leso oppure aliunde sia ragionevolmente constatabile l'illeceità dell'altrui condotta, onde l'hosting provider sia in colpa grave per non averla positivamente riscontrata, alla stregua del grado di diligenza che è ragionevole attendersi da un operatore professionale della rete in un determinato momento storico abbia la possibilità di attivarsi utilmente, in quanto reso edotto in modo sufficientemente specifico dei contenuti illecitamente immessi da rimuovere».
Presidente Genovese – Relatore Falabella Fatti di causa 1. - Con citazione notificata il 5 e il 6 marzo 2007 s.p.a. ha convenuto in giudizio Computer Line s.r.l. e R.R.N. deducendo di trasmettere, da oltre ventiquattro anni, sull'emittente televisiva nazionale Canale 5, il programma omissis e rilevando, altresì, che il 17 settembre 1996 aveva provveduto alla registrazione del marchio omissis presso l'UIBM Ufficio italiano brevetti e marchi . L'attrice ha lamentato che il convenuto R. aveva a sua volta registrato, in data 15 aprile 1999, il dominio internet omissis , che contraddistingueva un sito diretto a reclamizzare la propria attività di sarto e la vendita di prodotti di telefonia, e che Computer Line, quale internet access provider, ne avesse consentito la visualizzazione sulla rete telematica. Nella resistenza dei convenuti, il Tribunale di Catania, con sentenza pubblicata il 21 aprile 2011, ha dichiarato che la registrazione del dominio omissis costituiva violazione del marchio registrato da R.T.I., ha inibito a R. l'utilizzo del detto nome a dominio per l'attività d'impresa svolta, ordinato la cancellazione della registrazione dello stesso e condannato i due convenuti al risarcimento dei danni nel provvedimento è stata altresì disposta l'applicazione di una penalità di mora per ogni violazione o inosservanza della pronunciata inibitoria e ordinata la pubblicazione del dispositivo della sentenza su due quotidiani. 2. - In sede di gravame la Corte di appello di Catania ha riformato la sentenza di primo grado, rigettando, in sintesi, la domanda proposta da R.T.I Per quanto qui rileva, il giudice distrettuale ha osservato che il marchio omissis aveva ad oggetto un'espressione assolutamente generica, composta da parole italiane di uso comune, non accompagnate da alcun segno che attribuisse loro capacità individualizzante che doveva escludersi l'acquisto di un qualche carattere distintivo da parte della richiamata forma verbale, onde non poteva trovare applicazione la disciplina di cui all' articolo 13, comma 2, c.p.i . che ai richiamati fini non poteva essere attribuito rilievo alla trasmissione televisiva messa in onda anni addietro, il cui titolo non era comunque coincidente col marchio successivamente registrato che nessuna prova, finanche indiziaria, era stata fornita a sostegno della domanda risarcitoria che, in particolare, la produzione documentale non dava ragione di una riduzione di profitti, di uno sviamento di clientela, o di un danno all'immagine sofferto dall'attrice che andava esclusa la responsabilità di Computer Line, dal momento che il semplice invio di lettere di diffida da parte di un soggetto che si professa titolare in esclusiva di un marchio utilizzato da altri quale domain name di un sito web non era idoneo a rendere edotto l'hosting provider della manifesta illiceità dell'attività o dell'informazione effettuata tramite il sito gestito dallo stesso provider. La sentenza della corte di Catania è impugnata da R.T.I. Con un ricorso per cassazione fondato su sette motivi. Resiste con controricorso R.N.R Entrambe le parti hanno depositato memorie. Ragioni della decisione 1. - I motivi posti a fondamento dell'odierna impugnazione sono riassunti dalla stessa ricorrente come segue. Primo motivo violazione o falsa applicazione dell' articolo 13 c.p.i Viene imputato alla sentenza impugnata di aver attribuito alla norma teste' richiamata un significato errato e comunque non appropriato, avendo la Corte di appello ritenuto che, in ragione del cit. articolo 13, il marchio omissis non potesse essere registrato. Secondo motivo violazione o falsa applicazione dell' articolo 22, comma 2, c.p.i Secondo la ricorrente il giudice distrettuale non avrebbe considerato che la norma in questione vieta l'adozione, come nome a dominio di un sito utilizzato per lo svolgimento di un'attività economica, di un segno uguale o simile a un marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini, il quale goda nello Stato di rinomanza, se l'uso del segno, senza giusto motivo, consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio, o reca pregiudizio ad esso. Terzo motivo violazione dell' articolo 132 c.p.c. , comma 2, numero 4 e nullità della sentenza per irriducibile contraddittorietà. Si addebita alla Corte di merito di aver escluso che ricorresse l'ipotesi di cui dell' articolo 13 c.p.i ., comma 2, secondo cui possono costituire oggetto di registrazione come marchio di impresa i segni che prima della domanda di registrazione, a seguito dell'uso che ne sia stato fatto, abbiano acquistato carattere distintivo la Corte di appello avrebbe infatti ritenuto non esservi elementi per ritenere che l'espressione italiana di uso comune avesse acquisito carattere distintivo al momento della registrazione del marchio, in data 17 settembre 1996, ma avrebbe riconosciuto, al contempo, che quel nome dava il titolo a una trasmissione televisiva che risaliva a molti anni addietro. Quarto motivo, formulato in via subordinata rispetto al primo omesso esame di un fatto decisivo. Deduce la ricorrente essere stato provato agli atti che essa, fin dal 1996, aveva registrato il marchio omissis per diverse categorie merceologiche, tra le quali anche quelle relative all'abbigliamento e agli apparecchi per registrazione, trasmissione e riproduzione del suono e delle immagini in tali categorie, ad avviso dell'istante, andavano ricomprese le attività di sarto e di vendita di apparecchi per la telefonia, entrambe pubblicizzate sul sito Internet dall'odierno controricorrente utilizzando il nome a dominio omissis , registrato successivamente al marchio della società ricorrente. Quinto motivo nullità della sentenza per omessa pronuncia, in violazione dell' articolo 112 c.p.c. . La decisione di appello è censurata per avere la stessa mancato di statuire sulla domanda di accertamento della concorrenza sleale che sarebbe stata posta in essere da R Si osserva, infatti, che a norma dell' articolo 2598 c.c. , numero 1, costituisce illecito concorrenziale l'uso di nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o con i segni distintivi legittimamente usati da altri o il compimento, con qualsiasi altro mezzo, di atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l'attività del concorrente è aggiunto che, giusta l' articolo 2598 c.c. , numero 3, costituisce atto di concorrenza sleale il valersi, direttamente o indirettamente, di ogni mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale idoneo a danneggiare l'altrui azienda. Sesto motivo violazione o falsa applicazione dell' articolo 125 c.p.i ., nonché dell' articolo 2697 c.c. e articolo 116 c.p.c. . La sentenza impugnata è censurata nella parte in cui ha ritenuto che nessuna prova, nemmeno di carattere indiziario, fosse stata fornita al fine di sostenere la pretesa risarcitoria. Settimo motivo violazione o falsa applicazione del D.Lgs. numero 70 del 2003, articolo 16 e 17 . Il ricorrente lamenta che secondo il giudice distrettuale il semplice invio di lettere di diffida da parte di un soggetto che si professa titolare in esclusiva di un marchio utilizzato da altri quale nome a dominio di un sito web non sia idoneo a rendere edotto l'hosting provider della manifesta illiceità dell'attività o dell'informazione. Si oppone che l'hosting provider risulta essere civilmente responsabile nel caso in cui, avendo avuto conoscenza, anche attraverso mera diffida inviata dall'interessato, del carattere illecito o pregiudizievole del contenuto di un servizio al quale assicura l'accesso, non abbia provveduto a rimuoverlo. 2. - I primi quattro motivi possono esaminarsi congiuntamente. Il primo, il secondo e il terzo motivo sono fondati nei termini che si vengono a esporre, mentre il quarto resta assorbito. Il Tribunale ha ritenuto che, per un verso, tra le classi merceologiche per le quali era stata chiesta la registrazione da parte di R.T.I. rientravano anche quelle corrispondenti alle attività svolte dal convenuto ovvero abbigliamento e telefonia e che, per altro verso, il marchio omissis aveva acquistato rinomanza anche per effetto della nota, ed omonima, trasmissione diffusa a livello nazionale. Dette circostanze assumono rilievo, sul piano astratto, a mente dell' articolo 22 c.p.i . norma, che, come è noto, estende la disciplina dell' articolo 20 c.p.i . ai casi in cui l'interferenza col marchio preesistente si delinei in forza dell'uso di un segno distintivo, identico o simile, diverso dal marchio, come, appunto, il nome a dominio. Infatti, l' articolo 22, comma 1, c.p.i . vieta di adottare come domain name di un sito usato nell'attività economica, un segno eguale o simile all'altrui marchio se, a causa dell'identità o dell'affinità tra l'attività di impresa dei titolari di quei segni e i prodotti o servizi per i quali il marchio adottato, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico che può consistere anche in un rischio di associazione tra i segni. Il comma 2 del citato articolo precisa, poi, che tale divieto si estende all'adozione di un nome a dominio uguale o simile a un marchio registrato per i prodotti o servizi anche non affini, che goda nello Stato di rinomanza, se l'uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio, o reca pregiudizio agli stessi. L'indebito vantaggio consiste, di regola, nello sfruttamento della notorietà del marchio imitato discendente dalla cosiddetta presale o initial confusion, nella quale cade l'utente che si collega al sito recante il dominio in contraffazione, in quanto attratto dal nome di dominio dello stesso e, a cascata, nella raccolta pubblicitaria, il cui ammontare dipenda dal numero di accesi al sito di cui trattasi. Il pregiudizio arrecato al carattere distintivo e alla notorietà del marchio imitato può consistere, invece, nella presenza, all'interno del sito, di messaggi distorsivi, comunque non coerenti con l'immagine associata al marchio contraffatto. La Corte di merito, come si è visto, ha ritenuto che i profili di identità tra il marchio registrato da R.T.I. e il nome a dominio omissis non assumessero rilievo a fronte dell'impedimento alla brevettabilità del marchio dell'odierna ricorrente, reputando che il segno di RTI rientrasse in quelli consistenti esclusivamente in segni divenuti di uso comune nel linguaggio corrente o negli usi costanti del commercio articolo 13, comma 1, lett. a c.p.i . . La Corte di appello si è tuttavia arrestata alla considerazione del valore descrittivo che presentavano, separatamente considerate, le tre parole di cui si compone il marchio oggetto di registrazione non , solo , moda , senza apprezzare la possibile valenza individualizzante del termine nascente dalla combinazione di detti elementi verbali. Così facendo, il giudice distrettuale ha trascurato di verificare se il marchio omissis potesse costituire un marchio d'insieme. Come è noto, mentre il marchio complesso è costituito da una composizione di più elementi, ciascuno dotato di capacità caratterizzante, il cui esame da parte del giudice deve effettuarsi in modo parcellizzato per ciascuno di essi, pur essendone la forza distintiva affidata all'elemento costituente il c.d. cuore del marchio, il marchio d'insieme è qualificato dall'assenza di un elemento caratterizzante, dal momento che tutti i vari elementi di esso sono singolarmente privi di distintività, derivando il valore distintivo, più o meno accentuato, soltanto dalla loro combinazione o, appunto, dal loro insieme così Cass. 3 dicembre 2010, numero 24620 cfr. pure Cass. 18 maggio 2018, numero 12368 Cass. 18 gennaio 2013, numero 1249 Cass. 20 aprile 2004, numero 7488 . Sotto altro riflesso, il giudice del gravame ha escluso che l'espressione omissis avesse assunto carattere distintivo per effetto della messa in onda, su Canale 5, del programma televisivo che replicherebbe, nel titolo, detta locuzione. In tal modo, la Corte di appello ha escluso che il marchio della ricorrente potesse ricevere protezione per effetto del secondary meaning. E' appena il caso di ricordare che a norma dell' articolo 13, comma 2, c.p.i ., possono costituire oggetto di registrazione come marchio di impresa i segni che prima della domanda di registrazione, a seguito dell'uso che ne sia stato fatto, abbiano acquistato carattere distintivo con riferimento all'analoga disciplina contenuta nel R.D. numero 929 del 1942, articolo 19 Cass. 2 settembre 2004, numero 17670 Cass. 14 marzo 2001, numero 3666 . Come dedotto dalla ricorrente col terzo motivo di censura, la motivazione posta a fondamento della richiamata affermazione della Corte distrettuale risulta essere radicalmente viziata. Il giudice di appello infatti, non spiega per quale ragione l'espressione omissis non avrebbe acquisito un significato diverso da quello primario, descrittivo, in ragione della messa in onda, per anni, del programma televisivo omonimo a tal fine non appare infatti idoneo il richiamo, contenuto nella sentenza impugnata, alla circostanza per cui la trasmissione televisiva di cui trattasi era in realtà denominata omissis . E' contemporaneamente . Anche a voler prescindere dai rilievi svolti dalla ricorrente - incentrati sul fatto che il titolo della trasmissione televisiva era stato, dal 1983 al 2001 e dal 2005 in poi, omissis - la Corte di merito avrebbe dovuto spiegare per quale ragione la circostanza da essa indicata avrebbe impedito alla locuzione che qui interessa, comunque presente nel titolo di un programma messo in onda da Canale 5 per anni, di acquisire un valore semantico ulteriore rispetto a quello meramente descrittivo da essa indicato un valore collegato alla trasmissione di cui trattasi e percepito dal pubblico in questa diversa funzione distintiva. In tal senso, la motivazione della Corte di appello risulta essere apparente, per tale dovendosi intendere la motivazione che, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture Cass. Sez. U. 3 novembre 2016, numero 22232 Cass. 23 maggio 2019, numero 13977 . 3. - Il quinto motivo è fondato. La domanda vertente sull'illecito ex articolo 2598 c.c. , era stata proposta in primo grado e il Tribunale aveva espressamente ritenuto che l'utilizzo del dominio omissis costituisse anche atto di concorrenza sleale la questione era stata poi riproposta in appello da parte dell'attrice vittoriosa cfr. ricorso, pag. 27 . La Corte di merito avrebbe dovuto pronunciarsi su detta domanda, la quale ben poteva essere spiegata in uno con quella di contraffazione del marchio. Infatti, l'attività illecita, consistente nell'appropriazione o nella contraffazione di un marchio, mediante l'uso di segni distintivi identici o simili a quelli legittimamente usati dall'imprenditore concorrente, può essere da quest'ultimo dedotta a fondamento non soltanto di un'azione reale, a tutela dei propri diritti di esclusiva sul marchio, ma anche, e congiuntamente, di un'azione personale per concorrenza sleale, ove quel comportamento abbia creato confondibilità fra i rispettivi prodotti Cass. 29 gennaio 2019, numero 2473 Cass. 19 giugno 2008, numero 16647 . 4. - Il sesto mezzo è anch'esso fondato. Come in precedenza ricordato, la Corte distrettuale, dopo aver escluso la validità del marchio omissis , registrato da R.T.I., ha aggiunto che, comunque, la domanda risarcitoria risultava essere priva di supporto probatorio. La stessa Corte ha reputato, in particolare, non concludente la produzione di un documento indicante le somme richieste per la concessione a terzi dell'utilizzo di termini, non di uso comune, dotati di specifica capacità distintiva, ma riguardanti prodotti commerciali della R.T.I. in nulla assimilabili all'espressione italiana di uso comune di cui si discute . Mette conto di premettere che la statuizione in punto di danno, qui esaminata, è sicuramente impugnabile. Infatti, il giudice, decidendo su una questione che, benché logicamente pregiudiziale sulle altre, attiene al merito della causa, a differenza di quanto avviene qualora dichiari l'inammissibilità della domanda o il suo difetto di giurisdizione, o competenza, non si priva della potestas iudicandi in relazione alle ulteriori questioni di merito, sicché, ove si pronunci anche su di esse, le relative decisioni non configurano obiter dicta, ma ulteriori rationes decidendi, che la parte ha l'interesse e l'onere d'impugnare, in quanto da sole idonee a sostenere il decisum Cass. 11 marzo 2019, numero 6985 Cass. 17 aprile 2015, numero 7838 . Ciò posto, nella liquidazione del danno in materia di proprietà industriale deve darsi rilievo alla specifica disciplina dettata dell' articolo 125 c.p.i ., comma 2, in base al quale il giudice può liquidare il danno in una somma globale stabilita in base agli atti di causa ed alle presunzioni che ne derivano , avendo riguardo, quindi, anche solo agli elementi indiziari offerti dal danneggiato e, nel caso il titolare non sia riuscito a dimostrare il mancato guadagno, il lucro cessante potrà essere liquidato con il ricorso al metodo alternativo della giusta royalty o royalty virtuale, senza l'onere per il titolare della privativa di dimostrare quale sarebbe stata la certa royalty pretesa in caso di ipotetica richiesta di una licenza da parte dell'autore della violazione, non rappresentando detto criterio il danno effettivamente subito ma un minimo obbligatorio così, in motivazione, Cass. 2 marzo 2021, numero 5666 . In altri termini, il danno da lucro cessante liquidato in via equitativa non può essere inferiore, in base alla previsione di legge - che significativamente adotta l'espressione quanto meno - alla royalty che l'autore della violazione avrebbe dovuto corrispondere per fare uso del diritto violato sulla base di un contratto di licenza. Il criterio della giusta royalty o royalty virtuale, come è stato precisato in dottrina, opera, poi, indipendentemente dall'effettiva disponibilità del titolare dei diritti di proprietà intellettuale violati a concederli in licenza, quando non sono utilizzabili altri metodi per la liquidazione del danno e, in assenza di contratti di licenza conclusi dal titolare con riguardo a tali diritti, il giudice stesso, avvalendosi, se del caso, di un consulente tecnico, dovrà far riferimento alla royalty che possa dirsi praticata per i prodotti o servizi e per i diritti di proprietà intellettuale omogenei a quelli della cui violazione si tratta. La Corte distrettuale, in presenza di precise allegazioni quanto a corrispettivi pretesi per l'utilizzo di termini evidentemente riflettenti titoli di privativa, giacché la stessa Corte riferisce che gli elementi verbali in questione presentavano capacità distintiva e riguardavano prodotti commerciali della R.T.I. , avrebbe dovuto allora verificare, con l'eventuale ausilio di un consulente, quale fosse la royalty virtuale da applicare per l'utilizzo del marchio omissis royalty costituente, secondo quanto si è detto, il parametro di riferimento da prendere in considerazione per la liquidazione di un risarcimento minimale del danno occorso. 5. - E' da accogliere, infine, il settimo motivo. L'affermazione della Corte di appello, secondo cui il prestatore del servizio internet non è assoggetto a un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmette e memorizza, né un obbligo generale di ricercare attivamente fatti e circostanze che indichino la presenza di attività illecite è senz'altro corretta, in quanto conforme al disposto del D.Lgs. numero 70 del 2003, articolo 17, comma 1. Essa, tuttavia, non esaurisce il tema di indagine, dal momento che deve tenersi conto della specifica disciplina che riguarda l'operato dell'hosting provider tale essendo, in base alla sentenza impugnata, sul punto non censurata, la veste assunta dalla società Computer Line quale internet service provider . La Corte di giustizia, nell'interpretare la norma comunitaria specificamente dedicata alla prestazione del servizio di hosting, e cioè l'articolo 14 della dir. 2000/31/CE di cui costituisce recepimento il D.Lgs. numero 70 del 2003 cit. , ha avuto modo di evidenziare che il prestatore di un tale servizio non può essere ritenuto responsabile per i dati che ha memorizzato su richiesta di un destinatario del servizio in parola, salvo che tale prestatore, dopo aver preso conoscenza, mediante un'informazione fornita dalla persona lesa o in altro modo, della natura illecita di tali dati o di attività di detto destinatario, abbia omesso di prontamente rimuovere tali dati o disabilitare l'accesso agli stessi Corte giust. UE, Grande sezione, 23 marzo 2010, C-236/08 , C-237/07 e C-238/08, Google France, 109 . Occupandosi della disciplina nazionale sul commercio elettronico, questa Corte regolatrice ha parallelamente rilevato che nell'ambito dei servizi della società dell'informazione, la responsabilità dell'hosting provider, prevista dal D.Lgs. numero 70 del 2003, articolo 16, sussiste in capo al prestatore dei servizi che non abbia provveduto alla immediata rimozione dei contenuti illeciti, oppure abbia continuato a pubblicarli, quando ricorrano congiuntamente le seguenti condizioni sia a conoscenza legale dell'illecito perpetrato dal destinatario del servizio, per averne avuto notizia dal titolare del diritto leso oppure aliunde sia ragionevolmente constatabile l'illiceità dell'altrui condotta, onde l'hosting provider sia in colpa grave per non averla positivamente riscontrata, alla stregua del grado di diligenza che è ragionevole attendersi da un operatore professionale della rete in un determinato momento storico abbia la possibilità di attivarsi utilmente, in quanto reso edotto in modo sufficientemente specifico dei contenuti illecitamente immessi da rimuovere Cass. 19 marzo 2019, numero 7708 . La Corte di merito avrebbe dovuto quindi operare tale complessa verifica. A tal fine, diversamente da quanto asserito nella sentenza impugnata, non assumevano rilievo gli impegni contrattuali assunti da Computer Line nei confronti del proprio cliente. Ne' può ritenersi appagante l'accertamento giudiziale circa la mancata indicazione, nelle comunicazioni di diffida di R.T.I., della data di registrazione del marchio di quest'ultima era, questa, un'evenienza certamente meritevole di essere apprezzata, ma nel quadro di un complessivo giudizio inteso ad appurare se le richiamate condizioni fondanti la responsabilità del provider potessero, nella concreta fattispecie, dirsi ricorrenti. 6. - In conclusione, il ricorso va accolto la sentenza è cassata in relazione a tutti motivi di ricorso, fatta eccezione per il quarto, che è assorbito, e la causa è rinviata ad altra Corte di appello, che viene individuata in quella di Roma, anche per le spese del giudizio di legittimità. Il giudice del rinvio dovrà fare applicazione dei seguenti principi di diritto mentre il marchio complesso è costituito da una composizione di più elementi, ciascuno dotato di capacità caratterizzante, il cui esame da parte del giudice deve effettuarsi in modo parcellizzato per ciascuno di essi, pur essendone la forza distintiva affidata all'elemento costituente il c.d. cuore del marchio, il marchio d'insieme è qualificato dall'assenza di un elemento caratterizzante, dal momento che tutti i vari elementi di esso sono singolarmente privi di distintività, derivando il valore distintivo, più o meno accentuato, soltanto dalla loro combinazione o, appunto, dal loro insieme , onde la confluenza nell'elemento lessicale omissis di termini di uso comune non esclude l'obbligo, da parte del giudice del merito, di accertare se tale espressione verbale assuma, in ragione della combinazione dei detti termini, valenza distintiva in base dell' articolo 125 c.p.i ., comma 2, il giudice può liquidare il danno in una somma globale stabilita in base agli atti di causa ed alle presunzioni che ne derivano , avendo riguardo, quindi, anche solo ad elementi indiziari offerti dal danneggiato e, nel caso il titolare non sia riuscito a dimostrare il mancato guadagno, il lucro cessante può essere liquidato con il ricorso al metodo alternativo della giusta royalty o royalty virtuale, senza onere, per il titolare della privativa, di dimostrare che con riferimento al diritto di proprietà industriale oggetto della violazione egli avrebbe concluso un contratto di licenza del diritto stesso in particolare, in assenza di contratti di licenza conclusi dal titolare con riguardo a tale diritto, il giudice, avvalendosi, se del caso, di un consulente tecnico, deve prendere in considerazione la royalty praticata per prodotti, servizi e diritti di proprietà intellettuale che presentino elementi di omogeneità con quelli colpiti dalla denunciata violazione la responsabilità dell'hosting provider, prevista dal D.Lgs. numero 70 del 2003, articolo 16, sussiste in capo al prestatore dei servizi che non abbia provveduto alla immediata rimozione dei contenuti illeciti, oppure abbia continuato a pubblicarli, quando ricorrano congiuntamente le seguenti condizioni sia a conoscenza legale dell'illecito perpetrato dal destinatario del servizio, per averne avuto notizia dal titolare del diritto leso oppure aliunde sia ragionevolmente constatabile l'illiceità dell'altrui condotta, onde l'hosting provider sia in colpa grave per non averla positivamente riscontrata, alla stregua del grado di diligenza che è ragionevole attendersi da un operatore professionale della rete in un determinato momento storico abbia la possibilità di attivarsi utilmente, in quanto reso edotto in modo sufficientemente specifico dei contenuti illecitamente immessi da rimuovere. P.Q.M. La Corte accoglie i sette motivi di ricorso, ad eccezione del quarto, che dichiara assorbito cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Roma, anche per le spese del giudizio di legittimità.