Per i Giudici anche il supporto ortopedico per la deambulazione può essere catalogato come strumento atto ad offendere. Respinta la tesi difensiva, mirata a sostenere l’impossibilità per l’uomo sotto processo di rappresentare un pericolo, viste le condizioni di salute.
Persino una stampella può essere catalogata come « strumento atto ad offendere ». Più pesante, quindi, la condanna per un uomo che ha rivolto frasi minacciose all'indirizzo dell'agente che lo aveva in custodia, accompagnando le parole col gesto di agitare l'apparecchio ortopedico da lui impiegato come appoggio nella deambulazione. Proprio la presenza della stampella ha reso, secondo i Giudici, la minaccia ancora più forte Cass. penumero , sez. V, 9 aprile 2021, numero 32714 . Ricostruito l'episodio, i Giudici di merito ritengono evidente la colpevolezza dell'uomo sotto processo. Consequenziale la sua condanna per « minaccia aggravata », con pena fissata in un mese di reclusione. In Cassazione, però, il difensore dell'uomo prova a ridimensionare l'intera vicenda. In particolare, il legale osserva che il suo cliente «è claudicante e necessita di stampelle» sicché «non può incutere timore alcuno», e tantomeno «all'agente che lo aveva in custodia». Di conseguenza, «la minaccia non era grave né tale da provocare alcun turbamento nella vittima», sostiene ancora il legale, anche tenendo presenti «le condizioni soggettive» del suo cliente, «non in grado di intimorire alcuno». Dai Giudici di terzo grado arriva subito una considerazione che spazza via ogni ragionamento della difesa è irrilevante la circostanza di fatto rappresentata dalle «condizioni di salute» dell'uomo sotto processo, condizioni che secondo l'avvocato vanno valutate come «inconciliabili con l'attuazione del male minacciato e comunque tali da non incutere turbamento nella vittima». Sacrosanto, invece, parlare di « minaccia grave », alla luce delle «espressioni rivolte alla persona offesa» e del «contesto in cui vennero pronunciate», poiché è parsa evidente, tra prima e secondo grado, la loro «idoneità minatoria». A questo proposito, i magistrati tengono a precisare che «per integrare il reato di minaccia non è necessario che la prospettazione intimidisca effettivamente il soggetto passivo, essendo, invece, sufficiente che la condotta posta in essere, in relazione alla situazione contingente, sia», come in questo caso, « potenzialmente idonea ad incidere sulla libertà morale della vittima ». E, aggiungono i magistrati, «la minaccia è ritenuta grave», in questa vicenda, perché «commessa con l'uso di uno strumento atto ad offendere una stampella ». Su quest'ultimo fronte i Giudici ricordano che sono armi anche «gli strumenti atti ad offendere», e, quindi, «anche oggetti comuni possono essere qualificati come armi improprie , quando, in un contesto aggressivo, possono essere utilizzati come mezzi di offesa alla persona e, come tali, sono impiegati anche se solo per minacciare». Legittimo, quindi, in questo caso, applicare «la circostanza aggravante dell'uso di uno strumento atto ad offendere» poiché la condotta minatoria all'indirizzo dell'agente è stata accompagnata anche dall'impiego di una stampella da deambulazione.
Presidente Pezzullo - Relatore Calselice Ritenuto in fatto 1.Con il provvedimento impugnato, la Corte d'appello di Messina ha confermato la condanna, emessa dal Tribunale in sede, in data 28 novembre 2017, nei confronti di E.F. , alla pena di mesi uno di reclusione, per il reato di minaccia aggravata commesso in data omissis . 2. Avverso la sentenza indicata, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione l'imputato, attraverso il difensore, denunciando tre vizi. 2.1. Con il primo motivo si denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, nonché vizio di motivazione, in relazione all' articolo 612 c.p. , comma 2, e articolo 192 c.p.p. . La sentenza di appello è priva di motivazione, circa la qualificazione del fatto e, comunque, si presenta contraddittoria. Per il ricorrente, infatti, la sentenza di condanna e quella di appello che alla prima si riporta, fondano solo sulle dichiarazioni della parte lesa, senza considerare che l'imputato è claudicante e necessita di stampelle sicché non potrebbe incutere timore alcuno, con particolare riferimento all'agente che in quel momento lo aveva in custodia. Nè la minaccia era grave e tale da provocare alcun turbamento nella vittima. Del resto l'unico teste, escusso sul punto, si è limitato a leggere l'annotazione di servizio depositata in atti. Dunque, si invoca il proscioglimento, ai sensi dell' articolo 129 c.p.p. esclusa la gravità della minaccia, per difetto di querela. Infine, si osserva che, per il reato commesso, pur aggravato per non esserlo ai sensi dell' articolo 339 c.p. , necessiterebbe la querela ai sensi del D.Lgs. 9 maggio 2018, numero 36 . 2.2. Con il secondo motivo si denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, nonché vizio di motivazione, in relazione all' articolo 131-bis c.p. . Nel caso di specie ricorre la minimalità del fatto e dell'offesa, tenuto conto delle condizioni soggettive dell'imputato, non in grado di intimorire alcuno. Nel caso in esame, poi, manca il requisito dell'abitualità del comportamento, come invece reputato dalla sentenza censurata, essendo necessario almeno che la condotta sia ripetuta per tre volte. 2.3.Con il terzo motivo si denuncia inosservanza ed erronea applicazione degli articolo 133 e 62-bis c.p. con correlato vizio di motivazione. Il trattamento sanzionatorio sarebbe eccessivo e la corte territoriale omette di motivare adeguatamente circa i criteri in base ai quali si è considerata la pena finale del primo giudice. 3. Il Procuratore generale ha fatto pervenire requisitoria scritta, D.L. 28 ottobre 2020, numero 137, ex articolo 23, comma 8, convertito, con modificazioni, dalla L. 18 dicembre 2020, numero 176 , con la quale ha chiesto l'inammissibilità del ricorso. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile. 1. Il primo motivo è manifestamente infondato. La censura indica come unica prova a carico, considerata dai provvedimenti di merito, la deposizione della persona offesa. Omette di considerare il ricorrente, la conferma di detta deposizione indicata come proveniente da altro testimone, motivazione con la quale il ricorso non si confronta risultando in tale parte aspecifico. Peraltro, il ricorrente non considera che le regole dettate dall' articolo 192 c.p.p. , comma 3, come è noto, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste, da sole, a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto che, peraltro, deve, in tal caso, essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone Sez. U, numero 41461 del 19/07/2012, Bell'arte, Rv. 253214 Sez. 5, numero 51604 del 19/09/2017, D'Ippedico, Rv. 271623 Sez. 2, numero 43278 del 24/09/2015, Manzini, Rv. 265104 Sez. 2, numero 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv. 262575 - 01 Sez. 7, numero 12406 del 19/02/2015, Micciché, Rv. 262948 Sez. 5, numero 1666 del 08/07/2014, dep. 2015, Pirajno, Rv. 261730 Sez. 2, numero 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362 . La circostanza di fatto sottolineata condizioni di salute dell'imputato inconciliabili con l'attuazione del male minacciato e comunque tali da non incutere turbamento nella vittima è irrilevante. Il giudice di secondo grado, invece, ha correttamente confermato la qualificazione in termini di minaccia grave delle espressioni rivolte dall'imputato alla persona offesa, tenendo nel dovuto conto il contesto in cui vennero pronunciate, in modo da evidenziarne l'idoneità minatoria, conformemente al costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità. È noto che per integrare il reato di minaccia non è necessario, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, che la prospettazione intimidisca, effettivamente, il soggetto passivo essendo, invece, sufficiente che la condotta posta in essere dell'agente, in relazione alla situazione contingente, sia potenzialmente idonea ad incidere sulla libertà morale della vittima cfr. ex multis, Sez. 5, numero 6756 del 11/10/2019, dep. 2020, Giuliano, Rv. 278740 . Quanto alla procedibilità del reato in questione si osserva che a seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs. numero 36 del 2018, articolo 1, comma 2, si procede di ufficio, per il reato di minaccia, soltanto se questa è grave in quanto attuata nei modi di cui all' articolo 339 c.p. Infatti, la norma ha previsto che il reato di minaccia grave sia perseguibile a querela di parte, sempre che non rientri nelle ipotesi di cui all' articolo 339 c.p. . Invero, all'interno dell' articolo 612 c.p. è stato inserito il comma 3 che, a fronte della previsione generale della punibilità a querela di parte, fissata dal comma 1, limita la procedibilità d'ufficio ai soli casi di minaccia fatta in uno dei modi indicati dall' articolo 339 c.p. . Nella disciplina previgente, comunque, la minaccia grave perché intervenuta nelle forme di cui all'articolo 339 cit., era, del pari, condotta perseguibile di ufficio. Tale considerazione si ricava dalla lettura del combinato disposto di cui all' articolo 612 c.p. , comma 2 e articolo 339 c.p. , secondo la formulazione precedente a quella da ultimo modificata con il decreto legislativo citato. Ciò posto si osserva che, nel caso al vaglio, il fatto è commesso in data 13 agosto 2014 e la minaccia contestata nell'imputazione è grave ai sensi dell' articolo 339 c.p. , perché commessa con l'uso di uno strumento atto ad offendere una stampella . Secondo la costante interpretazione della giurisprudenza, anche di questa Corte di legittimità, per armi vanno intese non solo quelle proprie, ma anche quelle improprie, ovvero gli strumenti atti ad offendere, dei quali è vietato l'uso in modo assoluto, ovvero senza giustificato motivo, come precisa l' articolo 585 c.p. , comma 2. La L. numero 110 del 1975 ha esteso, invero, il novero di entrambe ie categorie di armi e ha compreso nelle armi improprie di cui all'articolo 4 citato, comma 2 qualsiasi altro strumento, non considerato espressamente come arma da punta o da taglio chiaramente utilizzabile, per le circostanze di tempo e di luogo, per l'offesa alla persona , dunque solo occasionalmente lesivi per la persona Sez. 1, numero 40207 del 08/06/2016, Pashkaj, Rv, 268102 . È,quindi, fuori dubbio che anche oggetti comuni possono essere qualificati come armi improprie ai sensi dell' articolo 339 c.p. , comma 1, quando, in un contesto aggressivo, possano essere utilizzati come mezzi di offesa alla persona e, come tali, siano stati impiegati, anche se solo per minacciare Sez. 5, numero 682 del 13/12/2006, dep. 2007, Rv. 235776 . È stato infatti, reiteratamente affermato, in relazione all'interpretazione dell'articolo 585 c.p., comma 2, che ricorre la circostanza aggravante dell'uso di uno strumento atto ad offendere di cui all' articolo 585 c.p. , comma 2, numero 2, laddove la condotta lesiva sia in concreto realizzata adoperando qualsiasi oggetto, anche di uso comune, privo di apparente idoneità all'offesa in tale prospettiva è stato ritenuto un pezzo di legno, usato in un contesto aggressivo, nella specie, scagliato contro la persona offesa, arma impropria ai fini dell'applicazione dell'aggravante in esame, da ciò derivando la procedibilità d'ufficio del reato Sez. 5, numero 8640 del 20/01/2016, R., Rv. 267713 . Nello stesso senso, del resto, si è espressa Sez. 5, numero 41284 del 24/04/2015, Airoldi, Rv. 265090, che ha reputato sussiste l'aggravante prevista dall' articolo 585 c.p. , comma 2, numero 2, nel caso in cui le lesioni personali siano state cagionate alla vittima con l'uso di una stampella da deambulazione, ritenuto che devono considerarsi armi improprie tutti gli strumenti, ancorché non da punta o da taglio, che, in particolari circostanze di tempo o di luogo, possono essere utilizzati per l'offesa alla persona. 2.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato. Come chiarito dal noto condivisibile arresto della Suprema Corte nella sua espressione più autorevole, ai fini del presupposto ostativo alla configurabilità della causa di non punibilità prevista dall' articolo 131-bis c.p. il comportamento è abituale quando l'autore, anche successivamente al reato per cui si procede, ha commesso almeno due illeciti, oltre quello preso in esame. In motivazione, la Corte ha chiarito che, ai fini della valutazione del presupposto indicato, il giudice può fare riferimento non solo alle condanne irrevocabili ed agli illeciti sottoposti alla sua cognizione -- nel caso in cui il procedimento riguardi distinti reati della stessa indole, anche se tenui - ma anche a reati in precedenza ritenuti non punibili ex articolo 131-bis c.p. Sez. U, numero 13681 del 25/02/2016, rv. 266593 . Ciò premesso, si osserva che del tutto immune da vizi è la decisione della Corte territoriale, che ha correttamente escluso la suddetta causa di non punibilità sul presupposto che l'offesa, considerate le espressioni utilizzate e il soggetto da cui queste provenivano, gravato da numerosi precedenti penali, non fosse di speciale tenuità. Sicché, il giudizio della Corte territoriale non si è soffermato sulla presenza, a carico del ricorrente, di precedenti per reati della stessa indole e sull'abitualità del comportamento, ma sulla entità dell'offesa arrecata. Il giudizio di fatto, sul punto, è rimesso al giudice di merito che, peraltro, viene censurato in considerazione dell'intrinseca inidoneità della condotta ad intimorire effettivamente la persona offesa, circostanza non rilevante ai fini della qualificazione della condotta. Peraltro, il giudizio sulla tenuità dell'offesa è stato effettuato con riferimento ai criteri di cui all' articolo 133 c.p. , comma 1, senza che sia necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l'indicazione di quelli ritenuti rilevanti Sez. 6, numero 55107 del 08/11/2018, Rv. 274647 . 2.3. Le censure inerenti il trattamento sanzionatorio ed il diniego delle circostanze di cui all' articolo 62-bis c.p. di cui al terzo motivo di ricorso sono inammissibili perché inedite, come risulta dalla incontestata sintesi dei motivi di appello contenuto nella sentenza censurata. Inoltre, tali critiche risultano generiche e comunque, attingono il potere, rimesso al giudice di merito, di graduare la sanzione, nella specie esercitato correttamente e senza arbitrio come emerge dalla motivazione esauriente della pronuncia di merito. 2. All'inammissibilità consegue la condanna al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte Costituzionale numero 186 del 13 giugno 2000 , valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, segue, a norma dell' articolo 616 c.p.p. l'onere del versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, determinata equitativamente nella misura di cui al dispositivo, considerati i motivi devoluti. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.