La compromissione della capacità lavorativa specifica va valutata in concreto

L’andamento contromano è sempre vietato e, pertanto, tale condotta è ben più grave rispetto all’inversione di marcia, manovra che non è vietata ab origine dal Codice della Strada.

E’ quanto si evince dalla sentenza n. 892 del 17 gennaio 2014, con cui la Corte di Cassazione ribadisce che una modesta compromissione della capacità lavorativa specifica nel caso in esame 4% non può incidere sulla capacità di guadagno della persona ma deve essere qualificato come un mero disagio ne consegue che la relativa rifusione del danno di cui sopra si risolve unicamente in una personalizzazione del danno biologico. Inoltre, il Collegio riafferma che il danno morale costituisce una voce di danno autonoma rispetto al danno biologico e la liquidazione deve avvenire considerando le circostanze del caso concreto, mentre l’omesso utilizzo delle Tabelle redatte dall’Osservatorio della giustizia presso il Tribunale di Milano può essere eccepito nel giudizio di legittimità unicamente qualora il soggetto leso ne chieda l’esplicita applicazione nella fase di merito. La fattispecie. Capita, purtroppo spesso, di essere imprudenti durante la conduzione del proprio autoveicolo ma, nel caso in esame, le parti si sono davvero impegnate nella propria imperizia. Difatti il sinistro in esame è occorso fra il conducente di un ciclomotore che procedeva contromano e quello di una autovettura il quale, pur avvedendosi del ciclomotore come dichiarato nel corso dell’interrogatorio, ha effettuato una manovra di inversione del senso di marcia. La Corte territoriale non ha avuto dubi nel riconoscere un concorso di colpa nella misura del 75% a carico del motociclista ripartizione confermata in sede di gravame in quanto l’inversione di marcia non è di per sé vietata come la condotta in contromano e, inoltre, il conducente dell’autoveicolo ben poteva fare affidamento che non sarebbero sopraggiunti veicoli dall’opposta direzione stante il divieto. Minima compromissione della capacità lavorativa specifica. E’ ormai immanente principio consolidato in giurisprudenza che la compromissione della capacità lavorativa generica è risarcibile unicamente con una personalizzazione del danno biologico mentre nell’ipotesi di riduzione della capacità lavorativa specifica si deve necessariamente tenere in considerazione la minor capacità di produrre reddito. La sentenza in esame disattende tale principio del diritto vivente asserendo che, anche nel caso di compromissione della capacità lavorativa specifica, deve essere valutata in concreto la gravità della stessa. Trattandosi, nel caso in esame, di un 4% tale nocumento, a dire del Supremo Collegio, non può che risolversi in un mero disagio del tutto incompatibile con la capacità di produrre reddito e che, di conseguenza, potrà essere ristorato unicamente con la personalizzazione del danno biologico. Revirement del danno morale. La decisione in commento si distingue anche per aver riconosciuto il danno morale, quale autonoma voce di danno rispetto al danno biologico, che deve essere determinato dal Giudice in considerazione delle sofferenze concrete del soggetto leso che saranno debitamente dimostrate in sede di giudizio dopo un profilo innovativo il Collegio si è concesso anche un aspetto un po’ vintage. L’applicabilità delle tabelle del Tribunale di Milano per la quantificazione del danno non patrimoniale. Infine il Collegio asserisce che, fermo restando l’utilizzabilità da parte di tutti i Tribunali delle tabelle milanesi, l’utilizzo di criteri di liquidazione predisposti da altri Tribunali non può essere censurata in sede di legittimità qualora l’applicabilità delle tabelle meneghine non sia richiesto dell’interessato al Giudice di merito.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 22 novembre 2013 - 17 gennaio 2014, n. 892 Presidente Berruti – Relatore Vincenti Ritenuto in fatto 1. - Con sentenza resa pubblica il 29 gennaio 2008, la Corte di appello di Bologna, sull'impugnazione proposta da Q.V. e in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Forlì del 7 maggio 2001, condannava solidalmente C.C. e la Vittoria Assicurazioni S.p.A. al pagamento in favore della Q. - a titolo di risarcimento dei danni da questa patiti nel sinistro stradale verificatosi il omissis - della somma di Euro 8.497,65, oltre accessori, confermando nel resto l'impugnata sentenza e condannando la medesima Q. al pagamento dei due terzi delle spese processuali del grado, compensando la restante parte. 1.1. - La Corte territoriale confermava, anzitutto, la sentenza di primo grado in punto di graduazione di responsabilità per la verificazione del sinistro, ascritta per il 75% alla Q. e per il 25% al C. , rilevando, sulla scorta del rapporto redatto dai Carabinieri di Meldola, che la prima, alla guida del suo ciclomotore, procedeva contromano, proveniente dalla via gravata dal divieto di accesso , sicché avrebbe dovuto arrestarsi per concedere la precedenza alla vettura del C. , mentre, nonostante avesse visto con anticipo, sopraggiungere la vettura, così come ammesso in sede di interrogatorio libero, non si fermò ma si limitò a rallentare, proseguendo la marcia . Di qui, secondo il giudice di appello, la colpa preponderante dell'appellante, originaria attrice, perché, in ogni caso, essa non avrebbe potuto trovarsi nella posizione in cui avvenne l'urto, procedendo contromano, se avesse rispettato la segnaletica che vietava l'accesso alla via . Per contro, soggiungeva ancora il giudice del merito, la colpa del C. è minoritaria facendo affidamento sul fatto che da via non provenissero veicoli, procedenti contromano . 1.2. - La Corte territoriale respingeva poi il motivo di gravame della Q. in ordine alla liquidazione del danno biologico, nelle sue componenti di invalidità temporanea parziale e totale e permanente, assumendo che il giudice di primo grado aveva liquidato somme superiori a quelle risultanti dalle tabelle del Tribunale di Bologna dell'anno 1996 respingeva, altresì, la doglianza sulla mancata liquidazione del danno da permanente specifica 4% , rilevando che la attrice aveva continuato a lavorare anche dopo il sinistro come domestica o addetta alle pulizie, per lo stesso numero di ore, sicché tale modesta percentuale di invalidità non ha inciso sulla sua capacità di guadagno , rappresentando, tuttavia, una usura biologica in ragione della quale il punto per il danno alla salute è stato, opportunamente, maggiorato del 20% . 1.3. - La Corte di appello accoglieva, invece, il gravame in ordine al riconoscimento del danno morale che, tenuto conto dell'entità delle lesioni patite dalla Q. , indicava nella misura del 50% del totale biologico e cioè in lire 21.310.348 lire 42.620.696, quale totale biologico per 50% ciò sulla premessa che il Tribunale di Forlì, dopo avere proceduto alla liquidazione del totale danno biologico, è pervenuto a liquidare alla Q. , la totale somma di lire 51.903.488 ridotti poi del 75% per il concorso di colpa della vittima , senza ulteriori specificazioni , senza, dunque, spiegare se o come ha liquidato il danno morale né le altre poste di danno richieste dall'attrice . 1.4. - Il giudice di secondo grado respingeva, poi, il motivo di gravame sulla compensazione per metà delle spese processuali disposta dal Tribunale, che si fondava sulla tesi, non accolta anche in appello, dell'esclusiva responsabilità del C. nella verificazione del sinistro. La stessa Corte territoriale, infine, poneva a carico della Q. i 2/3 delle spese processuali del grado, compensando il restante 1/3, in ragione dell' esito della lite, in cui gran parte dei motivi di gravame della Q. sono stati respinti . 2. - Per la cassazione di tale sentenza ricorre Q.V. sulla base di sette motivi, illustrati da memoria. Resistono con congiunto controricorso C.C. e la Vittoria Assicurazioni S.p.A Considerato in diritto 1. - Con il primo mezzo, assistito da quesiti ai sensi dell'art. 366-bis cod. proc. civ., è denunciata nullità assoluta ex art. 360 n. 4 c.p.c. della sentenza per inesistente motivazione in relazione all'omesso specifico esame delle questioni sollevate in ordine alla ricostruzione dinamica del sinistro con totale travisamento delle circostanze articolate ed altresì emergenti per tabulas e con valutazioni che non trovano riscontro nelle doglianze proposte e nei motivi di gravame articolati da Q.V. e dunque nelle carte processuali . La Corte territoriale avrebbe omesso qualsivoglia motivazione in ordine a determinati punti che avevano costituito oggetto di gravame la velocità ridottissima della Q. , alla stregua di un pedone o di una conducente un velocipede il fatto, risultante dal rapporto dei Carabinieri, che l'area del sinistro era interdetta al traffico veicolare, sino alle ore 14, per lo svolgimento del mercato settimanale il fatto che il C. avesse confessato di non aver visto il ciclomotore della Q. e di aver comunque proceduto alla conversione ad U , con ciò incorrendo nel vizio di nullità della sentenza. 2. - Con il secondo mezzo, assistito da quesiti ai sensi dell'art. 366-bis cod. proc. civ., è dedotta violazione in relazione agli artt. 143 e 154 del codice della strada, nonché agli artt. 1223 e 2043 cod. civ., 40, 41, 42, 43 e 590 cod. pen., oltre a vizio di motivazione. Le argomentazioni oggetto del primo motivo di ricorso integrerebbero, comunque, un vizio di illogicità della sentenza impugnata, non avendo il giudice di appello considerato che la manovra della Q. non era in alcun modo pericolosa, perché effettuata in zona interdetta al traffico veicolare e nel pieno controllo del proprio mezzo, procedendo a passo d'uomo utilizzando il motociclo come un velocipede , là dove invece si era palesata pericolosissima la manovra del C. , che aveva effettuato una inversione ad U ove non poteva circolare, con ciò incorrendo in due violazioni, mentre la Q. era incorsa nella sola violazione di circolare contromano, ma a velocità ridottissima. Soggiunge la ricorrente che la violazione del C. sarebbe oggettivamente più grave, in quanto sanzionata con maggior rigore art. 154, comma 7, del cod. strada, in relazione al comma 6 dello stesso art. 154 rispetto a quella della Q. art. 143, comma 11, cod. strada , non potendo, dunque, la colpa civilistica che esser parametrata e commisurata a quella penale e amministrativa. 2.1. - Il primo e secondo motivo - che possono essere congiuntamente scrutinati - sono in parte infondati e in parte inammissibili. La motivazione fornita dalla Corte territoriale in punto di graduazione delle responsabilità personali circa la verificazione del sinistro per cui è causa sintetizzata al punto 1.2. del Ritenuto in fatto , cui si rinvia da conto dell'operata valutazione del materiale probatorio acquisito e della formazione di un convincimento che si svolge in base a coordinate giuridiche e logiche, rispettivamente, corrette e plausibili. Siffatto esplicitato apprezzamento, esercizio del potere delibativo dei fatti riservato esclusivamente al giudice del merito, che in alcun modo integra il difetto tantomeno assoluto di motivazione, è contrastato dalla ricorrente in forza di circostanze irrilevanti o, comunque, non caratterizzate da decisività, se non, addirittura, in collisione con l'accertamento stesso compiuto dalla Corte di appello in particolare, si insiste sul fatto che l'attrice viaggiasse come se fosse in bicicletta , mentre era alla guida di un ciclomotore tutto ciò, peraltro, senza che vengano riportate esaustivamente, anche tramite trascrizione dei contenuti all'uopo rilevanti, le fonti da cui le circostanze dedotte sono tratte ad es. l'interrogatorio del C. da cui si dovrebbe evincere l'affermazione di aver marciato contromano . In tal senso, risulta, per l'appunto, irrilevante o non decisiva la circostanza che il sinistro si sia verificato in zona temporaneamente a circolazione limitata e/o sospesa, giacché la limitazione/sospensione del traffico per contingenti esigenze mercatorie come indicate dalla stessa ricorrente , non elide le regole di circolazione prestabilite sull'area. Inoltre, diversamente da quanto dedotto in ricorso, l'inversione di marcia non è manovra di per sé vietata, ma lo è solo in particolari condizioni in prossimità o in corrispondenza di intersezioni, curve e dossi comma 6 dell'art. 154 del cod. strada , che il giudice di merito non ha riscontrato nella specie e che la stessa ricorrente neppure deduce la marcia contromano è, invece, manovra vietata in sé comma 11 dell'art. 143 cod. strada . Sicché, la sanzione più grave - e, comunque, pecuniariamente non cosi grave come quella prevista per la marcia contromano – è stabilita comma 7 dell'art. 154 cod. strada per il divieto tipizzato di inversione di marcia, mentre l'inversione compiuta imprudentemente è sanzionata in modo meno severo comma 8 dell'art. 154 citato della marcia contromano oltre che dell'inversione di cui al citato comma 6 dell'art. 154 . Per il resto, i motivi si risolvono in una non consentita richiesta di rivalutazione delle emergenze processuali al fine di conseguirne una lettura favorevole all'interessato, ma diversa da quella fornita dal giudice di merito, al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all'uno o all'altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale è assegnato alla prova stessa tra le tante, Cass., 26 marzo 2010, n. 7394 Cass., 6 marzo 2008, n. 6064 . 3. - Con il terzo mezzo, assistito da quesiti ai sensi dell'art. 366-bis cod. proc. civ., è prospettata violazione di legge art. 360 n. 3 c.p.c. e motivazione nulla art. 360 n. 4 c.p.c. o quam minus contraddittoria art. 360 n. 5 c.p.c. in ordine alla mancata liquidazione del danno patrimoniale e, dunque, con violazione degli artt. 1223, 2056, 2059 e 147/148 c.c. nonché 29/30 Cost. . La Corte territoriale avrebbe omesso di esaminare le complesse censure prospettate dalla Q. in punto di danno patrimoniale patito come casalinga e come lavoratrice subordinata di fatica , sussistendo, nel caso di specie, entrambe le voci di danno. 3.1. — Il motivo non può trovare accoglimento. Occorre premettere che per un'utile deduzione, in sede di legittimità, del vizio di omessa pronuncia è necessario, da un lato, che al giudice di merito fossero state rivolte una domanda o un'eccezione autonomamente apprezzabili e, dall'altro, che tali domande o eccezioni, per il principio dell'autosufficienza, siano state riportate puntualmente nel ricorso per cassazione, con l'indicazione specifica, altresì, dell'atto difensivo o del verbale di udienza nei quali le une o le altre erano state proposte, onde consentire alla Corte di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività e, in secondo luogo, la decisività tra le molte, Cass., 4 marzo 2013, n. 5344 . La ricorrente assume di aver allegato, al fine di conseguirne il risarcimento, l'esistenza di un pregiudizio di natura patrimoniale incidente sulla sua attività di casalinga nell'appello ed in comparsa conclusionale , ma poi non specifica a quale atto si riferisca lo stralcio trascritto in ricorso, là dove, del resto, al predetto danno accenna appena pp. 9 e 36 del ricorso , lasciando, invero, intendere che tale pretesa il cui adeguato corredo allegatorio non può certo rinvenirsi nei contenuti della c.t.u. medico-legale sia stata avanzata, in modo intelligibile, soltanto nella comparsa conclusionale. Peraltro, risulta poi decisivo il fatto che la stessa Q. non deduca affatto di aver allegato lo specifico pregiudizio in esame già in primo grado del resto - come si evince a p. 5 del ricorso - detta voce di danno non è menzionata neppure tra quelle indicate come somme rivendicate con l'atto di citazione , ciò essendo presupposto necessario per evitare che la domanda eventualmente proposta in sede di gravame incorresse nel divieto di jus novorum di cui all'art. 345 cod. proc. civ., nella formulazione introdotta dalla legge n. 353 del 1990, applicabile ratione temporis violazione, questa, rilevabile d'ufficio anche nel giudizio di legittimità Cass., 2 luglio 2004, n. 12147 . Quanto, poi, al profilo di censura relativo al danno alla capacità lavorativa della ricorrente in qualità di operaia delle pulizie, esso, oltre ad essere del tutto generico, risulta anche privo di fondamento, giacché la Corte di appello, con motivazione logica e rispondente a diritto, ha escluso l'esistenza di detto pregiudizio in ragione del fatto che i modesti esiti permanenti 4% della validità totale non hanno inciso sulla capacità di guadagno dell'appellante, avendo questa regolarmente continuato a prestare la propria attività lavorativa per lo stesso numero di ore. Del resto, il giudice del merito, tenuto conto che gli anzidetti esiti configuravano comunque una maggior usura biologica , ha coerentemente maggiorato in favore della Q. solo la liquidazione a titolo di danno biologico. 4. - Con il quarto mezzo, assistito da quesiti ai sensi dell'art. 366-bis cod. proc. civ., è denunciata violazione di legge ex artt. 1223, 2056, 2059 c.c. in ordine all'incongrua liquidazione del danno biologico da temporanea e da permanente non applicazione delle tabelle specificamente invocate anche in relazione agli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione . La Corte territoriale non avrebbe applicato le Tabelle di liquidazione del Tribunale di Milano, nonostante la richiesta in tal senso dell'appellante, che risultano essere superiori a quelle del Tribunale di Bologna. 4.1. - Il motivo è inammissibile. Esso, come confezionato, presenta carenze strutturali tali da porlo in collisione con il principio, enunciato in materia da Cass., 7 giugno 2011, n. 12408, secondo cui l'applicazione di diverse tabelle, ancorché comportante liquidazione di entità inferiore a quella che sarebbe risultata sulla base dell'applicazione delle tabelle di Milano, può essere fatta valere, in sede di legittimità, come vizio di violazione di legge, solo in quanto la questione sia stata già posta e specificamente dibattuta nel giudizio di merito. Con la doglianza, infatti, viene solo fugacemente accennato al fatto che l'applicazione delle tabelle milanesi sia stata richiesta nel corso del giudizio p. 42 del ricorso si chiese l'applicazione delle tabelle di Milano , senza, però, che sia per nulla specificato il quando ed il quo modo dell'allegazione, né, tantomeno, sia trascritto, nella sua parte rilevante, l'atto che la conterrebbe là dove neppure è dato comprendere se i passi virgolettati alla citata p. 42 del ricorso siano riferibili a precedenti atti processuali . Peraltro, la ricorrente, nel formulare la censura, omette di evidenziare quale sia stato lo scarto asseritamente pregiudizievole tra la liquidazione in concreto effettuata dalla Corte felsinea e quella che si sarebbe avuta in applicazione delle tabelle del Tribunale di Milano, mancando cosi di dare sostanza all'impugnazione, non essendo comprensibile l'effettività del vulnus che lamenta. 5. - Con il quinto mezzo, assistito da quesiti ai sensi dell'art. 366-bis cod. proc. civ., è dedotta violazione di legge artt. 324, 342 e 346 c.p.c. nonché 2909 giudicato formale e sostanziale e motivazione contraddittoriamente incomprensibile per manifesto errore nel calcolo dei danni da parte della Corte d'appello di Bologna e cosi provocante, nella valutazione del pregiudizio definitivo, uno iato incolmabile con il giudicato interno . La Corte territoriale avrebbe confermato in motivazione, a titolo di danno biologico, lo stesso importo che era stato liquidato dal giudice di prime cure, e cioè lire 51.903.488 , aggiungendo che esso doveva rimanere fermo in assenza di appello incidentale malgrado ciò, ha poi riconosciuto il danno morale, in misura del 50% del danno biologico, indicando però la somma liquidata per quest'ultima voce di danno in lire 42.620.696, anziché nel predetto importo di lire 51.903.488. Si tratterebbe, dunque, di un errore palese, in quanto viene a contraddire le premesse del giudicato sul quantum a titolo di danno biologico. 5.1. - Il motivo è infondato. Esso muove da una erronea premessa in fatto e cioè che la Corte territoriale abbia affermato che la liquidazione complessiva di lire 51.903.488 era da imputare al solo danno biologico, mentre - come si evince chiaramente dalla sentenza - essa ha ritenuto, ben diversamente, che fossero in tale liquidazione comprese voci ulteriori rispetto a quella del danno biologico, non altrimenti specificate dal primo giudice in tal senso il giudice di appello ha, poi, proceduto alla liquidazione del danno morale, prendendo in considerazione la somma depurata dalle poste diverse dal danno biologico ed effettivamente liquidata a tale ultimo titolo e cioè complessivamente lire 42.620.696 . 6. - Con il sesto mezzo, assistito da quesiti ai sensi dell'art. 366-bis cod. proc. civ., sono dedotti violazione di legge e vizio di motivazione per l'automatica quantificazione del danno morale in misura pari al 50% del danno biologico complessivo . La Corte di appello avrebbe liquidato il danno morale in ragione di una frazione del danno biologico, senza considerarlo autonomamente e, comunque, senza considerarne la diversità di natura rispetto al secondo. 6.1. - Il motivo è infondato. La Corte territoriale, seppure con sintetica, ma adeguata e sufficiente motivazione, ha liquidato il danno morale autonomamente da quello biologico, non limitandosi ad utilizzare quest'ultimo come parametro del primo, ma valutando la consistenza delle lesioni patite dalla Q. , nei suoi esiti permanenti di modesta entità, con ciò operando una delibazione orientata dal caso concreto, in armonia con i principi della materia tra le altre, Cass., 16 febbraio 2012, n. 228 . 7. - Con il settimo mezzo, assistito da quesiti ai sensi dell'art. 366-bis cod. proc. civ., è prospettata violazione di legge in riferimento agli artt. 91 e 92, al principio di causalità , nonché motivazione abnorme e contraddittoria su un punto decisivo della controversia pure in relazione agli artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c. e violazione di diritti costituzionali art. 24 Cost. e 111 e 117 e fondamentali artt. 6 e 13 L. 848/55 e Carta dei diritti fondamentali . La Corte territoriale avrebbe errato nel porre a carico dell'appellante, vittoriosa, seppure in parte, in sede di gravame, una parte delle spese, compensando il resto, dovendo semmai operare in modo inverso, a vantaggio della medesima appellante e non già della parte soccombente. 7.1. - Il motivo è infondato. La decisione della Corte territoriale - che ha posto a carico della Q. i due terzi delle spese processuali del grado, compensando il restante terzo, in ragione dell' esito della lite, in cui gran parte dei motivi di gravame della Q. sono stati respinti - è coerente anzitutto con l'orientamento stabile di questa Corte Cass., 16 giungo 2011, n. 13229 Cass., 11 gennaio 2008, n. 406 , secondo cui, in materia di spese processuali, l'identificazione della parte soccombente nella specie, per l'appunto, la Q. è rimessa al potere decisionale del giudice del merito, insindacabile in sede di legittimità, con l'unico limite di violazione del principio per cui le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa il che, nella specie, non è avvenuto . Ciò premesso, il sindacato di legittimità sulle pronunce dei giudici del merito con le quali sia stata disposta la compensazione, parziale o totale, delle spese giudiziali deve riguardare fermo restando il predetto divieto di condanna alle spese della parte totalmente vittoriosa una verifica dell'idoneità in astratto dei motivi stessi a giustificare la pronuncia e dell'adeguatezza delle argomentazioni svolte al riguardo, censurabili soltanto se fondati su ragioni palesemente illogiche o inconsistenti, inficianti il processo formativo della volontà espressa sul punto, perché tali da rendere non intelligibile la ragione stessa della statuizione ed impedire cosi che essa possa coerentemente rapportarsi alla volontà della legge tra le altre, Cass., 17 gennaio 2003, n. 633 Cass., 2 agosto 2003, n. 11774 Cass., 31 luglio 2006, n. 17450 Cass., 2 luglio 2007, n. 14964 . Risulta, dunque, evidente come le già evidenziate ragioni poste a fondamento della disposta compensazione in grado di appello siano ben lungi dall'integrare il descritto vizio radicale della motivazione, posto che il giudizio espresso dalla Corte territoriale si rapporta coerentemente alla misura della soccombenza dell'appellante, siccome dalla stessa Corte ravvisata. 8. — Il ricorso va, dunque, rigettato e la ricorrente, in quanto soccombente, condannata al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00, per esborsi, oltre accessori di legge.