In tema di revocatoria fallimentare, ai fini dell’operatività dell’esenzione prevista dall’articolo 67, comma 3, lett. a l. fall., l’espressione “termini d’uso”, utilizzata per individuare i pagamenti di beni e servizi non soggetti all’azione revocatoria, non si riferisce alle forniture che costituiscono oggetto del pagamento, ma ai pagamenti stessi, i quali risultano quindi opponibili alla massa dei creditori, anche se eseguiti ed accettati difformemente dalle previsioni contrattuali, purché siano stati effettuati secondo tempi e modalità corrispondenti a quelli che hanno caratterizzato il rapporto tra le parti nel suo concreto svolgimento.
Il caso. Una S.r.l. in liquidazione e in amministrazione straordinaria conveniva in giudizio un'altra società per sentir dichiarare l' inefficacia ex articolo 67, comma 2, l. fall., di diversi pagamenti nei mesi di aprile – maggio 2009 effettuati in anticipo per forniture eseguite dall' accipiens . La società convenuta si costituiva eccependo l'esenzione da revocatoria per i citati pagamenti ai sensi dell' articolo 67, comma 3, lett. a l. fall. sostenendo che le forniture erano state eseguite su richiesta del liquidatore della società stessa perché ritenute indispensabili per la preservazione del patrimonio aziendale. Sia il Tribunale sia la Corte d'Appello in secondo grado accoglievano la domanda di revocatoria respingendo le difese dell' accipiens . Questi ricorreva allora in Cassazione. La decisione della Cassazione. Nei gradi di merito i giudici avevano riscontrato modalità difformi rispetto ai “termini d'uso” dei pagamenti impugnati. Nello specifico era emerso che prima di aprile – maggio 2009 i versamenti in favore della convenuta fornitrice avvenivano a sessanta giorni dalla consegna o ancora più tardi in ragione di specifiche dilazioni pattuite. Nel periodo invece oggetto del giudizio aprile – maggio 2009 appunto i pagamenti venivano eseguiti in anticipo rispetto all'esecuzione delle forniture e ciò dietro specifica pretesa della convenuta fornitrice. In sostanza, secondo il Tribunale e la Corte d'Appello, tale situazione implicava uno stravolgimento dei termini d'uso dei pagamenti e non consentiva l'applicazione dell'esenzione da revocatoria invocata dalla convenuta. Così pure privi di pregio erano i riferimenti alla pretesa indispensabilità delle forniture per la prosecuzione dell'attività di impresa. La ricorrente svolgeva un unico motivo di ricorso in Cassazione affermando che nella fattispecie doveva operare a ragione l'esenzione da revocatoria ex articolo 67, comma 3, lett. a l. fall. . Nello specifico la norma esclude dal rischio revocatoria fallimentare «i pagamenti di beni e servizi effettuati nell'esercizio dell'attività d'impresa nei termini d'uso». In questo senso, secondo la società, la locuzione termini d'uso era riferibile sia ai pagamenti, sia alle forniture. Nella fattispecie quindi occorreva verificare che le prestazioni svolte dall' accipiens riguardassero prodotti/beni compatibili con l'ordinario fabbisogno dell'impresa. Così risultava e pertanto la società invocava l'applicazione dell'esenzione citata. Sempre secondo la ricorrente, questa interpretazione sarebbe in linea con la ratio della norma, cioè favorire la continuazione dell'esercizio dell'impresa e non frustrare eventuali prospettive di risanamento. La Cassazione dà atto dell'effettiva sussistenza di tale orientamento dottrinale diffusosi subito dopo l'entrata in vigore della norma nel 2005. Una soluzione di questo tipo - si legge nel provvedimento in commento - eviterebbe in effetti di rimettere l'operatività dell'esenzione alla discrezionalità del debitore, cosa che invece si potrebbe verificare in ipotesi con il riferimento ai soli pagamenti . Di fatto collegando l'esenzione alle forniture si tutelerebbero maggiormente i fornitori/creditori che sarebbero in grado di valutare sin da subito il rischio revocatoria al momento dell'esecuzione della prestazione. Tuttavia, gli Ermellini rileggono la lettera a dell' articolo 67 l.fall. e chiariscono che proprio dal punto di vista logico-grammaticale-lessicale l'esenzione non può riferirsi alle forniture. Il soggetto di riferimento non sono le forniture sostantivo peraltro assente bensì i pagamenti infatti il verbo effettuare potrebbe riferirsi ai servizi, ma non certo ai beni. Da ciò consegue che il predicato “effettuati” è necessariamente legato ai pagamenti. Così pure la locuzione termini d'uso è evidentemente collegata al verbo effettuati e quindi, anch'essa, ai “pagamenti” e non ai “beni e servizi”. La Cassazione si uniforma ai precedenti giurisprudenziali secondo i quali i “termini d'uso” vanno necessariamente verificati in relazione ai pagamenti di beni e servizi . Questi – i pagamenti - si “salvano” quindi dalla revocatoria se sono effettuati secondo tempi e modi conformi a quelli che hanno caratterizzato i rapporti tra le parti Cass. civ., sez. I, 7 dicembre 2015, numero 25162 . Occorre allora verificare in concreto come si sono svolte le relazioni tra i contraenti nel senso che l'esenzione può operare anche se “sulla carta” le pattuizioni contrattuali originarie erano difformi. Si è infatti osservato che non sono revocabili i versamenti di corrispettivi che - pur essendo avvenuti oltre i tempi previsti da contratto - sono stati di fatto eseguiti ed accettati in termini diversi nell'ambito di plurimi adempimenti ed in periodi non sospetti, tanto da non poter essere più considerati come in ritardo divenendo così, per prassi, “esatti adempimenti” Cass. civ, sez. I, 7 dicembre 2020, numero 27939 . La ratio dell' esenzione allora sempre secondo Cass. civ, sez. I, 7 dicembre 2020, numero 27939 non sarebbe più tanto la tutela della prosecuzione dell'attività di impresa, bensì l' esigenza di mitigare il rigore del rimedio revocatorio in presenza di interessi ritenuti superiori dal legislatore che - per la lett. a dell' articolo 67 l. fall . - consistono nella libertà per gli imprenditori di attuare modalità di pagamento differenti da quelle pattuite inizialmente. L'importante è che la prassi anteriore sia adeguatamente consolidata e stabile così da potersi presentare come nuova regola sorta inter partes. In sostanza la norma esprime il principio per cui l'accettazione di un mezzo inusuale di pagamento per essere appunto contrario alle pattuizioni contrattuali e/o agli usi invalsi tra le parti lascia presumere iuris et de iure la violazione della par condicio creditorum perché denota il venir meno della correttezza dei rapporti ed evidenzia il possibile sfruttamento della situazione di difficoltà del debitore. In conclusione , il ricorso viene rigettato dal momento che i pagamenti effettuati dalla società nel periodo immediatamente precedente la dichiarazione dello stato di insolvenza erano avvenuti in difformità sia rispetto alle condizioni originariamente stabilite tra le parti, sia rispetto a quelle successivamente convenute a modifica delle medesime. Infatti, secondo il contratto i pagamenti dovevano avvenire a sessanta giorni dalla consegna della merce, dopo la messa in liquidazione era stato concordato il pagamento a vista, ma dal mese di aprile 2009 in poi l' accipiens aveva espressamente condizionato la prosecuzione delle forniture a pagamenti anticipati stravolgendo tutti i possibili “termini d'uso” invalsi tra i contraenti.
Presidente Genovese – Relatore Mercolino Fatti di causa 1. La Caffaro Chimica S.r.l. in liquidazione in amministrazione straordinaria convenne in giudizio la Sapio Produzione Idrogeno Ossigeno S.r.l., per sentir dichiarare, ai sensi del R.D. 16 marzo 1942, numero 267, articolo 67, comma 2, l'inefficacia dei pagamenti anticipati per forniture eseguiti tra il mese di aprile ed il mese di maggio 2009 in favore della convenuta, con la condanna della stessa alla restituzione dell'importo di Euro 79.296,00. Si costituì la Sapio, ed eccepì l'operatività dell'esenzione prevista dall'articolo 67, comma 3, lett. a , della L. Fall ., assumendo che le forniture erano state effettuate su richiesta del liquidatore della società attrice, in quanto ritenute indispensabili per la preservazione del patrimonio aziendale, nella prospettiva di una soluzione non concorsuale della crisi d'impresa. 1.1. Con sentenza del 10 aprile 2014, il Tribunale di Udine accolse la domanda, rilevando che i pagamenti impugnati, preceduti da pagamenti parziali eseguiti con notevole ritardo, erano stati effettuati con modalità difformi da quelle abitualmente praticate nei rapporti tra le parti, e ritenendo ininfluenti, in quanto riflettenti opinioni meramente personali, le assicurazioni fornite in proposito dal liquidatore. 2. L'impugnazione proposta dalla Sapio è stata rigettata dalla Corte d'appello di Trieste con sentenza del 15 settembre 2015. A fondamento della decisione, la Corte ha ritenuto che l'esistenza di insoluti per complessivi Euro 345.000,00 non consentisse di presumere la totale assenza di pagamenti nel corso del rapporto, rilevando che dalla documentazione prodotta risultava l'avvenuta pattuizione di pagamenti posticipati di sessanta giorni e l'effettuazione di pagamenti parziali. Ha precisato che, mentre prima del mese di maggio 2009 erano previsti pagamenti posticipati, i pagamenti effettuati nel periodo aprile-maggio 2009 erano anticipati rispetto alle forniture, con conseguente alterazione dei termini d'uso. Ha escluso che tale modifica fosse stata determinata dalla stipulazione di un nuovo accordo in sostituzione di quello precedente, ormai risolto, osservando che con lettera del 23 febbraio 2009 la fornitrice, proprio per confermare la validità dei contratti esistenti, aveva invitato la controparte a comunicarle formalmente la continuità di esercizio durante la fase di liquidazione, mentre con lettera del 25 febbraio 2009 il liquidatore aveva richiesto la continuazione del rapporto con diverse modalità di pagamento. Ha rilevato che tale missiva era stata riscontrata con altra mail, con cui era stata confermata la disponibilità a proseguire la fornitura alle condizioni richieste per il solo mese di febbraio, comunicandosi che per il mese di marzo le fatture accompagnatorie sarebbero state settimanali. Ha aggiunto che nel mese di aprile la creditrice aveva espressamente condizionato le future consegne al pagamento anticipato di quote settimanali, concludendo che, anche a voler scindere il rapporto contrattuale in due fasi, la modifica dei termini d'uso dei pagamenti era avvenuta anche durante la gestione liquidatoria. Ha ritenuto quindi irrilevante l'opinione espressa dal liquidatore nella lettera citata, secondo cui i pagamenti sarebbero stati esenti dalla revocatoria, in quanto indispensabili per la prosecuzione dell'impresa, ritenendola non vincolante e comunque errata, dal momento che non teneva conto dell'intervenuto stravolgimento dei termini d'uso dei pagamenti. La Corte ha escluso poi la novità della richiesta, formulata con il secondo motivo di gravame, di espunzione dai pagamenti revocati di quello effettuato per ultimo, in quanto posteriore alla dichiarazione dello stato d'insolvenza, osservando che la contestazione dell'estensione del periodo sospetto costituiva una mera difesa, non contrastante con l' articolo 345 c.p.c. ne ha dichiarato tuttavia l'inammissibilità, rilevando che nell'atto di appello non era stato precisato in quale scritto fosse stata sollevata la relativa questione, non trattata nella sentenza impugnata, nè da quali atti avrebbe potuto essere desunta la predetta circostanza. Ha precisato comunque che tali indicazioni, non risultanti da alcuno scritto depositato in primo grado, erano state tardivamente riportate soltanto in comparsa conclusionale, concludendo quindi anche per l'inadeguatezza della censura riflettente l'omesso rilievo d'ufficio della questione. 3. Avverso la predetta sentenza la Sapio ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo. La Caffaro ha resistito con controricorso. Ra gioni della decisione 1. Con l'unico motivo d'impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell'articolo 67, comma 3, lett. a , della L. Fall. e dell'articolo 12 preleggi, censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto che l'esenzione dalla revocatoria fallimentare operi soltanto per i pagamenti effettuati negli stessi termini precedentemente vigenti tra le parti. Premesso infatti che la norma che disciplina l'esenzione si caratterizza per una formulazione ambigua, essendo la locuzione termini d'uso riferibile tanto ai pagamenti quanto alle forniture di beni e servizi, osserva che nell'interpretazione della stessa occorre tener conto della ratio legis, consistente nel favorire la continuazione dell'esercizio dell'impresa, in funzione della conservazione dell'azienda, incentivando l'effettuazione di forniture di beni e servizi in favore dell'imprenditore in crisi, mediante l'assicurazione al fornitore che i relativi pagamenti non saranno assoggettabili a revocatoria. Afferma pertanto che tutti i pagamenti effettuati per la fornitura di beni e servizi necessari alla prosecuzione dell'attività produttiva, o anche soltanto per il mantenimento della struttura produttiva, devono considerarsi esenti da revocatoria, ove risulti accertato che le forniture richieste dall'imprenditore in crisi rispondono all'ordinario fabbisogno dell'impresa. Aggiunge che, nel ritenere che la modificazione dei termini di pagamento costituisse un sintomo della conoscenza dello stato d'insolvenza, tale da escludere l'operatività dell'esenzione, la sentenza impugnata non ha considerato che quest'ultima presuppone l'esistenza della scientia decoctionis, in tanto potendo avere senso, in quanto in mancanza della sua previsione l'atto sia revocabile. Sottolinea infine che, se la debitrice avesse dovuto continuare ad effettuare i pagamenti nei termini originari, le relative scadenze si sarebbero verificate dopo la dichiarazione di fallimento o comunque nel periodo sospetto, con la conseguenza che essa ricorrente non avrebbe avuto interesse all'effettuazione delle forniture, essendo a conoscenza dello stato d'insolvenza. 1.1. Il motivo è infondato. La questione sollevata dalla ricorrente è stata già esaminata da questa Corte, in epoca immediatamente successiva alla pronuncia della sentenza impugnata, ed è stata risolta mediante l'affermazione secondo cui, nell'ambito della formulazione letterale dell'articolo 67, comma 3, lett. a della L. Fall ., l'espressione termini d'uso , adottata dal legislatore per individuare i pagamenti di beni e servizi non soggetti all'azione revocatoria, non si riferisce alle forniture che costituiscono oggetto del pagamento, ma ai pagamenti stessi, i quali risultano quindi opponibili alla massa dei creditori, anche se eseguiti ed accettati difformemente dalle previsioni contrattuali, purché siano stati effettuati secondo tempi e modalità corrispondenti a quelli che hanno caratterizzato il rapporto tra le parti nel suo concreto svolgimento cfr. Cass., Sez. I, 7/12/2016, numero 25162 . A sostegno di tale affermazione, pur dandosi atto della scarsa chiarezza della dizione normativa, è stata richiamata la ratio della disposizione in esame, come individuata dall'opinione maggioritaria della dottrina, secondo cui la stessa è intesa a favorire la conservazione dell'impresa nell'ottica di uscita dalla crisi, in contrapposizione alla precedente disciplina, la quale, assoggettando indifferenziatamente alla revocatoria i pagamenti eseguiti nel periodo sospetto, in presenza delle condizioni indicate dai primi due commi, veniva considerata di serio ostacolo alle prospettive di risanamento dell'impresa. In quell'occasione, tuttavia, la materia del contendere era costituita non tanto dall'individuazione dei pagamenti sottratti alla revocatoria, quanto dall'identificazione del parametro di riferimento da adottare ai fini della valutazione di conformità cui è subordinata l'operatività dell'esenzione sicché questa Corte ha potuto limitarsi ad osservare che la tesi secondo cui l'espressione termini d'uso si riferisce alle forniture di beni e servizi risulta contraria al disposto di legge, il quale non consente di riferire i termini alle prestazioni, ma necessariamente ai pagamenti effettuati, ed ha concentrato la propria attenzione sull'individuazione del predetto parametro, affermando che, a fronte del ventaglio di soluzioni prospettate in dottrina, la soluzione più appagante deve considerarsi quella che privilegia il rapporto diretto tra le parti, conferendo rilievo al mutamento dei termini, da intendersi non solo come tempi, ma anche come complessive modalità di pagamento. Tale principio, che escludeva tra l'altro la possibilità di tener conto della prassi diffusa nel settore economico di riferimento, ha trovato conferma in una pronuncia successiva, la quale, pur senza fare alcun cenno alla riferibilità dell'espressione termini d'uso ai pagamenti, anziché alle forniture di beni e servizi, l'ha implicitamente ribadita, affermando che il mutamento dei termini dev'essere inteso come modifica delle modalità di pagamento invalse tra le parti , dal momento che l'esenzione prevista dall'articolo 67, comma 3, lett. a della L. Fall . non attiene al contenuto del contratto, ma all'ambito fattuale dell'andamento del rapporto e dell'esecuzione del negozio, avuto riguardo alle concrete modalità di adempimento della prestazione, piuttosto che al contenuto delle clausole negoziali cfr. Cass., Sez. I, 18/03/2019, numero 7580 . In termini non diversi si è espressa una pronuncia più recente, la quale, affrontando di nuovo la questione riguardante l'individuazione del parametro di riferimento per la valutazione della conformità ai termini d'uso, ha affermato che non sono revocabili quei pagamenti che, pur essendo avvenuti oltre i tempi contrattualmente prescritti, siano stati di fatto eseguiti ed accettati in termini diversi, nell'ambito di plurimi adempimenti con le nuove caratteristiche, evidenziatesi già in epoca anteriore a quelli de quibus, tanto da non poter più, a quel punto, essere considerati pagamenti eseguiti in ritardo , ossia inesatti pagamenti, essendo divenuti per prassi, proprio al contrario, esatti adempimenti cfr. Cass., Sez. I, 7/12/2020, numero 27939 . Premesso infatti che, se la regola è che sono revocati con presunzione, oltretutto, della scientia decoctionis gli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con mezzi normali di pagamento compiuti nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, ciò è proprio in quanto l'accettazione di un mezzo inusuale di pagamento lascia presumere juris et de jure la violazione della par condicio, si è osservato che l'eccezione prevista dalla norma in esame è necessariamente nel senso che, pur quando le modalità di pagamento siano estranee alla previsione della relativa clausola contrattuale, il pagamento resta fermo ed efficace tutte le volte che fra le parti si sia instaurata una prassi anteriore adeguatamente consolidata e stabile, così da potersi definire tale volta a derogare a quella clausola e ad introdurre, come nuova regola inter partes, il pagamento in termini diversi e più lunghi. 1.2. La focalizzazione dell'interesse sulla definizione del concetto di termini d'uso , adottato dal legislatore quale parametro di riferimento per l'individuazione dei pagamenti sottratti alla revocatoria, pur presupponendo evidentemente la riferibilità di tale espressione ai pagamenti, anziché alla fornitura dei beni e servizi dei quali costituiscono il corrispettivo, ha impedito finora un adeguato approfondimento del profilo della questione riguardante le condizioni necessarie per l'operatività dell'esenzione, che è proprio quello investito dalle censure proposte dalla ricorrente. A sostegno dell'impugnazione, quest'ultima richiama l'opinione, manifestata da una parte della dottrina in epoca immediatamente successiva all'entrata in vigore del D.L. 14 marzo 2005, numero 35, articolo 2, lett. a , convertito con modificazioni dalla L. 14 maggio 2005, numero 80, che riformulò l' articolo 67 della L. Fall ., introducendo l'esenzione in parola, secondo cui l'espressione termini d'uso non costituisce un predicato del pagamento o delle forniture, ma dell'attività imprenditoriale, nel senso che il pagamento, per fruire dell'esenzione dalla revocatoria, deve riguardare forniture attinenti alla conduzione corrente dell'azienda. Muovendo dalla considerazione, comune ai precedenti citati ed alla dottrina maggioritaria, secondo cui la ratio della norma in esame consiste nel favorire il superamento dello stato di difficoltà in cui versa l'impresa, scongiurando il pericolo che i fornitori, nel timore di azioni revocatorie, rifiutino di fornire all'imprenditore i beni e i servizi ordinariamente necessari per lo svolgimento dell'attività, e garantendo quindi la prosecuzione di quest'ultima e la conservazione dell'azienda, tale orientamento sostiene che tutti i pagamenti effettuati per le forniture di beni e servizi necessari per la continuazione della gestione devono ritenersi esonerati dalla revocatoria, a condizione che le forniture siano ricollegabili non già ad un generico esercizio imprenditoriale, ma ad un esercizio definibile in termini di normalità, in quanto finalizzato alla prosecuzione dell'attività secondo gli standards usualmente praticati fino a quel momento o, in ogni caso, rispondenti alle ordinarie necessità di un'impresa operante in quella determinata fascia ed in quel determinato settore. A conforto di tale assunto, si osserva che il riferimento all'inusualità dei termini di pagamento da intendersi sia come tempi che come modalità tradisce un'evidente difficoltà di allontanarsi dallo schema concettuale tradizionale, che collega la revocabilità del pagamento all'anomalia del mezzo solutorio utilizzato, ritenuta sintomatica della conoscenza dello stato d'insolvenza da parte del creditore tale problematica viene ritenuta invece del tutto estranea al modo di operare dell'esenzione, la quale in tanto può assumere un significato in quanto si dia per scontato che, in assenza della norma in esame, l'atto sia revocabile, dal momento che, ove il fornitore abbia ricevuto il pagamento in un momento e con modalità tali da non destare alcun sospetto, la revocabilità dovrebbe già essere esclusa in conformità della regola generale, per difetto della scientia decoctionis. Si aggiunge che, considerando esenti dalla revocatoria i pagamenti effettuati nei termini d'uso, ed identificando questi ultimi sulla base della prassi adottata dalle parti, resterebbero esclusi dall'ambito di operatività dell'esenzione i casi in cui una prassi non sia individuabile, a causa dell'unicità della fornitura alla quale il pagamento si riferisce o della diversità dei tempi e delle modalità concordati o praticati per precedenti forniture. Si rileva infine che, riferendo l'espressione in esame alle forniture, anziché ai pagamenti, si evita il rischio di rimettere l'operatività dell'esenzione alla discrezionalità del debitore, il quale, attenendosi alle modalità ed ai tempi previsti per l'adempimento o discostandosene, potrebbe diventare arbitro della sorte dei pagamenti nel futuro fallimento l'ancoraggio dell'esenzione al collegamento tra la fornitura e la normale gestione dell'azienda costituisce invece una garanzia per i fornitori, i quali sono posti in grado di valutare fin dal momento dell'esecuzione della fornitura, con un certo grado di ragionevolezza, il rischio della revocabilità del pagamento, in relazione allo stato di difficoltà in cui versa l'impresa. 1.3. In contrario, occorre tuttavia rilevare che, nonostante la discutibilità della morfologia, il tenore letterale della norma in esame risulta tutt'altro che ambiguo, dal momento che a nell'ambito della proposizione dettata dal legislatore, il soggetto non è rappresentato dalle forniture sostantivo, anzi, del tutto assente , bensì dai pagamenti , b il participio passato effettuati svolge la funzione di predicato, normalmente riferibile al soggetto, c i beni e i servizi svolgono invece la funzione di complemento partitivo, destinato ad individuare i pagamenti esenti da revocatoria tra tutti quelli eseguiti dall'imprenditore nel periodo sospetto, d da punto di vista lessicale, inoltre, il verbo effettuare si addice certamente ai servizi, ma non è in alcun modo riferibile ai beni, i quali non si effettuano , ma si forniscono , cedono , vendono , etc., e in quanto collegata al predicato effettuati , a sua volta riferibile ai pagamenti , la locuzione nei termini d'uso non può dunque avere riguardo che a questi ultimi, e non già ai beni e servizi . Non può quindi condividersi l'affermazione della difesa della ricorrente secondo cui nell'interpretazione della norma in esame dovrebbe attribuirsi la prevalenza al criterio teleologico rispetto a quello letterale, conformemente all'orientamento della giurisprudenza di legittimità che, pur attribuendo alla ricerca della mens legis un ruolo meramente sussidiario, e ritenendone quindi consentita l'utilizzazione soltanto nel caso in cui il dato testuale non risulti sufficiente ad individuare, in modo chiaro ed univoco, il significato e la portata precettiva della norma da interpretare, precisa che tale criterio può svolgere un ruolo paritetico e comprimario a quello letterale quando, nonostante l'impiego di ciascuno dei due criteri singolarmente considerati, la lettera della norma rimanga ambigua, e può assumere un rilievo perfino prevalente nell'ipotesi eccezionale in cui l'effetto giuridico risultante dalla formulazione della norma risulti incompatibile con il sistema normativo cfr. Cass., Sez. III, 4/10/2018, numero 24165 Cass., Sez. I, 6/04/2001, numero 5128 . Nella specie, d'altronde, anche a voler ritenere inappagante il risultato dell'interpretazione letterale, il ricorso al criterio teleologico non rivestirebbe una portata decisiva, tenuto conto della coincidenza della ratio legis individuata dall'opinione in esame con quella individuata dalla dottrina maggioritaria e dalla giurisprudenza citata sicché non rimarrebbe altra scelta che affidarsi all'interpretazione logica, la quale suggerisce che conferire rilievo all'attinenza delle forniture alla normale gestione dell'impresa, quale elemento identificativo dei pagamenti esenti dalla revocatoria, significherebbe rendere sostanzialmente superfluo il riferimento testuale della norma in esame ai pagamenti effettuati nell'esercizio dell'impresa . Sotto un diverso profilo, non coglie nel segno l'obiezione mossa all'orientamento maggioritario, secondo cui il riferimento alla normalità dei pagamenti, pur eseguiti nel periodo sospetto, farebbe rivivere l'elemento soggettivo della revocatoria, del quale il legislatore avrebbe inteso escludere la rilevanza, in favore di una prospettiva squisitamente oggettiva come già precisato da questa Corte in uno dei precedenti richiamati, l'esenzione prevista dall'articolo 67, comma 3, lett. a della L. Fall . si configura come una eccezione alla regola secondo cui sono revocabili gli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con mezzi normali nel periodo sospetto, ed ha come effetto l'esclusione della revocabilità di quelli eseguiti in tempi e con modalità diversi da quelli contrattualmente previsti, ma corrispondenti a pratiche commerciali precedentemente invalse tra le medesime parti cfr. Cass., Sez. I, 7/12/2020, numero 27939 , cit. . Qualora poi tali pratiche non siano individuabili, in quanto il pagamento afferisce a forniture effettuate per la prima volta o regolate in modo diverso da quanto accaduto in precedenza, è ovvio che il parametro di riferimento ai fini della valutazione non potrà che essere costituito dalle condizioni contrattualmente pattuite, a meno che nello svolgimento concreto del rapporto le parti abbiano adottato comportamenti difformi da quelli previsti. In proposito, è stato correttamente rilevato che, se in linea generale l'introduzione dell'esenzione risponde alla finalità di assicurare la soddisfazione di crediti derivanti da forniture di beni e servizi che s'inseriscano nel ciclo produttivo dell'impresa, in modo tale da evitare che il timore della revocatoria possa comportare l'interruzione dell'attività e la conseguente disgregazione dell'azienda, il riferimento ai termini d'uso svolge la funzione di escludere dalla tutela tutti quei casi in cui il mancato rispetto della prassi commerciale precedentemente adottata risulta idonea ad evidenziare il venir meno della correttezza di rapporti ed il possibile approfittamento della situazione di difficoltà del debitore. In quest'ottica, essendo l'operatività dell'esenzione legata al confronto con un parametro predeterminato e verificabile in modo oggettivo, risulta scongiurato anche il rischio, paventato dall'opinione minoritaria, che il debitore possa influire con il proprio comportamento sulla sorte dei pagamenti effettuati in favore dei propri fornitori. In conclusione, la questione sollevata dal ricorrente può essere risolta mediante la conferma del principio di diritto già enunciato da questa Corte, secondo cui, in tema di revocatoria fallimentare, ai fini dell'operatività dell'esenzione prevista dall'articolo 67, comma 3, lett. a della L. Fall ., l'espressione termini d'uso , utilizzata per individuare i pagamenti di beni e servizi non soggetti all'azione revocatoria, non si riferisce alle forniture che costituiscono oggetto del pagamento, ma ai pagamenti stessi, i quali risultano quindi opponibili alla massa dei creditori, anche se eseguiti ed accettati difformemente dalle previsioni contrattuali, purché siano stati effettuati secondo tempi e modalità corrispondenti a quelli che hanno caratterizzato il rapporto tra le parti nel suo concreto svolgimento. 1.4. In applicazione del predetto principio, non merita censura la sentenza impugnata, per aver ritenuto che i pagamenti effettuati dalla Caffaro in favore della Sapio nel periodo immediatamente precedente alla dichiarazione dello stato d'insolvenza non potessero considerarsi esenti dalla revocatoria, in quanto eseguiti in difformità sia dalle condizioni originariamente concordate tra le parti, sia da quelle successivamente convenute a modifica delle stesse premesso infatti che il contratto di fornitura prevedeva originariamente il pagamento della merce a sessanta giorni dalla consegna, e rilevato che, per consentire la prosecuzione della fornitura anche a seguito della messa in liquidazione della Caffaro, era stato concordato che il pagamento delle fatture avesse luogo a vista, la Corte d'appello ha accertato che tale prassi era stata stravolta dal comportamento successivo delle parti, in quanto dal mese di aprile 2009 la Sapio aveva espressamente condizionato le consegne al pagamento anticipato di quote settimanali, ed ha quindi concluso correttamente per la revocabilità dei pagamenti, reputando altrettanto condivisibilmente irrilevante la dichiarazione del liquidatore della società debitrice, secondo cui le forniture risultavano indispensabili per la prosecuzione dell'attività produttiva. 2. Il ricorso va dunque rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo. P.Q.M. rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, numero 115, articolo 13 , comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, numero 228, articolo 1 , comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dal comma 1-bis dello stesso articolo 13.