L’amministratore “di fatto” di una società è da ritenere gravato dell’intera gamma di doveri cui è soggetto l’amministratore “di diritto”, per cui è penalmente responsabile per tutti i comportamenti a quest’ultimo addebitabili, anche nel caso di colpevole e consapevole inerzia a fronte di tali comportamenti, in applicazione della regola dettata dall’articolo 40 comma secondo c.p
Sequestro per equivalente formidabile sanzione contro l’evasione. Non vi è operatore del diritto che non si sia accorto della crescita esponenziale di pronunce giurisprudenziali aventi ad oggetto, quale elemento centrale, o comunque quale substrato, una vicenda di sequestro preventivo per equivalente conseguente ad un reato fiscale. Come noto infatti la confisca per equivalente – rispetto alla quale il sequestro preventivo è prodromico – è contemplata nell’articolo 322- ter c.p.p., norma introdotta già con la legge numero 300/2000, ma la cui portata è stata estesa alla materia fiscale solo con la legge numero 244/2007, il cui articolo 1, comma 143, ha previsto l'applicabilità dell'articolo 322- ter c.p. a determinati reati fiscali, introdotti con d.lgs. numero 74/2000. La particolare attenzione, nell’attuale contesto storico e politico, della pubblica opinione contro il dilagante fenomeno della evasione fiscale si è tradotta in un utilizzo sempre più ampio da parte della magistratura del sequestro preventivo per equivalente finalizzato alla repressione dei reati fiscali. In dottrina, peraltro, già si è evidenziato come anche nei reati tributari il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente abbia natura poliedrica, ma non vi è dubbio che il carattere prevalente di questo istituto sia proprio quello sanzionatorio. Tutto ciò appare peraltro pienamente conforme a quella giurisprudenza comunitaria e nazionale che, da tempo, ha sottolineato il carattere prevalentemente sanzionatorio della confisca sia in tema di reati urbanistici che di guida sotto l’effetto di alcool o stupefacenti. A fronte dei lunghi tempi della giustizia penale, ma anche di quella tributaria, non vi è dubbio che l’immediata applicazione ed efficacia del sequestro preventivo per equivalente finalizzato alla confisca, costituisca oggi uno straordinario strumento, soprattutto sanzionatorio, nelle mani della magistratura, che dunque trova sempre più frequente applicazione. Dalla natura sanzionatoria del sequestro alla applicabilità solo al reo Corollario naturale ed imprescindibile della riconosciuta natura sanzionatoria è il principio che il sequestro e la successiva confisca per equivalente non possono essere applicati se non al reo, con esclusione, quindi, di una possibile ricaduta di questi provvedimenti ablativi sul patrimonio di altro soggetto, estraneo al reato. Con riferimento alla confisca nella forma per equivalente, la giurisprudenza esclude la necessità di un rapporto di pertinenzialità tra profitto e reato che lo ha generato, ma richiede la dimostrazione di una relazione tra i beni oggetto di ablazione e la persona del reo. Sul punto la giurisprudenza è ferma nel ritenere la disponibilità come sinonimo di appartenenza sostanziale, ossia di un rapporto di fatto tra il soggetto e la res che consente al primo di atteggiarsi, rispetto al bene, uti dominus , anche in assenza di titolarità formale. Sulla base di tale principio la giurisprudenza della Suprema Corte si è già posta il problema della legittimità del sequestro preventivo per equivalente finalizzato alla confisca di beni di proprietà dell’ente, nel caso di reato tributario commesso dall’amministratore dell’ente medesimo. Orbene in una recente pronuncia la Suprema Corte Cass. Penumero , Sez. III, 07 giugno 2011, numero 28731/2011 ha confermato la legittimità del sequestro non tanto e non solo perché il reato fiscale era commesso nell’interesse dell’ente, ma anche e soprattutto perché l’indagato ne aveva la disponibilità in quanto li gestiva come amministratore dei beni dell’ente. ed all’amministratore di fatto. Il brevissimo excursus giurisprudenziale, che abbiamo compiuto, ci consente agevolmente di comprendere come, nel caso di specie, la Suprema Corte non abbia incontrato particolari difficoltà nel confermare il provvedimento di sequestro preventivo per equivalente di beni personali di colui, che aveva operato come mero amministratore dell’ente, ed in tale veste aveva omesso di presentare le denuncie annuali di IVA ed IRES. La Suprema Corte ha quindi agevolmente confutato anche l’altro argomento difensivo, oggetto di specifico motivo di impugnazione in Cassazione l’inapplicabilità del disposto dell’articolo 2639 c.c. ai reati omissivi tributari ed, in dettaglio, all’amministratore di fatto di società. Se infatti ormai da diversi anni la giurisprudenza della Suprema Corte si è consolidata, in materia fallimentare, nel ritenere gravato l’amministratore di fatto, in base all’articolo 2639 c.c., di tutti i doveri, obblighi ed oneri incombenti all’amministratore di diritto, con conseguente responsabilità omissiva ex articolo 40 comma 2° c.p., in caso di colpevole inerzia dell’amministratore di diritto, solo in questi ultimi tempi detti principi sono stati riconosciuti operanti anche nel caso di reati fiscali omissivi commessi dall’amministratore di fatto di un ente. Così proprio in tema di sequestro preventivo per equivalente recentissima pronuncia ha affermato come del reato di omessa presentazione delle dichiarazioni ai fini IVA e imposte dirette risponda anche l’amministratore di fatto di una società, in forza del cosiddetto principio funzionalistico Cass. Penumero , Sez. III, numero 20678/2012 . Assistiamo ormai pertanto ad un consolidarsi di detti principi anche in tema di reati omissivi tributari. L'estensione delle qualifiche soggettive introdotta dall'articolo 2639 c.c., costituisce dunque, per il diritto vivente, una puntuale opzione del legislatore in favore della rilevanza dei criteri di effettività, si da fare ritenere, almeno in parte, superata la contrapposizione fra teorie formalistiche e funzionalisti che, sorta in materia di reati propri. Così come appare ormai appartenere alla storia la pur autorevolissima dottrina Caraccioli secondo cui l'espressa delimitazione della sfera operativa dell'articolo 2639 c.c. ai soli reati societari previsti nel codice civile impediva di attribuire rilevanza alla figura dell' amministratore di fatto in relazione ad altri reati, e segnatamente quelli fallimentari e tributari. La prova dello status di amministratore di fatto. In tale contesto diviene allora interessante verificare quale siano gli elementi specifici e concreti da cui possa legittimamente il giudice penale attribuire o meno in capo ad un soggetto lo status di amministratore di fatto di una società, con conseguente possibile responsabilità penale del medesimo ed assoggettabilità al sequestro preventivo per equivalente del patrimonio nella disponibilità del medesimo, in caso di omessa presentazione delle dichiarazioni IVA ed IRES da parte della società. Nel caso esaminato dalla Suprema Corte detti indici erano, invero, plurimi e incontrovertibili, in quanto l’indagato non solo aveva posto in essere innumerevoli atti di gestione societaria, ma pure provveduto personalmente alla trasmissione, per via telematica, in una della annualità incriminate, del Modello 770, ed infine presenziato, attribuendosi la veste di amministratore, alla assemblea dei soci che aveva deliberato lo scioglimento della società, mentre l’amministratore di diritto neppure si era curato di fare trascrivere il verbale contenente la propria nomina a legale rappresentante nel registro delle imprese.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 5 luglio – 29 agosto 2012, numero 33385 Presidente Mannino – Relatore Lombardi Ritenuto in fatto 1. Con la impugnata ordinanza il Tribunale di Cosenza, in funzione di giudice dei riesame, ha confermato il decreto dei G.I.P. dei Tribunale di Rossano in data 14/10/2011, con il quale era stato disposto il sequestro preventivo per equivalente di beni nei confronti di G.G. , indagato del reato continuato di cui all’articolo 5 del d.lgs. numero 74/2000. Detto reato risulta ascritto al G. perché, quale amministratore della società Sud Scavi S.r.l., aveva omesso di presentare le dichiarazioni annuali IRES ed IVA per gli anni di imposta 2007, 2008 e 2009 relative a detta società, con il consequenziale mancato versamento dette imposte dovute per un ammontare complessivo superiore a un milione di Euro. Per quanto interessa in sede di legittimità l’ordinanza ha rigettato i motivi di impugnazione con i quali il ricorrente aveva sostenuto che dal 2.10.2007 era stato nominato un nuovo amministratore detta società Sud Scavi, nella persona di tale C.G. , e denunciato la sproporzione del valore dei beni sequestrati, alcuni dei quali peraltro di proprietà della moglie, Gi.Gi. , con la quale viveva in regime di separazione dei beni, rispetto all’ammontare del profitto del reato. 2. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso l’indagato che tramite i difensori, denuncia 2.1 Errata applicazione della legge penale con riferimento agli articolo 40 c.p., 5 del d.lgs. numero 74/2000, nonché degli articolo 2475, 2476 e 2383 del codice civile relativamente al fumus commissi delicti nei confronti dell’indagato. L’articolo 5 del d.lgs. numero 74/2000, configura un reato proprio del quale possono rendersi responsabili soltanto i soggetti obbligati ai sensi della vigente normativa fiscale. Tale soggetto va individuato, relativamente agli anni di imposta 2007, 2008 e 2009, nel rappresentante legale della società Sud Scavi da identificarsi nella persona di C.G. , che, secondo le risultanze del verbale di assemblea del 02/10/2007, aveva assunto detta carica a seguito delle dimissioni presentate dall’amministratore unico G.G. . Era il C. , pertanto, obbligato a porre in essere tutti gli atti stabiliti dalla legge in nome e per conto della società da lui rappresentata, tra cui a presentazione delle dichiarazioni fiscali oggetto di imputazione. Sul punto si deduce che era compito del C. procedere alla registrazione della nomina nel registro delle imprese e che, peraltro, detta registrazione ha valore solo dichiarativo. 2.2 Errata applicazione di legge e vizi di motivazione con riferimento alla commisurazione del valore dei beni sequestrati per equivalente. I beni sequestrati per equivalente al fini della confisca non devono avere un valore eccedente il profitto del reato quantificato dal G.I.P. in Euro 1.107.888,78. In estrema sintesi, si censura la valutazione contenuta nell’ordinanza circa corrispondenza del valore dei beni sequestrati al profitto del reato. La valutazione dei beni da parte della GG.FF. era stata contestata nella sede di merito sulla base di una consulenza tecnica di parte, che rendeva conto analiticamente del valore dei singoli beni sulla base di criteri obiettivi. Sul punto si censurano dettagliatamente le argomentazioni con le quali l’ordinanza ha disatteso le conclusioni del consulente tecnico di parte per aderire a quelle indicate dalla GG.FF I rilievi, in particolare, si riferiscono al valore della cava sequestrata, che secondo la stima effettuata dal ctp risultava pari a Euro 7.000.000,00, al valore di terreni agricoli ed altro. Si denuncia anche la illegittimità del sequestro di beni nei confronti di Gi.Gi. , moglie dell’imputato, e si contesta che il provvedimento del G.I.P., come affermato dal Tribunale del riesame, abbia disposto detto sequestro pro quota, netta misura della metà. Considerato in diritto 1. Il ricorso non è fondato. 2.1 È stato già reiteratamente affermato da questa Corte, sia pure in materia di reati fallimentari, che il soggetto che assume, in base alla disciplina dettata dall’articolo 2639 c.c., la qualifica di amministratore “di fatto” di una società è da ritenere gravato dell’intera gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore di diritto , per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggetti vo e soggettivo, è penalmente responsabile per tutti i comportamenti a quest’ultimo addebitabili, anche nel caso di colpevole e consapevole inerzia a fronte di tali comportamenti, in applicazione della regola dettata dall’articolo 40, comma secondo cod. penumero sez. 5, sentenza numero 15065 del 02/03/2011, Guadagnoli e altri, Rv. 250094 sez. 5, sentenza numero 39593 del 20/05/2011, Assello, Rv. 250844 sez. 5, sentenza numero 7203 del 11/01/2008, Salamida, Rv. 239040 . Si tratta di un principio di diritto che trova il proprio fondamento nella sostanziale equiparazione dell’amministratore di fatto a quello di diritto, ai sensi della citata disposizione del codice civile, come sostituita ai sensi dell’articolo 1 del d.lgs. 11 aprile 2002 numero 61, che peraltro ha prevalentemente natura interpretativa di precedenti, consolidati, approdi giurisprudenziali. Tale equiparazione, pertanto, assume portata generale in relazione a tutti i comportamenti commissivi o emissivi dell’amministratore di diritto, essendo tenuto l’amministratore di fatto ad impedire le condotte vietate riguardanti l’amministrazione della società ovvero pretendere l’esecuzione degli adempimenti imposti dalla legge, con la conseguente responsabilità dello stesso in sede penale ex articolo 40, comma secondo, c.p Ovviamente devono concretamente sussistere le condizioni previste dalla citata disposizione del codice civile per riconoscere nel soggetto agente la qualità di amministratore di fatto della compagine societaria. Orbene, l’ordinanza impugnata ha richiamato sul punto l’esito delle indagini eseguite dalla GG.FF., dalle quali è emerso che il C. , nel periodo di cui si tratta, non ha posto in essere alcun atto di gestione della società, non provvedendo neppure alla trascrizione del verbale di nomina nel registro delle imprese, mentre tutti gli atti di gestione societaria, di cui vi sono puntuali indicazioni, sono stati posti in essere dal G. , che ha provveduto, tra l’altro, personalmente alla trasmissione del modello 770 per l’anno di imposte 2007, per via tematica, e si è presentato quale amministratore e legale rappresentante della società in sede di assemblea dei soci in data 29/06/2009 che ha deliberato lo scioglimento della società, secondo le risultanze del relativo verbale notarile. 2.2 Il secondo motivo di ricorso è inammissibile, esaurendosi nella richiesta di esame della valutazione dei giudici di merito in ordine alla congruità dei beni sequestrati in relazione alla somma costituente il profitto del reato. È appena il caso di ricordare sul punto che i provvedimenti concernenti le misure cautelari reali sono ricorribili per cassazione solo per violazione di legge ex articolo 325 c.p.p Orbene, il Tribunale ha analiticamente esaminato, in relazione ai singoli beni sequestrati, le documentazione prodotta dalla difesa del ricorrente, costituita da una consulenza di parte, comparandone le risultanze con le annotazioni della GG.FF. ed ha disatteso la prima, all’esito di tale giudizio comparativo, con motivazione immune da vizi logici e che, per quanto rilevato in punto di diritto si sottrae in ogni caso al sindacato di legittimità. Anche sul punto del sequestro di beni della moglie del G. , l’ordinanza ha puntualmente osservato che si tratta di beni in comunione legale e che il sequestro si riferisce pro quota a quanto appartenente nella misura della metà all’indagato. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato con le conseguenze di legge. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagamento delle processuali.