Il termine massimo è inderogabile, qualunque siano le vicende processuali

Anche nel caso in cui il processo regredisca ad una fase antecedente – per il giudizio di rinvio della Cassazione -, non rivivono i singoli termini massimi custodiali previsti per ogni singola fase processuale. Non può comunque essere superato il termine generale ex art. 304 c.p.p

Più imputati vengono condannati in appello per associazione a delinquere di stampo mafioso, la Cassazione annulla la condanna per parte delle imputazioni, rinviando al giudizio d’appello. Di seguito, viene emessa dal giudice competente ordinanza di liberazione degli imputati fino a quel tempo sottoposti alla misura della custodia cautelare , per decorrenza dei termini massimi previsti dall’art. 304, sesto comma, c.p.p. – ossia il doppio dei termini indicati per il secondo grado dall’art. 303 c.p.p., in relazione alla gravità dei reati contestati -. Il procuratore generale impugna l’ordinanza al Tribunale di riesame, contestando i criteri temporali di computo della custodia cautelare già patita dagli imputati. In particolare, per la pubblica accusa, non andrebbe incluso nel tempo decorso il trattamento custodiale decorso durante le fasi antecedenti al giudizio di secondo grado, riferendosi, l’art. 303 c.p.p., al solo computo dei termini per la singola fase processuale. La soluzione della pubblica accusa sarebbe peggiorativa per gli imputati, per i quali non avrebbero contezza alcuni trattamenti custodiali già decorsi. Il tribunale del riesame rigetta l’impugnativa. Il procuratore generale ricorre al giudice di legittimità. La Cassazione, Sesta sezione Penale, con la sentenza n. 28984, depositata l’8 luglio2013, rigetta il ricorso, con assai ermetico motivare. Il tentativo smentito della pubblica accusa. Il termine massimo ex art. 304, sesto comma, c.p.p. va riferito alle singole fasi processuali. L’ormai decorso termine massimo ex art. cit., nel caso di un processo dalle imputazioni gravissime, ha probabilmente costretto l’accusa a proporre una interpretazione della norma assai minoritaria in giurisprudenza. Per l’accusa, in particolare, il termine massimo ex art. 304, sesto comma cit ., andrebbe riferito ai trattamenti custodiali subiti durante la medesima fase cui il processo penale era regredito, per l’effetto della sentenza della Cassazione. Andrebbero esclusi i periodi già decorsi eterogenei alla fase in cui il processo è regredito. La soluzione troverebbe ragion d’essere nella struttura della disciplina dettata dall’art. 303 c.p.p., che sembrerebbe tipizzare il decorso del termine custodiale in senso esclusivamente endofasico o monofasico , ossia per ogni singola fase processuale, escludendo la contaminazione quantitativa dei trattamenti custodiali già decorsi in altre fasi. La soluzione della Cassazione. L’art. 304, sesto comma, è termine massimo ed inderogabile, in ogni caso. Costituisce una norma di chiusura. I giudici giungono alla soluzione opposta, il sesto comma non è norma servente all’art. 303 c.p.p., la cui criteriologia esclusivamente monofasica delle discipline di decorrenza dei termini finirebbe per prevalere sulla esigenza, garantista e costituzionalmente orientata, di trovar fissato nel codice un termine massimo della custodia cautelare, in evidente disprezzo dei rigori sottesi alla riserva di legge prevista dall’art. 13 della Costituzione. Quel sesto comma è invece norma di chiusura e generale – meglio definibile plurifasica -, non concorrente alle determinazioni endofasiche dell’art. 303 c.p.p., bensì prevalente ed integrativa di quei contenuti. Qualunque siano i destini processuali – sospensione, proroga del termine o regressione del processo, per gli effetti rescindenti della Cassazione che ha annullato la sentenza -, quel termine massimo costituisce soglia insuperabile , e fornisce un presidio di vigilanza dei superiori interessi di legalità e di certezza delle discipline atte ad incidere la libertà personale.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 28 maggio - 8 luglio 2013, numero 28984 Presidente Milo – Relatore Lanza Ritenuto in fatto Il Procuratore generale presso la Corte di appello di Napoli ricorre avverso l'ordinanza 27 febbraio-12 marzo 2013 del Tribunale del riesame di Napoli, che ha rigettato l'impugnazione di detta parte pubblica avverso l'ordinanza 8 novembre 2012 della Corte di appello di Napoli, la quale aveva dichiarato la perdita di efficacia della misura della custodia cautelare in carcere, nei confronti di A.P. , B.G. , E.G. , L.G. , e S.G. , ai sensi dell'art. 304 comma VI c.p.p. essendo decorso, a seguito della sentenza di parziale annullamento della Corte Cassazione del 10 ottobre 2012, il doppio del termine massimo di fase previsto per i reati in contestazione. Dagli atti e dalle indicazioni della gravata ordinanza la vicenda risulta aver avuto la seguente scansione - con sentenza 21 ottobre 2009 il G.U.P. del Tribunale di Napoli ha condannato gli odierni imputati alle seguenti pene e per i seguenti capi A.P. alla pena di anni 10 e mesi 8 di reclusione per i reati di cui ai capi A art. 416 bis c.p. e B 74 II co. d.p.r. numero 309/90 B.G. alla pena di anni 10 di reclusione per i reati di cui ai capi A 416 bis c.p. , R 12 quinquies l. numero 356/1992 e AA 629 II c.p. art. 7 d.l. numero 152/1991 il B. , come risulta dalla posizione giuridica acquisita, era tuttavia detenuto solo per il capo AA E.G. alla pena di anni reclusione per il reato di cui al capo A 416 bis c.p. L.G. alla pena di anni 10 di reclusione per i reati di cui ai capi A 416 bis c.p. , M 378 c.p., art. 7 d.l. numero 152/1991 , AA 629 11 co. C.p., art. 7 d.l. numero 152/ 1991 anche il L. , come si ricava dalla posizione giuridica, era detenuto tuttavia solo per il capo AA S.G. alla pena di anni 8 di reclusione per il reato di cui al capo A 416 bis c.p. - con sentenza 15 luglio 2011 la Corte di Appello di Napoli ha confermato integralmente la sentenza di primo grado - con sentenza 10 ottobre 2012 la Corte di Cassazione ha annullato la decisione della Corte di Appello limitatamente ai seguenti capi - per A. capo B con conferma per il capo A - per B. capi R e AA con conferma per il capo A esclusa la circostanza di cui al II comma dell'art. 416 bis c.p. - per E. capo A - per L.G. capi A e AA con conferma per il capo M - per S.G. capo A - con ordinanza 8 novembre 2012 la Corte di appello di Napoli ha disposto la scarcerazione degli imputati per decorrenza dei termini - con ordinanza 27 febbraio 2013. oggi impugnata, il Tribunale del riesame di Napoli ha rigettato l'appello proposto dal Procuratore generale avverso la decisione di scarcerazione della Corte di appello di Napoli. Considerato in diritto 1. Il Procuratore generale presso la Corte di appello di Napoli ricorre avverso l'ordinanza 27 febbraio-12 marzo 2013 del Tribunale del riesame di Napoli, che ha rigettato l'impugnazione di detta parte pubblica avverso l'ordinanza 8 novembre 2012 della Corte di appello di Napoli, la quale aveva dichiarato la perdita di efficacia della misura della custodia cautelare in carcere, nei confronti di A.P. , B.G. , E.G. , L.G. , e S.G. , ai sensi dell'art. 304 comma VI c.p.p. essendo decorso, a seguito della sentenza di parziale annullamento della Corte Cassazione del 10 ottobre 2012, il doppio del termine massimo di fase previsto per i reati in contestazione. 2. Il Procuratore generale a fondamento della sua impugnazione pag.5 ha sostenuto a che il tribunale ha condiviso la tesi d'accusa in forza della sent. della II sezione numero 29391/12, Baboi sulla sterilizzazione del nuovo termine di fase decorrente dalla data del provvedimento annullato dai periodi relativi a fasi oramai esaurite” tuttavia il Tribunale avrebbe introdotto un distinguo, affidando il criterio discretivo dei periodi escludibili dal computo alla omogeneità della fase alla quale si riferisce il periodo di carcerazione da ciò deriverebbe che, stante la identità nella quale il procedimento è regredito rispetto alla fase che ha presieduto l'annullamento entrambe fasi posteriori alla sentenza di primo grado nel computo deve essere incluso il periodo di carcerazione successivo a tale ulteriore pronunzia, laddove l'espressione fasi esaurite richiama solo le fasi che precedono lo spartiacque della sentenza di primo grado b che tale criterio non può essere condiviso considerato che il riferimento alle fasi esaurite manifesta soltanto una connotazione temporale e non anche strutturale pertanto non se ne può trarre un dato ontologico nel senso di includere soltanto periodi pregressi al provvedimento che ha originato l'annullamento c che è pacifico che, per fasi esaurite , possa intendersi anche quella compresa tra la sentenza di primo grado e la sentenza annullata, dato che anche in questo caso si tratta di fase temporalmente esaurita d che il tribunale ha tuttavia introdotto un sub-criterio non fondato su solide argomentazioni con derivato error in judicando . 3. La parte pubblica ha ancora lamentato che il tribunale abbia aderito alla tesi secondo cui l'entità della pena applicata originariamente in continuazione non ha carattere definitivo, tuttavia non ha concordato sul corollario della ininfluenza di tale pena ai fini del giudizio di comparazione previsto dalla art. 300 cod. proc. penumero comma 4. In realtà, per il ricorrente l'annullamento parziale che coinvolge la condanna relativa al reato principale è suscettibile di incidere anche sulla determinazione della pena relativa alla continuazione, in grado di divenire pena illegale. Tale attitudine della pena superstite renderebbe la sanzione incerta e pertanto non utilizzabile ai fini della norma in esame. 4. La conclusione dell'impugnazione del Procuratore generale è quindi nel senso che l’ipotesi, prospettata dal Tribunale, appare diversa dal caso in esame laddove la non definitività della pena in continuazione è ancorata all'accertamento del reato principale da ciò la prospettazione di un ulteriore errore di diritto. 5. Tanto premesso ritiene questa Corte che le argomentazioni critiche del ricorrente non abbiano fondamento ed il ricorso debba essere rigettato come da conforme richiesta del Procuratore generale in udienza. Nel caso in questione, infatti, il termine di decorrenza, per la fase del giudizio di secondo grado nel quale il processo è regredito, va correttamente individuato nella sentenza di primo grado emessa dal G.U.P. di Napoli in data 21 ottobre 2009 o, eventualmente, alla data successiva di esecuzione della misura , peraltro, con la necessità di tener conto anche del periodo trascorso allorquando il processo era pendente dinanzi alla Corte di Cassazione per la decisione di annullamento, e senza alcuna considerazione del tempo decorso durante il giudizio di primo grado ormai definitivamente esauritosi. In altre parole, la regola da ribadirsi è che, una volta fatta rivivere la fase d'appello, a seguito dell'annullamento in punto di responsabilità della pronuncia di secondo grado, con rinvio appunto al giudice di appello, i tempi di custodia cautelare ad essa corrispondenti, e maturati dall'imputato nel tempo di celebrazione del giudizio di appello, prima della regressione, vanno sommati alla durata della misura cautelare decorsa avanti alla Corte di Cassazione per evitare la doppia iniqua restrizione cautelare per il medesimo giudizio di appello. 6. Nella specie infatti, correttamente il Tribunale del riesame, nel rigettare l'appello avverso la decisione di scarcerazione per decorrenza termini della corte di appello, ha ritenuto tale pronuncia immune da censure, confermando lo schema di giustificazione proposto, schema che questo Collegio ritiene conforme alla regola secondo cui il giudice, tra più interpretazioni, deve scegliere quella conforme al dettato costituzionale, sulla base di corretti canoni ermeneutici Corte costituzionale sentenza 299/2005 . 7. Va invero rammentato che la Corte delle leggi, in tale ultima citata pronuncia, ha richiamato le proprie ordinanze 243/2003, 335/2003 e 59/2004, per criticare la costruzione delle Sezioni Unite della Cassazione S.U. numero 4/2000 , laddove si è ritenuto che, per il calcolo del doppio dei termini di fase vi sia cumulabilità esclusivamente per le fasi e i gradi omogenei, senza possibilità di valutare anche i periodi di custodia cautelare sofferti in fasi o gradi diversi, rispetto a quelli in cui il procedimento è regredito. A giudizio della Corte costituzionale, siffatta costruzione per il recupero della custodia cautelare finisce infatti con il subordinare il principio di proporzionalità all'appagamento delle esigenze della fase processuale e riduce il principio del minor sacrificio della libertà personale ad una sorta di credito di libertà spendibile nelle eventuali fasi successive. La Corte costituzionale ha infine sottolineato che il rispetto dei principi di adeguatezza e di proporzionalità, operanti anche in relazione ai limiti che deve incontrare la durata della custodia cautelare, discendono direttamente dalla natura servente che la Costituzione assegna alla carcerazione preventiva, rispetto al perseguimento delle finalità del processo, da un lato, e alle esigenze di tutela della collettività, dall'altro, tali da giustificare, nel bilanciamento tra interessi meritevoli di tutela, il temporaneo sacrificio della libertà personale di chi non è ancora stato giudicato colpevole in via definitiva. La tutela della libertà personale, realizzata nel nostro sistema attraverso i limiti massimi di custodia imposti dall'art. 13, quinto comma, Costituzione, è pertanto un valore unitario ed indivisibile che non può subire deroghe o eccezioni, riferite a particolari e contingenti vicende processuali, ovvero desunte da una ricostruzione dell'attuale sistema processuale che non consenta di tener conto, ai fini della garanzia del termine massimo di fase, dei periodi di custodia cautelare comunque sofferti nel corso del procedimento. 8. Di tali criteri ha tenuto conto e ha fatto buon governo la gravata ordinanza, la quale ha adeguatamente spiegato nei termini che testualmente si riprendono a che il termine di decorrenza per la fase del giudizio di secondo grado nel quale il processo è regredito, va individuato nella sentenza di primo grado emessa dal G.U.P. del Tribunale di Napoli il 21 ottobre 2009, con la necessità di tener conto del periodo trascorso allorquando il processo era pendente dinanzi alla Corte di Cassazione e non considerando invece il tempo decorso durante il giudizio di primo grado ormai definitivamente esauritosi b che la sentenza di primo grado è stata emessa in data 21 ottobre 2009, per i capi per i quali vi è stato annullamento con rinvio da parte della Corte di Cassazione B e AA , e quindi va preso atto della scadenza del termine massimo di fase, come raddoppiato ex art. 303 comma IV c.p.p., alla data dell'ordinanza di scarcerazione emessa dalla Corte di Appello 8 novembre 2012 c che, quanto ad eventuali cause di sospensione dei termini cautelari, l'art. 304 VII c.p.p. impedisce di attribuire rilievo a cause di sospensione diverse da quelle determinate dall'astensione dei difensori rispetto alle quali non vi è stata alcuna deduzione nell'atto di gravame del P.M. . Da ultimo, quanto ai capi per cui non vi è stato annullamento, l'ordinanza ha rilevato che su di essi la statuizione di condanna sia divenuta definitiva, anche se non possa ritenersi ancora tale l'entità della pena, applicata originariamente in continuazione potendo verificarsi il caso in cui il Giudice del rinvio sia tenuto a rideterminare la pena nel caso di assoluzione dal reato più grave per cui vi è stato annullamento . Tale eventualità bene è stata assimilata alle ipotesi in cui si verifichi un annullamento della Cassazione limitatamente all'entità della pena irrogata, rispetto alle quali è pacifico che la misura cautelare permanga nonostante la definitività della statuizione di condanna e che debba farsi riferimento, non più al termine di fase, ma solo a quello complessivo ex art. 303 IV comma, aumentabile ex art. 304 comma VI cod. proc. penumero cfr. ex plurimis Cass., 15/1/2009, numero 4971 . 9. In relazione a tali argomentate proposizioni non vi è spazio per le critiche del Procuratore generale le quali hanno trovato corretta e lineare risposta giuridica nelle due precedenti conformi decisioni nei termini dianzi trascritti. La decorrenza dei termini cautelari massimi è stata infatti rigorosamente e puntualmente esaminata dal Tribunale del riesame, con riferimento alla posizione di ciascun imputato, considerato che non tutti gli imputati risultano ininterrottamente detenuti dal 2008. Il quadro che ne risulta è quindi quello che segue. 9.1 posizione di A.P. capi A e B . Con la sentenza 21.10.2009 del G.U.P. del Tribunale di Napoli, A.P. è stato condannato alla pena di anni 10 e mesi 8 di reclusione per i reati di cui ai capi A art. 416 bis c.p. e B 74 II co. d.p.r. numero 309/90 la Corte di Appello di Napoli, in data 15/7/2011 ha confermato integralmente la sentenza di primo grado la Corte di Cassazione con sentenza 10/10/2012 ha annullato la decisione della Corte di Appello limitatamente al capo B, confermando viceversa il capo A l'ordinanza di scarcerazione per decorrenza termini emessa dalla Corte di Appello di Napoli è datata 8/11/2012. L'A. risulta detenuto ininterrottamente dal 26 giugno 2008. In relazione al capo B l'annullamento della Cassazione ha determinato una regressione del procedimento nella fase di appello. Posto che la sentenza di primo grado è stata emessa in data 21.10.2009, pur tenuto conto della pena complessivamente inflitta anni 10 e mesi 8 di reclusione , va rilevata la scadenza, alla data dell'ordinanza emessa dalla Corte di Appello di Napoli 8/11/2012 , del termine massimo di fase raddoppiato. L'A. è stato condannato anche per il capo A, rispetto al quale non vi è stato annullamento da parte della Corte di Cassazione. Per il capo A la statuizione di condanna è pertanto definitiva, benché non possa ritenersi tale l'entità della pena applicata originariamente in continuazione. Il caso è assimilabile alle ipotesi in cui l'annullamento della Cassazione limitatamente all'entità della pena irrogata, rispetto alle quali è pacifico in giurisprudenza che la misura cautelare permanga e che debba farsi riferimento, non più al termine di fase, ma solo a quello complessivo ex art. 303 IV comma, come aumentabile ex art. 304 comma VI Sez. 6, 497172009 Rv. 242915 . Sotto tale profilo, dunque, il termine non sarebbe decorso, sennonché, ai sensi dell'art. 300 IV comma c.p.p., il periodo di carcerazione già sofferto dall'A. in relazione al capo A 4 anni e 4 mesi circa è superiore alla pena concretamente infintagli a titolo di aumento per la continuazione con tale capo circa 1 anno e 2 mesi , a nulla rilevando che tale pena potrebbe eventualmente essere rideterminata in caso di assoluzione dal reato più grave di cui al capo B. Tale evenienza, infatti, si verifica anche allorquando l'imputato venga condannato ad una pena non definitiva per reato continuato con titolo custodiale applicato solo per il reato satellite caso per il quale è pacifico in giurisprudenza che si debba comunque tener conto solo dell'aumento di pena concretamente dato in continuazione per il reato meno grave, benché tale pena sia astrattamente modificabile ad es. nel caso di assoluzione per il reato più grave negli ulteriori gradi di giudizio sul punto si veda Cass., S.U., 26/3/2009, numero 25956 . Quanto a possibili cause di sospensione dei termini, va osservato che nessuna ipotesi di sospensione dovuta ad astensione dei difensori risulta dedotta nell'atto di appello, mentre alcun rilievo può essere attribuito ad ulteriori cause quali ad esempio la sospensione dei termini per la stesura della motivazione della sentenza, essendo di ostacolo il dato testuale della disposizione di cui all'art. 304 VII comma c.p.p 9.2. posizione di B.G. capi A, R. e AA . Con la sentenza 21.10.2009 il G.U.P. del Tribunale di Napoli ha condannato B.G. alla pena di anni 10 di reclusione per i reati di cui ai capi A 416 bis c.p. , R 12 quinquies l. numero 356/1992 e AA 629 II c.p. art. 7 d.l. numero 152/ 1991 il B. , come risulta dalla posizione giuridica acquisita, era tuttavia detenuto solo per il capo AA la Corte di Appello di Napoli, in data 15/7/2011 ha confermato integralmente la sentenza di primo grado la Corte di Cassazione con sentenza 10/10/2012 ha annullato la decisione della Corte di Appello limitatamente ai seguenti capi capi R e AA, confermando il capo A esclusa la circostanza di cui al II comma dell'art. 416 bis c.p. l'ordinanza di scarcerazione per decorrenza termini emessa dalla Corte di Appello di Napoli è datata 8/11/2012. Il B. , detenuto per il solo capo AA, rispetto al quale la Cassazione ha annullato con rinvio, è stato sottoposto a misura cautelare successivamente alla condanna di primo grado ed in particolare dal 2/11/2010 è quindi a tale data che va fatto riferimento per verificare se vi è stata o meno decorrenza del termine massimo di fase. Ai sensi dell'art. 303 comma I lett. c il termine massimo di fase era di anni 1 essendovi stata condanna non superiore ad anni 10 di reclusione , raddoppiarle ad anni 2 ex art. 303 cod. proc. penumero , termine effettivamente decorso alla data dell'ordinanza emessa dalla Corte di Appello di Napoli in data 8/11/2012. Non essendovi altri reati per i quali il B. era detenuto non occorre esaminare gli ulteriori rilievi del ricorrente, dovendosi soltanto ribadire l'irrilevanza di qualsiasi causa di sospensione ulteriore rispetto a quella determinata dall'astensione dei difensori. 9.3. posizione di E.G. e S.G. . Con la sentenza 21.10.2009 il G.U.P. del Tribunale di Napoli ha condannato E.G. alla pena di anni 8 reclusione per il reato di cui al capo A 416 bis c.p. S.G. alla pena di anni 8 di reclusione per il reato di cui al capo A 416 bis c.p. la Corte di Appello di Napoli, in data 15/7/2011 ha confermato integralmente la sentenza di primo grado la Corte di Cassazione con sentenza 10/10/2012 ha annullato la decisione della Corte di Appello limitatamente ai seguenti capi per E.G. capo A per S.G. capo A l'ordinanza di scarcerazione per decorrenza termini emessa dalla Corte di Appello di Napoli è datata 8/11/2012. I due imputati risultano sottoposti a misura cautelare in tempo antecedente alla sentenza di condanna di primo grado rispettivamente 6 maggio 2009 per l'E. e 9 luglio 2008 per lo S. . A partire dunque dalla sentenza di primo grado 21/10/2009 deve essere fatto decorrere il termine di fase per i capi per i quali vi è stato annullamento con rinvio da parte della Cassazione termini ormai ampiamente decorsi. Sia l'E. che lo S. non avevano altri titoli di detenzione sicché non si pone alcun problema di applicazione di ulteriori istituti. 9.4. posizione di L.G. . Con la sentenza 21 ottobre 2009 il G.U.P. del Tribunale di Napoli ha condannato il L. alla pena di anni 10 di reclusione per i reati di cui ai capi A 416 bis c.p. , M 378 c.p., art. 7 d.l. numero 152/1991 AA 629.2 C.p., art. 7 d.l. numero 152/ 1991 la Corte di Appello di Napoli, in data 15 luglio 2011 ha confermato integralmente la sentenza di primo grado la Corte di Cassazione con sentenza 10 ottobre 2012 ha annullato la decisione della Corte di Appello limitatamente ai capi A e AA, confermando viceversa il capo M l'ordinanza di scarcerazione per decorrenza termini emessa dalla Corte di Appello di Napoli è datata 8 novembre 2012. Leva era detenuto per il solo capo AA annullato dalla Cassazione , rispetto al quale i periodi di carcerazione sofferti sono stati dal 9/7/2008 al 7/7/2010 e dal 17/11/2011 al 8/11/2012, pari a circa 3 anni. Tenuto conto che il L. , all'esito del giudizio di primo grado, è stato condannato per il reato per cui vi era misura custodiale a pena non superiore a dieci anni vi è condanna alla pena di anni dieci di reclusione per i reati di cui ai capi A, AA ed M , il termine massimo di fase per il grado di appello, come raddoppiato ex art. 304 comma VI, era pari ad anni due ed era pertanto ampiamente decorso al momento dell'emissione dell'ordinanza di scarcerazione da parte della Corte di Appello di Napoli. 10. In conclusione, avuto riguardo alle suesposte corrette argomentazioni, il ricorso del Procuratore generale risulta infondato, valutata la conformità del provvedimento alle norme stabilite, nonché apprezzata la tenuta logica e coerenza strutturale della giustificazione che è stata formulata. P.Q.M. Rigetta il ricorso.