L’Antitrust – provvedimento A539, depositato il 6 agosto 2021 – ha verificato l’imposizione, nei confronti di operatori privati operanti sul territorio, di clausole abusive del mercato nei servizi che furono oggetto di riserva legale, avendo impedito la proliferazione di operatori economici alternativi all’ex monopolista.
Fino al completamento dei processi di liberalizzazione – avviati dal 2003 e definitivamente perfezionati dal 31 dicembre 2010 - Poste Italiane s.p.a. – partecipata attualmente al 60% dal Ministero dell’economia e delle finanze - ha operato in sostanziale regime di monopolio pubblico successivamente al 2010, per lo svolgimento dei servizi postali in specifiche aree del territorio nazionale, Poste Italiane s.p.a. ha tessuto rapporti contrattuali con specifici operatori locali in apparente, per l’Antitrust libertà di contrattazione. In ordine a quest’ultimi, l’ Antistrust ha verificato la presenza di più indici di abuso di posizione dominante – ai sensi dell’articolo 9, l. numero 192/1998 commette abuso l’impresa che determina, nei rapporti commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi, verificata la reale possibilità per la parte che abbia subìto l’abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti -, tali da impedire la proliferazione di operatori economici concorrenti all’Ente. Poste Italiane s.p.a. imponeva – per i contratti operanti nel biennio 2012/2013, costituenti continuazioni dell’originario rapporto di partnership del 1999, nel quale non era prevista esclusiva - alla società contraente per l’area di Napoli – l’unica nella quale l’Ente aveva optato per l’esternalizzazione dei servizi postali - un obbligo di esclusiva e un divieto di trasporto e consegna congiunti di prodotti di Poste Italiane, impedendo alla Società, per servizi gravati prevalentemente da costi fissi, di aprirsi al mercato e di generare economie di scala, vantaggi in termini di efficienza e dunque una riduzione dei costi Poste Italiane s.p.a., inoltre, avrebbe potuto ridurre a propria discrezione e in modo significativo, anche nei minimi, i quantitativi da richiedere alla Società – premessa l’esclusiva, una riduzione dei quantitativi avrebbe potuto decretare l’insostenibilità del servizio a carico della Società, gravata da costi operativi e di organizzazione/programmazione delle attività non altrimenti impiegabili. Infatti, dopo l’interruzione 2017 del rapporto con Poste Italiane s.p.a. la Società aveva messo in mobilità a proprie spese i dipendenti operanti nel territorio -. Non solo, Poste Italiane avrebbe potuto, a propria discrezione, modificare ovvero ridurre il tipo e il mix di prodotti da smistare e addirittura i corrispettivi del servizio - modificabili solo in senso migliorativo per Poste Italiane - la Società committente era dunque costretta a mantenere un’organizzazione statica e fissa sul territorio – per far fronte a picchi di commesse da Poste Italiane s.p.a., in ordine a quantità, tipologia e mix di prodotti e prezzi – esclusivamente dedicata a Poste Italiane s.p.a., stante il divieto di trasporto e consegna congiunti a favore di operatori terzi . L’Ente, inoltre, poteva imporre alla Società - gravata da sostanziale indeterminatezza e incertezza in ordine al perimetro delle prestazioni da rendere per adempiere alle obbligazioni contrattuali - attività addizionali non previste nei contratti e/o non retribuite - con riferimento alla riscossione delle somme dovute dai destinatari delle raccomandate in/con contrassegno e il versamento di quanto recuperato agli uffici postali –. L’ abuso cit., sin dall’avvio dei processi di liberalizzazione, ha dunque determinato la sottrazione e all’ esclusione dal mercato di un operatore che avrebbe potuto rifornire operatori postali alternativi a Poste Italiane di fatto la previsione di clausole pro domo sua – tra l’altro prive di una specifica razionalità economica - ha impedito l’affermazione ed il consolidamento di potenziali concorrenti in ambito locale di Poste Italiane. Ritenuta grave la condotta dell’ Ente , l’Antitrust ha comminato la sanzione di circa 11 milioni di euro , commisurata ai fatturati realizzati dall’Ente nel mercato locale di riferimento ed alla necessità di minimi effetti deterrenti la protrazione della condotta abusiva.
Il provvedimento dell'AGCM - A539 - del 6 agosto 2021