Condanna definitiva per i maltrattamenti compiuti ai danni non solo della consorte ma anche dei figli. Decisivo il racconto della donna, corroborato dalla polizia giudiziaria, dalla documentazione sanitaria e dalle deposizioni di vari testi l'uomo era solito alternare periodi di disinteresse per la vita familiare a frequentissime esplosioni d'ira.
Ossessionato dalla pornografia e frequentatore abituale di prostitute. Pessima condizione psicologica per l'uomo a risentirne sono anche i suoi rapporti con la moglie, costretta a subire ripetute vessazioni, e con i figli. Consequenziale la sua condanna per maltrattamenti in famiglia, con annesso obbligo di risarcire i congiunti Corte di Cassazione, sentenza numero 24559/21, sez. VI Penale, depositata il 23 giugno . Tra primo e secondo grado è stato ricostruito l'incubo vissuto dalla moglie e dai figli dell'uomo sotto processo. Per anni «ha maltrattato abitualmente» i familiari, «alternando periodi di disinteresse per la vita familiare a frequentissime esplosioni d'ira, con lancio di suppellettili e pezzi di arredo, insultando abitualmente la coniuge e i figli, percuotendo la donna, costringendo i congiunti ad allertare le forze dell'ordine e ad allontanarsi cercando rifugio nell'abitazione dei vicini di casa». In sostanza, l'uomo «ha cagionato così ai familiari penosissime condizioni di vita , inducendo, tra l'altro, la moglie a tentare il suicidio ». Col ricorso in Cassazione l'uomo prova a mettere in discussione la condanna pronunciata in Appello, osservando, soprattutto, che «la moglie, che aveva avuto sempre autonomia finanziaria, aveva presentato con i figli l'apertura di un procedimento di amministrazione di sostegno » nei suoi riguardi « a causa dei suoi disturbi comportamentali , proponendosi come amministratore». Allo stesso tempo, l'uomo parla di «sporadici episodi di offese e violenze», sostiene che «non vi è stata alcuna sopraffazione nei riguardi dei congiunti, né un loro stato di soggezione psicologica», e aggiunge, infine, che proprio in ragione dei suoi problemi psichici «è mancata la dimostrazione che egli avesse agito con la consapevolezza degli effetti delle proprie iniziative». In ultima battuta, infine, l'uomo mette sul tavolo anche «la riappacificazione avuta con la moglie» e la conseguente «nuova situazione di serenità familiare». A smentire le obiezioni difensive provvedono gli elementi probatori accertati tra primo e secondo grado, elementi sufficienti a rendere credibile il racconto della moglie. Nello specifico, la donna ha parlato di «una relazione matrimoniale caratterizzata dalle costanti e abituali vessazioni fisiche e psichiche cui era stata sottoposta ad opera del marito, causate soprattutto dall'ossessione dell'uomo per la pornografia e per la frequentazione con prostitute – che ella aveva fronteggiato con un atteggiamento di subordinazione –» e questa versione ha trovato riscontro, sottolineano i giudici di terzo grado, «negli accertamenti compiuti dalla polizia giudiziaria, nella documentazione sanitaria e nelle deposizioni dei vari testi esaminati, soprattutto in quelle dei figli della coppia che hanno sostanzialmente confermato il racconto della madre , in quella della vicina di casa che ha riscontrato come i contrasti fossero stati determinati dalle urla e dalle aggressioni dell'uomo , tanto che in un'occasione aveva dovuto dare rifugio nella propria abitazione alla donna e al figlio in fuga , in quella del medico di famiglia, che aveva ricevuto le confidenze della donna, la quale però aveva manifestato l'intenzione di non denunciare il marito per i maltrattamenti subiti, e, infine, in quella dello psichiatra che aveva avuto in cura la donna e le aveva diagnosticato un disturbo post traumatico da stress ». Non trascurabile, infine, «il contenuto di una lettera manoscritta inviata dall'uomo ad una delle due figlie, lettera con cui, nel cercare di scusarsi per le violenze che talvolta la ragazza aveva dovuto patire , egli aveva sostanzialmente ammesso la responsabilità per le vessazioni subite dalla madre». Condanna sacrosanta per l'uomo, che dovrà anche risarcire i congiunti . A questo proposito, è irrilevante sia il fatto che egli «abbia versato alla parte civile l'importo che era stato condannato a pagare in base ad una provvisionale immediatamente esecutiva» sia la circostanza che egli «abbia le proprie risorse finanziarie depositate su un conto corrente bancario cointestato con la moglie».
Presidente Bricchetti – Relatore Aprile Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Brescia confermava la pronuncia di primo grado dell'8 novembre 2017 con la quale il Tribunale di Cremona aveva condannato C.G. in relazione al reato di cui all' articolo 572 c.p. , per avere, in OMISSIS dalla metà degli anni Novanta con permanenza, maltrattato abitualmente la moglie D.S.F. e il figlio C.V. , alternando periodi di disinteresse per la vita familiare a frequentissime esplosioni d'ira, con lancio di suppellettili e pezzi di arredo, insultando abitualmente la coniuge e i figli percuotendo la donna costringendo i congiunti ad allertare le forze dell'ordine e ad allontanarsi cercando rifugio nell'abitazione dei vicini di casa cagionando così ai familiari penosissime condizioni di vita e inducendo tra l'altro la moglie a tentare il suicidio tenendo i comportamenti che sono stati descritti in maniera analitica nel capo d'imputazione. 2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso l'imputato, con atto sottoscritto dal suo difensore, il quale ha dedotto i seguenti sette motivi. 2.1. Vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, per avere la Corte territoriale confermato la pronuncia di condanna di primo grado, omettendo di valutare le prove a discarico fornite dalla difesa, che avevano permesso di accertare che nel giugno del 2014 la D.S. , che aveva avuto sempre autonomia finanziaria, aveva presentato con i figli l'apertura di un procedimento di amministrazione di sostegno nei riguardi del marito, a causa dei disturbi comportamentali, proponendosi come amministratore del coniuge che gli sporadici episodi di offese e violenze risalivano al periodo anteriore agli anni 2000-2001 che non vi era stata alcuna sopraffazione dell'imputato nei riguardi dei congiunti, nè uno stato di soggezione psicologica di questi ultimi e che, in ragione di quei problemi psichici, era mancata la dimostrazione che il prevenuto avesse agito con la consapevolezza degli effetti delle proprie iniziative 2.2. Vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, per avere la Corte distrettuale travisato alcune prove, come la lettera manoscritta indirizzata dall'imputato alla figlia C. , le dic. zioni dell'altra figlia F. in ordine al presunto tentato suicidio della madre e la deposizione del figlio V. su un episodio del dicembre del 2014 riguardante una reazione del padre che non si era tradotta in alcuna azione violenta. 2.3. Violazione di legge, in relazione agli articolo 192 e 546 c.p.p. , e vizio di motivazione, per avere la Corte di appello erroneamente giudicato attendibili le dichiarazioni della D.S. , che erano invero risultate vaghe e generiche, e che erano state asseritamente riscontrate da certificati medici privi di data e di numerazione. 2.4. Vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, per avere la Corte di merito ingiustificatamente escluso la possibilità di una diversa, alternativa ricostruzione dei fatti, che avrebbero al più potuto integrare gli estremi di risalenti ed episodiche condotte delittuose, oramai estinte per intervenuta prescrizione. 2.5. Vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, per avere la Corte di appello negato all'imputato le circostanze attenuanti generiche, benché fosse risultato che le contrapposizioni con la moglie siano state da tempo sanate, che il prevenuto si era scusato con la figlia C. ed avesse mostrato segni di resipiscenza. 2.6. Vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, per avere la Corte territoriale omesso di indicare le ragioni che lo avevano indotto a quantificare la pena in termini severi, senza considerare, in special modo, la riappacificazione avuta dall'imputato con la moglie e nuova situazione di serenità familiare. 2.7. Vizio di motivazione, in relazione agli articolo 76 e 100 c.p.p. , per avere la Corte distrettuale omesso di considerare che il difensore della parte civile aveva rimesso il suo mandato dopo la pronuncia di primo grado, sicché in secondo grado non era possibile confermare le statuizioni civili e senza tenere conto che l'imputato ha già risarcito i danni e che non può adottare altre iniziative riparatorie, posto che i denari di cui dispone sono depositati in un conto corrente bancari cointestato con la moglie. 3. Il procedimento è stato trattato nell'odierna udienza in camera di consiglio con le forme e con le modalità di cui al D.L. 28 ottobre 2020, numero 137, articolo 23, commi 8 e 9, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, numero 176 . Considerato in diritto 1. Ritiene la Corte che il ricorso presentato nell'interesse di C.G. sia inammissibile. 2. I primi quattro motivi, strettamente connessi tra loro e dunque esaminabili congiuntamente sono inammissibili, perché presentati per fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge. La sentenza impugnata ricostruisce in fatto la vicenda con motivazione esaustiva, immune da vizi logici e strettamente ancorata alle emergenze processuali. I rilievi formulati al riguardo dal ricorrente si muovono nella prospettiva di accreditare una diversa lettura delle risultanze istruttorie e si risolvono, quindi, in non consentite censure in fatto all'iter argomentativo seguito dalla sentenza di merito, nella quale, peraltro, vi è puntuale risposta a detti rilievi, in tutto sovrapponibili a quelli già sottoposti all'attenzione della Corte territoriale. Va aggiunto che la violazione dell' articolo 192 c.p.p. non comporta ex se la operatività di alcune delle sanzioni processuali previste dall' articolo 606 c.p.p. , comma 1, lett. c , così, da ultimo, Sez. 4, numero 51525 del 04/10/2018, M., Rv. 274191 conf. Sez. 6, numero 43963 del 30/09/2013, Basile, Rv. 258153, per la quale è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che censura l'erronea applicazione dell' articolo 192 c.p.p. quando è fondato su argomentazioni che si pongono in confronto diretto con il materiale probatorio, e non, invece, sulla denuncia di uno dei vizi logici tassativamente previsti dall' articolo 606 c.p.p. , comma 1, lett. e e che nella fattispecie non è riconoscibile alcuna falsa applicazione o inosservanza delle norme incriminatrici contestate. Per il resto solo formalmente sono stati denunciati vizi di motivazione, essendosi il ricorrente, invero, limitato a criticare il significato che la Corte di appello aveva dato al contenuto delle emergenze acquisite. La Corte territoriale aveva chiarito, con motivazione perspicua e convincente in parte integrata anche da quella della conforme sentenza di primo grado , come la versione della persona offesa - che aveva parlato di una relazione matrimoniale caratterizzata dalle costanti e abituali vessazioni fisiche e psichiche cui era stata sottoposta ad opera del marito, causate soprattutto dall'ossessione dell'uomo per la pornografia e per la frequentazione con prostituite, che ella aveva fronteggiato con un atteggiamento di subordinazione - avesse trovato riscontro negli accertamenti compiuti dalla polizia giudiziaria, nella documentazione sanitaria e nelle deposizioni dei vari testi esaminati, soprattutto in quelle dei figli della coppia, che - pur con notevoli sofferenze - avevano sostanzialmente confermato il racconto della madre in quella della vicina di casa, che aveva riscontrato come i contrasti fossero stati determinati dalle urla e dalla aggressioni del C. , tanto che in un'occasione aveva dovuto dare rifugio nella propria abitazione alla donna e al figlio in fuga dall'imputato in quella del medico di famiglia, che aveva ricevuto le confidenza della D.S. , che aveva manifestato l'intenzione di non denunciare il marito per i maltrattamenti subiti e in quella dello psichiatra che aveva avuto in cura la predetta, che le aveva diagnosticato un disturbo post-traumatico da stress. Nè va trascurato il contenuto di una lettera manoscritta inviata dal C. ad una delle due figlie con la quale, nel cercare di scusarsi per le violenze che talvolta la ragazza aveva dovuto patire, il prevenuto aveva sostanzialmente ammesso la sua responsabilità per le vessazioni subite dalla madre. 3. Il quinto e il sesto motivo del ricorso sono manifestamenti infondati. Il ricorrente ha preteso che in questa sede si proceda ad una rinnovata valutazione delle modalità mediante le quali il giudice di merito aveva esercitato il potere discrezionale a lui concesso dall'ordinamento ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e della quantificazione della pena inflitta esercizio che deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero del giudice in ordine all'adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo. Nella specie, del tutto legittimamente la Corte di merito ha ritenuto ostativo al riconoscimento delle attenuanti generiche e ad una riduzione della pena irrogata il fatto che l'imputato si fosse reso colpevole di gravi condotte delittuose per un così lungo arco temporale, trattandosi di parametro considerato dall' articolo 133 c.p. , applicabile anche ai fini dell' articolo 62 bis c.p. . 4. Anche il settimo e ultimo motivo è manifestamente infondato. Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte di cassazione il principio secondo il quale la costituzione di parte civile, una volta intervenuta in primo grado in virtù di procura speciale ai sensi dell' articolo 100 c.p.p. , produce effetti in ogni stato e grado del processo così, tra le tante, Sez. 5, numero 41167 del 09/07/2014, Panatta, Rv. 260682 principio di immanenza della costituzione, previsto dall' articolo 76 c.p.p. sul quale non incidono nè la decisione della parte civile di non partecipare ovvero di non formulare conclusioni nei gradi di impugnazione così, da ultimo, Sez. 5, numero 24637 del 06/04/2018, Capasso, Rv. 273338 , nè la scelta di revocare - così come nella fattispecie è accaduto - al proprio difensore di fiducia il mandato difensivo, evenienza che rileva solo nei rapporti privatistici tra la parte e il suo patrocinatore. In tale ottica va aggiunto come sulla legittimità delle statuizioni civili avessero avuto alcuna influenza il fatto che l'imputato abbia versato alla parte civile l'importo che era stato condannato a pagare in base ad una provvisionale immediatamente esecutiva, e tanto meno la circostanza che il prevenuto abbia le proprie risorse finanziarie depositate su un conto corrente bancario asseritamente cointestato con la moglie. 5. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e a quella di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo fissare nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.