Il silvicoltore non è un coltivatore diretto

E’ risarcibile il danno, arrecato dalla fauna selvatica al silvicoltore, quando questo sia avvenuto prima dell’entrata in vigore della legge Regionale numero 12/1990. Per i successivi danni è esclusa la tutela indennitaria, poiché la suddetta normativa riconosce la risarcibilità dei danni alle solo coltivazioni dirette e ai pascoli, escludendo quindi dalla tutela i boschi coltivati.

E’ stato così deciso dalla Corte di Cassazione nella sentenza numero 13906, depositata il 18 giugno 2014. Il caso. L’uomo chiedeva la condanna della Provincia di Torino al pagamento dell’indennizzo, previsto dall’articolo 60 l.r. numero 197/1979, per i danni arrecati dalla fauna selvatica alla propria azienda agricola, inserita nel Parco Regionale della Mandria, nelle annate agrarie dal 1988/1989 al 1992/1993. Il Tribunale di primo grado accoglieva la domanda limitatamente ai danni prodotti sino all’annata agraria 1988/1989. L’uomo proponeva, poi, appello. I Giudici territoriali rigettavano la domanda, condividendo la valutazione del Giudice di primo grado. L’indennizzo era dovuto fino all’annata 1988/1989, poiché successivamente l’articolo 35 l.r. numero 12/1990, innovando il quadro normativo fino ad allora vigente l.r. numero 60/1979 aveva espressamente escluso l’indennizzo per i danni alle foreste e ai boschi. Il soccombente ricorreva per cassazione lamentando la falsa applicazione delle normative sopracitate, avendo la Corte erroneamente ritenuto prevalente sulla normativa anteriore l’articolo 35 l.r. numero 12/1990, che si riferirebbe alle sole aree boscate naturali e non a quelle coltivate, non sussistendo un’ipotesi di incompatibilità tra le due normative né l’abrogazione espressa di queste vizio di motivazione per non aver la Corte considerato l’attività di silvicoltura da lui esercitata equipollente alle attività agricole previste dall’articolo 29 l.r. numero 12/1990, per le quali invece è prevista la tutela indennitaria vizio di motivazione per la disparità di trattamento tra l’attività di silvicoltura, esclusa dall’indennizzo per i danni arrecati dalla fauna selvatica, e la altre coltivazioni agrarie, pur essendo identica la causa genetica del danno. Coltivatore diretto equiparabile al silvicoltore? In sostanza, secondo il ricorrente, la tutela indennitaria per i danni arrecati dalla fauna selvatica alle coltivazioni agricole ed ai pascoli doveva riferirsi anche ai boschi coltivati, alla luce di una interpretazione che tende ad equiparare l’attività del coltivatore diretto a quello di silvicoltura. Da considerare il dettato normativo. La Suprema Corte non condivide gli argomenti prospettati dal ricorrente. La sentenza impugnata aveva correttamente valorizzato il dettato normativo dell’articolo 35, che esclude chiaramente dal risarcimento dei danni le foreste e le aree boscate. La disposizione appena citata è infatti una chiara eccezione alla regola della risarcibilità dei danni arrecati dalla fauna selvatica alle coltivazioni agricole e ai pascoli. Secondo la Corte, quella proposta dal ricorrente è una diretta e inammissibile manipolazione del dato normativo che avrebbe come effetto di riconoscere l’indennizzo per una particolare tipologia di boschi, nonostante l’espressa esclusione prevista per qualunque area boscata. Per tali motivi, la Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 15 aprile – 18 giugno 2014, numero 13906 Presidente Checcherini – Relatore Lamorgese Svolgimento del processo Il sig. F.R. , con citazione notificata il 19 maggio 1994, convenne in giudizio la Provincia di Torino e ne chiese la condanna al pagamento dell'indennizzo previsto dall'articolo 60 della legge reg. Piemonte 17 ottobre 1979 numero 60 per i danni arrecati dalla fauna selvatica alla propria azienda agricola inserita nel Parco Regionale della Mandria, nelle annate agrarie dal 1987/1988 al 1992/1993. Il Tribunale adito, con sentenza non definitiva del 24 ottobre 2002, accolse la domanda limitatamente ai danni prodotti sino all'annata agraria 1988/1989 e rimise la causa in istruttoria per la determinazione degli stessi, avvenuta con sentenza definitiva del 19 maggio 2004. Il gravame proposto dal F. è stato rigettato dalla Corte di appello di Torino, con sentenza 26 maggio 2006. La corte ha condiviso la valutazione del primo giudice nel senso che l'indennizzo era dovuto fino all'annata agraria 1988/1989, poiché successivamente l'articolo 35, comma 2, della legge reg. Piemonte 22 marzo 1990 numero 12, innovando il quadro normativo fino ad allora vigente v. leggi reg. numero 60 del 1979 cit. e numero 36 dell'8 giugno 1989 , aveva espressamente escluso l'indennizzo per i danni alle foreste e ai boschi. Il F. ricorre per cassazione sulla base di tre motivi, illustrati da memoria, cui resiste la Provincia di Torino. Motivi della decisione I motivi proposti dal ricorrente, reciprocamente connessi e da esaminare congiuntamente, sono infondati. Nel primo è dedotta la violazione o falsa applicazione degli articolo 35 della legge reg. numero 12/1990 e 10 della legge reg. numero 36/1989, avendo la corte erroneamente ritenuto prevalente sulla normativa anteriore il comma 2 dell'articolo 35 citato, che si riferirebbe invece alle sole aree boscate naturali e non a quelle coltivate, non sussistendo, a suo avviso, un'ipotesi di incompatibilità tra la nuova legge e quelle precedenti né di abrogazione espressa di queste ultime. Nel secondo motivo il ricorrente deduce vizio di motivazione per non avere la corte considerato che l'attività di silvicoltura da lui esercitata era assimilabile alle coltivazioni industriali da legno che l'articolo 29 della legge numero 12/1990 qualifica a tutti gli effetti colture agrarie e che il bosco di cui era proprietario non era confondibile con le foreste non avrebbe spiegato perché la tutela indennitaria sarebbe riconosciuta per le attività agricole previste dal citato articolo 29 e non per quella di silvicoltura. Nel terzo motivo è dedotto vizio di motivazione per un'asserita disparità di trattamento tra l'attività di silvicoltura, esclusa dall'indennizzo per i danni arrecati dalla fauna selvatica, e le altre coltivazioni agrarie, pur essendo identica la causa genetica del danno e non potendo gli agricoltori comunque abbattere la fauna selvatica in qualunque posto essa si trovi. In sostanza la tesi del ricorrente è che la tutela indennitaria per i danni arrecati dalla fauna selvatica alle coltivazioni agricole ed ai pascoli articolo 35, comma 1, legge reg. numero 12/1990 sarebbe riferibile anche ai boschi coltivati c.d. coltivazioni boschive , alla luce di una interpretazione evolutiva che valorizzi la tendenziale equiparazione dell'attività del coltivatore diretto a quella di silvicoltura intesa come coltivazione e cura del bosco ai fini della produzione di prodotti naturali equiparazione condivisa da Cass., sez. unumero civ., numero 8486/2011 seppur al diverso fine di riconoscere il diritto di prelazione e riscatto agrario al silvicoltore . Questa tesi non è condivisibile. La sentenza impugnata ha correttamente valorizzato il chiaro disposto normativo del secondo comma del citato articolo 35 sono esclusi i risarcimenti dei danni alle foreste e comunque alle aree boscate analoga esclusione è contenuta nelle successive leggi reg. Piemonte del 29 giugno 2009 numero 19, articolo 36 comma 2, e del 3 agosto 2011 numero 16, articolo 22 . Si tratta evidentemente di una testuale e non equivoca eccezione alla regola della risarcibilità dei danni arrecati dalla fauna selvatica alle coltivazioni agricole e ai pascoli prevista dall'articolo 35 cit., comma 1, nonché dalla legislazione regionale previgente v. gli articolo 10, comma 1, della legge reg. numero 36/1989 e 60 della legge reg. numero 60/1979 . È quindi infruttuoso il tentativo del ricorrente di valorizzare la peculiarità del bosco di cui egli è proprietario, in quanto oggetto di un'attività di cura e coltivazione avente natura agricola, sulla base dell'articolo 29 della medesima legge reg. numero 12/1990 che qualifica la coltura del pioppo e delle altre coltivazioni industriali da legno a rapido accrescimento [ ] a tutti gli effetti come colture agrarie . Infatti ragione ostativa alla risarcibilità dei danni lamentati non è il disconoscimento in astratto dell'esistenza di un'attività di coltivazione o di cura del bosco né della sua natura agricola, ma la espressa esclusione normativa della indennizzabilità dei danni comunque alle aree boscate , scelta questa ritenuta ragionevole dalla corte del merito, tenuto conto che la presenza dalla fauna selvatica costituisce una naturale caratteristica di tali aree. Quella sollecitata dal ricorrente è una diretta e inammissibile manipolazione del dato normativo che avrebbe come effetto di riconoscere l'indennizzo per una particolare tipologia di boschi, nonostante l'espressa esclusione prevista per qualunque area boscata , sintagma questo la cui ampia sfera semantica trova conferma in numerosi indici normativi presenti nell'ordinamento per aree boscate si intendono i terreni sui quali si sono costituiti, per via naturale o artificiale, popolamenti di specie legnose forestali a portamento arboreo costituenti un soprassuolo continuo articolo 33, comma 2, della legge reg. Valle d'Aosta 6 aprile 1998 numero 11, poi sostituito dall'articolo 3 della legge reg. 17 giugno 2009 numero 18 i terreni coperti da bosco naturale o artificiale, da vegetazione di alto fusto o di bosco rado v,, ai fini della tutela del paesaggio, Cass., sez. Ili penumero , numero 26601/2002, numero 17060/2006 e le aree cespugliate o arborate, comprese eventuali strutture e infrastrutture antropizzate poste all'interno delle predette aree articolo 2 della legge 21 novembre 2000 numero 353 sulla nozione di incendio boschivo . È infine insussistente la dedotta violazione del giudicato costituito da una precedente sentenza della medesima Corte di appello di Torino numero 60 del 21 gennaio 1993 che, valorizzando la differenza tra le zone boschive in senso lato e quelle sedi di coltivazioni boschive, avrebbe ammesso la risarcibilità dei danni arrecati all'attività di silvicoltura del ricorrente. Tale decisione infatti non fece applicazione della disposizione di cui all'articolo 35, comma 2, della legge reg. numero 12/1990, che rileva nella fattispecie in esame, ma del previgente articolo 60 della legge reg. numero 60/1979. Il ricorso è rigettato. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 6200,00, di cui Euro 6000,00 per compensi, oltre spese forfettarie e accessori di legge.