Interdittiva antimafia e legittimazione a ricorrere degli ex amministratori e soci: la parola all’Adunanza Plenaria

Sono rimesse all’Adunanza Plenaria tali questioni se in materia di impugnazione di interdittive antimafia vada, o meno, riconosciuta, in capo ad ex amministratori e soci della società attinta, autonoma legittimazione a ricorrere, considerando la situazione giuridica dedotta in giudizio, e se gli stessi vadano ritenuti soggetti che patiscano “effetti diretti” dall’adozione di provvedimenti di siffatta natura in caso di soluzione positiva al primo quesito, se l’effetto devolutivo proprio dell’appello si estenda anche al caso in cui il ricorso in primo grado non sia stato riunito a ricorsi aventi ad oggetto l’impugnazione del medesimo provvedimento da parte degli stessi ovvero da diversi ricorrenti.

Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Sicilia ha sottoposto all'Adunanza Plenaria la questione relativa alla «possibilità, o meno, di riconoscere, in capo ad ex amministratori e soci di una società attinta da interdittiva antimafia, autonoma legittimazione a ricorrere, avuto riguardo alla situazione giuridica dedotta in giudizio, che si pretende direttamente ed immediatamente pregiudicata dall'interdittiva a causa della sostituzione degli organi di gestione, con perdita, da parte degli ex amministratori, delle cariche ricoperte, e quindi pregiudizio professionale impossibilità di effettuare scelte imprenditoriali strategiche e quindi compromissione degli investimenti economici profusi nell'azienda, quanto ai soci con lesione della dignità e reputazione, quanto ai soggetti le cui vicende personali e familiari costituiscano diretto oggetto di motivazione ». La questione riguarda anche la risoluzione del problema della individuazione dei soggetti che patiscano “effetti diretti” dall'adozione di provvedimenti di siffatta natura. Secondo gli articolo 84 e 91, d.lgs. numero 159/2011, «l'emanazione dei provvedimenti interdittivi costituisce frutto di un procedimento amministrativo connotato da una natura tendenzialmente cautelare e con finalità preventiva dell'infiltrazione mafiosa, al quale, secondo la giurisprudenza, non possono essere estese le garanzie del contraddittorio di cui alla l. numero 241/1990, e ciò nonostante la decisione prefettizia si basi generalmente su accertamenti di fatto complessi, in qualche caso addirittura di tipo indiziario, nell'ambito dei quali ben possono manifestarsi significativi margini di errore». A riguardo, il TAR Bari, con ordinanza numero 28/2020 di rimessione alla Corte di Giustizia della questione della compatibilità degli articolo 91,92 e 93 del Codice antimafia con il diritto eurounitario, ha avuto modo di sottolineare che «il provvedimento di cui si discute non costituisce una misura provvisoria e strumentale, adottata in vista di un provvedimento che definisca, con caratteristiche di stabilità e inoppugnabilità, il rapporto giuridico controverso, bensì atto conclusivo del procedimento amministrativo avente effetti definitivi, conclusivi e dissolutori del rapporto giuridico tra l'impresa e la PA, con riverberi assai durevoli nel tempo, se non addirittura permanenti, indelebili e inemendabili, evidenziando il possibile contrasto tra l'esclusione del contraddittorio endoprocedimentale e le fonti eurounitarie, con riferimento specifico al diritto a una buona amministrazione sancito dall'articolo 41 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea che comprende “il diritto di ogni persona di essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che le rechi pregiudizio” riconosciuta avente “lo stesso valore giuridico dei trattati” ex articolo 6, par. 1, del Trattato UE». E la Corte di Giustizia, con ordinanza del 28 maggio 2020, C-17/20, MC, ha dichiarato irricevibile la domanda di pronuncia pregiudiziale ritenendo che «l'ordinanza del giudice nazionale non avesse fornito dati idonei a dimostrare l'esistenza di un criterio di collegamento della disciplina nazionale con il diritto UE ovvero a dimostrare che detta disciplina costituisca attuazione di quest'ultimo, precisando che l'articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali UE si rivolge non agli Stati membri bensì unicamente alle istituzioni, agli organi e agli organismi dell'Unione europea se è vero che il principio del rispetto dei diritti della difesa costituisce un principio generale del diritto UE che trova applicazione quando l'amministrazione intende adottare nei confronti di una persona un atto che le arrechi pregiudizio – sicché in forza di tale principio i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l'amministrazione intende fondare la sua decisione – è altrettanto vero che “tale obbligo incombe sulle amministrazioni degli Stati membri ogniqualvolta esse adottano decisioni che rientrano nella sfera d'applicazione del diritto dell'Unione, quand'anche la normativa dell'Unione applicabile non preveda espressamente siffatta formalità». E nella precedente decisione del 9 novembre 2017, C-298/16, si è precisato che « … il rispetto dei diritti della difesa costituisce un principio generale del diritto dell'Unione che trova applicazione ogniqualvolta l'amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto che gli arreca pregiudizio. In forza di tale principio, i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l'amministrazione intende fondare la sua decisione. Tale obbligo incombe sulle amministrazioni degli Stati membri ogniqualvolta esse adottano decisioni che rientrano nella sfera d'applicazione del diritto dell'Unione, quand'anche la normativa dell'Unione applicabile non preveda espressamente siffatta formalità sentenza del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses, C-419/14, EU C 2015 832, punto 84 ». Ed è per questo che viene affermato come sia innegabile che «gli elementi costitutivi dei presupposti applicativi dell'informazione antimafia siano correlati sovente ad una libera valutazione o addirittura rivalutazione in senso ostativo di fatti oggetto di procedimenti penali o indagini di polizia ovvero, ad un giudizio prognostico-probabilistico applicato ad un insieme di fatti ritenuti sintomatici, di apprezzabile significato indiziario, dai quali si perviene alla ragionevole conclusione di permeabilità mafiosa, secondo il criterio civilistico del più probabile che non , con la conseguenza che non trovano nemmeno applicazione le regole della certezza al di là di ogni ragionevole dubbio necessaria per pervenire alla condanna penale, né la garanzia fondamentale della presunzione di non colpevolezza di cui all'articolo 27, comma 2, Cost., alla quale è ispirato anche l'articolo 6 CEDU». Per questi motivi, il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana rimette Plenaria del Consiglio di Stato le seguenti questioni se in materia di impugnazione di interdittive antimafia vada, o meno, riconosciuta, in capo ad ex amministratori e soci della società attinta, autonoma legittimazione a ricorrere, avuto riguardo alla situazione giuridica dedotta in giudizio e se gli stessi vadano ritenuti soggetti che patiscano “effetti diretti” dall'adozione di provvedimenti di siffatta natura in caso di soluzione positiva al primo quesito, se l'effetto devolutivo proprio dell'appello si estenda anche al caso in cui il ricorso in primo grado non sia stato riunito a ricorsi aventi ad oggetto l'impugnazione del medesimo provvedimento da parte degli stessi ovvero da diversi ricorrenti.

Presidente De Nictolis – Estensore Boscarino Fatto e diritto 1. Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado i ricorrenti hanno impugnato la certificazione interdittiva in epigrafe, emessa dalla Prefettura di Agrigento nei confronti della -omissis-, della quale i ricorrenti sono soci, lamentando la perdita della gestione dell'azienda, nella quale avevano investito ingenti capitali, nonché la preclusione all'esercizio della carica di Presidente del Consiglio di amministrazione, così come di tutti gli altri consiglieri di amministrazione che erano espressione delle società ricorrenti, detentrici dei pacchetti azionari della società. In esito a tale provvedimento, con determinazione del Presidente numero 2/2018, l'ATI AG9 ha stabilito la risoluzione della convenzione in essere con la stessa -omissis per la gestione del servizio idrico integrato nella Provincia di Agrigento. Con successivo decreto numero 34289 del 27.11.2018 impugnato con separato ricorso, recante r.g. -omissis- , inoltre, l'Amministrazione ha disposto la nomina di un Commissario Straordinario con lo scopo di assicurare la prosecuzione delle attività legate alla convenzione, estromettendo gli odierni appellanti dalle cariche occupate in seno al Consiglio di amministrazione e pertanto dalla gestione concreta della Società. 2. Con la sentenza appellata il T.A.R. Sicilia adito ha respinto la richiesta di riunione del ricorso alle cause RG nnumero -omissis- l'eccezione, sollevata dalla difesa dell'Assemblea territoriale idrica AG9 di Agrigento, di difetto di giurisdizione per essere la controversia devoluta alla cognizione del Tribunale Superiore delle Acque, ai sensi dell'articolo 143, co. 1, lett. a , del r.d. numero 1775/1931 e ha ritenuto il ricorso inammissibile per carenza di legittimazione attiva in capo ai ricorrenti. Il Tribunale ha ritenuto fondata anche una seconda eccezione di inammissibilità del ricorso, nella parte relativa alla impugnazione della determinazione del Presidente dell'Assemblea territoriale idrica numero 2 del 6 dicembre 2018 di risoluzione della convenzione stipulata con la -omissis-. 3. Con il ricorso in appello la sentenza viene censurata nella parte in cui il ricorso è stato dichiarato inammissibile, non contestandosi la declaratoria in rito riferita all'impugnazione del provvedimento di risoluzione peraltro oggetto di autonomo ricorso . 3.1. Con il primo motivo si deduce che né l'articolo 100 c.p.c., né la più autorevole giurisprudenza amministrativa abbiano mai adottato un criterio formale di individuazione del soggetto titolare dell'interesse alla proposizione dell'impugnazione. Al contrario, la legittimazione ad agire è riconosciuta in presenza di un interesse connotato dall'attualità e da concretezza. Può inoltre rintracciarsi in capo agli odierni appellanti una posizione di vantaggio che attiene ad uno specifico bene della vita. Sebbene sia formalmente indirizzata alla -omissis-, l'intera motivazione dell'informativa antimafia oggetto di impugnazione ruota essenzialmente attorno a presunti condizionamenti a carico delle Società ed alle persone fisiche appellanti in quanto socie, e che pertanto sono gravemente pregiudicate dal contenuto di tale provvedimento. Il sig. -omissis-, poi, vede inevitabilmente precluso l'esercizio della sua carica di Presidente del Consiglio di amministrazione, così come tutti gli altri consiglieri di amministrazione che erano espressione delle società appellanti, detentrici dei pacchetti azionari della Società nella quale avevano effettuato investimenti per diversi milioni di euro al fine di ottenere l'affidamento della conduzione e gestione del servizio idrico. Per effetto dell'emanazione dell'informativa interdittiva impugnata in prime cure gli appellanti sono stati espropriati di gran parte dei loro poteri di soci, in quanto, con i successivi decreti numero 34289 del 27.11.2018 e numero 863 del 09.01.2019, la Prefettura di Agrigento ha disposto la nomina di due Commissari Straordinari, che conducono la gestione del contratto legato al servizio idrico e cioè la parte rilevante delle attività della Società sottraendosi a qualsivoglia controllo o indirizzo da parte dell'Assemblea dei soci, che non può nemmeno effettuare scelte di natura straordinaria, quali investimenti strutturali mirati a consentire il superamento dell'attuale profonda crisi in cui l'azienda versa. La concreta, materiale impossibilità di gestire la propria impresa ed i propri investimenti di importo così ingente e per un lasso di tempo così lungo non possano non ascriversi al concetto di lesione diretta e personale della sfera giuridica dei soci. Del pari, risulta impossibile negare come l'azione proposta dagli odierni appellanti sia realmente animata dal fine di conseguire una “posizione di vantaggio che attiene ad uno specifico bene della vita”, dal momento che, come illustrato sopra, la caducazione del provvedimento impugnato in prime cure sortirebbe l'effetto immediato di consentire la reintegra delle società appellanti nel concreto ed effettivo esercizio dei poteri connessi allo status di soci. Inoltre l'informativa si traduce in un danno di natura economica diretta sul patrimonio dei soci, in considerazione della pessima gestione da parte dei Commissari. Infine, si evidenzia il grande risalto mediatico e conseguente discredito che il provvedimento impugnato gettano sulle imprese e sull'attività imprenditoriale della famiglia -omissis-. L'opzione interpretativa seguita dal T.A.R. non è, ad avviso degli appellanti, percorribile, in quanto lesiva del diritto di difesa sancito dagli articolo 24 e 113 della Costituzione, nonché dell'articolo 6 della CEDU, poiché gli appellanti non disporrebbero di alcun rimedio giurisdizionale per impugnare l'informativa prefettizia ed il conseguente provvedimento di commissariamento. 3.2. Con il secondo e terzo motivo si ripropongono le censure avverso la motivazione a supporto dell'interdittiva impugnata, non esaminate in primo grado. 3.3. Con il quarto motivo si ripropone la censura di illegittimità derivata delle disposte risoluzioni contrattuali. 4. Costituitasi in giudizio, l'Amministrazione intimata, con successiva memoria, eccepisce l'inammissibilità dell'appello, perché focalizzato esclusivamente e genericamente sul profilo dell'interesse a ricorrere, anziché sulla legittimazione ad agire, e comunque l'infondatezza dello stesso in ordine al profilo di rito, alla stregua dell'orientamento della giurisprudenza in materia, con specifico riferimento alla sentenza del Consiglio di Stato numero -omissis già richiamata nella decisione appellata. Nel merito, difende la legittimità del provvedimento emesso dalla Prefettura, ampiamente motivato e supportato da congrua istruttoria. Produce un prospetto riepilogativo e di confronto della gestione dei ricorrenti e dei Commissari prefettizi, al fine di smentire le accuse di gestione “disastrosa” da parte di questi ultimi. 5. L'A.T.O. AG9 di Agrigento si è costituita in giudizio al fine di resistere all'appello, insistendo nella inammissibilità ed infondatezza del ricorso introduttivo del giudizio in primo grado. In ordine al primo profilo, richiama gli articolo 78 e 81 c.p.c., che prevedono la nomina di un curatore o un institore nelle ipotesi in cui “manca la persona a cui spetta la rappresentanza o l'assistenza, e vi sono ragioni d'urgenza”. Ripropone l'eccezione rimasta assorbita nella statuizione del primo giudice, secondo la quale in nessun caso può essere “recuperata” l'ammissibilità del ricorso neppure con riferimento alla persona fisica del sig. -omissis-, ex amministratore e soggetto controindicato nella informativa, in quanto le situazioni soggettive quali il diritto alla reputazione, alla dignità, all'immagine etc. non hanno natura di interessi legittimi ma di diritti soggettivi, in ipotesi da azionare innanzi al G.O., con conseguente ulteriore profilo di inammissibilità del gravame per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo adito. Argomenta l'ulteriore inammissibilità del rimedio per una non compiuta contestazione di alcuni snodi decisori. 6. Con memoria gli appellanti replicano all'eccezione di inammissibilità dell'appello deducendo che la sentenza appellata ha statuito con un unico capo l'insussistenza della legittimazione ad agire e solo in ragione della distinzione soggettiva tra soci e società, per cui era su questo profilo e non su altri che l'impugnazione si doveva concentrare a pag. 6 secondo capoverso del ricorso in appello gli appellanti chiariscono che l'argomentazione ivi esposta è volta a dimostrare la sussistenza di una “posizione di vantaggio che attiene ad uno specifico bene della vita”, che è la definizione comune di interesse legittimo a pag. 8 gli appellanti hanno dedotto che il giudice amministrativo non deve limitarsi ad una mera ricognizione dei soggetti formalmente individuati come destinatari del provvedimento impugnato, giacché diversamente opinando “resterebbero fuori da ogni tutela tutti coloro che, pur non espressamente individuati come destinatari del provvedimento, ne sarebbero chiaramente ed inconfutabilmente lesi” gli appellanti hanno chiarito di essere soci della Società attinta dall'interdittiva, e dunque di possedere la titolarità di un rapporto giuridico direttamente interessato dall'esercizio del potere amministrativo oggetto di contestazione in ogni caso, secondo quanto previsto dall'articolo 32 del c.p.a., il Giudice è titolare del potere di qualificare l'azione “sulla base degli elementi sostanziali”. Gli interessati replicano, poi, alle ulteriori eccezioni dell'Amministrazione e dell'A.T.O. e, nel merito, insistono nelle proprie deduzioni evidenziando il contrasto nell'ambito della giurisprudenza del Consiglio di Stato sul tema della legittimazione a ricorso avverso informative antimafia. Sull'eccezione di difetto di giurisdizione eccepiscono che la giurisdizione non si radica sulla base delle caratteristiche soggettive del soggetto ricorrente, ma tenendo conto della situazione giuridica soggettiva in cui il ricorrente versa a fronte dell'Amministrazione. 7. Replica l'Amministrazione richiamando il principio scolpito dall'articolo 81 c.p.c. e precisando che le situazioni soggettive in questione in capo ad ex soci o amministratori hanno natura di diritti soggettivi, da azionare innanzi al giudice ordinario, con conseguente ulteriore profilo di inammissibilità del gravame per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo adito. 8. Nell'udienza camerale del 14 aprile 2021 il ricorso, nell'accordo delle parti, è stato rinviato al merito. 9. Le parti hanno svolto ulteriori difese e depositato documenti in vista dell'udienza di merito, celebratasi da remoto in data 16 giugno 2021. 10. Il presente ricorso viene deferito all'esame dell'adunanza plenaria del Consiglio di Stato, ai sensi dell'articolo 99, co. 1, c.p.a., stante il contrasto giurisprudenziale in atto in ordine al punto di diritto sottoposto all'esame del Collegio con il primo motivo di appello impugnabilità dell'interdittiva antimafia solo dall'impresa destinataria, come ritenuto dal giudice in primo grado, in quanto soggetto di diritto che ne patisce gli effetti diretti, ovvero anche da parte di amministratori e soci . In esito alla risoluzione di tale questione può prospettarsi altro profilo suscettibile di dar luogo a divergenti soluzioni interpretative, che del pari si sottopone, in via subordinata all'esito del primo quesito, alla Plenaria. 11. Occorre premettere che le eccezioni preliminari sollevate dalle Amministrazioni appellate risultano infondate. 11.1. Quanto alla giurisdizione, perché il sig. -omissis-, rispetto al quale opererebbe la causa di inammissibilità, è solo una delle parti ricorrenti, accanto agli altri soggetti, azionisti della società attinta dalla interdittiva impugnata, i quali dichiaratamente agiscono, in forza delle partecipazioni azionarie, a tutela dell'integrità patrimoniale dei rispettivi investimenti eseguiti nell'azienda e dell'interesse ad esprimere consiglieri di amministrazione tramite i quali gestire l'attività d'impresa ed a ricoprire tali cariche. Inoltre, anche a tener conto della sola posizione processuale del predetto, deve sottolinearsi come lo stesso abbia proposto il ricorso, sia nell'ottica del recupero della carica di presidente del consiglio di amministrazione, sia in relazione al risalto mediatico e conseguente discredito che deriva dal provvedimento impugnato, e quindi solo sotto tale ultimo profilo non sussisterebbe, in tesi, la giurisdizione del giudice amministrativo. Peraltro, nel caso in questione viene impugnata l'interdittiva, chiedendone l'annullamento, facendo rilevare la lesività dell'atto impugnato, non per il diritto soggettivo alla reputazione in quanto tale, ma evidenziando il duplice interesse all'annullamento dello stesso, sia per conseguire il pieno recupero delle ordinarie condizioni giuridiche, gestorie ed economiche aziendali, inclusa la direzione dell'impresa da parte degli organi sociali composti anche dal ricorrente, sia al fine di tutelare anche l'interesse morale alla propria immagine, compromessa dal provvedimento impugnato. Situazione all'evidenza diversa da quella oggetto della sentenza numero -omissis-, richiamata dalle Amministrazioni intimate a supporto della propria eccezione, in quanto in quel caso si chiedeva un accertamento ex articolo 34, comma 3, c.p.a. dell'illegittimità del provvedimento impugnato in primo grado in particolare, l'appellante aveva affermato che il suo interesse non era quello dell'annullamento dell'atto, ma semplicemente quello di ottenere l'accertamento dell'illegittimità dello stesso nella parte in cui conteneva affermazioni lesive della sua reputazione senza provvedere all'annullamento. Nel caso sottoposto a questo Consiglio, invece, l'interesse che muove l'impugnazione è diretto, non alla rettifica della motivazione, ma all'annullamento del provvedimento autoritativo che ha compresso la situazione giuridica soggettiva di interesse legittimo degli appellanti, in tesi illegittimamente leso. 11.2. Quanto all'inammissibilità per incompleta impugnazione della decisione, che ha escluso la legittimazione attiva e non la sussistenza dell'interesse, si deve osservare che, sebbene il primo motivo di appello sia rubricato “Erroneità della sentenza impugnata. Sussistenza in capo agli appellanti dell'interesse a ricorrere avverso l'informativa prefettizia”, poi nell'esposizione della censura il profilo di impugnazione viene correttamente inquadrato, in quanto gli appellanti, dopo aver affermato che “l'elemento da cui il Legislatore muove al fine di rintracciare la legittimazione ad agire è la sussistenza di un interesse connotato dall'attualità e da concretezza”, si sforzano di dimostrare l'esistenza di “una posizione di vantaggio che attiene ad uno specifico bene della vita”, che riconducono alla posizione di soci dell'impresa attinta dalla interdittiva, nella quale esercitavano i poteri legati alla gestione sociale ed avevano effettuato investimenti per diversi milioni di euro, precisando che “per effetto dell'emanazione dell'informativa interdittiva impugnata in prime cure…. gli odierni appellanti sono stati espropriati di gran parte dei loro poteri di soci”, per cui, per un verso, affermano che la concreta, materiale impossibilità di gestire la propria impresa ed i propri investimenti di importo così ingente e per un lasso di tempo così lungo concretizzano una lesione diretta e personale della sfera giuridica dei soci, e, per altro verso, sottolineano la “posizione di vantaggio che attiene ad uno specifico bene della vita”, dal momento che “la caducazione del provvedimento impugnato in prime cure sortirebbe l'effetto immediato di consentire la reintegra delle società odierne appellanti nel concreto ed effettivo esercizio dei poteri connessi allo status di soci, ed in estrema sintesi alla possibilità di gestire i propri investimenti e metterli realmente a frutto”. Di seguito, contrastano la tesi secondo la quale l'impugnazione sarebbe riservata solo ai “soggetti formalmente individuati come destinatari del provvedimento impugnato”, tesi che escluderebbe “da ogni tutela tutti coloro che, pur non espressamente individuati come destinatari del provvedimento, ne sarebbero chiaramente ed inconfutabilmente lesi”, affidando per di più < l'individuazione dei soggetti legittimati ad agire …… unicamente all'arbitrio dell'Amministrazione che potrebbe liberamente “scegliere” i suoi avversari, legittimandone alcuni ed espungendone altri> . Pare quindi che, indipendentemente dalla commistione che si rileva nel corso dell'esposizione tra i due concetti legittimazione-interesse , gli appellanti abbiano compiutamente censurato il percorso argomentativo del primo giudice. 12. Secondo la giurisprudenza, il ricorso è ammissibile se al momento della sua proposizione sussistono le condizioni dell'azione, cioè il c.d. titolo o possibilità giuridica dell'azione, l'interesse ad agire e la legittimazione attiva l'interesse a ricorrere consiste nella possibilità per chi agisce di ottenere un risultato favorevole anche di natura morale dall'accoglimento del ricorso, e sussiste se ed in quanto la lesione della posizione giuridica, per la tutela della quale si è proposta l'impugnazione, sia concreta e attuale, per cui solamente laddove l'atto amministrativo produca una lesione immediata e diretta alla sfera giuridica del ricorrente, questi ha interesse a promuovere azione di annullamento, perché solamente in questa ipotesi l'eventuale pronuncia giudiziale favorevole gli arreca un'utilità personale concreta e attuale. Perché un interesse possa essere tutelabile con un'azione giurisdizionale amministrativa, lo stesso deve essere, oltre che attuale, personale, e anche la lesione da cui discende l'interesse al ricorso, oltre che attuale, deve essere diretta, nel senso che deve incidere in maniera immediata sull'interesse legittimo proprio della parte ricorrente. È, quindi, da ritenere inammissibile, per difetto di legittimazione all'azione, il ricorso giurisdizionale proposto in difetto di un interesse giuridicamente protetto in capo al soggetto che propone l'azione giurisdizionale. D'altra parte, un soggetto giuridico, pur dotato di interesse di fatto, secondo la giurisprudenza può essere privo di giuridica legittimazione a proporre un'azione giudiziaria, qualora la stessa, sia pure strumentalmente, sia volta a provocare effetti giuridici ancorché indiretti e mediati nella sfera di un altro soggetto, in quanto l'esercizio nell'ambito del giudizio amministrativo dell'azione non può essere delegato fuori da una espressa previsione di legge, né surrogato dall'azione sostitutoria di un altro soggetto. Giova al riguardo richiamare il generale principio di cui all'articolo 81 c.p.c. per il quale Fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui , applicabile anche nel processo amministrativo in forza del richiamo di cui all'articolo 39 c.p.a. 12.1. Sulla specifica questione dei soggetti legittimati ad impugnare le informative prefettizie non si registra unanimità nella giurisprudenza del Consiglio di Stato. La decisione della III Sez. numero -omissis del 22 gennaio 2019 richiamata nella sentenza del T.A.R. Sicilia appellata ha stabilito che il ricorso proposto da soggetti diversi dall'impresa destinataria dell'interdittiva è inammissibile per carenza di legittimazione attiva, in quanto il decreto prefettizio può essere impugnato solo dal soggetto che ne patisce gli effetti diretti sulla sua posizione giuridica di interesse legittimo. Negli stessi termini le decisioni, sempre della Sez. III, 14.10.2020 numero 6205, 16.5.2018 numero 2895, 11.5.2018 numero 2829 e numero 2824 si ascrive al medesimo orientamento la decisione numero 4657/2015 relativa al difetto di legittimazione di mandataria di ATI seconda classificata ad interloquire su interdittiva relativa alla prima classificata. 12.2. Nel senso invece della legittimazione dell'amministratore della società attinta da informativa a impugnare in proprio, per proprio interesse morale, si è espressa sempre la Sez. III con decisione 4.4.2017 numero 1559, relativa a ricorso proposto da ex amministratori della società, o loro parenti, menzionati nell'interdittiva quali soggetti partecipi degli elementi indiziari da cui viene desunto il pericolo di condizionamento di stampo mafioso, ritenendosi la sussistenza della legittimazione al ricorso, in ragione della lesione concreta ed attuale della situazione professionale e patrimoniale dei soggetti che abbiano dovuto rinunciare all'incarico di amministratori della società, nonché sotto il profilo della potenziale lesione dell'onore e reputazione personale dei soggetti sui quali nel provvedimento venga ipotizzato un condizionamento mafioso. Una certa apertura pare evincersi anche dalla decisione del Consiglio di Stato sez. III, 7.4.2021 numero 2793, sebbene nella diversa fattispecie di scioglimento dell'Organo consiliare ai sensi dell'articolo 143 del d.lgs. numero 267/2000, ove si ritiene < che l'ammissibilità del ricorso vada riconosciuta alla stregua del più recente e favorevole indirizzo propenso a conferire rilevanza all'interesse, quanto meno morale, a che gli amministratori del disciolto Consiglio, a tutela della loro stessa immagine e reputazione, facciano dichiarare l'erroneità delle affermazioni contenute nel provvedimento impugnato e, quindi, l'inesistenza di forme di pressione e di vicinanza della compagine governativa alla malavita organizzata Cons. St., sez. III, numero 4074/2020 e 5548/2020 . 1.3. Né vale obiettare, come pure fa la parte appellata, che la lesione dell'immagine del singolo ex amministratore discende semmai e a tutto voler concedere essenzialmente dai fatti posti a fondamento della misura dissolutoria, l'accertamento della cui veridicità è oggetto di verifica solo incidentale da parte del giudice amministrativo. La tesi non persuade in quanto non si può negare che quei fatti assurgono a significanza proprio per il tramite del giudizio valutativo altamente discrezionale che ne rende l'amministrazione, sicché, se la portata del loro disvalore è compendiata ed enucleata essenzialmente nell'atto ex articolo 143, è certamente apprezzabile l'interesse demolitorio volto a contrastare l'interpretazione che in detto atto risulta trasposta e cristallizzata> . Quanto fin qui detto evidenzia dunque una situazione di contrasto in giurisprudenza in ordine alla tematica in questione. 12.3. La questione che si intende sottoporre all'Adunanza Plenaria è quindi relativa alla possibilità, o meno, di riconoscere, in capo ad ex amministratori e soci di una società attinta da interdittiva antimafia, autonoma legittimazione a ricorrere, avuto riguardo alla situazione giuridica dedotta in giudizio, che si pretende direttamente ed immediatamente pregiudicata dall'interdittiva a causa della sostituzione degli organi di gestione, con perdita, da parte degli ex amministratori, delle cariche ricoperte, e quindi pregiudizio professionale impossibilità di effettuare scelte imprenditoriali strategiche e quindi compromissione degli investimenti economici profusi nell'azienda, quanto ai soci con lesione della dignità e reputazione, quanto ai soggetti le cui vicende personali e familiari costituiscano diretto oggetto di motivazione . La questione postula anche la risoluzione del problema della individuazione dei soggetti che patiscano “effetti diretti” dall'adozione di provvedimenti di siffatta natura questione risolta in senso negativo dal giudice in primo grado . 13. La soluzione cui tende questo Consiglio è quella seguita dal secondo orientamento giurisprudenziale, per le ragioni che si passano ad esporre, fondate sia sul quadro normativo, sia sulla specifica e peculiare situazione fattuale, avuto riguardo al contenuto concreto della informativa antimafia. 13.1. Dall'analisi degli articolo 84 e 91 d.lgs. numero 159/2011, emerge che l'emanazione dei provvedimenti interdittivi costituisce frutto di un procedimento amministrativo connotato da una natura tendenzialmente cautelare e con finalità preventiva dell'infiltrazione mafiosa, al quale, secondo la giurisprudenza, non possono essere estese le garanzie del contraddittorio di cui alla l. numero 241/1990, e ciò nonostante la decisione prefettizia si basi generalmente su accertamenti di fatto complessi, in qualche caso addirittura di tipo indiziario, nell'ambito dei quali ben possono manifestarsi significativi margini di errore. Al riguardo, il T.A.R. Puglia, con ordinanza della Sez. III 20 gennaio 2020, numero 28 di rimessione alla Corte di Giustizia della questione della compatibilità degli articolo 91,92 e 93 del codice antimafia con il diritto eurounitario, aveva osservato che il provvedimento di cui si discute non costituisce una misura provvisoria e strumentale, adottata in vista di un provvedimento che definisca, con caratteristiche di stabilità e inoppugnabilità, il rapporto giuridico controverso, bensì atto conclusivo del procedimento amministrativo avente effetti definitivi, conclusivi e dissolutori del rapporto giuridico tra l'impresa e la P.A., con riverberi assai durevoli nel tempo, se non addirittura permanenti, indelebili e inemendabili, evidenziando il possibile contrasto tra l'esclusione del contraddittorio endoprocedimentale e le fonti eurounitarie, con riferimento specifico al diritto a una buona amministrazione sancito dall'articolo 41 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea che comprende “ il diritto di ogni persona di essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che le rechi pregiudizio” riconosciuta avente “lo stesso valore giuridico dei trattati” ex articolo 6, par. 1, del Trattato UE. La Corte di Giustizia, come noto, con ordinanza della sez. IX, 28 maggio 2020, C-17/20, MC, ha dichiarato irricevibile la domanda di pronuncia pregiudiziale ritenendo che l'ordinanza del giudice nazionale non avesse fornito dati idonei a dimostrare l'esistenza di un criterio di collegamento della disciplina nazionale con il diritto UE ovvero a dimostrare che detta disciplina costituisca attuazione di quest'ultimo, precisando che l'articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali UE si rivolge non agli Stati membri bensì unicamente alle istituzioni, agli organi e agli organismi dell'Unione europea se è vero che il principio del rispetto dei diritti della difesa costituisce un principio generale del diritto UE che trova applicazione quando l'amministrazione intende adottare nei confronti di una persona un atto che le arrechi pregiudizio – sicché in forza di tale principio i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l'amministrazione intende fondare la sua decisione – è altrettanto vero che “tale obbligo incombe sulle amministrazioni degli Stati membri ogniqualvolta esse adottano decisioni che rientrano nella sfera d'applicazione del diritto dell'Unione, quand'anche la normativa dell'Unione applicabile non preveda espressamente siffatta formalità”. Sebbene la decisione lasci il nodo irrisolto, specie se si consideri che i provvedimenti in questione appaiono “trasversali”, coinvolgendo la libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi previste dal TFUE e potendo impattare sulle disposizioni del diritto dell'Unione europea relative alle libertà fondamentali, occorre sottolineare che il principio ivi comunque espresso circa la rilevanza eurounitaria del contraddittorio riprende e rilancia i principi in precedenza espressi nella decisione del 9 novembre 2017, in C-298/16, secondo cui “…… il rispetto dei diritti della difesa costituisce un principio generale del diritto dell'Unione che trova applicazione ogniqualvolta l'amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto che gli arreca pregiudizio. In forza di tale principio, i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l'amministrazione intende fondare la sua decisione. Tale obbligo incombe sulle amministrazioni degli Stati membri ogniqualvolta esse adottano decisioni che rientrano nella sfera d'applicazione del diritto dell'Unione, quand'anche la normativa dell'Unione applicabile non preveda espressamente siffatta formalità sentenza del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses, C-419/14, EU C 2015 832, punto 84 e giurisprudenza ivi citata ”. 13.2. Ciò detto, il sacrificio delle garanzie procedimentali potrebbe essere bilanciato dalla possibilità di far valere le proprie ragioni in sede giurisdizionale anche da parte dei soggetti che sono immediatamente e gravemente incisi dal provvedimento prefettizio, sebbene non formalmente diretti destinatari dello stesso, ove si riguardi, i quanto alla posizione dei soci, alla perdita di ogni controllo sulla gestione aziendale ove sovente sono stati investiti ingenti capitali, e ii quanto alla posizione degli ex amministratori, alla sostanziale espunzione da un'attività professionale che spesso costituisce l'unica fonte di reddito, senza tralasciare il discredito e la lesione alla reputazione ed onore dei soggetti le cui vicende personali ed i precedenti giudiziari vengono ampiamente richiamati, interpretati ed esternati con grave connotazione negativa negli atti di cui si discute il tutto senza che questi ultimi, diretti interessati spesso a conoscenza di altri fatti rilevanti e finanche decisivi, abbiano mai potuto interloquire non in sede procedimentale, fase nella quale il contraddittorio, come visto, è escluso a maggior ragione con riferimento a soggetti diversi dal destinatario dell'interdittiva , e nemmeno in via giurisdizionale. Ecco che tale ultima conclusione sottopone ad evidente tensione l'applicazione dell'istituto con i principi eurounitari sopra richiamati, oltre che con i principi costituzionali di cui agli articolo 24 e 111 Cost. 13.3. Il caso in questione costituisce una plastica rappresentazione del rischio sopra evidenziato, essendo sufficiente ricordare che il provvedimento impugnato si basa, tra l'altro, sull'esito “della nuova istruttoria“ dalla quale l'Amministrazione ha ritenuto fossero emerse “a nuova luce” le frequentazioni del sig. -omissis con soggetti appartenenti o comunque legati all'organizzazione mafiosa di Cosa Nostra laddove l'interessato oppone che a partire dal 2005 ha, invece, instaurato una collaborazione duratura, continua e concreta con le forze di Polizia, presentando numerose denunce e contribuendo in maniera determinante alle indagini sul racket delle estorsioni e sulla criminalità organizzata del territorio agrigentino ed all'arresto di diversi malavitosi, alcuni dei quali condannati proprio grazie alle sue deposizioni. Sotto altro verso, il provvedimento si basa ampiamente su ricostruzioni delle relazioni familiari e tra familiari e malavitosi in ordine alle quali l'interessato sottopone molteplici argomenti a contrario. Ora, proprio la caratteristica della motivazione di tali provvedimenti evidenzia un irrimediabile vulnus laddove ai soggetti le cui vicende personali, anche molto risalenti e addirittura già oggetto di valutazione favorevole in occasione di precedenti provvedimenti favorevoli, vengano rivisitate in chiave opposta, non venisse consentito di interloquire, avuto riguardo alle conseguenze esiziali che poi derivano dall'interdittiva anche per gli stessi sul piano individuale e patrimoniale. Il riconoscimento della legittimazione al ricorso potrebbe, tra l'altro, compensare l'omessa garanzia del contraddittorio endoprocedimentale. 13.4. Sotto ulteriore profilo, occorre considerare che, nonostante la giurisprudenza tradizionalmente affermi una netta demarcazione tra le aree di intervento della repressione penale e della prevenzione amministrativa, nell'ambito della quale si estrinsecano i provvedimenti in questione, è innegabile che gli elementi costitutivi dei presupposti applicativi dell'informazione antimafia siano correlati sovente ad una libera valutazione o addirittura rivalutazione in senso ostativo di fatti oggetto di procedimenti penali o indagini di polizia ovvero, ad un giudizio prognostico-probabilistico applicato ad un insieme di fatti ritenuti sintomatici, di apprezzabile significato indiziario, dai quali si perviene alla ragionevole conclusione di permeabilità mafiosa, secondo il criterio civilistico del più probabile che non , con la conseguenza che non trovano nemmeno applicazione le regole della certezza al di là di ogni ragionevole dubbio necessaria per pervenire alla condanna penale, né la garanzia fondamentale della presunzione di non colpevolezza di cui all'articolo 27, comma 2, Cost., alla quale è ispirato anche l'articolo 6 CEDU. Ciò, nonostante l'invasività degli effetti delle misure in questione, per pervenire alle quali si attinge normalmente a piene mani da atti di procedimenti penali, senza però che il procedimento in questione, formalmente amministrativo, contempli alcune delle garanzie riconosciute all'indagato e/o all'imputato. La possibilità di ricorrere consentirebbe a chi si trova definitivamente estromesso da ogni attività economica/professionale di recuperare, quantomeno a provvedimento emesso, attraverso la tutela giudiziale, parte delle garanzie ordinariamente connesse a provvedimenti di natura gravemente afflittiva. 14. Nell'ipotesi in cui si seguisse l'orientamento favorevole alla legittimazione degli odierni appellanti, ne conseguirebbe la riforma della decisione di primo grado, che, dichiarato il ricorso inammissibile, non ha esaminato alcuna delle censure avverso l'interdittiva impugnata. In tal caso la devoluzione al giudice d'appello dell'ulteriore segmento della controversia imporrebbe l'analisi di una ulteriore questione, che si ritiene parimenti di sottoporre. 14.1. La riforma della decisione in rito comporterebbe l'esame delle censure nel merito, alla stregua del noto principio, espresso dalla decisione dell'adunanza plenaria del 28.9.2018, numero 15 e recentemente riaffermato da Consiglio di Stato sez. II, 2.11.2020, numero 6713, secondo il quale la pronuncia che dichiara erroneamente l'irricevibilità, l'inammissibilità o l'improcedibilità di un ricorso giurisdizionale consuma il potere decisorio da parte del primo Giudice e, stante l'effetto devolutivo dell'appello, impone al secondo Giudice, una volta riscontrato tale error in iudicando, di pronunciarsi nel merito. La peculiarità della fattispecie, tuttavia, ad avviso del Collegio, comporterebbe conseguenze, sul piano processuale, tali da sottoporre a seria tensione la tenuta del principio sopra richiamato con i valori di rango costituzionale del diritto alla difesa, del contraddittorio processuale e del giusto processo. 14.2. Si è, infatti, premesso che la decisione appellata ha respinto la richiesta di riunione tra i ricorsi RG nnumero -omissis-. Ebbene il numero -omissis-, proposto da -omissis e da alcuni componenti del Consiglio di Amministrazione della società diversi dagli odierni appellanti , è volto all'annullamento del medesimo atto impugnato con il ricorso numero -omissis deciso con la sentenza appellata interdittiva antimafia della Prefettura di Agrigento prot. numero -omissis- il numero -omissis è proposto da -omissis e dai medesimi componenti di C.A. di cui al numero -omissis per l'annullamento del decreto prot. numero 34829 del 27.11.2018 con cui il Prefetto di Agrigento ha disposto, in seguito alla interdittiva, il Commissariamento della Società ex articolo 32 d.l. numero 90/2014 il numero -omissis-, proposto da alcuni degli odierni appellanti, è volto all'annullamento sia dei decreti numero 34829 del 27.11.2018 impugnato con il numero -omissis- e numero 863 del 09.01.2019, con cui sempre in esito all'interdittiva l'Amministrazione ha sospeso l'esercizio dei poteri di disposizione e gestione degli organi della Società, nominando due Commissari Straordinari per la prosecuzione delle attività connesse alla esecuzione della convenzione stipulata da -omissis con l'ATO, sia dell'interdittiva numero -omissis-, già impugnata da -omissis con il ricorso r.g. -omissis- il numero -omissis-, proposto da -omissis-, è volto all'annullamento di uno degli atti impugnati con il ricorso numero -omissis deciso con la sentenza appellata, la delibera dell'ATI di Agrigento numero 14 del 23.11.2018 tuttavia gli appellanti hanno espressamente prestato acquiescenza alla declaratoria di inammissibilità in primo grado . Come si vede, con il ricorso numero -omissis R.G. deciso con la sentenza del cui appello si discute è stata impugnata –da altri soggetti la stessa interdittiva già impugnata dalla società destinataria con ric. numero -omissis-, e alcuni dei ricorrenti del numero -omissis avevano poi impugnato lo stesso atto con successivo ric. numero -omissis R.G. Ora, vero è che i provvedimenti circa la riunione di cui all'articolo 70 del c.p.a., al pari di quelli di cui agli articoli 273 e 274 del c.p.c., tradizionalmente vengono ritenuti non sindacabili, posto che l'opportunità della riunione dei giudizi è rimessa alla discrezionalità del giudice innanzi al quale pendono i giudizi stessi, il cui mancato esercizio, sebbene ne sussistano i presupposti, non può di per sé costituire vizio della pronuncia, essendo sindacabile soltanto per manifesta abnormità Cons. St., sez. III, 30.09.2020, numero 5746 e giur. ivi richiamata , ma con l'unica eccezione del caso in cui la medesima domanda sia proposta con due distinti ricorsi dinanzi al medesimo giudice. Nel caso in questione, tralasciando la situazione del ric. -omissis-, si rileva che la medesima interdittiva già impugnata dalla società destinataria con il ric. -omissis era stata poi impugnata dai soci e componenti del Consiglio di amministrazione tanto con il ricorso numero -omissis quanto con il successivo numero -omissis-. 14.3. La mancata riunione, nel caso in cui questo Consiglio dovesse decidere l'appello nel merito, comporterebbe la privazione di un grado di giudizio anche a discapito degli altri ricorsi proposti avverso il medesimo provvedimento da soggetti diversi -omissis-e consorti , i quali si troverebbero a vedere deciso in unico grado di appello il ricorso contro il medesimo provvedimento oggetto del loro ricorso al Tar, senza che in questo grado di giudizio possano essere, ovviamente, esaminati i motivi dei loro ricorsi. E' infatti evidente che, allorquando venga emessa una decisione in appello sulla questione sostanziale sottoposta da soci ed ex amministratori della società attinta dall'interdittiva, pendente in primo grado il ricorso proposto dall'impresa che nel caso in questione non risulta nemmeno fissato , l'esito di quest'ultimo verrebbe inevitabilmente pregiudicato dalla decisione, in ipotesi negativa, intervenuta in appello, le cui considerazioni verrebbero, verosimilmente, fatte proprie dal giudice di primo grado, specie a fronte di censure simili. E ciò senza che l'impresa ricorrente abbia potuto in alcun modo esercitare il proprio diritto alla difesa. Infatti, sebbene nel caso del ric. numero -omissis il contraddittorio sia stato esteso alla -omissis-, alla stessa, che riveste –in tale giudizio la posizione processuale di cointeressata, è precluso ogni ampliamento del thema decidendum siccome cristallizzato dall'impugnazione in primo grado. Per cui finirebbe per subire le conseguenze di una, in ipotesi incompiuta o incongruente, o anche semplicemente non condivisa, formulazione di un ricorso altrui. 15. Conclusivamente, il Collegio sottopone all'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato le seguenti questioni 15.1. se in materia di impugnazione di interdittive antimafia vada, o meno, riconosciuta, in capo ad ex amministratori e soci della società attinta, autonoma legittimazione a ricorrere, avuto riguardo alla situazione giuridica dedotta in giudizio, e se gli stessi vadano ritenuti soggetti che patiscano “effetti diretti” dall'adozione di provvedimenti di siffatta natura 15.2. in caso di soluzione positiva al primo quesito, se l'effetto devolutivo proprio dell'appello si estenda anche al caso in cui il ricorso in primo grado non sia stato riunito a ricorsi aventi ad oggetto l'impugnazione del medesimo provvedimento da parte degli stessi ovvero da diversi ricorrenti. Salvo che l'Adunanza plenaria intenda decidere per intero la causa ex articolo 99 co. 4 c.p.a., il Collegio si riserva, all'esito della restituzione degli atti da parte dell'Adunanza plenaria, la decisione del merito alla luce dei principi di diritto che l'Adunanza plenaria enuncerà. P.Q.M. Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, non definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, ne dispone il deferimento all'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato. Manda alla segreteria della sezione per gli adempimenti di competenza, e, in particolare, per la trasmissione del fascicolo di causa e della presente ordinanza al segretario incaricato di assistere all'Adunanza Plenaria. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, numero 196, e dell'articolo 10 del Regolamento UE 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare i soggetti privati menzionati in questa decisione.