La reticenza nel dichiararsi omosessuale non può rendere non credibile lo straniero

Riprende vigore la richiesta di protezione in Italia presentata da un cittadino del Pakistan. Da valutare con attenzione la sua condizione di omosessualità e i connessi pericoli in patria.

La reticenza dello straniero a dichiararsi omosessuale non è elemento sufficiente per ritenerlo non credibile e per negargli, quindi, protezione in Italia Cass. Civ., sez. I, 6 agosto 2021, numero 22480 . Riflettori puntati su un uomo, originario del Pakistan, che, una volta approdato in Italia, chiede protezione, mettendo sul tavolo, seppur solo in Tribunale e non dinanzi ai membri della Commissione territoriale, la propria omosessualità e i connessi pericoli in patria. Il racconto fatto dallo straniero è però ritenuto non credibile. Così, prima la Commissione territoriale, poi i giudici del Tribunale e infine i giudici d'Appello negano la protezione in Italia al cittadino pakistano. In particolare, in secondo grado, viene espresso «un giudizio di non credibilità delle dichiarazioni dello straniero» poiché esse sono ritenute «piene di incongruenze e contraddizioni». Allo stesso tempo, viene anche osservato che «non è provata la sua integrazione sociale in Italia, essendo a ciò insufficiente lo svolgimento di attività lavorativa». Dinanzi alla Cassazione, invece, lo straniero pone in evidenza la propria «condizione di gay, considerato che l' omosessualità è qualificata come reato in Pakistan ». In aggiunta, poi, l'uomo contesta duramente la valutazione compiuta in Appello, laddove i giudici «hanno ritenuto non credibile il racconto dello straniero» senza però tener conto che egli «aveva avuto paura di esporsi innanzi ad un connazionale membro della Commissione territoriale, a causa del timore che fosse rivelata tale sua condizione». In sostanza, i giudici di secondo grado hanno sancito «l'inattendibilità della deduzione dello straniero di essere omosessuale», valutando come «poco plausibile e strumentale» il fatto che l'uomo si era dichiarato omosessuale non subito, dinanzi ai membri della Commissione territoriale, ma «solo successivamente» in Tribunale. Questo modo di ragionare viene censurato dai magistrati della Cassazione, i quali ricordano che, come osservato anche dalla Corte di giustizia dell'Unione Europea, «considerata la delicatezza delle informazioni relative alla sfera personale di un individuo e, segnatamente, alla sua sessualità, non si può concludere che quest'ultimo manchi di credibilità per il solo fatto che, a causa della sua reticenza a rivelare aspetti intimi della propria vita, egli non abbia dichiarato immediatamente la propria omosessualità». In questa vicenda lo straniero «ha chiarito di aver taciuto la sua condizione di omosessuale innanzi alla Commissione territoriale poiché non sapeva chi fosse l'interprete e, dunque, non si fidava di lui, temendo che potesse rivelare la sua condizione ai membri della locale comunità pakistana, circostanza che avrebbe potuto compromettere il suo inserimento sociale , oltre a esporlo alle possibili reazioni dei connazionali, qualora informati del suo orientamento sessuale». I Giudici di terzo grado aggiungono poi che «in tema di protezione internazionale, qualora vi sia incertezza sull'effettivo orientamento omosessuale dichiarato dal richiedente la protezione, ovvero sull'autenticità dei documenti da lui stesso prodotti a sostegno della domanda, il giudice di merito deve disporre, anche in via ufficiosa, gli approfondimenti istruttori ritenuti opportuni al fine di verificare l'attendibilità del racconto e della documentazione a corredo, non potendosi ritenere inattendibile il racconto sulla base dell'assunto aprioristico secondo cui la deduzione dell'omosessualità da parte del richiedente sarebbe frutto di una scelta difensiva finalizzata soltanto ad ottenere la protezione invocata». Neanche può trascurarsi che «in tema protezione internazionale, la condizione di omosessualità dichiarata dal richiedente costituisce fattore di individuazione di un particolare gruppo sociale, la cui appartenenza integra una situazione oggettiva di persecuzione idonea a fondare il riconoscimento dello status di rifugiato» e tale situazione sussiste «non solo quando le persone di orientamento omosessuale, per poter vivere liberamente la propria sessualità , sono costrette a violare la legge penale del loro Paese e ad esporsi a gravi sanzioni – ciò che costituisce una grave ingerenza nella vita privata che ne compromette la libertà personale e li pone in una situazione di oggettivo pericolo che deve essere verificata, anche d'ufficio, dal giudice di merito – ma anche se nello Stato di provenienza l'omosessualità non sia considerata reato, e tuttavia manchi l'accettazione sociale di tale condizione e tale Stato non garantisca alla persona adeguata protezione a fronte di gravissime minacce provenienti da soggetti privati». Nel caso del cittadino pakistano, peraltro, è emerso che «la condizione di omosessualità configura una fattispecie di reato nel suo Paese ». Evidente, quindi, l'errore compiuto in Appello, laddove si è esclusa la condizione di omosessualità dello straniero solo perché «dichiarata innanzi al Tribunale e non anche nel corso dell'audizione da parte della ‘Commissione territoriale'», senza considerare «la reticenza che può certo condizionare le rivelazioni in materia di sessualità». Riprende vigore, quindi, la richiesta di protezione presentata dal cittadino pakistano. Su di essa però dovrà nuovamente pronunciarsi la Corte d'appello, tenendo bene a mente le osservazioni proposte dalla Cassazione.

Presidente De Chiara – Relatore Caiazzo Rilevato in fatto che Il Tribunale di Bologna rigettò il ricorso proposto da A.K. , cittadino del Pakistan, avverso il provvedimento della Commissione territoriale che aveva negato la protezione internazionale ed umanitaria, ritenendo non attendibile il racconto dell'istante e che i motivi del suo espatrio erano riconducibili a ragioni di carattere economico. Con sentenza emessa il 21.0.19, la Corte d'appello ha respinto il gravame avverso l'ordinanza emessa da Tribunale osservando che era da confermare il giudizio di non credibilità delle dichiarazioni del ricorrente poiché piene di incongruenze e contraddizioni il ricorrente aveva narrato di essere fuggito dal paese a seguito delle aggressioni subite da esponenti di un gruppo partitico, alcuni membri del quale erano stati uccisi da padre, militante in altro partito pertanto, non erano riconoscibili la protezione internazionale e sussidiaria, nè quella umanitaria, non essendo provata l'integrazione sociale in Italia essendo a ciò insufficiente lo svolgimento di attività lavorativa. A.K. ricorre in cassazione con due motivi. Il Ministero si è costituito al solo fine di partecipare all'eventuale udienza di discussione. Ritenuto in diritto che Il primo motivo deduce l'omessa pronuncia sui motivi di gravame o l'apparenza della motivazione per violazione del L. numero 241 del 1990, articolo 3, e dell' articolo 112 c.p.c. , articolo 132 c.p.c. , comma 1, numero 4, D.Lgs. numero 251, articolo 3, articolo 24 e 111 Cost. , articolo 6 e 13 Cedu , 47 Carta diritti fondamentali UE, 46 dir. numero 32/13, non avendo la Corte d'appello esplicitato le ragioni della non credibilità delle dichiarazioni del ricorrente, omettendo di chiedere i dovuti chiarimenti all'istante, specie riguardo alla sua condizione di omosessuale, considerato che l'omosessualità è qualificata come reato in Pakistanumero Il secondo motivo denunzia violazione del D.Lgs. numero 25, articolo 8 e 27, D.Lgs. numero 251, articolo 14, articolo 1 Convenzione di Ginevra del 1951, nonché omesso esame di un fatto decisivo circa l'analisi delle fonti individuate dal ricorrente nell'atto di appello, con particolare riguardo alla condizione delle persone omosessuali, soggiungendo che la Corte aveva ritenuto non credibile il racconto del ricorrente il quale aveva avuto paura di esporsi innanzi ad un connazionale membro della Commissione territoriale, a causa del timore appunto che fosse rivelata tale sua condizione. Preliminarmente, va rilevato che il ricorso, notificato il 23 giugno 2020, è tempestivo, in quanto alla scadenza del semestre articolo 327 del 21 aprile 2020 dalla pubblicazione della sentenza impugnata, vanno aggiunti infatti i 2 mesi e 3 giorni della sospensione di cui ai D.L. numero 11, e 23/2020 dal 9 marzo compreso all'11 maggio , per cui la scadenza del termine dell'impugnazione cadeva il 24 giugno 2020, ultimo giorno utile. Il primo motivo è fondato sotto il profilo della violazione di norme di diritto. Il ricorrente censura la statuizione della Corte d'appello di inattendibilità della deduzione del richiedente di essere omosessuale, motivata con la considerazione che era poco plausibile e apparendo strumentale il fatto che sia stato dichiarato solo successivamente . Ora, va osservato che la Corte di giustizia dell'Unione Europea, nella sentenza 2 dicembre 2014, emessa nelle cause da C-148/13 a C150/13 Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie, ha statuito che, considerata la delicatezza delle informazioni relative alla sfera personale di un individuo e, segnatamente, alla sua sessualità, non si può concludere che quest'ultimo manchi di credibilità per il solo fatto che, a causa della sua reticenza a rivelare aspetti intimi della propria vita, egli non abbia dichiarato immediatamente la propria omosessualità. Al riguardo, nel caso concreto il ricorrente, nell'atto di appello, ha chiarito di aver taciuto la sua condizione di omosessuale innanzi alla Commissione territoriale poiché non sapeva chi fosse l'interprete e, dunque, non si fidava dello stesso temendo che potesse rivelare la sua condizione ai membri della comunità pakistana di XXXXXXX, circostanza che avrebbe potuto compromettere il suo inserimento sociale, oltre a esporlo alle possibili reazioni dei connazionali, qualora informati del suo orientamento sessuale. Va altresì osservato che, in tema di protezione internazionale, qualora vi sia incertezza sull'effettivo orientamento omosessuale dichiarato dal richiedente la protezione, ovvero sull'autenticità dei documenti dallo stesso prodotti a sostegno della domanda, il giudice di merito deve disporre, anche in via ufficiosa, gli approfondimenti istruttori ritenuti opportuni al fine di verificare l'attendibilità del racconto e della documentazione a corredo, non potendosi ritenere inattendibile il racconto sulla base dell'assunto aprioristico secondo cui la deduzione dell'omosessualità da parte del richiedente sarebbe frutto di una scelta difensiva finalizzata soltanto ad ottenere la protezione invocata Cass., numero 7778/2021 . Nè può trascurarsi che, in tema protezione internazionale, la condizione di omosessualità dichiarata dal richiedente costituisce fattore di individuazione del particolare gruppo sociale , la cui appartenenza, ai sensi del D.Lgs. numero 251 del 2007, articolo 8, comma 1, lett. d , integra una situazione oggettiva di persecuzione idonea a fondare il riconoscimento dello status di rifugiato tale situazione sussiste non solo quando le persone di orientamento omosessuale, per poter vivere liberamente la propria sessualità, sono costrette a violare la legge penale del loro Paese e ad esporsi a gravi sanzioni, ciò che costituisce una grave ingerenza nella vita privata che ne compromette la libertà personale e li pone in una situazione di oggettivo pericolo che deve essere verificata, anche d'ufficio, dal giudice di merito, ma anche se nello Stato di provenienza l'omosessualità non sia considerata reato, e tuttavia manchi l'accettazione sociale di tale condizione e tale Stato non garantisca all'interessato adeguata protezione a fronte di gravissime minacce provenienti da soggetti privati Cass., numero 5829/2021 . Nel caso concreto, emergendo dalle dichiarazioni del ricorrente che la condizione di omosessualità configuri una fattispecie di reato nel paese di provenienza, la pronuncia impugnata è dunque viziata nella parte in cui ha escluso tale condizione solo perché dichiarata innanzi al Tribunale e non anche nel corso dell'audizione del ricorrente da parte della Commissione territoriale, senza considerare, come detto, la reticenza che può certo condizionare le rivelazioni in materia di sessualità. Il secondo motivo è da considerare assorbito dall'accoglimento del primo. Per quanto esposto, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte d'appello di Bologna, in diversa composizione, anche perché provveda alle spese del grado di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello di Bologna, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.