Giovedì 24 aprile, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono pronunciate sulla vicenda della Thyssenkrupp e dei suoi manager, accusati di essere responsabili della morte di sette operai sul posto di lavoro. Colpevolezza accertata definitivamente, ma la Corte d’appello di Torino dovrà ricalcolare le pene da irrogare.
La vicenda in breve. Nel dicembre 2007 sette operai dello stabilimento di Torino della società Thyssenkrupp morirono in un incendio sul posto di lavoro. La Corte d’assise di Torino, nell’aprile 2011, condannò l’amministratore delegato ed altri manager. La sentenza creò molto scalpore, in quanto venne sancito nei confronti degli imputati il dolo eventuale. Questo, però, ebbe vita breve, in quanto la Corte d’appello, nel febbraio 2013, abbassò le sanzioni detentive nei confronti di tutti gli imputati, non riconoscendo l’omicidio volontario, bensì quello colposo. Arriviamo alla sera di giovedì 24 aprile 2014, quando le Sezioni Unite della Cassazione si sono espresse sul caso, mettendo il punto definitivo su alcune questioni e quello di domanda su altre. Colpevoli. Partiamo dalle certezze. Prima di tutto, gli ex manager della Thyssenkrupp sono stati dichiarati colpevoli dei reati di omicidio colposo plurimo aggravato, incendio colposo e omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro. Secondo quanto stabilito dalla Cassazione, «visto l’articolo 624, comma 2, c.p.p. dichiara irrevocabili le parti della sentenza relative alla responsabilità degli imputati in ordine ai reati sopraindicati». La Thyssenkrupp deve pagare. Seconda evidenza l’azienda aprirà il portafoglio. Infatti le sanzioni pecuniarie, nonché quelle interdittive, a suo carico, sono state confermate la Corte «rigetta il ricorso della persona giuridica Thyssenkrupp Acciai Speciali terni S.P.A., che condanna al pagamento delle spese processuali». Inoltre, gli imputati e la società sono stati condannati in solido «alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Medicina Democratica che liquida in complessivi 7000 €, oltre accessori come per legge». Rinvio in Corte d’appello. Da questi punti fermi, si entra in una zona più oscura. Le prime reazioni alla sentenza della Cassazione hanno parlato di “processo da rifare”, “condanne annullate”, di “pene ridotte”, con i familiari delle vittime che hanno subito temuto il peggio. In realtà, le cose non stanno così la Corte, effettivamente, ha annullato la sentenza di secondo grado e l’ha rinviata ad altra sezione della Corte d’appello di Torino, ma esclusivamente per un ricalcolo della pena, in conseguenza delle decisioni relative ai singoli capi di imputazione. I giudici di legittimità hanno annullato «senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla ritenuta esistenza della circostanza aggravante, di cui al capoverso dell’articolo 437 c.p. ed al conseguente assorbimento del reato di cui all’articolo 449 c.p.». Cancellata l’aggravante. Traduzione non viene applicata l’aggravante prevista per il reato di omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, per cui, se dal fatto deriva un disastro o un infortunio, la pena base, compresa tra i 6 mesi ed i 5 anni, viene aumentata ad un periodo compreso tra i 3 ed i 10 anni. Manca il reato di incendio. Tuttavia, non necessariamente ciò comporterà un abbassamento delle pene, in quanto dovrà essere aggiunta la pena prevista per il reato di incendio, erroneamente assorbito, secondo la Cassazione, nell’omissione di cautela. Difficile, se non impossibile, comunque, anche un aumento di detenzione, in quanto la Corte «rigetta nel resto i ricorsi del Procuratore Generale e degli imputati». Perciò la nuova sezione della Corte d’appello avrà il compito della «rideterminazione delle pene in ordine ai reati di cui agli articolo 437, comma 1, 589, commi 1, 2 e 3, 61 numero 3, 449 in relazione agli articolo 423 e 61, numero 3 c.p.». Insomma, i responsabili sono colpevoli. Ma dopo “fine pena ” c’è ancora uno spazio vuoto da riempire.