Riconosciuto il diritto alla retrodatazione dell'assunzione ai fini giuridici, ma non il risarcimento danni perché c’è una sentenza del TAR divenuta definitiva. In più, la Cassazione esclude anche l’errore revocatorio.
Il caso. Dopo una battaglia giudiziaria davanti al tribunale amministrativo per ottenere la retrodatazione giuridica dell’assunzione – battaglia effettivamente vinta – alcuni lavoratori avevano chiesto al giudice del lavoro la determinazione dei danni patiti a causa dell'illegittimo comportamento della società, nel caso di specie di Poste Italiane. Solo la Corte d'appello aveva condannato la società a risarcire loro i danni derivanti dalla ritardata assunzione, dedotto quanto da essi eventualmente percepito in forza di altri rapporti lavorativi. A seguito di ricorso per cassazione di Poste Italiane, la Corte di legittimità sent. numero 20986/10 , ha accolto il ricorso, cassato la sentenza e, decidendo nel merito, ha rigettato l'originaria domanda dei resistenti. Nello specifico, il diritto dei lavoratori al risarcimento del danno era stato escluso con sentenza del 1994, divenuta definitiva, con la quale «era stato negato il loro diritto alle retribuzioni e riconosciuto solo quello alla retrodatazione dell'assunzione ai fini giuridici». La sentenza del TAR non è stata esaminata nella sua interezza? I lavoratori, deducendo errore revocatorio, si rivolgono nuovamente alla Corte di Cassazione sent. numero 19071/12, depositata il 6 novembre . L'errore, secondo i ricorrenti, è consistito nel fatto che i giudici di legittimità hanno posto a base della sussistenza del giudicato, ritenuto dirimente ai fini della decisione, solo la parte della motivazione della sentenza del TAR, senza esaminarla nella sua interezza. Nessun errore revocatorio. La S.C. precisa che l'errore di fatto, quale motivo di revocazione della sentenza articolo 395, richiamato per le sentenze della Corte di Cassazione dall'articolo 391-bis c.p.c. , deve consistere in una «falsa percezione di quanto emerge dagli atti sottoposti al suo giudizio», concretizzatasi in una «svista materiale su circostanze decisive, emergenti direttamente dagli atti con carattere di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità». Nella fattispecie, tuttavia, non ricorre tale errore revocatorio, atteso che il giudicato rappresentato dalla sentenza del TAR del Lazio del 1994 non costituisce un fatto della natura dei comandi giuridici, la cui valutazione non si esaurisce nella disamina del fatto ma attiene all'interpretazione delle norme giuridiche. Per questo, il ricorso va rigettato.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 6 giugno – 6 novembre 2012, numero 19071 Presidente Vidiri – Relatore Berrino Svolgimento del processo Con ricorso congiunto del 27/5/03 gli odierni ricorrenti convennero in giudizio la società Poste Italiane s.p.a deducendo quanto segue la società convenuta aveva assunto solo i primi sei dei candidati risultati idonei ai concorsi indetti nel 1983, ma a seguito di sentenza numero 1521 del 3 agosto del 1990 del TAR, che aveva accolto la loro domanda, erano stati assunti con decorrenza giuridica dal luglio del 1990, mentre la decorrenza economica era stata fatta coincidere con la data di effettiva assunzione in servizio essi avevano nuovamente adito il TAR dolendosi della illegittimità delle modalità di assunzione ed i loro ricorsi erano stati accolti in ordine alla ulteriore retrodatazione giuridica, venendo riportata la data, secondo i casi, rispettivamente al 16/12/86 o all'1/3/88. Con sentenza del 24/10/03 il giudice del lavoro, al quale i predetti ricorrenti si erano rivolti per la determinazione dei danni patiti a causa dell'illegittimo comportamento della società, respinse le domande, mentre la Corte d'appello di Torino, investita del gravame, condannò la società a risarcire loro i danni derivanti dalla ritardata assunzione, dedotto quanto da essi eventualmente percepito in forza di altri rapporti lavorativi. A seguito di ricorso in cassazione della società la Corte di legittimità, con sentenza numero 20986/10, ha accolto il ricorso, ha cassato la sentenza e, decidendo, nel merito ha rigettato l'originaria domanda dei resistenti. La Corte è pervenuta a tale decisione dopo aver ritenuto dirimente l'eccezione di giudicato sollevata dalla società postale con riferimento al fatto che il diritto dei lavoratori al risarcimento del danno era stato escluso con sentenza del 1994, divenuta definitiva, con la quale era stato negato il loro diritto alle retribuzioni e riconosciuto solo quello alla retrodatazione dell'assunzione ai fini giuridici. Col ricorso odierno i lavoratori di cui in epigrafe deducono l'errore revocatorio, consistito, a loro giudizio, nel fatto che la Corte di legittimità, non avendo esaminato la sentenza del TAR nella sua interezza, ha erroneamente presupposto che in entrambi i precedenti giudizi, cioè quello amministrativo e quello ordinario, era stato chiesto il pagamento delle retribuzioni per lo stesso periodo. Al contrario, secondo i ricorrenti, il giudicato amministrativo numero 368 del 1994 riguardava la ricostruzione della carriera e le retribuzioni spettavano in quanto riviveva il rapporto di lavoro, mentre innanzi al giudice ordinario i danni, commisurati alle retribuzioni, erano stati chiesti per la ritardata costituzione del rapporto inesistente e non inerivano, come nel primo caso, alla illegittima interruzione di un rapporto di lavoro già in essere. Resiste con controricorso la società Poste Italiane s.p.a. che chiede la dichiarazione di inammissibilità del ricorso o il suo rigetto. La difesa di parte ricorrente deposita, altresì, memoria ai sensi dell'articolo 378 c.p.c Motivi della decisione Col presente ricorso si invoca la revocazione della sentenza numero 20986 del 7/4 -12/10/2010 di questa Corte, adducendosi che l'errore è consistito nel fatto che i giudici di legittimità hanno posto a base della sussistenza del giudicato, ritenuto dirimente ai fini della decisione, solo la parte della motivazione della sentenza numero 368/94 del TAR del Lazio riportata dalla controparte, omettendo, in tal modo, di esaminarla nella sua interezza, la qual cosa non li avrebbe indotti a ritenere che in quella sede era stato negato ai ricorrenti il risarcimento del danno. L'ulteriore errore che si attribuisce alla decisione impugnata è quello per il quale i giudici di legittimità hanno presupposto che nel giudizio amministrativo, nel quale si era formato l'eccepito giudicato, ed in quello civile era stato chiesto il pagamento delle retribuzioni per lo stesso periodo, quando, invece, la decisione giurisdizionale amministrativa non aveva investito la richiesta risarcitoria. In pratica, secondo i ricorrenti, nel giudizio amministrativo, avente ad oggetto la ricostruzione della loro carriera, venne richiesto il corrispettivo economico del rapporto lavorativo, mentre in quello civile la domanda ebbe ad oggetto il risarcimento dei danni, commisurato alle retribuzioni, per la ritardata costituzione dello stesso rapporto. Il ricorso è infondato. Invero, l'errore di fatto, quale motivo di revocazione della sentenza ai sensi dell'articolo 395, richiamato per le sentenze della Corte di cassazione dall'articolo 391-bis cod. proc. civ., deve consistere in una falsa percezione di quanto emerge dagli atti sottoposti al suo giudizio, concretizzatasi in una svista materiale su circostanze decisive, emergenti direttamente dagli atti con carattere di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, con esclusione di ogni apprezzamento in ordine alla valutazione in diritto delle risultanze processuali, come la denuncia dell'erronea presupposizione dell'esistenza di un giudicato o di eventuali errori di interpretazione del giudicato. Infatti, atteso che quest'ultimo è destinato a fissare la regola del caso concreto, partecipa della natura dei comandi giuridici e, conseguentemente, la sua interpretazione non si esaurisce in un giudizio di fatto, ma attiene all'interpretazione delle norme giuridiche. Pertanto, anche gli eventuali errori di interpretazione del giudicato rilevano non quali errori di fatto, ma quali errori di diritto, inidonei, come tali, a integrare gli estremi dell'errore revocatorio contemplato dall'articolo 395, numero 4, cod. proc. civ In tal senso si sono già espresse le Sezioni unite di questa Corte Cass. Sez. unumero numero 23242 del 17/11/2005 per le quali il giudicato, essendo destinato a fissare la regola del caso concreto, partecipa della natura dei comandi giuridici e, conseguentemente, la sua interpretazione non si esaurisce in un giudizio di fatto, ma deve essere assimilata, per la sua intrinseca natura e per gli effetti che produce, all'interpretazione delle norme giuridiche pertanto l'erronea presupposizione dell'esistenza del giudicato, equivalendo ad ignoranza della regula juris rileva non quale errore di fatto, ma quale errore di diritto, risultando sostanzialmente assimilabile al vizio del giudizio sussuntivo, consistente nel ricondurre la fattispecie ad una norma diversa da quella che reca invece la sua diretta disciplina, inidoneo, come tale, a integrare gli estremi dell'errore revocatorio contemplato dall'articolo 395, numero 4, cod. proc. civ. Fattispecie in tema di revocazione di sentenza della Corte di cassazione in senso conforme v. anche Cass. sez. unumero , ordinanza numero 5105 del 2/4/2003, Cass. Sez. 1 numero 8220 del 2/4/2007, Cass. Sez. 1, numero 17443 del 25/6/2008 . Nella fattispecie non ricorre, pertanto, la denunziata ipotesi dell'errore revocatorio, atteso che il giudicato rappresentato dalla sentenza del TAR del Lazio del 1994, preso in considerazione dai giudici di legittimità ai fini dell'accoglimento dell'eccezione preliminare sollevata dalla difesa della società Poste Italiane s.p.a., non costituisce un fatto, in quanto partecipa, come detto in precedenza, della natura dei comandi giuridici la cui valutazione non si esaurisce nella disamina del fatto ma attiene all'interpretazione delle norme giuridiche. Pertanto, il ricorso va rigettato. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza dei ricorrenti e vanno poste a loro carico nella misura liquidata come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti alle spese del presente giudizio nella misura di Euro 3000,00 per onorario e di Euro 40,00 per esborsi, oltre IVA, CPA e spese generali ai sensi di legge.