Il rifiuto da parte del presunto padre di sottoporsi alle indagini ematologiche è un comportamento pienamente valutabile dal giudice «di così elevato valore indiziario» da poter da solo dimostrare la fondatezza della domanda di riconoscimento della paternità promossa dalla presunta figlia.
Lo ha precisato la Cassazione con ordinanza numero 14458/18, depositata il 5 giugno. Il caso. La Corte d’Appello di Genova, confermava la decisione di prime cure con la quale veniva affermata la paternità di un soggetto, su richiesta dell’istante. Contro la citata sentenza l’interessato ha proposto ricorso per cassazione. La sentenza impugnata si fonda «sull’incontroversa relazione sentimentale e di convivenza» del ricorrente con la madre dell’istante all’epoca del presunto concepimento, oltre che sulla deposizione di un teste, sull’accompagnamento delle gestante alle visite, sulle prove fotografiche ecc Il presunto padre ricorre per cassazione svalutando tutti gli elementi fattuali richiamati e ritenendo che si debba escludere, inoltre, la rilevanza del rifiuto del ricorrente di sottoporsi all’esame del DNA. Il rifiuto alle indagini ematologiche. Secondo la Cassazione il ricorso è inammissibile. In primo luogo perché viene formulata una critica al quadro probatorio che sfugge al sindacato del Giudice di legittimità. In secondo luogo la censura del ricorrente è in contrasto con il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui «il rifiuto di sottoporsi ad indagini ematologiche costituisce un comportamento valutabile da parte del giudice, ex articolo 116, comma 2, c.c., di così elevato valore indiziario da poter da solo consentire la dimostrazione delle fondatezza della domanda». Inoltre, precisano gli Ermellini, è manifestamente infondata anche la questione di costituzionalità dell’art 269 c.c. Dichiarazione giudiziale di paternità e maternità , in quanto dal citato articolo non deriva nessuna restrizione delle libertà personale perché il soggetto ha piena «facoltà di determinazione in merito all’assoggettamento o meno ai prelievi». Il giudice, invece, in applicazione del principio della libera valutazione delle prove può valutare liberamente i comportamenti, «senza che ne resti pregiudicato il diritto di difesa». Infine, conclude la Suprema Corte, non vi è neppure la possibilità di giustificare il rifiuto aprioristico della parte di sottoporsi ai prelievi con esigenze di tutela della riservatezza, «tenuto conto del fatto che l’uso dei dati nell’ambito del giudizio non può che essere rivolto a fini di giustizia» e che il sanitario che compie l’accertamento è tenuto al segreto professionale.
Corte di Cassazione, sez. VI – 1, ordinanza 19 aprile – 5 giugno2018, numero 14458 Presidente Scaldaferri – Relatore Sambito Fatti di causa Con sentenza in data 6.7.2016, la Corte d’Appello di Genova ha confermato la decisione con la quale il Tribunale di Genova ha dichiarato che C.L. è padre di F.Q.D.V.L. . Per la cassazione della sentenza, ha proposto ricorso il C. , sulla base di un motivo, con cui denuncia la violazione e falsa applicazione degli articolo 269, 116 e 118 c.p.c., resistito con controricorso da F.Q.D.V.L. . Ragioni della decisione 1. Il Collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in forma semplificata. 2. La sentenza si fonda sull’incontroversa relazione sentimentale e di convivenza del ricorrente con la madre della resistente nell’epoca presunta del concepimento, sulla deposizione del teste G. annuncio della nascita della piccola L. , sull’accompagnamento della gestante alle visite ospedaliere sulla donazione poi rifiutata di una parure e di una medaglietta alla bambina sull’esistenza di fotografie che ritraggono le parti insieme, quando la controricorrente era piccolina, sulla partecipazione del ricorrente ad una festa di compleanno di L. , e sul rifiuto da lui opposto a sottoporsi ad esami ematologici. 3. Il motivo, con cui si svalutano gli elementi fattuali desunti dalle deposizioni e si esclude la rilevanza al rifiuto del preteso padre di sottoporsi all’esame del DNA, è inammissibile. Esso, da una parte, formula una critica diretta della valutazione del quadro probatorio, che sfugge al sindacato di legittimità ed è prerogativa esclusiva del giudice del merito, e, dall’altra, non offre alcun argomento per mutare l’orientamento giurisprudenziale cfr. tra le altre Cass. 24/7/2012 numero 12971 25/3/2015 numero 6025 3479 del 2016 18626 2017 , al quale si è attenuta l’impugnata sentenza, secondo cui il rifiuto di sottoporsi ad indagini ematologiche costituisce un comportamento valutabile da parte del giudice, ex articolo 116, co 2, c.p.c., di così elevato valore indiziario da poter da solo consentire la dimostrazione della fondatezza della domanda. 4. Quanto al dubbio di costituzionalità del combinato disposto degli articolo 269 c.c. e 116 e 118 c.p.c., ove interpretato nel senso della possibilità di dedurre argomenti di prova dal rifiuto del preteso padre di sottoporsi a prelievi ematici al fine dell’espletamento dell’esame del DNA, il ricorrente si limita a richiamare plurimi parametri normativi articolo 2, 3, 13, 15, 24, 30, 31 e 32 Cost. , senza farsi carico in alcun modo di illustrare le ragioni idonee ad indurre ad un ripensamento circa la manifesta infondatezza della questione di costituzionalità, già affermata in riferimento agli articolo 13, 15, 24, 30 e 32 Cost., da questa Corte Cass. numero 5116 del 2003 numero 27237 del 2008 numero 6025 del 2015 , che ha evidenziato come dall’articolo 269 c.c. non derivi alcuna restrizione della libertà personale, avendo il soggetto piena facoltà di determinazione in merito all’assoggettamento o meno ai prelievi, mentre il trarre argomenti di prova dai comportamenti della parte costituisce applicazione del principio della libera valutazione della prova da parte del giudice, senza che ne resti pregiudicato il diritto di difesa, e, inoltre, il rifiuto aprioristico della parte di sottoporsi ai prelievi non può ritenersi giustificato nemmeno con esigenze di tutela della riservatezza, tenuto conto sia del fatto che l’uso dei dati nell’ambito del giudizio non può che essere rivolto a fini di giustizia, sia del fatto che il sanitario chiamato dal giudice a compiere l’accertamento è tenuto tanto al segreto professionale che al rispetto della legge 31 dicembre 1996, numero 675. Il dubbio di costituzionalità delle menzionate disposizioni risulta totalmente criptico in riferimento ai parametri di cui agli articolo 2 e 31 Cost., che tutelano, rispettivamente, i diritti inviolabili dell’uomo, richiedendogli, al contempo, l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà, e la famiglia, con particolare riguardo a quelle numerose, proteggendo la maternità l’infanzia e la gioventù, e favorendo gli istituti necessari a tale scopo. 5. La statuizione d’inammissibilità del motivo, come ha eccepito la controricorrente, consegue al principio, stabilito da Cass. S.U. 21/3/2017 numero 7155, che, rimeditando il precedente indirizzo Cass. SU numero 19051 del 2010 i attribuisce alla disposizione di cui all’articolo 360 bis c.p.c. la funzione di filtro d’ammissibilità . 6. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 5.100,00, di cui Euro 100,00 per spese, oltre a spese generali e ad accessori come per legge. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. numero 196 del 2003, articolo 52. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dell’articolo 13, comma 1 bis, dello stesso articolo 13.