Tradito dalla moglie, cerca la riconciliazione: respinto. Ma ciò non può azzerare l’ipotesi dell’addebito

Sicuramente apprezzabile la volontà dell’uomo di provare a rimettere insieme i cocci di una vita coniugale andata in frantumi a causa del tradimento subito. Ma questa volontà, soprattutto se respinta dalla coniuge, non può condurre a ritenere meno grave il tradimento perpetrato dalla moglie.

«Buono sì, fesso no». Detto in maniera più chiara, è impensabile negare la richiesta di addebito alla donna, colpevole di infedeltà coniugale, avanzata dall’uomo, semplicemente perché quest’ultimo ha ribadito fino all’ultimo la disponibilità a percorrere la strada della riconciliazione. Non si può considerare irrilevante il niet menefreghistico della donna Cassazione, ordinanza numero 16270/2013, Sesta Sezione Civile, depositata oggi . Dialogo potenziale. Nessun dubbio sulla «separazione personale», oramai ufficiale, fra i due coniugi. Resta, però, un nodo ancora da sciogliere l’addebito per la rottura del matrimonio. Rottura che, secondo l’uomo, è da addebitare alla «infedeltà della moglie». Ma questa visione viene ritenuta non fondata, dai giudici di primo e di secondo grado, perché comunque l’uomo ha «dichiarato di essere disposto a conciliarsi con la moglie». E questo elemento, secondo i giudici, porta ad affermare che «la mera inosservanza», da parte della donna, «dell’obbligo di fedeltà coniugale non avesse determinato crisi irreversibile del rapporto coniugale». Rifiuto decisivo. A stravolgere completamente le prospettive delineate in Appello provvedono, ora, i giudici della Cassazione, con una semplice considerazione «una generica affermazione di volontà riconciliativa non elide, di per sé, la gravità del vulnus subito», a maggior ragione quando essa non «determini un effettivo ristabilimento dell’armonia coniugale». Così viene rappresentata, in sintesi, la vicenda all’esame dei giudici, vicenda che merita di essere approfondita ragionando sulla gravità dell’«infedeltà della moglie» e sugli effetti avuti nello scoppio della «crisi coniugale», per poter così dare una risposta all’ipotesi di «addebito» a carico della donna. Tale approfondimento, ovviamente, viene affidato ai giudici della Corte d’appello, che, però, dovranno tenere conto delle indicazioni tracciate dai giudici della Corte di Cassazione, secondo cui, se «in presenza di una condotta univocamente trasgressiva e gravemente lesiva dei doveri coniugali, alla volontà di riconciliazione non corrisponde un positivo riscontro», si palesa come evidente «la persistenza della situazione di crisi» e la conseguente «intollerabilità della convivenza».

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 1, ordinanza 19 febbraio – 27 giugno 2013, numero 16270 Presidente Di Palma – Relatore Campanile Ritenuto in fatto e in diritto Il consigliere delegato ha depositato, ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c., la seguente relazione. “La Corte di appello di Messina, con sentenza numero 435 del 2010, confermava la sentenza del Tribunale di Messina del 4 luglio 2008, con la quale era stata pronunciata la separazione personale dei coniugi A.S. e G.R., con affidamento condiviso dei figli Minori, collocati presso il padre, assegnatario della casa coniugale e obbligato al loro mantenimento. Venivano, in particolare, rigettate le impugnazioni rispettivamente proposte dai coniugi, rilevandosi, quanto alla domanda di addebito, già rigettata, e riproposta dal marito, che l’infedeltà della moglie non avesse avuto incidenza causale sulla crisi coniugale, avendo l’A. dichiarato, all’udienza presidenziale, di essere disposto a conciliarsi con la moglie, e, quanto alla domanda di mantenimento avanzata da quest’ultima, che, a fronte di una condizione economica del coniuge “limitata”, era emerso che la predetta svolgeva attività di collaborazione retribuita in favore di un fratello. Si ritiene che i ricorsi, previa riunione, possano essere decisi in camera di consiglio, imponendosi, in considerazione della manifesta fondatezza, l’accoglimento dell’incidentale, assorbente rispetto al principale ed alle rimanenti questioni. Come già evidenziato, la corte territoriale ha ritenuto che “la mera inosservanza da parte della G. dell’obbligo di fedeltà coniugale non avesse determinato crisi irreversibile del rapporto coniugale”, in quanto il medesimo A., in sede di audizione all’udienza presidenziale, ha dichiarato “ sono disposto a conciliarmi con mia moglie, nonostante che la stessa ha un amante, tale T. o T., da circa otto mesi”. Il vizio motivazionale denunciato con il ricorso incidentale ricorre pienamente, in quanto, pur movendo dalla premessa incontestata dell’adulterio commesso dalla G., la cui scoperta aveva provocato la domanda di separazione con addebito da parte del coniuge, la cotte territoriale, senza per altro evidenziare alcun elemento rimarchevole a carico di quest’ultimo, né la preesistenza di una crisi coniugale, ha escluso il nesso sulla base della mera disponibilità al perdono manifestata dall’A. nel corso dell’udienza presidenziale. Orbene, se da un lato appare corretto orientare l’indagine nel senso di verificare se l’infedeltà della moglie ebbe effettiva incidenza causale sulla crisi del matrimonio, non va omesso di considerare che una generica affermazione di volontà riconciliativa, la quale di per sé non elide la gravità del vulnus subito, e che, in ogni caso, costituisce un posterius rispetto alla proposizione della domanda di separazione, con richiesta di addebito, proprio per aver scoperto l’adulterio, in tanto può assumere valore in quanto determini un effettivo ristabilimento dell’armonia coniugale. Il presupposto dell’addebito è invero rappresentato dal nesso causale che deve intercorrere tra la violazione dei doveri coniugali e la crisi dell’unione familiare, che va accertato verificando se la relazione extraconiugale, che di regola si presume causa efficiente di situazione di intollerabilità della convivenza, rappresentando violazione particolarmente grave, non risulti comunque priva di efficienza cuasale, siccome interviene in un menage già compromesso, ovvero perché, nonostante tutto, la coppia ne abbia superato le conseguenze recuperando un rapporto armonico Cass., numero 8512 del 2006 Cass., numero 25618 del 2007 . Quando, al contrario, in presenza di una condotta univocamente trasgressiva e gravemente lesiva dei doveri coniugali, alla volontà di riconciliazione non corrisponde un positivo riscontro da parte dell’altro, al quale è attribuito il comportamento determinante la crisi della rapporto coniugale, ed anzi si dà luogo - come nella specie si sostiene - a una maggiore ostentazione della relazione adulterina, appare evidente che si verifica la persistenza tanto della situazione di crisi, quanto di quella condotta, aggravata da un ulteriore elemento, che alla intollerabilità della convivenza si ritiene abbia dato luogo”. Il Collegio condivide la relazione, ritualmente comunicata al P. G. e notificata alle parti costituite. La decisione impugnata, pertanto, in accoglimento del ricorso incidentale, assorbito il principale, deve essere cassata, con rinvio alla Corte di appello di Messina, che,, in diversa composizione, applicherà il principio sopra enunciato, senza incorrere nell’evidenziato vizio motivazionale, provvedendo, altresì, al regolamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità. P.Q.M. Accoglie il ricorso incidentale, assorbito il principale Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Messina, in diversa composizione. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati in sentenza.