La convivenza prematrimoniale ha rilievo ai fini del riparto della reversibilità tra il coniuge superstite e quello divorziato

«La ripartizione del trattamento di fine rapporto tra coniuge superstite e coniuge divorziato, entrambi aventi i requisiti per la relativa pensione, va effettuata ai sensi dell’articolo 9, comma 3, della legge numero 898/70, oltre che sulla base del criterio legale della durata dei matrimoni, anche ponderando ulteriori elementi correlati alla finalità solidaristica dell’istituto, e tra questi tenendo conto della durata della convivenza, ove il coniuge interessato alleghi e provi la stabilità e l’effettività della comunione di vita precedente al proprio matrimonio con il de cuius».

Il caso.   Con decreto del 2017 la Corte di Appello di Potenza stabiliva il diritto dell'ex moglie di un uomo deceduto nel 2014 di percepire una quota del trattamento di fine rapporto da lui maturato. Stesso diritto veniva riconosciuto alle di lui tre figlie. I giudici stabilivano che andava assegnato al coniuge divorziato il 40% dell'intero , con riferimento agli anni in cui il rapporto di lavoro era coinciso con il matrimonio e che la restante somma doveva essere suddivisa tra il coniuge superstite e i figli secondo comune accordo o, in mancanza, secondo il bisogno di ciascuno. Si riteneva che lo stato di bisogno di ogni figlio fosse sovrapponibile, tanto da rendere equa una suddivisione paritaria tra gli aventi diritto della quota del TFR maturato dal padre, al netto del soddisfacimento delle ragioni del coniuge divorziato. La moglie superstite, in proprio e nella qualità di genitore esercente la potestà sulla figlia minorenne, proponeva ricorso per Cassazione avverso il decreto, sulla base di sei motivi. In particolare, con il quarto, quinto e sesto motivo, la donna lamentava il fatto che la Corte territoriale, nell'attribuire al coniuge divorziato la parte spettante di TFR, avesse determinato le quote in base agli anni di matrimonio, senza tenere conto di quelli di convivenza precedenti al matrimonio del coniuge superstite. La ricorrente faceva altresì notare come la convivenza tra il de cuius e l'ex moglie fosse cessata con la separazione dei due e che già dal 2006 l'uomo conviveva stabilmente con lei e dalla loro unione, nello stesso anno, era nata la figlia oggi ancora minorenne. Le controparti resistevano in giudizio con rispettivi controricorsi. Quote di spettanza del coniuge. Nell'ipotesi in cui, oltre al coniuge divorziato e a quello superstite, esistano anche figli del lavoratore defunto aventi diritto all'indennità di cui all' articolo 2122 c.c. , dal coordinamento di tale disposizione con l' articolo 9, comma 3, l. numero 898/70 si evince la regola che al coniuge divorziato, nella fattispecie di concorso di plurimi aventi diritto, va attribuita una quota della quota del coniuge superstite . Pertanto, tra i due o eventualmente più coniugi, dovrà in pratica, suddividersi la quota di spettanza del coniuge superstite, come previamente determinata in ragione del concorso di questi con gli altri superstiti aventi diritto ex articolo 2122, comma 1, c.c. La Suprema Corte ha avuto modo di rilevare che l' articolo 2122 c.c. – che non indica tra gli aventi diritto all'indennità di fine rapporto l'ex coniuge, essendo la norma codicistica anteriore all'entrata in vigore della legge sul divorzio, e che quindi non avrebbe potuto prendere in considerazione il rapporto tra ex coniugi - si limita, nel quadro della regolamentazione del rapporto di lavoro, a disciplinare, tra l'altro, l'attribuzione del TFR in caso di morte del lavoratore, stabilendo che esso, in detta ipotesi, debba essere corrisposto al coniuge, ai figli, e, se vivevano a carico del prestatore di lavoro, ai parenti entro il terzo grado ed agli affini entro il secondo grado, aggiungendo, al terzo comma, che, in mancanza delle persone indicate, l'indennità sia attribuita secondo le norme sulla successione legittima. L' articolo 12-bis l. numero 898/70 si inserisce, invece, nel plesso normativo concernente la regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra divorziati, con la previsione della spettanza all'ex coniuge - nell'ambito dei principi solidaristici cui si ispira anche la disposizione relativa alla corresponsione allo stesso di una parte della pensione di reversibilità, e subordinatamente alla condizione positiva dell'avvenuto accertamento del suo diritto all'assegno divorzile e a quella negativa del mancato passaggio a nuove nozze - di una quota della pensione di reversibilità e del TFR dovuto all' ex coniuge. Per i Supremi giudici, nel regolare la coesistenza delle posizioni dei coniugi – divorziato e superstite - in conflitto tra loro, il giudice deve tenere conto dell' elemento temporale durata dei rispettivi matrimoni , la cui valutazione non può in nessun caso mancare, ma che, al contempo, non può divenire criterio esclusivo nell'apprezzamento giudiziale, e deve ponderare ulteriori elementi, correlati alla finalità solidaristica che presiede al trattamento di reversibilità, da individuare facendo riferimento all' entità dell'assegno di mantenimento riconosciuto all'ex coniuge e alle condizioni economiche dei due, nonché alla durata delle rispettive convivenze prematrimoniali , dovendosi riconoscere alla convivenza more uxorio un distinto ed autonomo rilievo giuridico, ove il coniuge interessato provi stabilità ed effettività della comunione di vita prematrimoniale , tenendo tuttavia distinta la durata della convivenza prematrimoniale da quella del matrimonio, cui soltanto si riferisce il criterio legale. La Corte d'Appello, pertanto, ha errato nella determinazione della quota spettante alla coniuge superstite. Infatti, non prendendo in considerazione la durata della convivenza prematrimoniale della ricorrente col defunto, ha escluso, in definitiva, qualsiasi rilevanza alla certa e solida convivenza more uxorio che aveva preceduto le nozze del titolare del trattamento di fine rapporto. La Corte territoriale, dunque, ha applicato non l' articolo 9, comma 3, l. div ., ma l'articolo 12-bis della stessa. Avrebbe dovuto, invece, determinare prima la quota di spettanza del coniuge superstite , tenendo conto del concorso con gli altri aventi diritto, ex articolo 2122 comma 1, c.c. , e poi , su questa quota determinata calcolare quella spettante al coniuge divorziato , in base al criterio legale della durata del matrimonio e agli altri criteri correlati alla finalità solidaristica che presiede al TFR, individuati dalla giurisprudenza, tra i quali anche quello della convivenza, purché stabile ed effettiva. Per questi motivi, la Prima Sezione civile della Corte di Cassazione, con l'ordinanza in oggetto, accoglie il quarto, il quinto e il sesto motivo di ricorso, dichiarando inammissibili gli altri . Cassa il provvedimento impugnato in relazione ai motivi accolti, rinviando la causa alla Corte di Appello di Potenza, in diversa composizione, la quale, oltre a rideterminare la quota dell'indennità di buonuscita spettante alla ricorrente, deciderà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Presidente Genovese – Relatore Caradonna Rilevato in fatto che 1. Con decreto del 27 aprile 2017 , la Corte di appello di Potenza, pronunciando sul reclamo proposto da A.T. avverso il decreto del Tribunale di Lagonegro numero 2093/2015 del 16 giugno 2015 e sulle domande formulate da Pa.Ma. , in parziale accoglimento del reclamo proposto, ha dichiarato che D.M.L. aveva diritto ad una quota del trattamento di fine rapporto maturato dall'ex coniuge P.G. deceduto il OMISSIS pari ad Euro 13.581,60 e che le figlie Pa.Ma. , P.S. e P.M. , avevano diritto ad una quota del trattamento di fine rapporto maturato dal genitore pari ad Euro 5.350,32. 2. I giudici di secondo grado hanno rigettato la richiesta della A. di riconoscimento al coniuge divorziato della medesima proporzione esistente tra retribuzione percepita dall'onerato ed assegno divorzile di mantenimento, confermando di conseguenza il riconoscimento in capo a D.M.L. del diritto a ricevere una quota della pensione di reversibilità di P.G. pari ad Euro 100,00 mensili, a far data dal decesso e hanno, poi, determinato la quota di trattamento di fine rapporto spettante al coniuge divorziato. 3. In particolare, la Corte territoriale ha, da un lato, affermato che andava assegnato il 40% dell'intero al coniuge divorziato, determinato con riferimento agli anni in cui il rapporto di lavoro era coinciso con il matrimonio e che la somma restante andava suddivisa tra il coniuge superstite e i figli secondo comune accordo o, in mancanza, secondo il bisogno di ciascuno e, dall'altro, ha considerato lo stato di bisogno di ciascuno dei figli, mediante apposita consulenza tecnica d'ufficio, e ha ritenuto che lo stato di bisogno era sostanzialmente sovrapponibile così da rendere equa una suddivisione paritaria tra gli aventi diritto della quota del trattamento di fine rapporto maturato da P.G. , al netto del soddisfacimento delle ragioni del coniuge divorziato. 4. A.T., in proprio e quale genitore esercente la potestà sulla figlia minore P.M., ricorre per la cassazione del decreto impugnato con atto affidato a sei motivi. 5. D.M.L., Pa.Ma. e P.S. hanno depositato rispettivi controricorsi. Considerato in diritto che 1. Va, in via preliminare, disattesa l'eccezione di inammissibilità del ricorso per violazione del principio di autosufficienza ex articolo 366 c.p.c. , comma 1, numero 3, sollevata dalle controricorrenti D.M.L., Pa.Ma. e P.S. , nei rispettivi controricorsi, atteso che, secondo il costante indirizzo di questa Corte, il mancato rispetto del dovere di chiarezza e sinteticità espositiva degli atti processuali che, fissato dall' articolo 3, comma 2, del c.p.a ., esprime tuttavia un principio generale del diritto processuale, destinato ad operare anche nel processo civile, espone il ricorrente al rischio di una declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione, non già per l'irragionevole estensione del ricorso la quale non è normativamente sanzionata , ma in quanto rischia di pregiudicare l'intelligibilità delle questioni, rendendo oscura l'esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata, ridondando nella violazione delle prescrizioni di cui ai nnumero 3 e 4 dell' articolo 366 c.p.c. , assistite queste sì - da una sanzione testuale di inammissibilità Cass., 21 marzo 2019, numero 8009 Cass., 20 ottobre 2016, numero 21207 , evenienza nel caso in esame non verificatasi alla luce dell'esposizione argomentata dei motivi riportati a partire da pagina 9 del ricorso per cassazione. 2. Con il primo motivo la ricorrente deduce, in relazione all' articolo 360 c.p.c. , comma 1, numero 5, per contraddittoria e insufficiente motivazione nella attribuzione al coniuge divorziato della quota della pensione di reversibilità pari ad Euro 100,00, non avendo la Corte di appello motivato adeguatamente la sua decisione di lasciare lo stesso importo dell'assegno di divorzio anche per la pensione di reversibilità, benché quest'ultima fosse la metà dello stipendio. 2.1 II motivo è inammissibile, perché, l' articolo 360 c.p.c. , comma 1, numero 5, nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, numero 40 , prevede l' omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione , come riferita ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio , ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico - naturalistico, non assimilabile in alcun modo a questioni o argomentazioni che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate Cass., 3 ottobre 2018, numero 24035 . Orbene, questa Corte ha chiarito che il fatto ivi considerato è un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza in senso storico-naturalistico e che il fatto in questione deve essere decisivo per potersi configurare il vizio è necessario che la sua assenza avrebbe condotto a diversa decisione con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, in un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data Cass., 8 ottobre 2014, numero 21152 Cass., 14 novembre 2013, numero 25608 . Peraltro, anche nel vigore del vecchio testo dell' articolo 360 c.p.c. , numero 5, la revisione del ragionamento decisorio del giudice, sotto lo specifico profilo di censura formulato dalla ricorrente, è inammissibile, non potendo mai la Corte di cassazione procedere ad un'autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa Cass., Sez. U., 25 ottobre 2013, numero 24148 e non potendo il vizio consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, spettando soltanto al giudice di merito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllare l'attendibilità e la concludenza delle prove, scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione dando liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova Cass., 23 maggio 2014, numero 11511 . Nella specie, la assunta carenza motivazionale del provvedimento impugnato è stata dedotta con riferimento alla determinazione della quota della pensione di reversibilità in Euro 100,00 con riferimento allo stesso importo dell'assegno di divorzio, benché la pensione di reversibilità ammontava alla metà dello stipendio, che non concreta un fatto nel senso storico-naturalistico di cui ai sopra esposti principi. Peraltro, la ricorrente, nel denunciare la censura in esame, non si è affatto confrontata con le ragioni del decidere, limitandosi a rilevare il difetto di motivazione e a contrapporre le proprie affermazioni a quelle dei giudici di secondo grado, laddove la Corte ha affermato da un lato, la sostenibilità di tale attribuzione anche tenuto conto del minore importo della pensione rispetto a quello della retribuzione percepita dal P. in vita e, dall'altro, la circostanza che l'indicazione di una somma inferiore sarebbe stata del tutto irrispettosa della funzione solidaristica dell'attribuzione della precisata quota. 3. Con il secondo motivo la ricorrente deduce, in relazione all' articolo 360 c.p.c. , nnumero 3 e 5, la violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, articolo 112 c.p.c. , non essendosi la Corte di appello pronunciata sulla richiesta di determinazione della quota della pensione di reversibilità proposta da P.M 3.1 I motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza. Alla mera affermazione relativa al mancato esame della domanda di determinazione della quota di reversibilità proposta da P.M., alla quale non fa riferimento la Corte di appello, non si associa alcun riferimento agli atti processuali, inteso a consentire a questa Corte una verifica prima facie, della fondatezza della doglianza. 3.2 Ed invero, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, affinché possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronunzia, ai sensi dell' articolo 112 c.p.c. , è necessario, da un lato, che al giudice del merito siano state rivolte una domanda od un'eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si sia resa necessaria ed ineludibile, e, dall'altro, che tali istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l'indicazione specifica, altresì, dell'atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l'una o l'altra erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primis, la ritualità e la tempestività ed, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi. Ove, quindi, si deduca la violazione, nel giudizio di merito, del citato articolo 112 c.p.c. , riconducibile alla prospettazione di un'ipotesi di error in procedendo per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del fatto processuale , detto vizio, non essendo rilevabile d'ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilità, all'adempimento da parte del ricorrente - per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l'altro, il rinvio per relationem agli atti della fase di merito - dell'onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca, ma solo ad una verifica degli stessi Cass., 8 giugno 2016, numero 11738 Cass., 4 luglio 2014, numero 15367 Cass., 4 marzo 2013, numero 5344 . 3.3 Nel caso in esame, si legge, a pagina 2 del provvedimento impugnato, che P.M., figlia di P.G. e di A.T., aveva spiegato intervento volontario nel giudizio con atto depositato all'udienza del 19 novembre 2015, chiedendo che fosse accertata la quota di t.f.r. ad essa spettante , domanda diversa da quella di determinazione della quota della pensione di reversibilità e sulla quale la Corte distrettuale ha statuito. 4. Con il terzo motivo la ricorrente deduce, in relazione all' articolo 360 c.p.c. , comma 1, numero 3, la violazione dell' articolo 2122 c.c. , stante che la Corte di appello non aveva tenuto conto, nel calcolare la quota del trattamento di fine rapporto da attribuire agli eredi di P.G. , del maggiore bisogno di P.M. , bimba di 10 anni, che doveva arrivare alla maturità e alla indipendenza economica senza il sostegno del padre, come invece, avevano avuto la fortuna di avere le due sorelle maggiori e che il sistema utilizzato dalla Corte di appello per determinare le quote non era attendibile, come precisato anche dal consulente tecnico d'ufficio. 4.1 I motivo è inammissibile, poiché non rientra nell'ambito applicativo dell' articolo 360 c.p.c. , comma 1, numero 3, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all'esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità Cass., 14 gennaio 2019, numero 640 . Ed invero il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell'attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata e che il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell'assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista, pur rettamente individuata e interpretata, non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione Cass., 30 aprile 2018, numero 10320 . 4.2 La Corte di appello, contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, ha specificamente considerato la minore età di P.M. e la circostanza che la stessa non fosse titolare di redditi propri e ha comparato in modo specifico le condizioni economiche delle tre sorelle, desumendo che lo stato di bisogno delle stesse risultava sostanzialmente sovrapponibile, così da rendere equa una suddivisione paritaria tra le medesime della quota del trattamento di fine rapporto maturato dal padre, P.G. , con l'ulteriore specificazione che Pa.Ma. , maggiorenne autosufficiente, aveva, tuttavia, a proprio carico marito e due figli minori e percepiva un reddito annuo lordo di Euro 3.277,99, verosimilmente provenienti da attività sovvenzionata da enti pubblici. Quanto viene censurato sfugge, dunque, ai contenuti tipici della violazione di legge e si traduce piuttosto in una alternativa lettura dei fatti come tale rimessa al giudice di merito e sottratta al sindacato di legittimità. 5. Con il quarto motivo la ricorrente si duole, in relazione all' articolo 360 c.p.c. , comma 1, numero 3, della violazione dell' articolo 2122 c.c. , coordinato con la L. numero 898 del 1970, articolo 9, nella attribuzione al coniuge divorziato della quota di trattamento di fine rapporto, avendo la Corte determinato le quote in base agli anni di matrimonio, senza tenere in alcun conto gli anni di convivenza precedenti al matrimonio del coniuge superstite. 6. Con il quinto motivo la ricorrente deduce, in relazione all' articolo 360 c.p.c. , comma 1, numero 5, per contraddittorietà della motivazione nella attribuzione al coniuge divorziato della quota di trattamento di fine rapporto, non avendo la Corte di appello tenuto conto del periodo di matrimonio del coniuge superstite. 7. Con il sesto motivo la ricorrente lamenta, in relazione all' articolo 360 c.p.c. , comma 1, numero 3, la violazione della L. 20 maggio 2016, numero 76, articolo 1, commi 36 e 65 e dell'articolo 2122 c.c., coordinato con l'articolo 9 e con l'articolo 12 bis, della L. numero 898/19790, nella attribuzione al coniuge divorziato della quota di trattamento di fine rapporto, avendo la Corte di appello tenuto conto del periodo che andava dal matrimonio al divorzio, senza tenere in alcuna considerazione che la convivenza tra il P. e la D.M. era cessata alla separazione, così come indicato nella sentenza di divorzio e che nel 2006 il P. conviveva stabilmente con la stessa e che da tale unione il 18 maggio 2006 era nata la figlia M. . 7.1 I motivi, che vanno trattati unitariamente perché riguardanti i criteri utilizzati per l'attribuzione al coniuge superstite e al coniuge divorziato del trattamento di fine rapporto, sono fondati. 7.2 Ed invero, questa Corte, nella sentenza richiamata anche dalla Corte territoriale, che non ha espressamente condiviso la ricostruzione ivi operata dai giudici di legittimità, ha affermato, in relazione alla determinazione della quota-parte della indennità di fine rapporto da ripartire tra i coniugi - nell'ipotesi in cui, oltre a questi, esistano, come nella specie, anche figli del lavoratore defunto aventi diritto alla predetta indennità ai sensi dell' articolo 2122 c.c. , comma 1, - il principio di diritto secondo cui, dal coordinamento della L. numero 898 del 1970, articolo 9, comma 3, con l' articolo 2122 c.c. , comma 2, al coniuge divorziato, nella fattispecie di concorso di plurimi aventi diritto, va attribuita una quota della quota per cui, tra i due - od eventualmente più - coniugi, dovrà in pratica, suddividersi la quota di spettanza del coniuge superstite , come previamente determinata in ragione del concorso di questi con gli altri aventi diritto ex articolo 2122 c.c. , comma 1, cfr. Cass., 4 febbraio 2000, numero 1222 . Con questa conseguenza la combinazione, che risulta tra le due norme, non opera nel senso di affiancare il coniuge divorziato agli altri aventi diritto sub articolo 2122 c.c. , ma appunto attraverso il descritto meccanismo di implicito rinvio della L. numero 898 del 1970, articolo 9, comma 3, alla disposizione codicistica agli effetti del computo della quota di spettanza del coniuge superstite sulla quale insiste il parallelo diritto del coniuge divorziato. 7.3 L' articolo 2122 c.c. , che disciplina anche l'indennità relativa al trattamento di fine rapporto oltre quella spettante ai sensi dell' articolo 2128 c.c. , nell'ipotesi di morte del lavoratore, prevede, ai fini della determinazione della quota spettante al coniuge superstite, nel caso in cui questi concorra con i soggetti indicati al comma 1 della norma richiamata figli, e, se a carico del prestatore di lavoro, anche i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado che, se non vi è accordo tra gli aventi diritto, la ripartizione deve avvenire secondo la regola aurea del bisogno di ciascuno. 7.4 In proposito, il giudice delle leggi è intervenuto affermando, più volte, che in mancanza dei soggetti indicati all' articolo 2122 c.c. , comma 1, a favore dei quali opera una riserva legale di destinazione , la concorrente funzione previdenziale dell'indennità di fine rapporto perde qualunque rilevanza, espandendosi in tutta la sua portata la natura retributiva dell'indennità stessa, con la conseguente applicabilità non solo delle regole della successione legittima, come prevede espressamente l' articolo 2122 c.c. , comma 3, ma anche di quelle della successione testamentaria Corte Cost., sentenze 19 gennaio 1972, numero 8 4 aprile 1996, numero 106 23 dicembre 2005, numero 458 . 7.5 Successivamente a tali pronunce, questa Corte ha ribadito il principio secondo cui Nel caso di scioglimento del rapporto di lavoro a causa di morte del dipendente, ai fini della ripartizione della indennità di fine rapporto tra coniuge divorziato e coniuge superstite del defunto, aventi entrambi i requisiti per la relativa attribuzione, va applicato il criterio della durata dei rispettivi matrimoni, di cui alla L. 1 dicembre 1970, numero 898, articolo 9, comma 3, come sostituito dalla L. 1 marzo 1987, numero 74, articolo 13, riferito alla quota legale di spettanza del coniuge superstite, come previamente determinata, anche eventualmente in ragione del concorso con altri superstiti aventi diritto sul medesimo emolumento Cass., 19 settembre 2008, numero 23880 . In particolare, questa Corte, nella sentenza da ultimo richiamata, ha evidenziato che - l'espressione altri assegni, contenuta nella L. numero 898 del 1970, articolo 9, nuovo testo, deve intendersi come riferita ad ogni attribuzione, anche solo in senso lato previdenziale, spettante in dipendenza della morte all'ex coniuge ed anche con riguardo agli altri assegni , tra i quali rientra l'indennità di buonuscita il citato articolo 9, comma 3, attribuisce al coniuge divorziato una quota formante oggetto di un suo diritto autonomo, che trova la sua fonte diretta nella qualità stessa di ex coniuge, in relazione alla funzione e alla disciplina previdenziale dell'emolumento in questione - il diritto del coniuge divorziato ha natura, quindi, identica a quella del diritto riconosciuto al coniuge superstite, in modo che l'un diritto non deriva dall'altro ma entrambi concorrono fra loro in pari grado ed allo stesso titolo e, cioè, iure proprio , in ragione della durata dei rispettivi rapporti di coniugio - che la L. numero 898 del 1970 , come modificata e integrata dalla successiva L. numero 74 del 1987 , ha disciplinato la posizione del coniuge divorziato pure con riguardo ai suoi diritti sull'indennità di fine rapporto maturata dall'ex coniuge lavoratore, al cui accantonamento, nel periodo di vigenza del matrimonio, ha - sia pur indirettamente - contribuito lo stesso coniuge divorziato - che tale disciplina risulta, in particolare, contenuta nell'articolo 12 bis, e nell'articolo 9, comma 3 della predetta legge, con distinto riferimento alle due evenienze dello scioglimento del rapporto di lavoro in vita ovvero a causa di morte del dipendente - che relativamente alla prima ipotesi, e con riferimento appunto alla indennità di fine rapporto percepita dall'altro coniuge all'atto della cessazione del rapporto di lavoro , dispone la L. numero 898 del 1970, articolo 12 bis , nel testo aggiunto dalla L. numero 74 del 1987, articolo 16 che prevede che il coniuge divorziato ha diritto, se non passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno ai sensi dell'articolo 5, ad una percentuale della indennità . pari al quaranta per cento dell'indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio - che con riguardo alla seconda ipotesi, l'articolo 9, comma 3, come modificato dalla L. numero 74 del 1987, articolo 13 ne stabilisce, a sua volta, il diritto, in caso di morte dell'ex coniuge , in favore e qualora esista del coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità in assenza del quale, quella pensione, spetterebbe invece, ex comma 2, stessa norma, per intero al coniuge divorziato, alle seguenti condizioni una quota della pensione e degli altri assegni a questi spettante è attribuita dal tribunale, tenendo conto della durata del rapporto, al coniuge rispetto al quale è stata pronunciata sentenza di scioglimento del matrimonio e che sia titolare di assegno divorzile - che l'espressione altri assegni , nel contesto del riferito articolato normativo, esprime chiaramente l'intenzione del legislatore di equiparare alle ipotesi tipizzate pensioni di reversibilità gli altri emolumenti al cui accantonamento, in favore del lavoratore, ha parimenti contribuito l'ex coniuge in costanza del matrimonio - che al coniuge divorziato, nel caso di concorso di plurimi aventi diritto, va attribuita una quota della quota per cui, tra i due od eventualmente più coniugi, dovrà in pratica, suddividersi quella di spettanza del coniuge superstite, come previamente determinata in ragione del concorso di questi con gli altri superstiti aventi diritto. 7.6 Inoltre, per quel che qui rileva, questa Corte ha stabilito che mentre l' articolo 2122 c.c. , si limita a disciplinare l'attribuzione del trattamento di fine rapporto in caso di morte del lavoratore, la L. numero 898 del 1970, articolo 12 bis , si inserisce nel plesso normativo concernente la regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra coniugi divorziati, con la previsione della spettanza all'ex coniuge, nell'ambito dei principi solidaristici, a cui si ispira anche la disposizione relativa alla corresponsione allo stesso di una quota della pensione di reversibilità e del trattamento di fine rapporto dovuto all'ex coniuge, subordinatamente alla condizione positiva della sussistenza del suo diritto all'assegno divorzile e a quella negativa del mancato passaggio a nuove nozze cfr. Cass., 10 gennaio 2005, numero 285 . 7.7 Vanno, inoltre, richiamati anche i principi elaborati - in tema di determinazione della quota della pensione di reversibilità - da questa Corte, la quale ha affermato che La ripartizione del trattamento di reversibilità tra coniuge divorziato e coniuge superstite, entrambi aventi i requisiti per la relativa pensione, va effettuata, oltre che sulla base del criterio della durata dei matrimoni, ponderando ulteriori elementi correlati alla finalità solidaristica dell'istituto, tra i quali la durate delle convivenze prematrimoniali, dovendosi riconoscere alla convivenza more uxorio non una semplice valenza correttiva dei risultati derivanti dall'applicazione del criterio della durata del rapporto matrimoniale, bensì un distinto ed autonomo rilievo giuridico, ove il coniuge interessato provi stabilità ed effettività della comunione di vita prematrimoniale Cass., 26 febbraio 2020, numero 5268 Cass., 7 dicembre 2011, numero 26358 . Ancora, ai fini della ripartizione del trattamento di reversibilità vanno ponderati ulteriori elementi, quali l'entità dell'assegno di mantenimento riconosciuto all'ex coniuge, le condizioni economiche dei due aventi diritto e la durata delle rispettive convivenze prematrimoniali, senza mai confondere, però, la durata della convivenza con quella del matrimonio, cui si riferisce il criterio legale, nè individuare nell'entità dell'assegno divorzile un limite legale alla quota di pensione attribuibile all'ex coniuge, data la mancanza di qualsiasi indicazione normativa in tal senso Cass., 21 settembre 2012, numero 16093 Cass., 21 giugno 2012, numero 10391 . In conclusione, nel regolare la coesistenza delle posizioni dei coniugi il divorziato e il superstite in conflitto tra loro, il giudice deve tenere conto dell'elemento temporale durata dei rispettivi matrimoni , la cui valutazione non può in nessun caso mancare, ma che, al contempo, non può divenire criterio esclusivo nell'apprezzamento giudiziale e deve ponderare alla luce della sentenza interpretativa di rigetto della Corte Costituzionale numero 419 del 4 novembre 1999 ulteriori elementi, correlati alla finalità solidaristica che presiede al trattamento di reversibilità, da individuare facendo riferimento all'entità dell'assegno di mantenimento riconosciuto all'ex coniuge ed alle condizioni economiche dei due, nonché alla durata delle rispettive convivenze prematrimoniali. 7.8 La Corte territoriale non ha fatto, tuttavia, buon governo dei principi richiamati, avendo dapprima assegnato il 40% dell'intero al coniuge divorziato D.M.L. , calcolato con riferimento agli anni in cui il rapporto di lavoro era coinciso con il matrimonio e avendo, poi, suddiviso la somma restante tra il coniuge superstite e i figli secondo lo stato di bisogno di ciascuno di loro. Inoltre, nella determinazione della quota spettante alla A. coniuge superstite ha tenuto conto della durata del matrimonio e non anche della convivenza, ritenendo che la stessa non implicasse il totale venire meno della comunione di vita tra i coniugi ed escludendo, dunque, qualsiasi rilevanza alla certa e solida convivenza di fatto che aveva preceduto le nuove nozze del titolare del trattamento di fine rapporto. Nella specie, quindi, l'indennità è stata erogata direttamente alla D.M. per la quota, pari al 40% del totale, avendo applicato la Corte distrettuale l' articolo 12 bis della L. numero 898 del 1970 , e non già, per quanto detto, il menzionato articolo 9, comma 3, della L. numero 898 del 1970 . 7.9 La Corte di appello, di contro, nel caso in esame, in applicazione dei superiori principi, doveva - determinare dapprima la quota di spettanza del coniuge superstite A. , tenendo conto del concorso degli altri superstiti aventi diritto ex articolo 2122 c.c. , comma 1, con applicazione, stante l'assenza di accordo, del criterio della ripartizione secondo la regola aurea del bisogno di ciascuno - sulla quota, come sopra determinata, spettante al coniuge superstite A. , poi, calcolare la quota spettante al coniuge divorziato D.M. , in ragione del criterio legale della durata del matrimonio previsto specificamente dalla L. numero 898 del 1970, articolo 9, comma 3 e degli altri criteri, correlati alla finalità solidaristica che presiede al trattamento di fine rapporto, individuati dalla giurisprudenza e, tra questi, anche quello della convivenza, purché stabile ed effettiva. Così facendo il coniuge divorziato nel caso in esame la D.M. non viene erroneamente affiancato agli altri aventi diritto ex articolo 2122 c.c. , poiché, in applicazione della L. numero 898 del 1970, articolo 9, comma 3, la quota di spettanza del coniuge divorziato viene ad insistere sulla quota del coniuge superstite. In conclusione, il meccanismo di computo della quota di indennità cui ha diritto il coniuge divorziato, così enucleato, prevede, a previa ripartizione della indennità tra il coniuge superstite e i figli e/o altri superstiti del lavoratore deceduto e, successivamente, la sub-ripartizione della quota spettante al coniuge superstite con il coniuge divorziato, senza prescindere dal criterio legale della durata del matrimonio. In particolare, il trattamento di fine rapporto nella specie, calcolato in complessivi Euro 34.982,91 va suddiviso in parti uguali tra il coniuge superstite la A. e i tre figli del lavoratore deceduto, poiché la Corte di appello, nel caso in esame, con accertamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità, perché motivato in rapporto ai dati in questa sede non contestati con censure autosufficienti, ha stabilito che lo stato di bisogno di ognuno dei soggetti concorrenti risultava sostanzialmente sovrapponibile pag. 7 della sentenza impugnato . Sulla quota nella specie, di Euro 8.745,7275 spettante ad A.T. va, poi, calcolata quella da attribuirsi al coniuge divorziato D.M.L. , in ragione del criterio legale della durata del matrimonio e degli altri pure individuati dalla giurisprudenza e, tra questi, anche quello della convivenza, purché se ne accerti la sua stabilità ed effettività. 8. Il provvedimento impugnato va, pertanto, cassato, con rinvio alla Corte di appello di Potenza che, in diversa composizione, rideterminerà la quota dell'indennità di buonuscita spettante alla ricorrente e provvederà anche alla liquidazione delle spese di questo giudizio di legittimità, facendo applicazione dei principi di diritto che si vengono ad enunciare In tema di regolazione della crisi coniugale, mentre la L. numero 898 del 1970, articolo 12 bis , nel testo aggiunto dalla L. numero 74 del 1987, articolo 16 si inserisce nella regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra coniugi divorziati prevedendo che l'ex coniuge divorziato abbia diritto, se non passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno divorzile, ai sensi dell'articolo 5, ad una percentuale della indennità di fine rapporto percepita dall'altro coniuge all'atto della cessazione del rapporto di lavoro e tale percentuale è pari al quaranta per cento dell'indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio la L. numero 898 del 1970, articolo 9, comma 3, come sostituito dalla L. numero 74 del 1987, articolo 13 regola il caso del concorso con il coniuge superstite, avente i requisiti per la pensione di reversibilità, e stabilisce che una quota della pensione e degli altri assegni a esso spettante sia attribuita al coniuge divorziato, che sia titolare dell'assegno divorzile, di cui all'articolo 5 la ripartizione del trattamento di fine rapporto tra coniuge superstite e coniuge divorziato, entrambi aventi i requisiti per la relativa pensione, va effettuata ai sensi della L. numero 898 del 1970, articolo 9, comma 3, oltre che sulla base del criterio legale della durata dei matrimoni, anche ponderando ulteriori elementi correlati alla finalità solidaristica dell'istituto, e tra questi tenendo conto della durata della convivenza, ove il coniuge interessato alleghi e provi la stabilità e l'effettività della comunione di vita precedente al proprio matrimonio con il de cuius . P.Q.M. La Corte accoglie il quarto, il quinto e il sesto motivo del ricorso e dichiara inammissibili il primo, il secondo e il terzo cassa il provvedimento impugnato in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di Potenza, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.