La regolarità del bilancio consolidato della capogruppo non esclude la configurabilità del reato di false comunicazioni sociali in relazione alla falsificazione del bilancio di esercizio.
E’ quanto emerge dalla sentenza numero 24289/15, depositata il 5 giugno scorso. Il caso. La Corte d’appello di Palermo - in due distinti ma connessi procedimenti - aveva giudicato colpevoli 5 imputati del reato di false comunicazioni sociali. Protagonisti della vicenda erano il direttore generale, il presidente del consiglio di amministrazione e i membri del consiglio di amministrazione di una società destinata alla gestione dei rifiuti di alcuni comuni siciliani. L’addebito riguardava alcune dinamiche svolte sui bilanci della società capogruppo si accertava che vi erano state inserite voci di proventi straordinari da plusvalenze per attività smobilizzate e da cessioni di contratti che, in realtà, non corrispondevano ad effettive acquisizioni di utili al patrimonio della società. Plusvalenze false. In particolare, nel bilancio 2005 era iscritta una falsa plusvalenza derivante dalla cessione simulata in favore di una società controllata di automezzi e immobili che, in realtà, rimanevano nella disponibilità della capogruppo. Nel bilancio 2006, invece, veniva iscritto un provento straordinario asseritamente proveniente dalla cessione di contratti con altre società che venivano sopravvalutati e “gonfiati” dal punto di vista economico, senza tenere in considerazione profili giuridici che ne determinavano un’incertezza e i rischi che ne conseguivano. Inganno e ingiusto profitto integrano il reato. La condotta censurata consisteva nell’aver indotto in errore il pubblico, mediante alterazione della rappresentazione della situazione economica e finanziaria della società l’ingiusto profitto perseguito dagli amministratori era individuato nella sopravvivenza della società e, dunque, con la permanenza degli incarichi direttivi – e dei rispettivi emolumenti – in capo agli imputati. Comunicazioni idonee ad ingannare? I ricorrenti hanno profilato difese in cui sostenevano che le comunicazioni sociali sotto scrutinio non avevano potenzialità ingannatoria in quanto il bilancio consolidato del gruppo consentiva di verificare la situazione economica reale, nonostante fosse stata occultata nel bilancio d’esercizio della capogruppo. Un passo indietro il bilancio consolidato. La Corte di Cassazione, nel rigettare le difese, ricorda che il bilancio consolidato è un bilancio integrato sulla situazione di un gruppo. In tale scrittura, le operazioni interne al gruppo devono essere per legge “eliminate”, nel senso che le partite infragruppo vengono rimosse prima di procedere all’effettivo consolidamento dei singoli prospetti contabili. Ne deriva che il bilancio consolidato non esclude che la falsità contenute nel bilancio di esercizio di una delle società del gruppo e relative ai rapporti con altre società del gruppo medesimo. Rapporti tra bilancio consolidato e bilancio d’esercizio. Funzione del bilancio consolidato è quella di mostrare la situazione patrimoniale del gruppo societario nel suo complesso e quindi dare indicazioni sulla formazione e consistenza del reddito del gruppo. Il bilancio di esercizio della capogruppo deve comunque essere redatto con chiarezza e verità e non viene sostituito dal bilancio consolidato e dunque deve rappresentare la situazione patrimoniale e finanziaria e il risultato economico dell’esercizio. Si tratta, in breve, di notizie rilevanti ai sensi dell’articolo 2621 c.c In altri termini, i due bilanci che devono essere redatti dalla capogruppo sono autonomi, anche se correlati. Considerato, poi, che le partite infragruppo sono espunte dal bilancio consolidato, questo documento non può fornire indicazioni sulla falsità delle operazioni tra le società del gruppo, sicché le dinamiche operative che si determinano tra le unità produttive che compongono il gruppo possono ricavarsi solo attraverso un’analisi dei dati desunti dai singoli bilanci di esercizio delle singole unità facenti parte dell’aggregato. Il bilancio consolidato mostrava una cattiva salute della società. La condizione negativa della società del gruppo che si ricavava dalla lettura del bilancio consolidato era certamente idonea a creare allarme nel fruitore del dato, tuttavia, non consentiva di mostrare univocamente la falsità di eventuali operazioni infragruppo. La salute della società va cercata nel bilancio d’esercizio della capogruppo. Precisano i giudici che, per queste ragioni, l’indice della salute della società del gruppo va ricercata nel bilancio di esercizio in quanto il bilancio consolidato non consentirebbe di leggere attraverso le correzioni artificiose attuate con operazioni infragruppo fittizie. La falsità può dunque ricavarsi dal bilancio d’esercizio anche quando non sia ricavabile dal bilancio consolidato. Al contrario, nel caso in cui la falsità venga replicata, si configurerebbe una duplicità dei fatti penalmente perseguibili. I dati ricavabili dal bilancio consolidato e tali per cui era espressa la situazione economica e patrimoniale del gruppo, per i giudici, non valevano ad obliterare la falsa rappresentazione delle annotazioni comunque effettuate nel conto economico del bilancio d’esercizio della capogruppo. È stato anche ribadito che per descrivere le condizioni economiche di una società il dato – cioè la comunicazione sociale – non rileva soltanto riguardo all’importo contabile dell’operazione o dalla sua incidenza sui conti bensì anche dal significato che quell’operazione assume per ricostruire la rete dei rapporti sociali ed economici dell’impresa e, in definitiva, dell’identità stessa della società analizzata.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 5 marzo – 5 giugno 2015, numero 24289 Presidente Bevere – Relatore Vessichelli Fatto e diritto Propongono ricorso per cassazione C.O. , G.V. , Ca.Anumero , A.F. e B.G.P. avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo in data 29 novembre 2013 con la quale è stato definito il giudizio in cui erano stati riuniti due diversi processi, rispettivamente conclusi con sentenza del Tribunale di Palermo del 30 giugno 2011, riguardante le posizioni, tra gli altri, dei primi quattro imputati menzionati e, altresì, con sentenza dello stesso Tribunale di Palermo in data 8 ottobre 2012 che aveva riguardato la posizione della quinta imputata. Con la prima delle sentenze appena citate era stata pronunciata condanna nei confronti di C. , G. , Ca. e A. in ordine alla contravvenzione di false comunicazioni sociali prevista dall'articolo 2621 comma primo del codice civile contestata al capo A come commessa il 20 luglio 2006 e, al capo C , come commessa il 23 luglio 2007. Con la seconda delle citate sentenze, pronunciata nel processo che vedeva la B. imputata delle stesse ipotesi criminose, è stata invece rilevata e dichiarata la prescrizione. Agli imputati era stato contestato, cioè, il falso in bilancio relativo alla società Amia spa, società destinata alla gestione dei rifiuti nel comune di Palermo e in altri ambiti territoriali vicini, essendo stato il C. direttore generale, G. presidente del consiglio di amministrazione, Ca. , A. e B. membri del consiglio di amministrazione. La Corte d'appello parzialmente riformando, per quanto qui d'interesse, la sola sentenza del 30 giugno 2011, ha sostituito, alla condanna, la declaratoria di prescrizione nei confronti di C. , G. , Ca. e A. ha poi confermato la già pronunciata prescrizione nei confronti di B. pur mostrando di analizzare il criterio della evidenza di cui all'articolo 129 comma due cpp e ha confermato infine, ai sensi dell'articolo 578 c.p.p., anche le statuizioni civili pronunciate dal Tribunale a carico dei primi quattro imputati in particolare la condanna generica al risarcimento del danno in favore del Comune di Palermo e della società Amia, e la condanna al pagamento di una provvisionale. Il fatto, come ricostruito nel capo d'imputazione, era rappresentato dall'accertamento dell'inserimento, nei bilanci di Amia spa società del Comune di Palermo interessata alla gestione ed allo smaltimento dei rifiuti anche di Comuni vicini chiusi al 31 dicembre 2005 ed al 31 dicembre 2006 rispettivamente approvati dall'assemblea dei soci il 20 luglio 2006 e il 23 luglio 2007 di voci di proventi straordinari da plusvalenze per attività smobilizzate e da cessioni di contratti in realtà non corrispondenti ad effettive acquisizioni di utili al patrimonio della società, in modo tale, dunque, da far apparire un bilancio in attivo di 113 mila Euro per il 2005, nonostante che quello chiuso in tale annualità dovesse registrare una reale perdita di quasi 16 milioni di Euro ed un bilancio relativo al 2006 in attivo di 200.335 Euro, mentre quello chiuso in tale annualità aveva registrato una ancor maggiore perdita pari a più di 31 milioni e 800.000 Euro. Si era trattato di condotte finalizzate ad ingannare non tanto il socio unico, cioè il Comune di Palermo che aveva agito in unità di intenti quanto il pubblico, essendo volte altresì, attraverso una sensibile alterazione della rappresentazione della situazione economica e finanziaria della società, a procurare agli amministratori di Amia s.p.a. un ingiusto profitto rappresentato dalla sopravvivenza della società stessa che, altrimenti, avrebbe dovuto essere ricapitalizzata o messa in liquidazione e la permanenza di quei soggetti negli incarichi direttivi della compagine sociale nonché quantomeno il mantenimento dei rispettivi emolumenti. In particolare era stata iscritta, nel bilancio del 2005, al conto economico e nella voce proventi straordinari, una falsa plusvalenza derivante dalla cessione simulata, in favore di una società controllata da Amia spa Amia Servizi srl , di automezzi e immobili che però rimanevano nella disponibilità della cendente Amia spa con un artificio e cioè quello di compensare il credito derivante dalla vendita, con il debito dei canoni di locazione dovuti per il contestuale affitto dei beni stessi da parte della società cedente. Nel bilancio del 2006, invece, poi, veniva iscritta nello stesso conto economico, un provento straordinario apparentemente derivante dalla cessione, sempre in favore di Amia Servizi srl, di contratti con società terze, per la gestione di impianti di termovalorizzazione e smaltimento, contratti che venivano sopravvalutati non essendo state considerate tra l'altro, anche numerose condizioni risolutive espresse che ne determinavano la assoluta incertezza, ed anzi non essendo stati considerati una serie di eventi che rendevano quei contratti a forte rischio di risoluzione. Deducono G. con due ricorsi degli avv.ti Caleca e Mangano, aventi identico contenuto, ma depositati rispettivamente il 3 e il 25 marzo 2014 , con la premessa di avere visto dichiarata la prescrizione per il reato sub A già in primo grado. 1 la violazione di legge in relazione all'articolo 2621 C. C Sostiene l'impugnante che TAMIA, all'epoca dei fatti, era ente affidatario del servizio pubblico essenziale di igiene ambientale urbana, della quale, unico socio era il Comune di Palermo il quale trasformò l'ente stesso in società per azioni, nella prospettiva della privatizzazione delle aziende municipalizzate. Ciò nonostante, prosegue, l'essere una società tenuta all'osservanza di un procedimento di formazione della propria volontà diretto al perseguimento di fini pubblici, comporterebbe che tale soggetto ha natura di soggetto di diritto pubblico e i suoi organi direttivi meritano il riconoscimento della qualità di incaricati di pubblico servizio o di pubblici ufficiali. In tal senso cita la sentenza della Cassazione penale numero 12885 del 2013 ed anche la sentenza delle Sezioni unite civili numero 26 936 del 2013 in tema di società in house , ossia di quelle società dal cui quadro statutario emerge che sono state costituite da un ente pubblico per l'esercizio di pubblici servizi e rispetto alle quali solamente il medesimo ente sia socio società che esplichi la propria attività prevalente in favore dell'ente partecipante e sia assoggettata a forme di controllo della gestione analoghe a quelle esercitate dall'ente pubblico sui propri uffici. Ebbene, per tale genere di società le Sezioni unite civili della Cassazione hanno riconosciuto la natura sostanzialmente pubblica dei relativi amministratori e la giurisdizione della Corte dei conti, con esclusione di quella del giudice civile per i casi di responsabilità. La conclusione di tale premessa, secondo il difensore impugnante, è che, come desumibile anche da un'ordinanza del Gip di Palermo relativa ad altro filone del procedimento iscritto a carico di taluni degli odierni ricorrenti ed allegato al ricorso, l'imputato ricorrente in particolare avrebbe dovuto rispondere, nel caso di specie, del reato di falso ideologico e non già della più lieve ipotesi contravvenzionale in esame, inapplicabile ai pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio. Per tale ragione chiede l'annullamento della sentenza 2 la violazione di legge sopra menzionata ed il vizio della motivazione. Osserva l'impugnante che nella motivazione della sentenza impugnata si da atto della esistenza di un conflitto tra il bilancio consolidato del gruppo costituito da Amia S.p.A. ed Amia servizi S.r.l. ossia la società controllata dalla prima, utilizzata per la effettuazione delle operazioni simulate che costituivano l'apparente causale delle comunicazioni sociali giudicate false , da un lato, e, dall'altro, il bilancio di esercizio della capogruppo Amia S.p.A. nel senso cioè, che dal primo atto ad informare contestualmente sulla situazione delle diverse persone giuridiche che formavano il gruppo era perfettamente evincibile, come riconosciuto dagli stessi giudici, la disastrosa situazione economica e patrimoniale del gruppo stesso, a differenza di quanto poteva desumersi dal bilancio, pubblico al pari del precedente, della sola controllante. Tale circostanza oggettivamente accertata privava di potenzialità ingannatoria la condotta, pure causa di una falsa comunicazione, dell'imputato, soprattutto alla luce dell'articolo 2621 c.comma che punisce le false comunicazioni sociali sulla situazione non solo della società ma anche del gruppo ed inoltre di quelle false comunicazioni idonee ad ingannare. In altri termini i terzi destinatari delle comunicazioni non possono essere ingannati perché hanno l'onere di verificare tutti bilanci depositati di Amia S.p.A., sia come società che come capogruppo. Inoltre può affermarsi che l'unico socio della società in questione, ossia il Comune di Palermo, del quale è riconosciuta dai giudici la unitarietà di intenti con la società stessa, era a conoscenza della disastrosa situazione economica della società sin dal 2005. C. , con la premessa di avere visto dichiarata la prescrizione per il reato sub A già in primo grado il vizio della motivazione articolo 2621 cc e la violazione di legge in relazione alla affermata idoneità ingannatoria delle false appostazioni nei bilanci di esercizio. Con argomenti analoghi a quelli spesi dalla difesa di G. , si fa osservare che la detta potenzialità avrebbe dovuto essere riconosciuta come inesistente a fronte della esistenza, immotivatamente sottovalutata dalla Corte di merito, del bilancio consolidato del gruppo di cui l'Amia spa era capofila un bilancio consolidato che, come accertato in sentenza, lasciava emergere in modo chiaro la situazione disastrosa di Amia spa, dal momento che in esso, le operazioni infragruppo comprese quelli in contestazione erano doverosamente elise. Si trattava di un bilancio registrato e pubblico al pari di quello di esercizio e tale da comportare, per il socio comunque già informato e per il pubblico, l'onere di doverosa compulsazione, con la conseguenza che la falsità delle appostazioni contenute nei bilancio di esercizio sarebbe emersa dal confronto con i dati, del tutto veritieri, del bilancio consolidato. B.G. . il vizio della motivazione e la violazione di legge articoli 2621, 2381 e 2392 e.e . L'impugnante pone in evidenza la modestia assoluta della motivazione contenuta in una sola pagina della sentenza. Il giudice dell'appello aveva ritenuto sostanzialmente invocata anche dalla difesa la prescrizione mentre era vero che questa aveva chiesto sin dal primo grado la assoluzione dell'imputata per non aver commesso il fatto, ai sensi dell'articolo 129 comma due Cpp. La Corte d'appello aveva riconosciuto l'assenza di motivazione su tale punto, in particolare riconoscendo anche l'errore in cui era incorso il primo giudice nel ritenere che i reati in parola fossero integrabili anche con la semplice colpa. Tuttavia aveva ritenuto superabile tale vizio della motivazione del primo giudice, nell'ottica della prescrizione, sostenendo che la responsabilità dolosa dell'imputata derivava dalla sua partecipazione consapevole, sia pure in veste di amministratore non delegato, a tutte le deliberazioni del consiglio di amministrazione relative agli atti di gestione che erano stati programmati e realizzati per rendere possibili le false rappresentazioni della situazione economica nel bilancio. In altre parole, la Corte d'appello, pur affermando che la responsabilità dell'amministratore senza deleghe, in ordine al reato di cui in esame, è connotato, nella vigente disciplina, dal dolo intenzionale e dalla finalità di ingiusto profitto per sé o per altri, ha poi apoditticamente affermato che il comportamento degli amministratori fosse connotato da tale elemento psicologico. Tuttavia proprio tale volontà d'inganno, attribuita al imputata, non era stata in alcun modo argomentata. Infatti la sola circostanza accertata era che la ricorrente fosse stata, nel periodo preso in considerazione, componente del Consiglio di amministrazione di Amia S.p.A. Piuttosto, il giudice del merito avrebbero dovuto motivare in ordine alle prove fornite dalla difesa e principalmente in ordine alla decisione, assunta il 4 luglio 2005 da tutti i componenti del Consiglio di amministrazione e per quanto concerne la ricorrente dopo 8 giorni dalla assunzione della carica di delegare al Presidente Dott. G. i poteri di ordinaria amministrazione e, in via d'urgenza, i poteri di competenza del Consiglio. Tale determinazione era particolarmente rilevante alla luce della modifica apportata, con legge del 2003, agli articoli 2381 e 2392 del codice civile, modifica che ha eliminato il dovere dei componenti del consiglio di amministrazione privi di delega di vigilare sull'amministratore delegato, riservando loro il solo potere di valutare l'andamento della società sulla base delle informazioni ricevute dall'amministratore delegato. In altri termini, esclusa la possibilità di configurare la responsabilità della ricorrente anche solo a titolo di omissione di vigilanza, era stata elusa da parte della Corte territoriale la necessità di motivare in ordine, in primo luogo, alla delibera del Consiglio di amministrazione Amia del 30 dicembre 2005 che autorizzava il Presidente G.V. alla vendita di mezzi ed immobili della società Amia S.p.A. alla neo-costituita Amia servizi S.r.l. Consiglio al quale l'imputata risultava assente anche la decisione di riprendere in locazione gli automezzi appena alienati era stata presa in autonomia dal Presidente e dal Direttore generale. Uguale era stato l'iter per la cessione dei contratti relativi allo smaltimento dei rifiuti, decisione assunta nel Consiglio di amministrazione del 20 maggio 2006 ed al quale era assente l'imputata, come assente era rimasta in tutte le occasioni assemblea degli azionisti del 21 dicembre 2006, consiglio di amministrazione dell'8 giugno 2007 di approvazione del bilancio al 31 dicembre 2006 nelle quali erano state trattate le questioni di cui al capo di imputazione. D'altra parte, proprio gli elementi probatori appena ricordati hanno consentito alla Corte di merito di trasformare la declaratoria di prescrizione riguardante il coimputato Ga.Vi. in una assoluzione perché il fatto non costituisce reato, così come di assolvere Gi.Anumero , Presidente del collegio sindacale. In particolare quest'ultimo si è giovato della consulenza tecnica redatta dal Dott. g.g. , consulenza dai cui allegati si evince che il socio unico Comune di Palermo aveva impartito precise direttive agli organi amministrativi di Amia S.p.A. per la realizzazione delle cessioni dei contratti di cui all'imputazione. Non era stato neppure adeguatamente valorizzato quanto affermato dal consulente a proposito della inesistenza della necessità di dissimulare le contestate cessioni, atteso che il medesimo effetto economico si poteva ottenere iscrivendo in bilancio il valore risultante dalle perizie di stima e comunque senza che si producesse la riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale. Il consulente Dott. Battaglia, dal canto suo, aveva fornito delucidazioni sulla assoluta non necessità di ricorrere agli artifici di cui al capo A anche solo per eludere la normativa civilistica sulle perdite qualificate sarebbe bastato operare la rivalutazione dei beni d'impresa. Infine la difesa fa notare che i giudici del merito hanno omesso l'accertamento del superamento delle soglie di punibilità previsto dal terzo comma dell'articolo 2621 c.c. una evenienza, pur riconosciuta nella sentenza impugnata, e da sola capace di determinare la assoluzione per mancanza di un elemento costitutivo del reato. C. e A. . 1 la violazione di legge articolo 2621ccomma 40, 42 cp e il vizio della motivazione. Sostengono di avere agito in perfetta buona fede, avendo preso atto della necessità, che derivava direttamente dagli obblighi imposti dalla normativa ambientale decreto legislativo numero 267 del 2000 , che Amia S.p.A. aveva, per salvare la gestione in house ossia per affidamento diretto e senza partecipare alle gare del servizio di igiene ambientale, di spogliarsi delle attività extra moenia ossia non svolte nel territorio di Palermo. Per tale ragione era stata costituita la società Amia servizi Srl, partecipata da Amia S.p.A. e dotata di un proprio patrimonio che era poi quello data dalla urgenza della procedura della società partecipante la quale, per tale motivo, dovendo continuare a svolgere anche il proprio servizio, aveva scelto di riprendere lo stesso patrimonio conferito, a titolo di locazione. In tale ottica si spiegavano le operazioni di cessione elencate nel capo d'imputazione sub A ed anche quelle di cui al capo B che non erano fittizie o sopravvalutate ma addirittura stimolate dal socio unico di Amia spa e cioè il Comune di Palermo il quale aveva dato apposite direttive. L'esecuzione dell'intero progetto, poi, era stata realizzata da G. e C. i quali erano stati definiti, nella stessa sentenza impugnata, i domini dell'operazione, soggetti che godevano della massima stima in seno al consiglio d'amministrazione. D'altra parte, come ribadito in sentenza, il Presidente del consiglio di amministrazione aveva asseverato come veritiero il bilancio nel quale le operazioni erano state annotate e questo era stato avallato dal Presidente del collegio sindacale e dal Revisore dei conti. La legittimità del comportamento del Presidente del collegio sindacale era stata riconosciuta nella decisione di assolverlo per mancanza di prova del dolo del reato. Ma anche nei confronti dei ricorrenti si sarebbe dovuti giungere ad analoga conclusione se si fossero prese le mosse dal rilievo che uno degli elementi costitutivi del dolo del reato in esame è dato dal fine di conseguire un ingiusto profitto. Sostiene il difensore che tale finalità, originariamente individuata in relazione al riconoscimento di un premio stipendiale, era stata giudicata, dal giudice dell'appello, invece configurabile diversamente dal momento che il premio stipendiale non risultava configurabile secondo l'ipotesi accusatoria era stato cioè configurato in relazione al mantenimento in vita della società, al conseguente mantenimento degli incarichi direttivi da parte degli imputati anche nell'ottica di conseguire nuovi incarichi. Tuttavia il difensore articola una serie di considerazioni con le quali sostiene che tale finalità non era in concreto configurabile poiché il mantenimento della carica non era in discussione all'atto dell'approvazione del primo bilancio in esame mentre risultava già escluso, per decisione del sindaco del comune di Palermo, assunta nel giugno 2007 e dunque prima dell'approvazione del secondo bilancio. In altri termini, risultava per tabulas che non vi era alcuna possibile finalizzazione della condotta contestata al mantenimento di incarichi nella società Amia o al conseguimento di incarichi in altre società. D'altra parte, proprio inseguendo tal genere di considerazioni, il giudice dell'appello aveva ritenuto di assolvere il coimputato M. che pure aveva partecipato a tutti gli atti deliberativi di rilievo con riferimento alle operazioni indicate nei capi di imputazione in quanto lo stesso sia era dimesso dalla carica di componente del consiglio di amministrazione di Amia S.p.A. il 18 dicembre 2006 per accedere al consiglio comunale , sicché non avrebbe avuto alcun interesse alle ricadute dell'operazione incriminata, in termini di immagine e di prestigio. M. , comunque, all'atto di approvazione del bilancio del 2005 non sapeva ancora che si sarebbe dimesso per accedere al consiglio comunale e, ciò nonostante, è stato assolto per le ragioni suddette mentre gli odierni ricorrenti sono stati condannati senza considerazioni alcuna della finalità di profitto che avrebbero perseguito e che era sicuramente meno concreta di quella ipotizzabile, invece, nei confronti di M. , pure assolto. Ma l'elemento psicologico del reato viene contestato dalla difesa anche sotto altro profilo cioè quello del dolo generico rappresentato dalla consapevolezza della falsità delle appostazioni e da quello specifico dalla correlata finalità di ingannare i soci o il pubblico. Al riguardo, e sempre ricordando che tutte le operazioni sono state accertate come commesse da G. e C. in ragione delle posizioni apicali dagli stessi rivestite in seno alle società interessate, la difesa dei ricorrenti rammenta che proprio la difficoltà di ricostruire i detti atteggiamenti psicologici pretesi dalla contravvenzione in esame ha consentito ai giudici dell'appello di pervenire alla assoluzione dei Presidente del collegio sindacale Gi.Anumero ritenuto raggiunto soltanto dalla prova del dolo eventuale e del Revisore dei conti numero D. . La difesa non comprende perché tale dubbio non sia stato riconosciuto anche con riferimento alla posizione dei ricorrenti nonostante la mancanza assoluta di prova di finalità illecite ed anzi la prova positiva della natura lecita delle operazioni, richieste anche dal consiglio comunale, oltre che avallate dal collegio sindacale e dal revisore dei conti nonché da una società esterna di certificazione di bilancio. Era rimasto del tutto scoperto il tema della prova della consapevolezza circa la natura fittizia delle operazioni, in capo a dei semplici componenti del consiglio di amministrazione privi di delega, rispetto ai quali gli articoli 2381 c.comma e 2392 c.c., con la riforma del 2003, hanno fatto cadere l'obbligo di vigilanza sull'andamento della gestione sostituendolo con l'onere di agire in formato . Per essi, come già per M. , non poteva bastare, ad affermare la responsabilità, anche dal punto di vista psicologico, la circostanza della partecipazione agli atti deliberativi del consiglio di amministrazione e alla assemblea dei soci. Quanto alla finalità di ingannare il socio o il pubblico, pretesa dall'articolo 2621 cc, la difesa evidenzia che la prima era esclusa oggettivamente dal fatto che proprio il Comune di Palermo aveva espressamente richiesto le operazioni in questione. Quanto agli altri soggetti potenzialmente destinatari dell'inganno, la difesa fa notare che gli stessi erano adeguatamente tutelati dalla esistenza del bilancio consolidato di gruppo il quale, come attestato anche in sentenza, evidenziava in maniera chiara lo stato di salute della società, emergendo in esso le perdite e la situazione patrimoniale deteriorata. I ricorsi relativi a G. e C. sono infondati. Occorre precisare che, a parziale correzione di quanto enunciato nei ricorsi in esame, questi devono ritenersi diretti ad investire la pronuncia di prescrizione formulata in appello in ordine ad entrambi i reati originariamente contestati capi A e C , e già addebitati ai ricorrenti in primo grado, essendo la causa estintiva maturata fra il primo e il secondo grado di giudizio anche per la contravvenzione di cui al capo A , ed essendo stato, il giudizio della Corte territoriale, pronunciato agli effetti civili, ai sensi dell'articolo 578 cpp. In ordine al primo motivo enunciato per G. va rilevato che lo stesso viene dedotto come articolato per la prima volta in Cassazione, con la conseguenza che il relativo esame deve ritenersi precluso in virtù del disposto dell'articolo 609 comma 2 cpp. D'altra parte, l'impugnante non rappresenta neppure quale sarebbe l'interesse concreto all'accoglimento della tesi di una qualificazione giuridica del fatto ben più grave di quella che è stata accolta, senza contestazione alcuna da parte della difesa, nei gradi di merito e si è rivelata tale da avere comportato la declaratoria della prescrizione, non rinunciata dall'interessato. Il tutto senza considerare che l'ipotizzata dalla difesa veste di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio non varrebbe di per sé a mutare anche la natura giuridica della scrittura falsificata, che resta quella del bilancio di società per azioni, oggetto specifico dell'ipotesi di reato contestata e non rivendicato neppure dalla difesa all'area degli atti pubblici tutelati dalla disciplina dei delitti contro la fede pubblica. In ordine al secondo motivo, comune a G. e C. , si osserva che lo stesso è al limite della inammissibilità perché costituisce la reiterazione di analoga doglianza già sottoposta al giudice dell'appello e da questi affrontata e risolta con argomentazioni ineccepibili alle quali i ricorrenti nulla di rilevante aggiungono nel presente ricorso. In particolare i ricorrenti insistono nel chiedere il riconoscimento della assenza di potenzialità ingannatoria propria delle false comunicazioni sociali in esame, dovuto al fatto che il bilancio consolidato del gruppo, del quale faceva parte ed era capofila la società Amia spa, lasciava comunque emergere la disastrosa situazione economica pure occultata nel bilancio di esercizio dell'Amia. Si tratta tuttavia di un assunto che il giudice del merito ha motivatamente ritenuto privo di fondamento osservando che la presenza di un bilancio integrato sulla situazione dell'intero gruppo bilancio consolidato, istituito con D. lgs. numero 127/91 successivamente aggiornato con il D lgs 32/2007 che recepisce parzialmente la direttiva 51/2003 , nel quale le operazioni interne al gruppo stesso devono essere ex lege articolo 31 d. cit. eliminate , non può di per sé valere a far escludere la rilevanza di falsità contenute nel bilancio di esercizio di una delle società del gruppo e relative ai rapporti con le altre società del gruppo. Infatti, come ricavato anche da principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità in particolare Sez. 5, Sentenza numero 191 del 19/10/2000 Ud. dep. 10/01/2001 , Mattioli , il bilancio consolidato della società capogruppo mira a rappresentare la situazione patrimoniale dell'intero gruppo societario e, in particolare, al conto economico fornisce dati sulla formazione e consistenza del reddito del gruppo, e dunque ha una funzione informativa, appunto, sul gruppo che, però, non muta la natura del bilancio stesso il quale è diverso dal bilancio di esercizio della sola società capogruppo e non lo sostituisce questo, infatti, deve essere comunque redatto con chiarezza articolo 2 dee. cit. e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società' e il risultato economico dell'esercizio. Cioè fornisce notizie sulle condizioni economiche della società controllante, rilevanti ai sensi dell'articolo 2621 c.c Per tale ragione, la dottrina concordemente osserva che il bilancio d'esercizio è l'unico documento utile per reperire informazioni sulle performance delle azioni detenute. Significativamente, sulla stessa linea, la sentenza numero 2787 del 16/04/1997 Ccomma dep. 23/05/1997 Rv. 207654 ha tratto da tali premesse il corollario che i falsi che interessino le comunicazioni di ciascuna società del gruppo sono, si, eventualmente correlabili, ma non per questo privi ciascuno della propria autonomia, posto anche che il bilancio consolidato del gruppo redatto dalla capogruppo in aggiunta al proprio bilancio di esercizio resta ben distinto da quello di esercizio, sia della società capogruppo, sia di quelle controllate. Quest'ultimo, infatti, deve essere redatto anche in presenza del bilancio consolidato e sottosta alle regole in tema di regolarità e veridicità delle appostazioni, a presidio delle quali sta il precetto penale contestato una soggezione che tanto più si apprezza in quanto il bilancio consolidato non reca in sé le relazioni che si sono istituite durante l'esercizio tra le parti del gruppo le partite infragruppo vengono infatti eliminate prima che si proceda all'effettivo consolidamento dei singoli prospetti contabili, sicché proprio la falsità delle operazioni tra le società del gruppo sono quelle che possono gravare sul solo bilancio di esercizio di ciascuna, mentre il bilancio consolidato non può in alcun modo essere utile a rilevarle perché da esso vanno espunte. In altri termini, le dinamiche operative che vengono a realizzarsi tra le unità produttive che compongono il gruppo possono essere desunte solo attraverso una diligente analisi dei dati forniti dai singoli bilanci d'esercizio appartenenti alle singole unità produttive facenti parte dell'aggregato. E ciò in quanto può dirsi che il bilancio di gruppo si limita ad offrire indicazioni sui rapporti che durante l'anno amministrativo sono intercorsi tra il gruppo unitariamente inteso e terze economie. Ed il dato negativo sulla condizione delle società del gruppo, ricavabile dal bilancio consolidato, può valere a creare un allarme nel fruitore del dato ma non anche a dimostrargli univocamente la falsità di eventuali operazioni infragruppo volte, con riferimento al singolo anno di esercizio e dunque nell'ottica del breve periodo, a spostare, per motivi strategici ma non per questo necessariamente illegittimi, risorse dell'una a favore dell'altra componente del gruppo si da determinare, per la prima, una situazione di bilancio attivo, contingente ma idonea a produrre positivi effetti sull'affidamento dei terzi. E per questo, se falsa, penalmente rilevante. In conclusione, proprio il dato della salute della società del gruppo è quello che va ricercato in primo luogo nel bilancio di esercizio posto che la sua eventuale correzione artificiosa con fittizie operazioni infragruppo come nella specie si è verificato non si rileverebbe, ex lege, dal bilancio consolidato ma sarebbe destinata a produrre comunque gli effetti di distorsione della informazione di cui taluni terzi il pubblico imprenditori, istituti di credito, collettività amministrata dall'ente territoriale socio unico possono avere bisogno di fruire. E la eventuale replica della falsità contenuta nel bilancio di esercizio, anche in quello consolidato darebbe luogo, semmai, solo a duplicità di fatti penalmente perseguibili, essendo ontologicamente distinti v.Sez. 1, Sentenza numero 3357 del 08/06/1998 Ccomma dep. 26/06/1998 Rv. 210880 . Viceversa, la regolarità del bilancio consolidato della capogruppo non esclude la configurabilità del reato di cui all'articolo 2621 cc in relazione alla falsificazione del bilancio di esercizio della medesima. Perciò, anche per quanto si dirà, correttamente giudici del merito hanno escluso che il contenuto dei bilanci consolidati che pure esprimeva la disastrosa situazione economica e patrimoniale del gruppo Amia potesse valere in qualche modo a sanare la falsa rappresentazione delle annotazioni nel conto economico della società capofila. Sul punto appare utile ricordare quanto già puntualizzato dalla sentenza del 2000 sopra citata nonché da quella del 21 gennaio 1998, Cusani, rilevante per dimostrare quanto sostenuto dai giudici a quibus e cioè che la falsificazione di poste attive del bilancio di esercizio della società capogruppo, quali risultanti di rapporti con altra società dello stesso gruppo, non avrebbe potuto neppure essere posta nel nulla sul piano della rilevanza penale soltanto in ragione della compensazione o del bilanciamento che quella posta potesse trovare nella corrispondente posta passiva iscritta nel bilancio di esercizio dell'altra società del gruppo interessata dalla medesima operazione. Invero, come affermato nella sentenza Mattioli, la rilevanza di una comunicazione ai fini della descrizione delle condizioni economiche della società non dipende soltanto dall'importo contabile di una determinata operazione o dalla sua incidenza percentuale sui conti, bensì, anche dal significato che quell'operazione può assumere per ricostruire la rete dei rapporti sociali ed economici in cui l'impresa e il suo management si inseriscono e dunque, in sostanza, l'identità stessa della società. Oggi, infatti, i fatti della ricchezza, intesa come capacità ed efficienza produttiva, sono sempre meno pesanti e dipendono in misura sempre crescente dalle conoscenze, dalle attitudini, dai rapporti, dall'affidabilità degli uomini della cui opera l'impresa vive. Insomma le condizioni economiche di un'impresa dipendono significativamente dalla sua identità, che è definita da una quantità di elementi ben più estesa e complessa del semplice saldo dei suoi conti o dell'incidenza che una singola operazione può avere su di essi. Del resto concetti non differenti da quelli sopra riportati ha espresso la recente giurisprudenza civile di questa Corte, nell'avere riconosciuto nettamente l'autonomia cogente rispetto al principio di verità del principio di chiarezza del bilancio, peraltro già enunciato dal testo originario dell'articolo 2423 c.c., con la affermazione che il difetto di chiarezza, ravvisato in tutte le ipotesi in cui dal bilancio o dalle relazioni allegate non risulti quel complesso di informazioni che la legge richiede con riguardo alle singole voci o poste, comporta comunque la non verità del bilancio stesso, in quanto compromette quella funzione informativa, interna ed esterna alla società, che è lo scopo fondamentale previsto dal legislatore Sez. I, 8 agosto 1997, numero 73598 restando così ribadito che l'informazione che la comunicazione sociale deve dare riguarda anche ciascuno dei singoli aspetti dell'attività dell'impresa, e non occorre davvero sottolineare che una informazione priva di chiarezza, su questa o quella posta o voce, cioè, non idonea ad essere compresa, non è più una informazione . In conclusione deve darsi atto della manifesta infondatezza della tesi riproposta nei ricorsi in esame, volta a sostenere la sostanziale irrilevanza perché priva di efficacia ingannatoria di una falsa comunicazione sociale inserita nel bilancio di una delle società del gruppo, ove letta ed analizzata alla luce di dati diversi ed ulteriori riportati nel bilancio consolidato del gruppo quella pretesa irrilevanza, che avrebbe dovuto essere confortata dal rilievo che l'unico socio dell'Amia era il comune di Palermo, perfettamente in linea con le finalità della Amia stessa, e consapevole del disegno perseguito dai suoi vertici, risulta smentita per tabulas dal fatto, attestato nella sentenza impugnata e non contraddetto nel ricorso, che il bilancio di esercizio era diretto all'informazione non solo del socio ma anche di terzi altri soggetti imprenditoriali, alla collettività rappresentata dall'ente pubblico, i fornitori . È stato anche significativamente posto in risalto il comportamento del ricorrente G. del quale si è detto che ha dichiarato di aver fatto tutti i miracoli possibili per tenere a galla la società. D'altra parte, la falsificazione delle comunicazioni sociali in esame costituiva il coronamento contabile di un progetto criminoso che era nato con la artificiosa predisposizione e realizzazione delle cessioni di beni e contratti descritti nei capi d'imputazione, finalizzate a loro volta, appunto, a consentire la rappresentazione di una distorsione miracolistica della realtà finanziaria dell'Amia che consentisse di dissimulare le rilevantissime perdite della società, permetterne la sopravvivenza evitando di incorrere nelle procedure concorsuali e, agli organi direttivi, di decadere perdendo i correlati emolumenti oltre che l'immagine positiva della propria gestione. Il ricorso di B. è inammissibile. La sostanza dell'argomentare contenuto nella sentenza impugnata a proposito della posizione della ricorrente consiste nella attestazione che, in base alle emergenze raccolte, l'imputata ha partecipato a tutti gli atti di gestione fraudolenti indirizzati a consentire le false appostazioni nei bilanci del 2005 e del 2006, con la conseguenza che tale condotta è sufficiente a far escludere, in presenza della prescrizione maturata prima della sentenza di primo grado e dichiarata dal Tribunale, che sussistessero prove dell'innocenza dell'imputata, connotate dal requisito dell' evidenza che è richiesto, dall'articolo 129 comma due, come indispensabile per prevalere sulla causa di estinzione del reato. A fronte di tale ragionamento, la posizione della difesa dell'impugnante, consistente nel denunciare l'insufficienza della motivazione già della sentenza di primo grado e poi anche di quella di appello, sulle cause di proscioglimento nel merito, appare non apprezzabile sotto un duplice profilo. In primo luogo essa omette di considerare con la dovuta precisione, che il vizio della motivazione, in presenza di una causa estintiva del reato, può essere dedotto soltanto se finalizzato a sostenere la esistenza della prova, in atti, della evidenza dell'innocenza dell'imputata, così come preteso dall'articolo 129 comma due cpp e come esattamente sottolineato nella sentenza impugnata. Di regola, infatti, in presenza di una causa estintiva del reato, il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'articolo 129 cod. procomma penumero solo nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la sua rilevanza penale e la non commissione del medesimo da parte dell'imputato emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile tanto che la valutazione da compiersi in proposito appartiene più al concetto di constatazione che a quello di apprezzamento . Ed invero il concetto di evidenza , richiesto dal secondo comma dell'articolo 129 cod. procomma penumero , presuppone la manifestazione di una verità processuale così chiara ed obiettiva, che renda superflua ogni dimostrazione, concretizzandosi così in qualcosa di più di quanto la legge richiede per l'assoluzione ampia, oltre la correlazione ad un accertamento immediato Sez. U, Sentenza numero 35490 del 28/05/2009 Ud. dep. 15/09/2009 Rv. 244274 Sez. 6, Sentenza numero 31463 del 08/06/2004 Ud. dep. 16/07/2004 Rv. 229275 non si può far luogo al proscioglimento nel merito, in presenza delle condizioni per la prescrizione, dunque, nel caso di mera contraddittorietà o insufficienza della prova che richiede un apprezzamento ponderato tra opposte risultanze Sez. 4, Sentenza numero 23680 del 07/05/2013 Ud. dep. 31/05/2013 Rv. 256202 . Specularmente, in presenza di una causa di estinzione del reato ancora non dichiarata, non sarebbero rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l'obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva Sez. U, Sentenza numero 35490 del 28/05/2009 Ud. dep. 15/09/2009 Rv. 244275 . Con la eccezione del caso di estinzione del reato già dichiarata ma con omessa motivazione in ordine alla causa di proscioglimento nel merito che la parte, con specifici motivi, abbia prospettato come evidente caso che comporterebbe, invece, l'annullamento della sentenza con rinvio, in accoglimento del ricorso per cassazione Sez. 5, Sentenza numero 3525 del 15/10/2013 Ud. dep. 23/01/2014 Rv. 259533 precedenti Conformi numero 13316 del 2013 Rv. 254984 . In secondo luogo va ricordato il principio per cui, se il vizio di motivazione sopra indicato come ammissibile sia articolato nella forma del travisamento della prova da parte del giudice del merito, la parte deve in ogni caso rispettare i criteri elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di autosufficienza del ricorso ed allegare la prova che assume travisata sempre che si presenti come idonea a disarticolare, con l'apprezzamento in termini di evidenza di cui si è detto, l'intero ragionamento del giudice della sentenza impugnata e sempre che sia stata sottoposta al giudice dell'appello con motivi specifici ovvero indicare con precisione la sua collocazione negli atti del processo. È infatti generalmente ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione che deduca il vizio di manifesta illogicità della motivazione e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contenga la loro integrale trascrizione o allegazione, così da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze Sez. 2, Sentenza numero 26725 del 01/03/2013 Ud. dep. 19/06/2013 Rv. 256723 precedenti Conformi numero 20344 del 2006 Rv. 234115, numero 37368 del 2007 Rv. 237302, numero 16706 del 2008 Rv. 240123, numero 37982 del 2008 Rv. 241023, numero 6112 del 2009 Rv. 243225, numero 11910 del 2010 Rv. 246552, numero 29263 del 2010 Rv. 248192, numero 45036 del 2010 Rv. 249035 . Nessuno dei detti principi risulta osservato dalla difesa impugnante. Certamente non il secondo, posto che i verbali d'assemblea e le delibere del consiglio di amministrazione che si assumono travisati nel loro significato e nella loro portata probatoria, dal giudice del merito, non sono oggetto di allegazione o indicazione negli esatti termini sopra specificati. E neppure sono indicati dalla parte come sottoposti al giudice dell'appello, ai fini del proscioglimento ex articolo 129 comma 2 cpp, con motivi specifici. Ma anche il primo principio è stato disatteso dalla difesa impugnante la quale si è limitata a sottolineare il conferimento di delega da parte del Consiglio di amministrazione, in favore del Presidente Dott. G. , in ordine agli atti di competenza del Consiglio stesso, da assumere in via d'urgenza e si è limitata altresì a citare alcune occasioni che avrebbero fatto registrare la propria assenza da assemblee o delibere nelle quali erano state assunte decisioni rilevanti ai fini della contestazione, senza tuttavia sostenere che siffatto materiale potesse valere a integrare, in positivo, la prova evidente dell'innocenza della prevenuta, ma reiterando un genere di doglianza volto a sottolineare, semmai, soltanto l'incompletezza della motivazione ossia un limite dell'argomentare del giudice del merito che è prossimo al dubbio sulla colpevolezza inidoneo dunque a prevalere sulla causa estintiva piuttosto che all'evidenza della prova dell'innocenza. Basterebbe osservare, al riguardo, che la motivazione della sentenza impugnata valorizza p. 34 , nell'ottica della dimostrazione della consapevolezza dei componenti del Consiglio di amministrazione in ordine alla condotta delittuosa che si andava perpetrando attraverso le falsificazioni di bilancio, anche la originaria partecipazione dei componenti stessi alla decisione di costituire la Amia servizi srl, ossia lo strumento societario indispensabile, come clone di Amia spa con la quale condivideva i principali organi direttivi , per realizzare quegli atti di cessione fittizi che hanno rappresentato il presupposto delle false comunicazioni sociali. Proprio tale circostanza, non riferibile anche alla posizione del coimputato Ga. che era stato nominato componente del consiglio di amministrazione il 21 dicembre 2006 e cioè più di un anno e mezzo dopo la nomina della ricorrente del giugno 2005 , ha consentito al giudice dell'appello di rilevare la assoluta concludenza della tesi del primo, di non avere preso parte a nessuno degli atti di amministrazione propedeutici e degli atti direttamente esplicativi della falsificazione delle voci di bilancio una affermazione che, lo stesso giudice non ha potuto fare, per la ragione cronologica e logica di cui si è detto, anche in riferimento alla posizione della B. , con la conseguenza che non si apprezza alcun manifesto errore di valutazione nella differenziata considerazione dei comportamenti dei due soggetti nella vicenda de qua. Anche con riferimento al tema delle soglie di punibilità e alla denuncia del relativo mancato accertamento, poi, va rimarcato che la impugnante formula una censura del tutto generica e tardiva, sempre alla luce del fatto che si è in presenza di reato dichiarato prescritto. Invero, nel sottolineare, la difesa, un laconico cenno, presente in sentenza a pag. 23, circa l'accertamento o meno del superamento dei limiti previsti dalla legge , la stessa non percepisce che la prescrizione del reato contestato peraltro con la indicazione che le falsità avevano alterato in modo sensibile” la rappresentazione della situazione economica maturata prima della sentenza di primo grado ha precluso qualsiasi attività di ulteriore indagine o accertamento, dovendo essere dichiarata con immediatezza, con la conseguenza che soltanto la già acquisita prova dell'insussistenza del detto elemento avrebbe imposto al giudice di pervenire al proscioglimento nel merito prevalente sulla causa estintiva e non anche il semplice dubbio sul punto. Nessun maggiore approfondimento o ricerca era imposto al giudice del merito sul tema. I ricorsi di Ca. e A. sono infondati. Occorre premettere che, come affermato dalle Sezioni unite nella sentenza numero 35490 del 28/05/2009 Rv. 244273, all'esito del giudizio, il proscioglimento nel merito, in caso di contraddittorietà o insufficienza della prova, non prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, salvo che, in sede di appello, sopravvenuta una causa estintiva del reato, il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili, oppure ritenga infondata nel merito l'impugnazione del P.M. proposta avverso una sentenza di assoluzione in primo grado ai sensi dell'articolo 530, comma secondo, cod. procomma penumero . Applicando il principio al caso di specie nel quale la prescrizione è stata applicata in appello e dunque la impugnazione è stata decisa nel merito ai soli effetti civili delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernevano tali interessi, secondo il disposto dell'articolo 578 cpp la regola di giudizio al quale la Corte territoriale doveva attenersi non era quella dell'articolo 129 comma 2 cpp ossia della prevalenza del proscioglimento nel merito solo in caso di evidenza della prova della innocenza ma quella dell'articolo 530 comma 2 cpp, dovendo lasciare prevalere il proscioglimento nel merito sulla prescrizione anche in caso di mera contraddittorietà o insufficienza della prova. La Corte territoriale, tuttavia, non ha sostenuto la prevalenza dell'estinzione sull1 insufficienza della prova bensì la sussistenza della prova positiva della responsabilità, per giunta attribuita non già a titolo di comportamento omissivo rilevante ai sensi dell'articolo 40 capoverso c.p. bensì a titolo di condotta commissiva. Con la conseguenza che tutte le osservazioni contenute nel ricorso per sostenere il difetto di conoscenza della reale natura delle operazioni, in capo ai componenti del consiglio di amministrazione, e i conseguenti effetti in punto di pretesa non configurabilità della mancata attivazione dei poteri di vigilanza, non più richiesta dalla normativa in essere, sono manifestamente infondati. Ha sostenuto, cioè, la Corte territoriale che i ricorrenti si fossero resi responsabili dei fatti loro contestati e, in particolare della falsa appostazione di voci attive nei bilanci del 2005 del 2006, sul presupposto della piena integrazione dell'elemento psicologico del reato essi cioè risultano avere preso parte agli atti propedeutici alle false appostazioni in bilancio, per i quali non era prevista e neppure in concreto è stata poi realizzata alcuna controprestazione in favore della società Amia che appariva come cedente , nonostante l'opposto significato da attribuire alle appostazioni medesime. E tale partecipazione si è realizzata attraverso la specifica autorizzazione ad operare che il Consiglio di amministrazione diede con apposite delibere agli organi esecutivi, nel pieno esercizio dei suoi poteri, trattandosi di scelte gestionali adottate, consapevolmente, da tutti i componenti del predetto organo. Già tale considerazione costituisce motivazione completa ed esaustiva in ordine al dolo generico che contraddistingue la contravvenzione in esame. D'altra parte, si tratta di una motivazione capace di dare ragione del convincimento dei giudici in ordine alla consapevolezza dei componenti del consiglio di amministrazione circa l'intera operazione orchestrata, sol che si consideri che gli stessi giudici hanno posto in evidenza come la costituzione della Amia servizi S.r.l. fosse stata concepita sin dall'inizio in maniera del tutto irregolare, diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, perché il patrimonio di cui avrebbe dovuto essere dotata per operare era costituito dal parco di automezzi ed agli immobili che erano invece rimasti nel possesso della cedente, come sin dall'inizio doveva essere noto agli addetti, dal momento che nessun mutuo era stato attivato per effettuare il relativo pagamento. Inoltre, pressoché contestualmente, i medesimi beni erano stati anche formalmente riconferiti alla cedente, attraverso un contratto di affitto che non prevedeva, di fatto, esborsi a carico del conduttore. A ciò va aggiunto che la cessione dei contratti descritta nel capo C occultava il fatto che si trattava di contratti inerenti il servizio di gestione e manutenzione dei rifiuti relativi alle province di Agrigento Trapani e Caltanissetta con previsione di affitto di beni produttivi a ciò necessari, da parte di P. e Pl. , beni però ancora inesistenti ed a costruire. In altri termini si trattava di contratti ceduti per un valore formale di 44 milioni di Euro, ma in realtà privi di valore per la assoluta inefficacia delle convenzioni negoziali e comunque neppure pagati dal momento che la società acquirente non aveva ottenuto un fido bancario, come già rilevato. In tale ottica, non si apprezza alcuna incongruenza della motivazione e tantomeno quella sottolineata dalla difesa rispetto alla analisi riservata alla posizione del coimputato Na. , revisore dei conti, rispetto al quale, come si legge a pagina 38, il primo giudice aveva escluso la sicura consapevolezza della falsità delle operazioni in quanto deliberate da una compagine societaria alla quale il revisore rimaneva esterno ed estraneo e, in presenza delle perizie di stima, non aveva gli strumenti per entrare nel merito delle operazioni correttamente annotate in bilancio. Va anche considerato che la tesi dei ricorrenti di essere componenti del consiglio di amministrazione del tutto affidati alla competenza del presidente del consiglio di amministrazione e del direttore generale, contraddice in punto di fatto l'accertamento del giudice del merito secondo cui tutte le operazioni sopradescritte attenevano alla gestione straordinaria v. pag. 22 della sentenza , come tale soggetta alle necessarie e specifiche autorizzazioni del consiglio di amministrazione. Ma anche dal punto di vista del duplice dolo specifico pure richiesto dalla norma in esame, non si apprezza il lamentato vizio di motivazione. In ordine alla finalità di ingannare i terzi circa le condizioni economiche della società, la sentenza impugnata la ha individuata, del tutto coerentemente, nel realizzare spregiudicate strategie aziendali per conseguire il ricorso al credito presso enti finanziari o presso terzi mascherando perdite di esercizio, o per pagina 22 aumentare la fiducia nel management aziendale. Inoltre, a pagina 25, viene correttamente menzionato il fine di indurre in inganno sulla situazione economica della capogruppo anche i soggetti imprenditoriali, la collettività rappresentata dall'ente pubblico locale, i fornitori. Circa la infondatezza della tesi difensiva della inidoneità del falso in bilancio contestato a raggiungere lo scopo, per l'esistenza del bilancio consolidato del gruppo che invece rifletteva la condizione disastrosa della società capofila Amia spa, si è detto sopra. Quanto alla finalità di profitto, nella sentenza impugnata è stata individuata in quella riguardante non solo la società stessa ma in primo luogo i ricorrenti i quali perseguivano lo scopo di mantenere le posizioni apicali rivestite, posizioni che, a prescindere dalla prevedibile data di scadenza naturale, inutilmente rappresentata dalla difesa, sarebbero destinate ad essere travolte assieme alla società nel caso in cui le gravi perdite di esercizio non fossero state occultate vedi anche pagina 26 . In secondo luogo, come anticipato, era perseguita la finalità di ingiusto profitto per la società, posta nella condizione, con le condotte descritte, di eludere le disposizioni di legge riguardanti l'affidamento in house del servizio pagina 23 . Proprio tali motivate finalità, accertate in capo ai ricorrenti, giustificano appieno la conclusione raggiunta dai giudici territoriali mentre non può assumere rilevanza, in senso contrario, l'incongnienza, che pure non può escludersi, riguardante la assoluzione del M. , sul presupposto che le dimissioni dallo stesso date, dall'incarico di componente del consiglio di amministrazione, il 18 dicembre 2006, sarebbero valse ad escludere, per esso il dolo specifico e cioè l'intento di mantenere il proprio ruolo verticistico anche con riferimento alla partecipazione alla condotta relativa al bilancio del 2005. Neppure appare idonea a scalfire il ragionamento probatorio riguardante i ricorrenti, la assoluzione pronunciata in favore di Gi. , presidente del collegio sindacale. Invero, la motivazione a sostegno di tale decisione è di per sé poco utile nel senso di ingenerare vizi di motivazione che inficino la posizione dei ricorrenti, sol che si consideri che nei confronti di Gi. la Corte territoriale ha ritenuto sussistente il dolo generico ed altresì il dolo specifico costituito dal perseguimento di un ingiusto profitto a vantaggio degli amministratori vedi pagina 42 ultimo rigo e pagina 43 . Ma ha poi concluso nel senso della mancanza di prova certa in relazione alla sussistenza del dolo intenzionale vedi pagina 43 che è quello dell'inganno dei destinatari, per una ragione peculiare riguardante i sindaci e cioè per la ragione che si tratterebbe di requisito rimasto incerto in quanto il giudice di primo grado si era limitato motivarlo, nei confronti dei soli sindaci, in termini di dolo eventuale e dunque erroneamente rispetto a quanto preteso dalla norma. Alla inammissibilità del ricorso di B.G. consegue, ex articolo 616 cpp, la condanna della ricorrente al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro 1000. In base al principio della soccombenza i ricorrenti C.O. , G.V. , Ca.Anumero e A.F. , chiamati a rispondere anche agli effetti civili nel presente processo a differenza della B. , debbono essere condannati, in solido, a rifondere le spese sostenute nel grado dalla parte civile presente alla odierna udienza, spese liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso di B.G. e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed a versare alla cassa delle ammende la somma di euro 1000. Rigetta i residui ricorsi di C.O. , G.V. , Ca.Anumero e A.F. che condanna, singolarmente, al pagamento delle spese del procedimento, nonché In solido al rimborso delle spese della parte civile liquidate complessivamente in euro 5000 oltre accessori come per legge.