Pretende il ricovero in ospedale: depressione, ansia e ubriachezza non giustificano la condotta

Confermata la condanna per l’uomo che ha preso d’assalto il Pronto Soccorso di un nosocomio, minacciando gli operatori e danneggiando arredi e apparecchiature per ottenere il ricovero.

Depressione, ansia e ubriachezza non rendono meno grave la condotta della persona che pretende il ricovero in ospedale e, per questo, prende d'assalto il Pronto Soccorso, causando caos, difficoltà agli operatori e, inoltre, lesioni a un infermiere Cass. penumero , sez. VI, 13 maggio 2021, numero 30780 . Scenario della vicenda è un nosocomio in Puglia. Lì un uomo, in evidente stato di ubriachezza , «pretende di essere ricoverato danneggia arredi vari e apparecchiature informatiche minaccia e aggredisce gli addetti del Pronto Soccorso, incaricati di pubblico servizio infine, sferra un calcio a un infermiere, causandogli lesioni personali con prognosi di sette giorni». Tutto ciò, ovviamente, « interrompendo un pubblico servizio e danneggiando apparecchiature di pubblica utilità ». Il quadro è chiarissimo, secondo i Giudici di merito, e difatti l'uomo sotto processo viene condannato prima in Tribunale e poi in Corte d'Appello e ritenuto colpevole di «violenze e minacce verso pubblici ufficiali interruzione di un pubblico servizio attentato ai danni di impianti di pubblica utilità». Per provare a ridimensionare l'episodio, in Cassazione l'uomo pone in evidenza le patologie che lo affliggono da tempo, ossia « depressione e stato di ansia ». A rendere ancor più precario il suo equilibrio psichico, in occasione del suo brusco arrivo al Pronto Soccorso, poi c'era anche «la condizione di ubriachezza ». Per i Giudici di terzo grado, però, è evidente il dolo nelle azioni compiute dall'uomo, poiché, viene sottolineato, «le condotte violente volontariamente da lui poste in essere in danno dell'infermiere, degli arredi e delle dotazioni cliniche dell'ospedale erano finalizzate ad imporre ai medici del Pronto Soccorso il suo ricovero , a prescindere da esigenze sanitarie che lo richiedessero» davvero. Inoltre, l'uomo era pienamente consapevole , in quegli attimi, che «i calci inferti all'infermiere e il trambusto causato dal suo complessivo agire» avrebbero non solo «provocato lesioni personali all'operatore sanitario e danneggiato i beni della struttura ospedaliera» ma avrebbero anche «provocato l' interruzione dell'attività sanitaria ».

Presidente Relatore Mogini Ritenuto in fatto 1. I.R.  ricorre per mezzo del suo difensore di fiducia avverso la sentenza in epigrafe, con la quale la Corte di appello di Bari ha confermato quella di primo grado, pronunciata dal Tribunale di Trani il 3/11/2017, che lo aveva ritenuto responsabile dei reati di cui agli articolo 336, 420 e 340 c.p. , unificati dal vincolo della continuazione, a lui contestati per avere presso il nosocomio di Corato, in stato di ubriachezza, pretendendo di essere ricoverato, danneggiato arredi vari e apparecchiature informatiche, minacciando e aggredendo addetti al pronto soccorso, incaricati di pubblico servizio, sferrando un calcio all'infermiere S.L.  causandogli lesione personale con prognosi di giorni sette il tutto interrompendo un pubblico servizio e danneggiando le apparecchiature di pubblica utilità. 2. Il ricorrente deduce i seguenti motivi. 2.1. Violazione dell' articolo 27 Cost. e articolo 42 c.p. e vizi di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell'elemento psicologico dei reati contestati, accertato unicamente sulla base della mera condotta, allorché invece le patologie dalle quali è affetto il ricorrente depressione e stato di ansia , avrebbero dovuto necessariamente condurre ad opposto giudizio. 2.2. Violazione degli articolo 133, 81 e 69 c.p. e vizi di motivazione in ordine alla determinazione della pena, al riconoscimento della recidiva contestata e al mancato bilanciamento con le concesse attenuanti generiche. 3. Il ricorso è stato trattato in udienza camerale senza discussione orale, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, numero 137, articolo 23, comma 8. 4. Il Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta con la quale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile. 5. La difesa ha depositato conclusioni scritte con le quali ha insistito per l'accoglimento del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile, poiché aspecifico, manifestamente infondato e meramente reiterativo di analoghe doglianze di merito già compiutamente affrontate dalla sentenza impugnata. 1.1. La Corte territoriale ha, in particolare, giustificato in modo puntuale, congruo e immune da vizi logici la ritenuta sussistenza del dolo, allorché ha rilevato che le condotte violente volontariamente poste in essere dall'imputato in danno dell'infermiere S. e degli arredi e delle dotazioni cliniche dell'ospedale di Corato erano finalizzate ad imporre ai medici del pronto soccorso il suo ricovero, a prescindere da esigenze sanitarie che lo richiedessero, e nella piena consapevolezza che i calci inferti alla vittima e il trambusto causato dal suo complessivo agire avrebbero provocato lesioni personali all'infermiere, danneggiato i beni della struttura ospedaliera e provocato l'interruzione dell'attività sanitaria. Sotto altro, autonomo, profilo, il motivo di ricorso in esame si rivela aspecifico, poiché lo stato patologico del ricorrente è stato rappresentato senza il necessario, specifico riferimento ai pertinenti atti del processo. 1.2. La sentenza impugnata evidenzia specifica e adeguata giustificazione anche in ordine al trattamento sanzionatorio, là dove richiama la gravità e pervicacia delle condotte, la personalità dell'imputato e la recidiva contestata e ritenuta in primo grado, posto anche che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo appunto ritenersi quella in esame Sez. U, numero 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931 . 2. All'inammissibilità del ricorso conseguono le pronunce di cui all' articolo 616 c.p.p. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila Euro in favore della Cassa delle ammende.