Medico ad alta voce nel corridoio dell'ospedale: ""L'infermiere ha violentato due ragazze..."". Esistono le premesse per l'accusa di diffamazione

Le gravi parole pronunziate nel colloquio con una paziente e poi nell'ambiente di lavoro possono essere considerate comunicazione a molteplici persone, anche se solo potenziale e anche se non simultanea.

Una frase pronunziata ad alta voce, nel proprio ambiente di lavoro, in modo tale da raggiungere più persone, e con un evidente carattere denigratorio ci sono tutti gli elementi per sostenere l'accusa di diffamazione. A fare chiarezza è la Corte di Cassazione - sentenza numero 39768/2011, Quinta sezione Penale, depositata ieri - affrontando la vicenda, verificatasi in un ospedale, che vede protagonisti un medico e un operatore sanitario.Voce stentorea L'episodio incriminato si verifica lungo i corridoi dell'ospedale, quando il medico, una donna, afferma che l'operatore - inserito nel settore diretto dallo stesso medico - è una persona pericolosa e ha già violentato due ragazze vi è stato un tentativo di violenza su una terza in passato ha compiuto abusi sessuali sui minorenni . Parole gravissime, anche perché pronunciate ad alta voce, all'interno dell'ambiente ospedaliero, eppure la denuncia per diffamazione, presentata dall'operatore, viene considerata non fondata meglio, la Corte d'Appello, riformando la pronuncia del Tribunale, assolve il medico.Campagna denigratoria. L'uomo, colpito dalle illazioni della donna, non accetta la decisione assunta in Appello, e presenta ricorso per cassazione. E, in questo quadro, egli evidenzia alcune note dolenti primo, la Corte territoriale ha omesso di rilevare come tutte le testimonianze conducano alla dimostrazione di una campagna di denigrazione nei confronti dell'uomo, campagna da inquadrare nell'animosità della donna, determinata da una denunzia dell'uomo agli organi superiori per alcune irregolarità nella gestione della struttura secondo, la Corte territoriale ha escluso il requisito della comunicazione con più persone, senza tenere conto che tale requisito sussiste nel caso in cui l'agente, rivolgendosi a una sola persona, ad alta voce, abbia comunque comunicato con le altre persone presenti, in modo che percepiscano le sue affermazioni, e senza tenere conto che per la sussistenza del requisito non è necessario che la propalazione delle frasi offensive avvenga simultaneamente, potendo realizzarsi in più momenti, nei confronti di più soggetti .Alla luce di questi elementi, secondo l'uomo, l'assoluzione è incomprensibile e immotivata.Passaparola. La vicenda, sottoposta al vaglio della Cassazione, deve essere rivista. Questo il responso dei giudici, che partono dai fatti, innanzitutto, ovvero l'accusa gravissima - di violenza sessuale nei confronti di due ragazze - fatta dal medico all'operatore, accusa espressa in un colloquio con una paziente e poi, ad alta voce , in un corridoio dell'ospedale, alla presenza di molte persone.Secondo la Corte d'Appello, però, non sussiste il requisito della comunicazione con una pluralità di persone , ma, invece, per i giudici di piazza Cavour, tale tesi è errata, perché la comunicazione a più persone può sussistere se la diffusione delle notizie e delle valutazioni sia avvenuta anche non simultaneamente e se la comunicazione lesiva sia avvenuta a voce alta, tanto da poter essere sentita dalle persone presenti nel luogo e nel momento della esternazione come in questo caso, con la presenza, nel corridoio dell'ospedale, mentre il medico parlava ad alta voce, di operatori, infermieri, medici e pazienti .Peraltro, anche l'eventuale non percezione delle dichiarazioni offensive e denigratorie non può rappresentare un elemento utile ad alleggerire la posizione del medico difatti, è sufficiente che l'imputato abbia manifestato il proprio pensiero con la consapevolezza e con la volontà che questo venga a conoscenza di altri , chiariscono i giudici.Logica conseguenza, quindi, è l'annullamento della sentenza di assoluzione, con l'affidamento della questione nuovamente alla Corte d'Appello.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 13 maggio - 4 novembre 2011, numero 39768Presidente Calabrese - Relatore BevereFatto e dirittoCon sentenza 26.3.10, la corte di appello di Potenza, in riforma della sentenza 12.11.08 del tribunale della stessa sede, ha assolto, ex articolo 530 cpv. c.p.p., V. M., dal reato di diffamazione continuata in danno di P. D La V., medico in servizio presso l'ospedale di Potenza, responsabile del settore in cui il querelante svolgeva mansioni di operatore, è stata accusata di averne offeso la reputazione ,riferendo a più persone che il P. è una persona pericolosa e ha già violentato due ragazze vi è stato un tentativo dì violenza su una terza .in passato ha compiuto abusi sessuali sui minorenni .La procura presso la corte di appello di Potenza ha presentato ricorso per violazione di legge ,in riferimento all'articolo 595 c.p. e per mancanza di motivazione.Secondo il ricorrente, la corte territoriale ha omesso di rilevare come tutte le testimonianze, unitariamente considerate, conducano alla dimostrazione di una sistematica ed intensa campagna di denigrazione nei confronti del P., da inquadrare nell'animosità della donna, determinata da una denunzia del Potenza agli organi superiori, per alcune irregolarità nella gestione della struttura, attribuite alla medesima.La corte ha escluso il requisito della comunicazione con più persone, senza tener contoa che tale requisito sussiste ,nel caso in cui l'agente, rivolgendosi a una sola persona ad alta voce, abbia comunque comunicato con le altre presenti, in modo che percepiscano le sue affermazioni b che per la sussistenza del requisito non è necessario che la propalazione delle frasi offensive avvenga simultaneamente, potendo la stessa realizzarsi in più momenti, nei confronti di più soggetti.Il ricorso merita accoglimento.I dati storicamente accertati indicano, che V., parlando con la propria paziente S. M.V., nel corso delle sedute di psicoterapia, l'aveva messa in guardia nei confronti del P., in quanto questi avrebbe abusato sessualmente di una ragazza.Il teste B., in servizio presso il medesimo centro sanitario della V., ha riferito che la dottoressa, ad alta voce, in un corridoio dell'ospedale, in presenza di molte persone, aveva affermato che il P. aveva violentato alcune ragazze e aveva tentato di abusare sessualmente di un'altra.La corte ha ritenuto che, in relazione a quanto riferito dalla S., mancava l'elemento della comunicazione con più persone e in relazione a quanto riferito dal B., questi non aveva indicato alcuna delle persone presenti all'episodio.La sentenza impugnata è erronea, in quanto , secondo un condivisibile orientamento interpretativo, il requisito della comunicazione con una pluralità di persone sussiste, sotto più profilia se la diffusione tra più persone delle notizie e delle valutazioni sia avvenuta anche non simultaneamente sez. V, numero 31728 del 16.6.04 b se la comunicazione lesiva sia avvenuta a voce alta, tanto da poter essere sentita dalle persone presenti nel luogo e nel momento della esternazione nel caso in esame, nel corridoio dell'ospedale, percorso in quel momento da operatori, infermieri, medici e pazienti sez. V. numero 36602 del 15.7.2010, rv 248431 sez. V, numero 10263 del 6.10.1981, rv 150986 .L'esame dei potenziali ascoltatori delle indimostrate gesta del P. non costituisce alcuna ineludibile esigenza istruttoria, trattandosi di reato, unanimemente ritenuto di pericolo, la cui consumazione non necessita dell'effettiva percezione delle dichiarazioni offensive, essendo sufficiente che l'imputato abbia manifestato il proprio pensiero con la consapevolezza e con la volontà che questo venga a conoscenza di altri.La sentenza va quindi annullata con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Salerno.P.Q.M.Annulla la sentenza con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Salerno.