La capacità diffamatoria della pubblicazione del frontespizio di una delibera non risulta in modo chiaro dalla motivazione: sentenza da annullare

Risulta carente, e pertanto insufficiente la motivazione della relativa sentenza, il giudizio del giudice di appello sulla rilevanza, in merito alla sussistenza del reato di diffamazione, della condotta di affissione, nella bacheca di un ufficio, del frontespizio di una delibera di contestazione di una serie di addebiti disciplinari ad un dirigente pubblico, essendo del tutto oscuro se l’evento lesivo dell’altrui reputazione possa essere prodotto dalla sola pubblicazione dei dati della delibera e del suo oggetto e se le problematiche inerenti la rilevanza esterna o meno di tale atto possano riguardare anche i soli dati su menzionati.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza numero 572 del 9 gennaio 2014. Il caso. La Corte d’Appello di Cagliari – sezione distaccata di Sassari, in riforma della sentenza del Tribunale, a seguito dell’appello proposto dalla parte civile, riteneva civilmente responsabili con conseguente condanna al risarcimento dei danni due dirigenti della locale ASL del delitto di diffamazione in danno di un dirigente amministrativo della stessa azienda sanitaria per aver gli stessi, in concorso tra loro, leso la reputazione di quello tramite la pubblicazione, nella bacheca del luogo di lavoro, della delibera di contestazione alla persona offesa di una serie di addebiti disciplinari. Nel giudizio di primo grado era stato accertato che la pubblicazione nella citata bacheca aveva riguardato solo il numero e l’oggetto della delibera di contestazione ossia il suo frontespizio , essendo stato il suo integrale contenuto soltanto oggetto di comunicazione ai responsabili dei vari servizi della ASL. Il giudice di prime cure aveva ritenuto, comunque, che le contestazioni contenute nella delibera in questione non attenessero alla persona del querelante, ma alla sua condotta professionale e che le stesse fossero state elevate con gli strumenti tipici del procedimento disciplinare. Ne derivava la rilevanza sociale delle condotte oggetto di contestazione con conseguente assoluzione degli imputati con la formula “perché il fatto non costituisce reato”. La Corte d’Appello ribaltava le valutazioni del Tribunale, asserendo che la predetta rilevanza sociale doveva escludersi in ragione della circostanza per cui la contestazione disciplinare deve ritenersi un atto a mera rilevanza interna, non suscettibile di qualsivoglia pubblicazione. Gli imputati proponevano ricorso in Cassazione fondato sui seguenti motivi. Con il primo, entrambi contestavano l’affermazione con cui la Corte territoriale aveva ritenuto gli addebiti disciplinari non suscettibili di contestazione tramite delibera. Secondo i ricorrenti, una simile valutazione evidenziava un’erronea applicazione degli articolo 5 e 55 D.Lgs. numero 165/2001, dai quali, in ragione dell’estensione al settore pubblico delle norme riguardanti il privato datore di lavoro, si sarebbe evinta la necessità dell’adozione con delibera delle determinazioni inerenti il rapporto di lavoro, tra le quali sicuramente rientrano quelle in materia disciplinare. Queste ultime, in particolare, avrebbero, per l’appunto, dovuto essere adottate con determinazione finale del dirigente. Erronea, quindi, doveva ritenersi l’opposta valutazione effettuata dalla Corte di merito. Il secondo motivo si articolava in due deduzioni difensive. Con la prima si contestava la ritenuta capacità diffamatoria dell’affissione in bacheca del solo frontespizio della delibera in questione, essendo lo stesso inidoneo, per i dati ivi contenuti, a ledere qualsiasi reputazione. In secondo luogo, a fronte della contestazione, in imputazione, del solo concorso nell’affissione, era giunta, per uno degli imputati, la condanna anche per la divulgazione della delibera de qua, con palese violazione degli articolo 516 e 522 c.p.p., non avendo proceduto il Pubblico Ministero alla modifica dell’imputazione stessa. Il terzo motivo di ricorso, dedotto dall’altro imputato, concerneva la violazione degli articolo 100 e 122 c.p.p., in ragione della dedotta carenza, in capo al difensore della parte civile, al momento della proposizione dell’appello, della procura speciale ad hoc. La costituzione di parte civile in primo grado, infatti, era avvenuta personalmente. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso e annullato con rinvio la sentenza impugnata. Valida la procura speciale “generica”. La V sezione Penale della Suprema Corte analizza preliminarmente, in ragione della sua natura pregiudiziale, l’ultimo motivo di ricorso illustrato, dichiarandolo inammissibile. Esso, infatti, si presenta come mera ripetizione di un motivo d’appello già in quella sede rigettato. La Corte territoriale ha evidenziato che, in fase di costituzione di parte civile, al difensore della persona offesa era stata rilasciata procura speciale comprensiva della facoltà di impugnazione in qualsiasi ordine e grado. Inoltre, il mandato rilasciato al difensore esprime la volontà della parte civile di essere difesa dallo stesso anche nei successivi gradi di giudizio, attività che include naturalmente anche la proposizione delle opportune impugnazioni. Pertanto la Corte d’Appello ha correttamente valutato la ampia e “generica” formula utilizzata nella procura a margine dell’atto di costituzione di parte civile. Si può giudicare una delibera dal frontespizio? Il Supremo Collegio accoglie anche la doglianza inerente alla mancata correlazione tra accusa e sentenza. In particolare, l’eccezione di nullità della sentenza ivi proposta deve ritenersi ammissibile in quanto, nonostante il regime intermedio che caratterizza tale tipo di nullità e la relativa improponibilità per la prima volta in Cassazione della relativa eccezione , nel caso in questione essa non poteva che essere proposta davanti ai giudici di legittimità, attesa la natura favorevole della pronuncia di primo grado, con conseguente sorgere dell’interesse a rilevare tale questione solo successivamente alla sentenza d’appello. All’ammissibilità segue la fondatezza, emergendo dagli atti di causa la mancanza nell’imputazione della contestazione della condotta di divulgazione in aggiunta a quella di affissione. Nulla, pertanto, in parte qua deve ritenersi la sentenza di condanna. In riferimento al motivo inerente l’erronea qualificazione quale atto a mera rilevanza interna della delibera di contestazione da cui è derivata l’esclusione della rilevanza sociale del relativo contenuto , la V sezione evidenzia come la Corte di merito non abbia tenuto in debito conto, in disparte la possibilità o meno di pubblicazione dell’atto de quo, il profilo riguardante l’intrinseca capacità diffamatoria di ciò che è stato pubblicato. Risulta, cioè, carente e insufficientemente motivata la valutazione di offensività dell’affissione in bacheca di un documento, il frontespizio della delibera, dal quale non era possibile evincere il contenuto delle contestazioni mosse alla parte civile. Il collegio d’appello non si è interrogato e, se lo ha fatto, ciò non si deduce dalla sentenza impugnata rispetto all’idoneità diffamatoria della pubblicazione del solo frontespizio, condotta alla quale soltanto si riferisce l’imputazione. Solo una chiara soluzione a tale interrogativo potrà portare alla valutazione della natura rilevanza interna o esterna dell’atto affisso, essendo quella presupposto di questa. Esiti naturali della serie di argomentazioni esplicitate dalla Suprema Corte sono l’annullamento della sentenza impugnata e il rinvio del processo al giudice civile competente in grado d’appello perché si pronunci nuovamente sulla vicenda tenendo conto dei principi enunciati con la decisione in commento.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 30 settembre 2013 - 9 gennaio 2014, numero 572 Presidente Savani – Relatore Vessichelli Fatto e diritto Propongono ricorso per cassazione S.A.M.C. e P.G. avverso la sentenza della Corte d'appello di Cagliari - sezione distaccata di Sassari - in data 14 giugno 2012, con la quale, a seguito di appello della parte civile contro la assoluzione pronunciata, in primo grado, in ordine al reato di diffamazione, è stata riconosciuta la responsabilità civile degli imputati e gli stessi sono stati condannati al risarcimento del danno e al ristoro delle spese. Il reato di diffamazione era stato contestato con riferimento alla pubblicazione, avvenuta ad opera di P. , nella bacheca dell'azienda sanitaria di Sassari, della delibera adottata da S. il 22 aprile 2004, quale direttore generale dell'azienda, ed avente ad oggetto una serie di addebiti disciplinari mossi al querelante M. - dirigente amministrativo della stessa azienda - addebiti che, come ancora contestato, erano tali da comportare la lesione dell'onore e della reputazione del M. . Si ricostruiva poi, nella sentenza di primo grado, che, con la detta delibera, S. aveva proposto al Comitato dei Garanti il recesso della Usl dal rapporto di lavoro con lo stesso M. e che mentre la affissione in bacheca aveva riguardato il solo oggetto e il numero della delibera, ossia il frontespizio di essa, la delibera, con il suo integrale contenuto, era stata trasmessa ai responsabili dei vari servizi dell'azienda. Il giudice di prime cure aveva tuttavia sostenuto l'assenza di responsabilità penale con riferimento alla condotta in questione posto che le accuse contenute nella delibera avevano avuto ad oggetto non la persona ma la condotta professionale del querelante ed erano state elevate con gli strumenti tipici del procedimento disciplinare. Quel giudice aveva pertanto assolto gli imputati con la formula perché il fatto non costituisce reato. La Corte territoriale aveva invece ritenuto che la contestazione disciplinare - atto privo di rilevanza esterna - non potesse divenire oggetto di delibere tantomeno di affissione in bacheca e quindi di divulgazione in ambiti diversi da quelli dei soggetti strettamente interessati. Rilevava, in conclusione,la mancanza del requisito della continenza ossia della rilevanza sociale del comportamento divulgato e concludeva per la responsabilità civile degli imputati. Deducono entrambi 1 la erronea applicazione della legge penale nonché degli articoli 5 e 55 del decreto legislativo numero 165 del 2001. Tali norme prevedono l'applicazione, al settore pubblico, dei precetti validi per il privato datore di lavoro ed in particolare quello secondo cui le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono adottate con deliberazione del datore di lavoro e, per quanto concerne specificamente le infrazioni disciplinari, con determinazione conclusiva del dirigente generale. Per tali ragioni la difesa sostiene essere errata l'affermazione della Corte secondo cui la proposta disciplinare non avrebbe dovuto assumere la forma di una deliberazione e, conseguentemente, sarebbe assente la rilevanza sociale della comunicazione della stessa all'esterno. Aggiungerla difesa, alcuni esempi di pubblicazione di delibere in materia di licenziamento 2 la violazione degli articoli 516 e 522 cpp. L'imputato S. è stato condannato sulla base di una contestazione che riguardava esclusivamente il concorso nella affissione in bacheca del frontespizio della delibera, ossia ad un atto che, da solo, era del tutto privo di capacità diffamatoria. Diversamente non è gli stato mai contestato di avere concorso nella divulgazione della delibera agli altri uffici direzionali dell'azienda sanitaria. Il giudice dell'appello, pronunciandosi anche sul concorso nella divulgazione, aveva violato l'articolo 112 del codice di procedura civile ossia si era espresso ultra petita Deduce P. inoltre 1 la violazione degli articolo 100 e 122 cpp posto che l'appello della parte civile è stato presentato dal difensore non munito di procura speciale ad hoc, dopo che la costituzione di parte civile era avvenuta ad opera della parte personalmente. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata. I ricorsi sono fondati. Prendendo le mosse dall'ultimo dei motivi di ricorso citati - da esaminare per primo, per la natura pregiudiziale della questione in esso posta - vi è da rilevare che si presenta inammissibile dal momento che è formulato come mera ripetizione di un motivo di appello al quale la Corte territoriale ha già fornito esaustiva risposta. Si legge infatti, nella sentenza impugnata, che nella fase della costituzione di parte civile è stata rilasciata, al difensore, procura speciale dell'interessato, comprensiva di delega per la proposizione di impugnazione di qualsiasi ordine e grado. Risulta d'altra parte, dall'esame del fascicolo, che il mandato rilasciato all'atto della costituzione di parte civile - non avvenuta personalmente e quindi da intendersi, già per quella fase, come procura speciale al difensore - esprime la volontà della persona offesa di essere difesa anche nei gradi di impugnazione, volontà da intendersi dunque comprensiva del mandato alla proposizione dell'atto di gravame, introduttivo del grado. Al riguardo, la interpretazione della effettiva volontà della parte, come manifestata, è stata correttamente effettuata dal giudice del merito, secondo i criteri dettati dalle Sezioni unite di questa Corte con sentenza numero 44712 del 27 ottobre 2004 rv 229179, andando a valutare la formula assai ampia utilizzata nella procura a margine dell'atto di costituzione di parte civile. La eccezione di nullità della sentenza per mancanza di correlazione fra la contestazione e l'addebito è, poi, fondata solo in parte. È noto che secondo la giurisprudenza di questa Corte, più volte, la violazione del principio di necessaria correlazione fra accusa e sentenza integra una nullità a regime intermedio, che non può essere dedotta per la prima volta in sede di legittimità Sez. 5, Sentenza numero 9281 del 08/01/2009 Ud. dep. 02/03/2009 Rv. 243161 conformi numero 7957 del 1997 Rv. 209753, numero 8639 del 1999 Rv. 214316, numero 14101 del 1999 Rv. 215797, numero 44008 del 2005 Rv. 232805 . Nella specie, tuttavia, essa non avrebbe potuto essere posta nei motivi di appello da parte dell'imputato per la semplice ragione che non avrebbe potuto essere sollevata la questione in relazione ad una sentenza di primo grado che era stata di assoluzione e quindi non poteva avere integrato la nullità di cui all'articolo 522 cpp. La questione è dunque ammissibile e fondata in relazione al giudizio di appello nel quale l'addebito di responsabilità si è basato anche sul fatto della divulgazione della delibera ai risposabili dei servizi USL, circostanza di fatto non compresa nel capo di imputazione e integrante fatto nuovo rispetto a quello originariamente contestato e rappresentato dalla sola affissione della delibera nella bacheca della USL. Sotto tale aspetto e limitatamente ad esso, la affermazione di responsabilità, sia pure ai soli effetti civili, risulta affetta dalla nullità citata. Quanto all'ulteriore motivo di doglianza, vi è da rilevare che la Corte territoriale ha evocato, convalidando il capo di imputazione, l'articolo 4 1 comma dello statuto AUSL che circoscrive la pubblicazione delle delibere del direttore generale, alle sole dotate di rilevanza esterna, escludendo nel contempo che tale connotato fosse attribuibile alla mera proposta di licenziamento in ambito disciplinare. Il presupposto di tale constatazione, cui è stata agganciata quella - dipendente dalla prima - della assenza del requisito dell'interesse sociale alla conoscenza del fatto lesivo della altrui reputazione, reso noto ad un numero indeterminato di persone, sta però nella affermazione, appunto, che la divulgazione avesse avuto ad oggetto un atto a contenuto offensivo. Rileva dunque questa Corte, in accoglimento del motivo di gravame in esame, che il giudice dell'appello non ha esaminato la rilevanza, nella prospettiva appena evidenziata, del fatto che ad essere divulgata, mediante affissione in bacheca, non è stata la delibera integrale, comprensiva cioè dei sette addebiti disciplinari che, alla stregua del capo di imputazione, avrebbero rappresentato esattamente il contenuto dell'atto lesivo della altrui reputazione. Al contrario, emerge dagli accertamenti di cui si da conto nelle sentenze di merito in particolare v. pag. 1 della motivazione della sentenza di primo grado , che è stato affisso nella bacheca il solo frontespizio della delibera. Pertanto, il giudizio sulla idoneità della condotta accertata, ad integrare il reato di diffamazione esclusa la condotta della ulteriore divulgazione agli altri dirigenti, per quanto si è detto risulta del tutto carente e non calibrato sui fatti oggetto della contestazione, rimanendo del tutto oscuro se l'evento lesivo possa ritenersi prodotto mediante la sola pubblicazione dei dati della delibera e del suo oggetto e se le disquisizioni sulla rilevanza esterna dell'atto possano attagliarsi anche ai soli dati appena citati. Il giudice del rinvio, in sede civile, dovrà emendare il vizio della motivazione attenendosi ai principi enunciati. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.