Confermato il drastico provvedimento adottato dall’azienda. Evidente, secondo i Giudici, la gravità del comportamento tenuto dalla dipendente.
Sacrosanto il licenziamento della promotrice commerciale che ha bluffato clamorosamente sulle visite effettuate ai clienti. Fatale l'avere indicato, nel report consegnato all'azienda, contatti in realtà mai avuti. Cassazione, ordinanza numero 22370/21, sez. lav., depositata il 5 agosto . La vicenda. A finire nel mirino è una donna, dipendente di una struttura di vendita. A insospettire l'azienda sono i ‘report' relativi ai – presunti – contatti con i clienti. Quei contatti si rivelano solo virtuali in molti casi numerosi clienti non hanno ricevuto la visita della lavoratrice. E questa scoperta è sufficiente, secondo i vertici aziendali, per mettere alla porta la dipendente. Il drastico provvedimento, ovviamente contestato dalla donna, viene confermato prima dai giudici del Tribunale e poi dai giudici della Corte d'appello. In particolare, in secondo grado, viene ribadita «la legittimità del licenziamento disciplinare intimato per giusta causa motivata dall'infedele compilazione dei ‘report' per ben sette giornate e dallo svolgimento, in quelle stesse giornate, di attività private estranee alle mansioni» affidate dall'azienda. In sostanza, i giudici d'Appello ritengono «provato, almeno in parte, l'addebito relativo alla mancata effettuazione delle visite indicate nei ‘report' predisposti ventiquattro clienti su quaranta » e sussistente, «la giusta causa, connotandosi gravemente l'infedele rappresentazione di attività esterne alla sede aziendale, in realtà non svoltesi, per l'intento di precostituirsi l'apparenza di un adempimento di fatto inesistente, al fine di eludere il controllo datoriale sulla regolarità dell'adempimento medesimo, così da integrare la violazione degli obblighi di fedeltà e diligenza idonea a ledere il vincolo fiduciario». Falsa attestazione. In Cassazione la lavoratrice, che si vede sempre più a rischio, sostiene «l'inconfigurabilità di un inadempimento» da parte sua «degli obblighi contrattuali in rapporto al mancato accertamento di attività estranea alle mansioni affidate, al difetto di una programmazione di dell'attività di visita alla clientela che consentisse di individuare eventuali carenze nell'esecuzione di quell'attività, carenze peraltro smentite dai risultati commerciali conseguiti nell'espletata opera di ‘promotrice'». In aggiunta, poi, la donna porta avanti la tesi della «assenza di un intento doloso nell'irregolare predisposizione dei report e, pertanto, la non riconducibilità di tale condotta alle fattispecie di cui al ‘codice disciplinare' date dalla dolosa scritturazione delle presenze o dall'abuso di fiducia». A queste obiezioni i giudici di terzo grado ribattono richiamando «l'ammissione, da parte della lavoratrice, della mancata effettuazione delle visite a ventiquattro clienti nominativamente individuati dei quaranta indicati nei ‘report'» relativi a ben sette giornate. Logicamente, quindi, si è data rilevanza all'«inadempimento dato dalla mancata effettuazione delle visite viceversa indicate come eseguite nei ‘report'». Ciò perché quei documenti sono stati correttamente ritenuti «idonei ad integrare una falsa attestazione dell'attività eseguita». Consequenziale leggere la condotta della lavoratrice come «preordinata a rappresentare un adempimento in realtà inesistente, e volta, pertanto, dolosamente ad eludere il controllo datoriale». Evidente, quindi, la «gravità» del comportamento della lavoratrice, comportamento tale da «pregiudicare l'affidamento del datore di lavoro sull'esatto adempimento delle prestazioni future» da parte della dipendente. E sacrosanto, perciò, il licenziamento per giusta causa, concludono dalla Cassazione.
Presidente Berrino – Relatore De Marinis Rilevato che, con sentenza del 18 aprile 2019, la Corte d'Appello di Firenze confermava la decisione resa dal Tribunale di Firenze e rigettava la domanda proposta da L.R.G. nei confronti della M.I. C. and C. S.p.A., avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare intimatole per giusta causa motivata dall'infedele compilazione dei report per 7 giornate del luglio 2017 e dallo svolgimento nelle medesime giornate di attività private estranee alle mansioni che la decisione della Corte territoriale discende dall'aver questa ritenuto in rito irrilevante ai fini del verificarsi delle preclusioni e decadenze limitative del diritto di difesa del convenuto nel giudizio del lavoro l'essersi la Società datrice costituita, anziché nella fase sommaria introduttiva del giudizio secondo il rito Fornero, solo nella successiva opposizione all'ordinanza resa nella predetta prima fase, nel merito provato, almeno in parte, in base al principio di non contestazione, l'addebito relativo alla mancata effettuazione delle visite indicate nei report predisposti 24 clienti su 40 , sussistente, nonostante la parzialità dell'accertamento dell'addebito contestato, la giusta causa, connotandosi gravemente l'infedele rappresentazione di attività esterne alla sede aziendale, in realtà non svoltesi, per l'intento di precostituirsi l'apparenza di un adempimento di fatto inesistente, al fine di eludere il controllo datoriale sulla regolarità dell'adempimento medesimo, così da integrare la violazione degli obblighi di fedeltà e diligenza idonea a ledere il vincolo fiduciario per la cassazione di tale decisione ricorre la L.R. , affidando l'impugnazione a tre motivi, cui resiste, con controricorso, la Società che entrambe le parti hanno poi presentato memoria. Considerato - che, con il primo motivo, la ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione dell'articolo 115 c.p.c. e articolo 2697 c.c., imputa alla Corte territoriale l'erroneo apprezzamento della posizione processuale della ricorrente per aver ritenuto non contestato e dunque provato l'addebito relativo alle visite dichiarate ma non effettuate laddove, viceversa, tale contestazione era stata puntualmente sollevata dalla ricorrente con offerta della relativa prova che, con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione della L. numero 300 del 1970, articolo 132, comma 1, numero 4, comma 2 e articolo 24 Cost., la ricorrente, in relazione all'error in procedendo lamentato con il motivo che precede, deduce la nullità della sentenza per vizio di motivazione, non recando l'impugnata sentenza alcuna argomentazione idonea ad illustrare il percorso logico-giuridico seguito dalla Corte territoriale e per non essere questo in ogni caso supportato da un accertamento istruttorio che consentisse anche di tener conto dell'eccepita inutilizzabilità dei riscontri investigativi su cui era essenzialmente basato il provvedimento, con conseguente lesione del diritto di difesa - che, con il terzo motivo, rubricato con riferimento alla violazione e falsa applicazione degli articolo 2104,21052106,2119,1455 e 2697 c.c., articolo 24 Cost., L. numero 604 del 1966, articolo 5, articolo 225 e 229 CCNL di categoria, la ricorrente nel ribadire la medesima censura circa la carenza di prova del fatto addebitato ne delinea l'incidenza sull'iter logico-argomentativo sotteso al complessivo giudizio espresso dalla Corte territoriale, sostenendone l'erroneità, stante l'inconfigurabilità di un inadempimento da parte della ricorrente degli obblighi contrattuali in rapporto al mancato accertamento di attività estranea alle mansioni affidate, al difetto di una programmazione dell'attività di visita alla clientela che consentisse di individuare eventuali carenze nell'esecuzione della stessa, carenze peraltro smentite dai risultati commerciali conseguiti nell'espletata attività di promotrice , l'assenza di un intento doloso nell'irregolare predisposizione dei report e, pertanto, la non riconducibilità di tale condotta alle fattispecie di cui al codice disciplinare recato dal CCNL di categoria date dalla dolosa scritturazione delle presenze o dall'abuso di fiducia che tutti gli esposti motivi, i quali, in quanto strettamente connessi, possono essere qui trattati congiuntamente, devono ritenersi infondati, rivelandosi la censura di fondo sollevata dalla ricorrente, per cui la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto provato l'addebito contestato, consistente nell'omessa effettuazione da parte della ricorrente delle visite che viceversa risultano dalla stessa indicate come eseguite nei report consegnati alla Società, del tutto inconsistente ove posta a raffronto con quanto rilevato dalla Corte territoriale e non contestato neppure in questa sede dalla ricorrente con riguardo al non aver la medesima preso nei propri atti difensivi puntuale posizione rispetto al rilievo recato dalla sentenza di primo grado circa l'ammissione da parte della stessa ricorrente della mancata effettuazione delle visite a 24 clienti nominativamente individuati dei 40 indicati nei report delle giornate del 3, 4, 5, 6, 7, 17 e 18 luglio 2017, e, di conseguenza, parimenti inconsistenti le censure ulteriori che non si misurano con il percorso logico sulla base di questa premessa seguito dalla Corte territoriale Quarta ritenuto di poter attribuire rilevanza ai fini del giudizio all'inadempimento così accertato, dato dalla sola mancata effettuazione delle visite viceversa indicate come eseguite nei report, considerando, dunque, questi idonei ad integrare una falsa attestazione dell'attività eseguita da ciò la stessa Corte territoriale fa discendere del tutto plausibilmente la lettura della condotta della ricorrente come preordinata a rappresentare un adempimento in realtà inesistente, volta, pertanto, dolosamente ad eludere il controllo datoriale e così connotata da quella gravità tale da pregiudicare l'affidabilità del datore sull'esatto adempimento delle prestazioni future ed idonea a sostenere l'invocata giusta causa - che, pertanto, il ricorso va rigettato - che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.250,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.