Ai fini della configurabilità della clausola ostativa di cui all’articolo 16, d.lgs. numero 251/2007, il giudice di merito è chiamato ad accertare in concreto, sulla base di un apprezzamento completo della fattispecie esteso a tutti i suoi elementi fattuali, la sussistenza di “gravi motivi” per ritenere che lo straniero si sia reso responsabile, o sia stato attivamente coinvolto, in fatti idonei ad essere in quadrati in una delle ipotesi previste dal primo comma del suddetto articolo 16.
È quanto stabilito dalla Suprema Corte con l'ordinanza numero 17554/21, depositata il 18 giugno. Il Tribunale di Roma rigettava il ricorso di uno straniero che richiedeva il riconoscimento della protezione internazionale. La Corte d'Appello di Roma confermava la pronuncia del giudice di primo grado. Lo straniero ricorre in Cassazione lamentando sia l'erronea applicazione dell'articolo 16, comma 1, lett. b , d.lgs. numero 251/2007, sia l'erronea applicazione da parte della Corte d'Appello, della clausola ostativa contenuta nella suddetta disposizione richiamata, in assenza della prova da parte della commissione dei gravi reati contemplati dalla norma. Sul tema, la Corte di Cassazione ha enunciato il seguente principio di diritto «ai fini della configurabilità della clausola ostativa di cui all'articolo 16 d.lgs. numero 251 del 2007, il giudice di merito è chiamato non già a verificare l'esistenza di un timore, sia pure grave, o della possibilità, che il richiedente asilo si sia macchiato dei gravi reati previsti dal primo comma della sopra richiamata disposizione, bensì ad accertare in concreto, sulla base di un apprezzamento completo della fattispecie esteso a tutti i suoi elementi fattuali, la sussistenza di “gravi motivi” per ritenere, se del caso anche all'esito di un giudizio presuntivo da condurre nel rispetto dei principi all'uopo previsti dall'ordinamento, che lo straniero si sia reso responsabile, o sia stato attivamente coinvolto, in fatti idonei ad essere in quadrati in una delle ipotesi previste dal primo comma del già richiamato articolo 16», accogliendo così il ricorso, cassando la sentenza e rinviando la causa alla Corte d'Appello di Roma in differente composizione.
Presidente Campanile – Relatore Oliva Fatti di causa Con ordinanza del Tribunale di Roma depositata il 14.12.2015 veniva rigettato il ricorso proposto da C.T.M. avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale che aveva respinto l’istanza di protezione, internazionale ed umanitaria, dallo stesso avanzata. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Roma rigettava il gravame interposto dal C. avverso la richiamata decisione di prima istanza. Propone ricorso per la cassazione di detta decisione C.T.M. , affidandosi a tre motivi. Resiste con controricorso il Ministero dell’Interno. Il ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale. Il P.G., nella persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARMELO SGROI, ha concluso per il rinvio a nuovo ruolo del ricorso, o in subordine per il suo rigetto. Ragioni della decisione Con il primo motivo, il ricorrente lamenta l’erronea applicazione del D.Lgs. numero 251 del 2007, articolo 16, comma 1, lett. b , nonché l’omessa istruttoria, perché la Corte di Appello avrebbe applicato, in suo danno, la clausola ostativa contenuta nella disposizione sopra richiamata, in assenza della prova della commissione, da parte sua, dei gravi reati contemplati dalla norma. La censura è fondata. Il ricorrente, cittadino iraniano, aveva dichiarato di aver operato come informatore della polizia e di aver fatto parte di una formazione paramilitare denominata Base, della quale era entrato a far parte nel 2004, rivestendo il ruolo di addetto al comando di un gruppo motorizzato. Aveva inoltre riferito di aver preso parte alle repressioni delle proteste antigovernative del 2009 indette dal cd. Movimento verde , procedendo all’arresto dei partecipanti alle stesse. Nel 2010 aveva poi ricevuto l’incarico di indagare sul decesso di un alto esponente della formazione B. ed aveva accertato che lo stesso, prima di essere ucciso, si era reso responsabile di traffico di armi, droga ed esseri umani si era dunque infiltrato nella compagine dei trafficanti, ma nonostante la sua opera i suoi superiori avevano rifiutato di procedere all’arresto dei membri dell’organizzazione criminale. Era allora stato destinato in Siria per combattere al fianco delle forze leali al presidente A. , ma temendo per la sua vita non aveva ottemperato all’ordine, fuggendo dal Paese. Il racconto era stato verificato, e ritenuto credibile, dalla Commissione, che aveva disposto la trasmissione degli atti al Questore per l’eventuale concessione di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. A seguito del ricorso proposto dal C. avverso il diniego delle forme di protezione internazionale, il Tribunale aveva a sua volta ritenuto credibile il racconto e, valorizzando la dissociazione dell’odierno ricorrente dalla formazione paramilitare della quale egli aveva fatto parte, gli aveva riconosciuto il diritto alla protezione sussidiaria. Su impugnazione del Ministero, la Corte di Appello di Roma ha invece ritenuto che, sulla base della gravità degli atti commessi in Iran dall’odierno appellato, conformemente a quanto già ritenuto sia dalla Commissione territoriale che dal giudice di prime cure, si deve reputare che gli stessi rientrino pienamente nella categoria dei crimini indicati dal comma 1, lett. b , del D.Lgs. numero 261 del 2007, integrando fattispecie di reato che, anche sulla scorta della pena prevista dalla legge italiana, non possono che essere valutate estremamente gravi. Ciò premesso, questa Corte deve rilevare che, a differenza di quanto sostenuto dal Tribunale, l’articolo 16 del citato D.Lgs., in riferimento all’applicazione delle cause di esclusione della protezione sussidiaria, non prevede la possibilità di operare deroghe di sorta, come confermato anche dal chiaro e perentorio tenore del comma 1 dello stesso articolo, che stabilisce che lo status di protezione sussidiaria è escluso quando sussistono fondati timori per ritenere che lo straniero abbia commesso i fatti indicati dalle lettere da a a d cfr. pag. 5 della sentenza impugnata . In realtà, la disposizione di cui al D.Lgs. numero 251 del 2007, articolo 16, comma 1 recita testualmente Lo status di protezione sussidiaria è escluso quando sussistono fondati motivi per ritenere che lo straniero a abbia commesso un crimine contro la pace, un crimine di guerra o un crimine contro l’umanità, quali definiti dagli strumenti internazionali relativi a tali crimini b abbia commesso, al di fuori del territorio nazionale, prima di esservi ammesso in qualità di richiedente, un reato grave. La gravità del reato è valutata anche tenendo conto della pena, non inferiore nel minimo a quattro anni o nel massimo a dieci anni, prevista dalla legge italiana per il reato c si sia reso colpevole di atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite, quali stabiliti nel preambolo e negli articolo 1 e 2 della Carta delle Nazioni Unite d costituisca un pericolo per la sicurezza dello Stato d-bis costituisca un pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica, essendo stato condannato con sentenza definitiva per i reati previsti dall’articolo 407 c.p.p., comma 2, lett. a , ovvero dagli articolo 336, 583, 583-bis, 583-quater, 624 nell’ipotesi aggravata di cui all’articolo 625 c.p., comma 1, numero 3 , e articolo 624-bis c.p., comma 1. I reati di cui all’articolo 407 c.p.p., comma 2, lett. a , nnumero 2 , 6 e 7-bis , sono rilevanti anche nelle fattispecie non aggravate. Il successivo comma 2 del richiamato articolo 16 prevede invece che Il comma 1 si applica anche alle persone che istigano o altrimenti concorrono alla commissione dei crimini, reati o atti in esso menzionati . La disposizione, dunque, non fa alcun riferimento al concetto di fondati timori circa la commissione di uno dei gravi reati previsti dalle lett. a , b , c , d e d-bis previste dal comma 1 -indicato nella sentenza impugnata-, ma richiede invece la sussistenza di fondati motivi per ritenere che lo straniero possa essersi macchiato di uno dei crimini indicati dal comma 1, ovvero che possa averne istigato la commissione o concorso alla stessa. È pertanto richiesta la verifica in concreto circa la sussistenza effettiva dei presupposti previsti per l’applicazione della clausola ostativa, all’esito della quale si possa ragionevolmente ritenere che lo straniero si sia reso responsabile, direttamente o in concorso con altri, ovvero possa aver istigato, la commissione di uno dei crimini di cui al comma 1. In termini, questa Corte ha ritenuto che In tema di protezione internazionale, la commissione di un grave reato all’estero, rilevante, ai sensi del D.Lgs. numero 251 del 2007, articolo 10, comma 2, lett. b , e articolo 16, comma 1, lett. b , quale causa ostativa al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, non può essere ritenuta sussistente sulla base di una mera prospettazione di parte, ma dev’essere concretamente accertata dal giudice, tenuto a verificare, anche previo utilizzo dei poteri di accertamento ufficiosi di cui al D.Lgs. numero 25 del 2008, articolo 8, comma 3, da un lato se la contestata violazione di norme di legge nel paese di provenienza provenga dagli organi a ciò istituzionalmente deputati e abbia avuto ad oggetto la legittima reazione dell’ordinamento all’infrazione commessa, non costituendo piuttosto una forma di persecuzione razziale, di genere o politico-religiosa verso il denunciante, dall’altro il tipo di trattamento sanzionatorio previsto nel Paese di origine per il reato commesso dal richiedente, in quanto il rischio di subire torture o trattamenti inumani o degradanti nelle carceri può avere rilevanza per l’eventuale riconoscimento sia della protezione sussidiaria, in base al combinato disposto del D.Lgs. numero 251 del 2007, articolo 2, lett. g , con l’articolo 14, lett. b , dello stesso D.Lgs., sia, in subordine, della protezione umanitaria, in base all’articolo 3 CEDU e al D.Lgs. numero 286 del 1998, articolo 5, comma 6 Cass. Sez. L, Ordinanza numero 26604 del 23/11/2020, Rv. 659628 . Nello stesso senso, si è affermato che la clausola ostativa in esame richiede l’accertamento dell’avvenuta commissione di reati fuori del territorio italiano, da qualificarsi gravi alla luce del parametro della pena edittale prevista dalla legge italiana per quel medesimo illecito , non essendo sufficiente il mero mandato di arresto, nè la pendenza di un procedimento penale cfr. Cass. Sez. 6-1, Ordinanza numero 25073 del 23/10/2017, Rv. 646244 . Va inoltre considerato il concorrente principio secondo cui In tema di riconoscimento di sentenze straniere, nel vigore della disciplina introdotta dalla L. 31 maggio 1995, numero 218, articolo 64 e ss., sebbene la mancanza della motivazione della sentenza straniera non costituisca causa ostativa al riconoscimento stesso, tuttavia tale vizio diviene rilevante quando la motivazione stessa sia indispensabile ai fini del riconoscimento di una sentenza, per valutarne la compatibilità con l’ordine pubblico interno Cass. Sez. 1, Sentenza numero 1781 del 08/02/2012, Rv. 621333, che ha cassato una sentenza che aveva riconosciuto effetti in Italia ad una sentenza pronunciata da un giudice statunitense, priva di motivazione, la quale aveva liquidato un’ingente somma a titolo di risarcimento del danno, senza precisare i criteri legali in concreto applicati per qualificare la responsabilità, nè individuare le voci di pregiudizio risarcibile e la causa giustificatrice dell’attribuzione e senza ripartire le conseguenze riparatorie fra i più responsabili, onde evitare indebite duplicazioni e locupletazioni . Il giudice della protezione, dunque, anche in presenza di una sentenza di condanna pronunciata da una autorità straniera per uno dei reati gravi di cui al D.Lgs. numero 251 del 2007, articolo 16, comma 1, non potrebbe comunque limitare la propria disamina del fatto alla mera verifica della sussistenza, o meno, di detta decisione estera, ma dovrebbe apprezzarne il contenuto, al fine di valutare se la stessa sia, o meno, corrispondente ai principi di ordine pubblico interno previsti dall’ordinamento italiano. Da ciò si ricava che, per potersi applicare la clausola ostativa in danno del richiedente asilo, è comunque necessario un accertamento in concreto circa la sussistenza dei gravi motivi richiesti dal comma 1, non potendosi ritenere sufficiente la mera esistenza di un timore , sia pure grave, circa la possibilità che lo straniero effettivamente commesso uno degli illeciti indicati dalla norma in commento. Sotto questo profilo, del resto, è opportuno evidenziare che tutta la normativa in tema di protezione internazionale impone che la pericolosità del soggetto sia valutata in concreto, e non in termini meramente astratti o ipotetici. In tal senso, questa Corte ha affermato, in materia di espulsione dello straniero ritenuto socialmente pericoloso, che la valutazione relativa alla sussistenza della pericolosità sociale dello straniero non può limitarsi alla valutazione dei suoi precedenti penali, ma deve compiere il suo esame in base ad un accertamento oggettivo e non meramente soggettivo degli elementi che giustificano sospetti e presunzioni, estendendo il suo giudizio anche all’esame complessivo della personalità dello straniero, desunta dalla sua condotta di vita e dalle manifestazioni sociali nelle quali quest’ultima si articola, verificando in concreto l’attualità della pericolosità sociale Cass. Sez. 1, Ordinanza numero 20692 del 31/07/2019, Rv. 654673, relativa ad un’espulsione disposta sulla base dei presupposti di cui all’articolo 13, comma 2, lett. c , del D.Lgs. 25 luglio 1998, numero 286 . Nello stesso senso, si è affermato che l’apprezzamento sulla pericolosità del richiedente asilo va condotto -allo stesso modo di quanto previsto nel giudizio per l’applicazione delle misure di prevenzione sulla base di elementi oggettivi idonei a fondare la presunzione di attualità della pericolosità del soggetto ed in modo tale da apprezzare globalmente la personalità del soggetto cfr. Cass. Sez. 6-1, Ordinanza numero 18482 del 08/09/2011, Rv. 618978 . Infatti la valutazione della sussistenza del requisito della pericolosità sociale dello straniero va effettuata in concreto ed all’attualità, non prevedendo il D.Lgs. numero 286 del 1998, articolo 4, comma 3 una presunzione idonea a precludere automaticamente il soggiorno sul territorio nazionale cfr. Cass. Sez. 1, Ordinanza numero 29148 del 21/12/2020, Rv. 660125 , non incontrando il giudice di merito, in detto accertamento, alcun limite, posto che la cognizione del giudice ordinario ha ad oggetto l’accertamento, in concreto, delle condizioni necessariamente predeterminate dalla legge -nella specie l’accertamento della pericolosità sociale dell’espellendo sulla base delle quali è stata disposta la misura, non determinando il carattere vincolato e non discrezionale dell’esercizio della potestà amministrativa alcuna limitazione a tale cognizione Cass. Sez. 6-1, Ordinanza numero 11466 del 14/05/2013, Rv. 626614 . Analogo principio è stato affermato con riferimento alla richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi familiari cfr. Cass. Sez. 1, Ordinanza numero 17289 del 27/06/2019, Rv. 654421 e Cass. Sez. 6-1, Ordinanza numero 24084 del 25/11/2015, Rv. 637703 alla richiesta di autorizzazione all’ingresso o alla permanenza in Italia del familiare di minore straniero che si trovi nel territorio italiano, ai sensi del D.Lgs. numero 286 del 1998, articolo 31, comma 3, cfr. Cass. Sez. U, Sentenza numero 15750 del 12/06/2019, Rv. 654215 alla proroga del trattenimento presso il Centro di Permanenza per il Rimpatrio ai sensi del D.Lgs. numero 142 del 2015, articolo 6, comma 2, lett. c , cfr. Cass. Sez. 6-1, Ordinanza numero 27739 del 31/10/2018, Rv. 651150 alla richiesta di permesso di soggiorno per coesione familiare cfr. Cass. Sez. 6 1, Ordinanza numero 17070 del 28/06/2018, Rv. 649646 e Cass. Sez. 6 1, Ordinanza numero 6666 del 15/03/2017, Rv. 643648 al respingimento alla frontiera dello straniero decretato ai sensi dell’articolo 10, comma 1, del D.Lgs. numero 286 del 1998 cfr. Cass. Sez. 6 1, Ordinanza numero 18133 del 21/07/2017, Rv. 645060 alla domanda il rilascio, o rinnovo, del permesso di soggiorno in qualità di marito convivente con una cittadina italiana, con conseguente condizione di inespellibilità di cui al D.Lgs. numero 286 del 1998, articolo 19, comma 2, cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza numero 14159 del 07/06/2017, Rv. 644451 e Cass. Sez. 6-1, Ordinanza numero 19337 del 29/09/2016, Rv. 641860 . Si ravvisa quindi un principio generale, alla luce del quale ogni qualvolta il legislatore preveda che lo straniero ritenuto pericoloso o indesiderabile, alla luce del suo personale vissuto o della sua condotta, non possa entrare, soggiornare o rimanere, sul territorio nazionale, o debba essere allontanato dallo stesso, la sussistenza del requisito della pericolosità, ovvero delle condizioni che l’ordinamento abbia predeterminato per fondare il giudizio di indesiderabilità, vada accertata in concreto ed all’attualità, anche quando la norma individui specifiche condotte, o precedenti, che il legislatore abbia ritenuto ex se indicativi ai fini del predetto giudizio. Dal che consegue che la ricorrenza di una o più delle ipotesi che, ai sensi del D.Lgs. numero 251 del 2007, articolo 16, comma 1, costituiscono causa ostativa al riconoscimento della protezione sussidiaria deve essere accertata in concreto, in base ad elemento di fatto che siano idonei a fondare un giudizio probabilistico o presuntivo che non trasmodi in mera ipotesi. L’espressione gravi motivi utilizzata dal D.Lgs. numero 251 del 2007, articolo 16, comma 1 va pertanto interpretata in coerenza con il richiamato filone interpretativo, che attraversa l’intera materia della protezione internazionale. Merita, dunque, essere affermato il seguente principio di diritto Ai fini della configurabilità della clausola ostativa di cui al D.Lgs. numero 251 del 2007, articolo 16, il giudice di merito è chiamato non già a verificare l’esistenza di un timore, sia pure grave, o della possibilità, che il richiedente asilo si sia macchiato dei gravi reati previsti dal comma 1 della sopra richiamata disposizione, bensì ad accertare in concreto, sulla base di un apprezzamento completo della fattispecie esteso a tutti i suoi elementi fattuali, la sussistenza di gravi motivi per ritenere, se del caso anche all’esito di un giudizio presuntivo da condurre nel rispetto dei principi all’uopo previsti dall’ordinamento, che lo straniero si sia reso responsabile, o sia stato attivamente coinvolto, in fatti idonei ad essere inquadrati in una delle ipotesi previste dal comma 1 del già richiamato articolo 16 . L’accoglimento del primo motivo implica l’assorbimento del secondo, con il quale si contesta la violazione del D.Lgs. numero 251 del 2007, articolo 3 e 5 ed D.Lgs. numero 25 del 2008, articolo 8, nonché il vizio della motivazione, perché il giudice di merito non avrebbe adeguatamente apprezzato il contesto esistente in Iran e non avrebbe proceduto ad una ulteriore audizione del richiedente asilo e del terzo motivo, con il quale si denuncia la violazione dell’articolo 112 c.p.c., D.Lgs. numero 25 del 2008, articolo 32, D.Lgs. numero 286 del 1998, articolo 5 e 19, perché il giudice di merito non si sarebbe pronunciato sulla domanda di riconoscimento della protezione umanitaria. La sentenza va quindi cassata, in relazione alla censura accolta, ed il giudizio rinviato alla Corte di Appello di Roma, in differente composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. la Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata, in relazione alla censura accolta, e rinvia la causa alla Corte di Appello di Roma, in differente composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.