Per i giudici le immagini incriminate sono catalogabili come pedopornografia. Respinta la tesi difensiva secondo cui il reato sarebbe meno grave poiché la ragazzina ha già avuto esperienze sessuali.
Sacrosanta la condanna per adescamento a carico dell'uomo che ha chattato con una ragazzina e l'ha convinta a mandargli foto del seno e delle natiche Corte di Cassazione, sentenza numero 23931/21, sez. III Penale, depositata il 18 giugno . Sotto accusa un uomo, beccato a compiere reati sessuali nei confronti di due ragazzine , di neanche 14 anni . Ricostruita la delicata vicenda, i giudici di primo grado lo condannano a due anni e dieci mesi di reclusione, mentre i giudici di secondo grado riducono la pena a due anni e sei mesi di reclusione. Per i giudici di merito, però, ciò che è evidente è la gravità delle condotte tenute dall'uomo nei confronti delle due ragazzine. Col ricorso in Cassazione, però, il difensore punta a mettere in discussione soprattutto l'« adescamento di minorenne » addebitato al suo cliente. In questa ottica, egli sostiene che i giudici d'appello hanno commesso un errore «nel ritenere che le conversazioni» intercorse fra il suo cliente e la persona offesa, e «il cui contenuto doveva essere contestualizzato», «fossero volte all'adescamento della ragazzina onde commettere in suo danno reati a contenuto sessuale». A smentire la linea difensiva bastano, secondo i Giudici della Cassazione, i dettagli della vicenda. In sostanza, si è appurato che l'uomo «nel corso di alcune conversazioni da lui intrattenute con la minore, attraverso il programma di messaggistica digitale denominato Whatsapp , dopo avere tentato di circuirla con frasi volte a metterne in luce la sua bellezza ed il fatto che lui la preferisse ad un'altra ragazzina con la quale l'uomo intratteneva una relazione sentimentale, le ha chiesto – ben essendo egli consapevole del fatto che la ragazzina avesse solamente 12 anni di età – di trasmettergli, sempre attraverso Whatsapp, delle immagini fotografiche che ne ritraevano delle parti intime , immagini che, indubbiamente, data l'età della ragazzina e dato il soggetto che l'uomo aveva suggerito di riprodurre – natiche e seno della minore –, sono rientranti nel novero delle immagini costituenti pedopornografia , in quanto atte ad eccitare l'istinto sessuale». Di conseguenza, «poco incide che la condotta dell'uomo possa non apparire finalisticamente idonea alla realizzazione del reato di violenza sessuale ovvero di atti sessuali con minorenni», posto che, osservano i Giudici, «fra le condotte criminose cui l' articolo 609-undecies del Codice Penale appresta una forma di tutela avanzata vi è anche quella integrante i reati di pornografia minorile e di detenzione di materiale pornografico, la cui realizzazione era, evidentemente, lo scopo – forse precipuo, indubbiamente immediato – della condotta posta in essere dall'uomo». Confermata, quindi, la condanna , così come decisa in Appello. Respinto, infine, il richiamo difensivo – definito dai Giudici «inammissibile sul piano della dignità umana» – secondo cui «essendo la ragazza già avvezza alle relazioni sessuali, la violazione della sua integrità sessuale avrebbe comunque costituito illecito di minore gravità».
Presidente Marini – Relatore Gentili Ritenuto in fatto La Corte di appello di Catania, in data 11 febbraio 2020, ha, con riferimento al solo trattamento sanzionatorio, riformato, accogliendo sul punto la impugnazione presentata dall’imputato, la sentenza con la quale, il precedente 3 luglio 2019, il Gup del Tribunale di Ragusa, in esito a giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato, aveva dichiarato la penale responsabilità di R.S. in ordine ai reati di atti sessuali con minorenne continuati, commesso in danno di tale M.M. , di anni 13 al momento dei fatti, e di cui all’articolo 609-undecies, commesso in danno di tale C.S. , di età pari ad anni 12 al momento dei fatti, nonché per reato di minaccia aggravata commesso in danno della prima persona offesa e della madre di costei. Infatti, mentre il giudice di primo grado, qualificato il secondo reato non come tentata violazione dell’articolo 609-quater ma nei senso sopra indicato, ritenuta la continuazione fra i reati commessi, applicata quanto al più grave di essi, cioè la violazione dell’articolo 609-quater c.p., la attenuante della minore gravità, aveva ritenuto congrua la pena di anni 2 e mesi 10 di reclusione, oltre accessori, la Corte territoriale, ritenuta la eccessività dell’aumento disposto in primo grado per la continuazione interna relativa al reato di cui all’articolo 609-quater c.p., ha ridotto quest’ultima da nove mesi di reclusione a tre mesi, escludendo, invece, sia la meritevolezza del R. al beneficio delle attenuanti generiche che la ulteriore riduzione per gli altri reati commessi in continuazione, determinando, pertanto, la pena in complessivi anni 2 e mesi 6 di reclusione, oltre accessori. Ha interposto ricorso per cassazione il prevenuto, tramite la propria difesa tecnica, articolando due motivi di ricorso, il secondo dei quali, attinente al trattamento sanzionatorio, a sua volta articolato sotto diversi profili. Quanto al primo motivo di impugnazione, si rileva che lo stesso è sviluppato, con riferimento alla violazione di legge ed al difetto di motivazione riguardo alla sussistenza degli elementi caratterizzanti il reato di cui all’articolo 609-undecies c.p. ad avviso del ricorrente, la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere, a dispetto delle argomentazioni contenute nell’atto di appello presentato dalla difesa del R. , che il tenore delle conversazioni intercorse fra lui e la persona offesa, il cui contenuto doveva essere contestualizzato ed interpretato sulla base di una visione di insieme delle stesse, fossero volte all’adescamento della ragazzina onde commettere in danno della medesima reati a contenuto sessuale. Con il secondo motivo, invece, il ricorrente ha lamentato il fatto che la Corte territoriale abbia omesso di applicare nella sua massima estensione la circostanza attenuante di cui all’articolo 609-quater c.p., u.c., riducendo la pena base ritenuta congrua in misura appena superiore ad un terzo, laddove la norme consente una più ampia riduzione, senza giustificare adeguatamente siffatta scelta parimenti la sentenza della Corte viene censurata nella parte in cui non si è ritenuto di applicare in favore del R. le circostanze attenuanti generiche, sebbene anche in questo caso fossero state indicate le ragioni che le avrebbero potute giustificare infine la ricorrente difesa si è lamentata, sempre con riferimento al trattamento sanzionatorio, della entità degli aumenti di pena irrogati in ragione delle due imputazioni per i reati satellite contestati al R. , senza considerare, quanto al primo, il fatto che il reato si sarebbe consumato nel corso di un unico contatto telefonico intercorso fra l’imputato e la persona offesa e, quanto al secondo, la ridotta capacità intimidatoria dei messaggi indicati nel capo di imputazione. Considerato in diritto Il ricorso proposto è risultato inammissibile. Il primo motivo di ricorso è inammissibile, posto che il ricorrente, nel formularlo, non si è adeguatamente confrontato con il reale contenuto della sentenza impugnata. Si osserva, infatti, che il G. è stato ritenuto responsabile del reato di cui all’articolo 609-undecies c.p. in quanto, nel corso di alcune conversazioni da lui intrattenute, con la minore C.S. attraverso il programma di messaggistica digitale denominato Whatsapp, dopo avere tentato di circuire la predetta minore con frasi volte a metterne in luce la sua bellezza ed il fatto che lui la preferisse ad un’altra ragazzina conosciuta anche dalla stessa C. con la quale l’uomo intratteneva una relazione sentimentale, ha chiesto alla detta minore - ben essendo egli consapevole del fatto che questa avesse solamente 12 anni di età - di trasmettergli, sempre attraverso il sistema di messaggistica in questione, delle immagini fotografiche che ne ritraevano delle parti intime, immagini che, indubbiamente, data l’età della C. e dato il soggetto che il G. aveva suggerito di riprodurre si trattava delle natiche e del seno della minore sono rientranti nel novero delle immagini costituenti pedopornografia, per come definito dall’articolo 600-ter c.p., u.c., in quanto atte ad eccitare l’istinto sessuale. Ciò posto, rileva il Collegio, poco incide che la condotta descritta del G. possa non apparire finalisticamente idonea alla realizzazione del reato di violenza sessuale ovvero di atti sessuali con minorenni, posto che fra le condotte criminose cui l’articolo 609-undecies c.p. appresta una forma di tutela avanzata vi è anche quella integrante i reati di cui agli articolo 600-ter e 600-quater, la cui realizzazione era, evidentemente, lo scopo - forse precipuo, indubbiamente immediato - della condotta posta in essere dal prevenuto. Deve, pertanto, rilevarsi come non colga affatto nel segno la doglianza formulata dal ricorrente in ordine alla errata configurazione della condotta realizzata dal ricorrente come idonea ad integrare il reato di cui alla disposizione codicistica a lui contestata, previa riqualificazione della originaria imputazione, in sede di giudizio. Passando al secondo motivo di ricorso, riguardante, sotto diversi versanti, il trattamento sanzionatorio inflitto al G. , si rileva - quanto alla mancata estensione nella massima misura possibile della circostanza attenuante derivante dalla qualificazione del fatto a lui contestato sub A della rubrica nell’ambito delle violazioni di minore gravità dell’articolo 609-quater c.p. - che i giudici del merito, nella loro discrezionalità hanno ritenuto di ridurre, per effetto della ritenuta circostanza attenuante in discorso, la pena base inflitta al prevenuto dalla misura di anni 5 di reclusione, pari già alla soglia minima edittale prevista per il reato in questione, cioè 60 mesi sino alla misura di anni 3 e mesi 3 di reclusione cioè 39 mesi così abbattendo la pena oltre la misura canonica del terzo di essa, propria delle circostanze attenuanti ordinarie, in tal modo avendo correttamente data atto dell’avventa considerazione dell’effetto speciale caratteristico della attenuante applicata per il resto la genericità sul punto dell’atto di appello presentato dalla difesa del G. , incentrata al riguardo nell’affermazione, evidentemente inammissibile sul piano della dignità umana oltre che priva di qualsivoglia sostrato giuridico, che, essendo la ragazza già avvezza alle relazioni sessuali, la violazione della sua integrità sessuale avrebbe comunque costituito illecito di minore gravità, ha legittimato la sinteticità della risposta data ad esso dalla Corte la quale non ha ravvisato elementi per estendere oltre la portata demenziale della attenuante. Quanto agli ulteriori fattori segnalati dalla difesa dell’imputato quali elementi che avrebbero dovuto mitigare il trattamento sanzionatorio a lui inflitto, cioè la giovane età, la sua personalità immatura e disturbata, l’occasionalità delle condotte e le modalità non violente delle stesse, si osserva che la modalità non violenta della condotta peraltro riferita ai soli reati a sfondo sessuale, posto che le minacce rivolte dal G. , compendiate nel capo C della rubrica, rivelano una non comune carica di aggressività, certamente non tranquillizzante è stata presa in esame sia in sede di qualificazione giuridica delle condotte delittuose sub A e B della rubrica riferita a delitti non caratterizzati dall’uso della violenza o comunque dalla coartazione della volontà delle persone offese , non tuttavia tale da farle esulare dal fuoco della rilevanza penale, sia in occasione della quantificazione della pena base, contenuta nel minimo edittale la natura occasionale dell’illecito appare smentita sia dalla pluralità delle condotte contestate sia dalla loro pertinace e molteplice articolazione comportamentale la personalità dell’imputato non appare presentare dei profili patologicamente rilevanti atti a comportarne una considerazione in sede di determinazione della pena infine l’età del prevenuto, più che ventunenne al momento dei fatti, egualmente non appare fattore che avrebbe potuto di per sé giustificare un abbattimento della pena, tramite la concessione delle attenuanti generiche, al di sotto dei minimi edittali. Il presente ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile ed il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Considerata l’avvenuta costituzione di parte civile, l’inammissibilità del ricorso dell’imputato comporta anche la condanna di questo alla rifusione delle spese di difesa di detta parte, secondo le modalità indicate in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Condanna, altresì, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Catania con separato decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 82 e 83, disponendo il pagamento in favore dello Stato. In caso di diffusione del presente provvedimento, si dispone che siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi delle persone, a norma del D.Lgs. numero 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.