Omicidio volontario: necessaria l’indagine sul dolo

Per accertare il dolo del delitto di cui all’articolo 575 c.p., l’individuazione del processo volitivo, normalmente del tutto intimo, e della direzione della volontà che ne costituisce il risultato, non può che essere effettuata attraverso la normale indagine probatoria, dunque un accertamento dall’esterno che non può prescindere dagli elementi di natura oggettiva concernenti la materialità dell’azione, quali la parte del corpo attinta e la micidialità dell’arma.

Indagine probatoria sul dolo. Con la sentenza numero 18131 depositata il 30 aprile 2014, la prima sezione penale della Corte di Cassazione interviene in materia di omicidio volontario ribadendo gli orientamenti giurisprudenziali in materia di dolo. In particolare, si ribadisce che per accertare il dolo del delitto di cui all’articolo 575 c.p., l’individuazione del processo volitivo, normalmente del tutto intimo, e della direzione della volontà che ne costituisce il risultato, non può che essere effettuata attraverso la normale indagine probatoria, dunque un accertamento dall’esterno che non può prescindere dagli elementi di natura oggettiva concernenti la materialità dell’azione, quali la parte del corpo attinta e la micidialità dell’arma. In buona sostanza, per gli Ermellini, l’utilizzazione di tali elementi, estrinseci all’azione criminosa, non esclude però, quella concomitante e sussidiaria, di altri elementi come la causale dell’azione stessa, i rapporti antecedenti tra l’autore della condotta lesiva e la vittima, il comportamento antecedente ovvero contemporaneo dei protagonisti. In questo modo, come si legge nella sentenza in commento, la valutazione della correlazione tra tali elementi e quelli concernenti la materialità dell’azione possa fornire al giudice la dimostrazione esauriente della sussistenza della “volontà necandi” ovvero della sua esclusione. Dolo eventuale. Nel caso di specie, la Corte di assise d’appello territoriale confermava la sentenza con la quale, a seguito di giudizio abbreviato, il GIP del Tribunale, previa concessione delle attenuanti generiche prevalenti sulla contestata recidiva, aveva condannato l’imputato alla pena di anni 9 e emsi 4 di reclusione in ordine al delitto di omicidio, perché colpendo con un frammento di un bicchiere di vetro il collo di un amico, con mossa fulminea tale da non consentire alcuna reazione difensiva, cagionava la lacerazione della carotide dell’uomo e la conseguente morte per shock emorragico. Il punto in discussione, secondo i giudici di merito, era la qualificazione della condotta dell’imputato che doveva essere considerata come di omicidio volontario, seppure nella forma del dolo eventuale. In definitiva, i giudici distinguevano la prevedibilità dell’evento più grave dalla effettiva previsione, ritenendo che il dolo eventuale sarebbe integrato dalla prevedibilità dell’evento, risultando quindi irrilevante il fatto che l’imputato non se lo sia rappresentato in concreto. Ciò comportava, essendo prevedibile l’evento mortale, la conferma della condanna dell’imputato per il delitto di omicidio nella forma del dolo eventuale. Naturalmente ! l’imputato proponeva ricorso per cassazione chiedendo l’annullamento della sentenza per erronea applicazione della legge penale e per vizio di motivazione, in relazione alla erronea qualificazione giuridica del reato contestato, da qualificarsi come omicidio preterintenzionale. Secondo le doglianza della difesa, l’imputato aveva voluto solo ferire la vittima, colpendola con il bicchiere rotto al viso, ferendo, del tutto inopinatamente, al collo la persona con la quale stava discutendo, senza essersi mai rappresentato che dal suo gesto potesse derivare la morte, peraltro, di un amico. L’errore del giudice di merito. I giudici del Palazzaccio non possono che accogliere il ricorso infatti, il giudice di secondo grado aveva affermato che l’omicidio doveva essere qualificato come doloso, seppure nella forma del dolo eventuale, poiché l’evento morte in quella situazione era prevedibile, essendo rilevante che l’imputato non se lo fosse rappresentato in concreto. Ciò che testimonia un’affermazione errata sotto il profilo giuridico sic! , in quanto tutte le forme di dolo hanno in comune gli elementi che lo caratterizzano ai sensi del articolo 43, comma 1, c.p., secondo il quale l’evento deve essere previsto e voluto, come conseguenza della propria azione od omissione. Ciò che avrebbero dovuto fare i giudici di merito era affrontare la questione relativa alla circostanza che l’imputato si fosse o meno in concreto rappresentato la possibilità che dalla sua azione potesse derivare la morte della persona che intendeva colpire. In tema di omicidio volontario, chiosano i giudici di Piazza Cavour, in relazione alla valutazione circa la sussistenza o meno dell’animus necandi, la prova del dolo è prevalentemente affidata alle peculiarità estrinseche dell’azione criminosa, aventi calore sintomatico in base alle comuni regole di esperienza, quali il comportamento antecedente e susseguente il reato, le parti del corpo della vittima colpite, la reiterazioni dei colpi, nonché tutti quegli elementi che secondo l’id quod plerumque accidit abbiano un valore sintomatico. Da qui l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di assise territoriale.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 4 marzo - 30 aprile 2014, numero 18131 Presidente Cortese – Relatore Caiazzo Rilevato in fatto Con sentenza in data 7.12.2012 la Corte di assise d'appello di Venezia confermava la sentenza emessa in data 14.12.2010 con la quale, a seguito di giudizio abbreviato, il GIP del Tribunale di Padova, previa concessione delle attenuanti generiche prevalenti sulla contestata recidiva, aveva condannato H.M. alla pena di anni 9 e mesi 4 di reclusione in ordine al delitto di cui all'articolo 575 c.p. perché, colpendo C.B.M.K. in regione laterale sinistra del collo con un bicchiere di vetro appositamente infranto e con mossa fulminea, tale da non consentire alcuna reazione difensiva, cagionava al predetto la lacerazione della carotide interna, esterna e della giugulare interna di sinistra che ne determinavano la morte per shock emorragico in omissis . La Corte di merito, dopo aver analiticamente riportato la motivazione della sentenza di primo grado ed i motivi d'appello, riteneva che, seppure fossero condivisibili in buona parte le argomentazioni difensive, dovesse essere confermata la qualificazione della condotta dell'imputato come di omicidio volontario, seppure nella forma del dolo eventuale. Distingueva la prevedibilità dell'evento più grave - la morte - dalla effettiva previsione, ritenendo che il dolo eventuale sarebbe integrato dalla prevedibilità dell'evento, risultando invece irrilevante il fatto che l'imputato non se lo sia rappresentato in concreto. Essendo nel caso di specie prevedibile l'evento mortale, doveva essere confermata la condanna dell'imputato per il delitto di omicidio nella forma del dolo eventuale. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputato chiedendone, con un primo motivo, l'annullamento per erronea applicazione della legge penale e per vizio di motivazione, in relazione all'erronea qualificazione giuridica del reato contestato, il quale doveva essere qualificato come omicidio preterintenzionale. L'imputato aveva voluto solo ferire la vittima, colpendola con il bicchiere rotto al viso, e del tutto inopinatamente aveva ferito al collo la persona con la quale stava discutendo, senza essersi mai rappresentato che dal suo gesto sarebbe potuta derivare la morte di una persona con la quale, tra l'altro, intratteneva rapporti d'amicizia. Con il secondo motivo di ricorso ha denunciato l'omessa motivazione della sentenza sulla richiesta delle attenuanti della provocazione e del risarcimento del danno, che erano state espressamente richieste con i motivi d'appello. Considerato in diritto Il ricorso è fondato. La Corte di assise d'appello ha accertato che l'imputato ha colpito C.B.M.K. con un coccio di bicchiere alla gola, determinandone la morte. La difesa ha sostenuto che l'imputato non aveva alcuna intenzione di uccidere il predetto, con il quale intratteneva rapporti di amicizia la sera del fatto erano entrambi ubriachi vi era stato un litigio e l'imputato, reagendo ad un insulto, aveva rotto un bicchiere e con un coccio aveva tentato di colpire C.B.M.K. al viso, ma questi si sarebbe spostato e il colpo aveva attinto il collo, provocando una ferita mortale. Il giudice di secondo grado non ha contestato la suddetta ricostruzione, ma ha affermato che l'omicidio debba essere qualificato come doloso, seppure nella forma del dolo eventuale, poiché l'evento morte in quella situazione era prevedibile, essendo irrilevante che l'imputato non se lo fosse rappresentato in concreto. L'affermazione della Corte di merito è errata sotto il profilo giuridico. Tutte le forme di dolo - intenzionale, diretto, eventuale - hanno in comune gli elementi che caratterizzano il dolo indicati dall'articolo 43/1 c.p., secondo il quale l'evento deve essere previsto non solo prevedibile e voluto come conseguenza della propria azione od omissione. Il dolo eventuale, come configurato dalla giurisprudenza, ricorre quando il soggetto attivo, ponendo in essere una condotta diretta ad altri scopi, si rappresenta la concreta possibilità del verificarsi di ulteriori conseguenze della propria azione e, nonostante ciò, agisce accettando il rischio di cagionarle quando, però, l'ulteriore accadimento si presenta all'agente come probabile, non si può ritenere che egli si sia limitato ad accettare il rischio dell'evento, bensì che, accettando l'evento, lo abbia anche voluto, sicché in tale ipotesi l'elemento psicologico si configura non nella forma di dolo eventuale, ma in quella di dolo diretto V. Sez. 1 sentenza numero 6358 del 12.11.1997, Rv. 209607 . Se l'imputato si sia o meno in concreto rappresentato la possibilità che dalla sua azione sarebbe potuta derivare la morte della persona che intendeva colpire con il coccio di vetro è questione di merito. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, per accertare il dolo del delitto di cui all'articolo 575 cod. penumero , l'individuazione del processo volitivo, normalmente del tutto intimo, e della direzione della volontà che ne costituisce il risultato, non può che essere effettuata attraverso la normale indagine probatoria, e cioè un accertamento dall'esterno che non può prescindere dagli elementi di natura oggettiva concernenti la materialità dell'azione, quali la parte del corpo attinta e la micidialità della arma. L'utilizzazione di tali elementi, estrinseci all'azione criminosa, non esclude, però, quella concomitante e sussidiaria, di altri elementi come la causale dell'azione stessa, i rapporti antecedenti tra l'autore della condotta lesiva e la vittima, il comportamento antecedente ovvero contemporaneo dei protagonisti in modo che la valutazione della correlazione tra tali elementi e quelli concernenti la materialità dell'azione possa fornire al giudice la dimostrazione esauriente della sussistenza della voluta necandi ovvero della sua esclusione V. Sez. 1 sentenza numero 5966 del 19.10.1987, Rv. 178407 . Nella giurisprudenza di questa Corte si è anche precisato che in tema di omicidio volontario, in relazione alla valutazione circa la sussistenza o meno dell' animus necandi , la prova del dolo omicidiario è prevalentemente affidata alle peculiarità estrinseche dell'azione criminosa, aventi valore sintomatico in base alle comuni regole di esperienza, quali il comportamento antecedente e susseguente al reato, la natura del mezzo usato, le parti del corpo della vittima attinte, la reiterazione dei colpi, nonché tutti quegli elementi che, secondo l’ id quod plerumque accidit , abbiano un valore sintomatico V. Sez. 1 sentenza numero 15023 del 14.2.2006, Rv. 234126 . La sentenza impugnata, pertanto, deve essere annullata perché sia compiuta l'indagine sull'elemento soggettivo del reato tenendo conto dei suddetti principi. Il giudice del rinvio dovrà esaminare anche la sussistenza della provocazione e del risarcimento del danno, attenuanti che erano state richieste con i motivi d'appello, ma sulle quali la Corte di assise d'appello ha omesso di motivare. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di assise d'appello di Venezia.