In ballo un bonifico da oltre 250.000 euro. Il correntista ha dovuto aspettare oltre un mese, prima di vedersi accreditata la cifra. E in quel mese ha passato tante notti insonni e ha dovuto fare ricorso anche agli psicofarmaci. Sacrosanto, quindi, che l’istituto di credito risarcisca il cliente per il patema d’animo arrecatogli.
Banca condannata a risarcire il correntista andato in crisi – e costretto a fare ricorso a psicofarmaci – per la lunghissima attesa – oltre un mese – che ha preceduto l’accredito di un bonifico da 250.000 euro Cass. civ., sez. I, 13 settembre 2021, numero 24643 . Decisivo per il cliente della banca è il passaggio in Corte d’Appello lì i Giudici riconoscono il suo diritto a ricevere dall’istituto di credito «5mila euro» come « risarcimento del danno morale » da lui subito «per il ritardo nell’accredito sul suo conto corrente» di una cifra superiore ai 250.000 euro. Fondamentali le date. Si è appurato, difatti, che il bonifico è stato ordinato da una società a metà dicembre del 2013 ma è stato accreditato solamente il 23 gennaio del 2014 sul conto intestato al cliente della banca. Questa lunga attesa ha provocato, secondo i Giudici, un evidente « patema d’animo » per il correntista, che in quelle settimane ha dovuto affrontare tante notti insonni e ha dovuto fare anche uso di psicofarmaci. Ecco spiegati, quindi, i 5.000 euro di risarcimento che la banca deve versare al cliente. Nel contesto della Cassazione gli avvocati che rappresentano l’istituto di credito provano a mettere in discussione il danno lamentato dal correntista. In questa ottica i legali sostengono che la valutazione compiuta in appello è fragile e opinabile, soprattutto perché «si è desunta l’esistenza del danno non patrimoniale », cioè «il patema d’animo», alla luce di due semplici elementi, cioè che «il bonifico aveva ad oggetto una cospicua somma» e che vi è stato «un ritardo di circa un mese nell’accredito». Prima di esaminare la vicenda, i Giudici di terzo grado ricordano che «il danno morale , inteso come sofferenza soggettiva, rappresenta una voce dell’ampia categoria del danno non patrimoniale e ben può derivare da un inadempimento contrattuale che pregiudichi un diritto inviolabile della persona», e, aggiungono, «deve trattarsi di un danno da stress o da patema d’animo, la cui risarcibilità presuppone la sussistenza di un pregiudizio sofferto dal titolare dell’interesse leso». In questo caso specifico si è valorizzato il fatto che «il ritardo – integrante un incontestato adempimento tardivo – nell’accredito di una cospicua somma di denaro da parte della banca» ha provocato al correntista «notti insonni e la necessità di assumere psicofarmaci». Evidente, quindi «l’esistenza del danno lamentato» dal cliente della banca per «il patema d’animo subito» a causa della lentezza dell’istituto di credito nell’accreditargli ben 250.000 euro. Sacrosanto perciò il diritto del correntista ad essere risarcito con 5.000 euro.
Presidente De Chiara – Relatore Lamorgese Fatti di causa La Corte d'appello di Milano, con sentenza del 24 gennaio 2018, in parziale accoglimento delle domande di V.P. , già rigettate dal tribunale, ha condannato la ING Bank al risarcimento del danno non patrimoniale, determinato in Euro 5000,00, per il ritardo nell'accredito di Euro 253385,70, sul conto corrente dell'attore, solamente in data 23 gennaio 2014 - in relazione al bonifico ordinato dalla società Cinquecento Investments s.a. in data OMISSIS - per il patema d'animo subito dal correntista, avendo peraltro escluso l'esistenza del danno biologico per la non dimostrata patologia nevrotica. Avverso questa sentenza la ING ricorre per cassazione, cui resiste V. Il Pubblico Ministero ha depositato requisitoria scritta e le parti hanno depositato memorie. Il ricorso è stato trattato in Camera di consiglio senza l'intervento del Procuratore generale e dei difensori delle parti, secondo la disciplina dettata dal D.L. 28 ottobre 2020, numero 137, articolo 23, comma 8 bis, inserito dalla Legge di Conversione 18 dicembre 2020, numero 176 . Ragioni della decisione Con un unico motivo la banca ricorrente denuncia violazione degli articolo 2697, 2727, 2729 c.c. , articolo 115 e 116 c.p.c. , per avere violato il principio secondo cui per presumere il fatto ignoto il sensibile patema d'animo da un fatto noto la legge richiede l'esistenza di più presunzioni gravi, precise e concordanti , mentre nella specie la corte aveva desunto l'esistenza del danno non patrimoniale da un'unica presunzione, costituita dal fatto che il bonifico aveva ad oggetto una cospicua somma , non essendo idoneo a fondare la prova presuntiva il ritardo di circa un mese nell'accredito. Il motivo è infondato. Il danno morale, inteso come sofferenza soggettiva, rappresenta una voce dell'ampia categoria del danno non patrimoniale e ben può derivare da un inadempimento contrattuale che pregiudichi un diritto inviolabile della persona cfr. Cass. numero 21999 del 2011 deve trattarsi di un danno da stress o da patema d'animo, la cui risarcibilità presuppone la sussistenza di un pregiudizio sofferto dal titolare dell'interesse leso, sul quale grava l'onere della relativa allegazione e prova, anche attraverso presunzioni semplici cfr. Cass. 19434 del 2019 , 907 e 23754 del 2018 , 2886 del 2014 . È noto che nella prova per presunzioni, ai sensi degli articolo 2727 e 2729 c.c. , non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, ma è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità desumibile da regole di esperienza cfr. Cass. 8605 del 2015 , 656 del 2014 . Nella specie, la sentenza impugnata ha accertato, in via presuntiva, l'esistenza del danno lamentato per il patema d'animo subito in conseguenza del ritardo - integrante un incontestato adempimento tardivo - nell'accredito di una cospicua somma di denaro da parte della banca, che aveva provocato al correntista notti insonni e la necessità di assumere psicofarmaci. Si tratta di una valutazione di tipo presuntivo insindacabile dal giudice di legittimità, quanto alla sussistenza degli elementi posti a base della presunzione e alla loro rispondenza ai requisiti di cui all' articolo 2729 c.c. , comma 1, tanto più che il giudice può fondare su una sola presunzione, purché grave e precisa, l'unica fonte del convincimento cfr. Cass. 23153 del 2018 , 16993 e 19088 del 2007 , 4472 del 2003 , 914 del 1999 . Erra, infatti, la ricorrente quando sostiene la necessità che il convincimento del giudice debba fondarsi su più presunzioni e non su una sola presunzione semplice, come si desumerebbe dal riferimento nell' articolo 2729 c.c. , alla concordanza delle presunzioni, secondo una opzione ermeneutica non seguita dalla giurisprudenza che ammette la validità dell'inferenza deduttiva anche quando sia fondata su una sola presunzione il requisito della concordanza è prescritto esclusivamente nell'ipotesi di un eventuale, ma non necessario, concorso di più elementi presuntivi , cfr. Cass. numero 2482 del 2019 . La possibilità che da un certo fatto noto possa risalirsi per via di deduzioni logiche ad un fatto ignoto costituisce oggetto di un apprezzamento di fatto del giudice di merito, censurabile in sede di legittimità nei ristretti, e qui non rilevanti, limiti di cui all' articolo 360 c.p.c. , numero 5 cfr. Cass. 10253 del 2021 . Il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso, condanna la ricorrente alle spese, liquidate in Euro 2200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge. Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13 , comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. numero 228 del 2012, articolo 1 , comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.